Il Governo nazionale ha approvato il nuovo decreto legge intitolato "Misure urgenti per fronteggiare i rischi sanitari connessi alla diffusione del COVID- 19". La principale novità è costituita dall'art. 1, comma 2 che recita:
Sarà pure il Governo "dei migliori", ma lo stile con cui scrive le leggi è sempre il solito, un po' criptico. In breve il superamento della soglia di 250 nuovi contagi settimanali per ogni 100.000 abitanti è condizione sufficiente per entrare in zona rossa. Questa condizione si aggiunge a quella precedente ovvero un valore minimo dell'intervallo di confidenza dell'indice Rt superiore o uguale ad 1,25. In pratica basta che una delle due condizioni sia soddisfatta per entrare in zona rossa.
Per i Presidenti di Regione/PPAA che incominceranno a frignare durante le loro conferenze stampa, lamentandosi di essere stati puniti perchè hanno fatto molti più tamponi degli altri è stato aggiunto l'art. 1 comma 6:
Quali siano i criteri di adeguatezza e congruità non è dato sapere. Certamente si terrà conto che dove sono stati accertati molti casi positivi (come in Trentino) una parte consistente dei tamponi non ha funzioni diagnostiche, ma è utilizzata per accertare l'avvenuto ritorno allo stato virologicamente negativo di chi aveva contratto il virus una-due settimane prima.
Dal 15 marzo al 6 aprile 2021, le misure stabilite dai provvedimenti di cui all’articolo 2 del decreto-legge n. 19 del 2020 per la zona rossa di cui all’articolo 1, comma 16-septies, lettera c), del decreto-legge n. 33 del 2020, si applicano anche nelle Regioni individuate con ordinanza del Ministro della salute ai sensi dell’articolo 1, comma 16-bis, del decreto-legge n. 33 del 2020, nelle quali l’incidenza cumulativa settimanale dei contagi è superiore a 250 casi ogni 100.000 abitanti, sulla base dei dati validati dell’ultimo monitoraggio disponibile.
Sarà pure il Governo "dei migliori", ma lo stile con cui scrive le leggi è sempre il solito, un po' criptico. In breve il superamento della soglia di 250 nuovi contagi settimanali per ogni 100.000 abitanti è condizione sufficiente per entrare in zona rossa. Questa condizione si aggiunge a quella precedente ovvero un valore minimo dell'intervallo di confidenza dell'indice Rt superiore o uguale ad 1,25. In pratica basta che una delle due condizioni sia soddisfatta per entrare in zona rossa.
Per i Presidenti di Regione/PPAA che incominceranno a frignare durante le loro conferenze stampa, lamentandosi di essere stati puniti perchè hanno fatto molti più tamponi degli altri è stato aggiunto l'art. 1 comma 6:
Le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, nell’ambito del monitoraggio previsto dall’articolo 1, comma 16, del decreto-legge n. 33 del 2020, comunicano giornalmente al Ministero della salute il numero dei tamponi eseguiti sulla popolazione. La cabina di regia di cui al decreto del Ministro della salute 30 aprile 2020 ne verifica l’adeguatezza e la congruità dal punto di vista quantitativo in relazione al livello di circolazione del virus in sede locale.
Quali siano i criteri di adeguatezza e congruità non è dato sapere. Certamente si terrà conto che dove sono stati accertati molti casi positivi (come in Trentino) una parte consistente dei tamponi non ha funzioni diagnostiche, ma è utilizzata per accertare l'avvenuto ritorno allo stato virologicamente negativo di chi aveva contratto il virus una-due settimane prima.
Giusto per avere un'idea dei numeri, nelle due settimane che terminavano ieri 11 marzo, il Trentino ha fatto mediamente 4.190 tamponi settimanali per ogni 100.000 abitanti. Nello stesso periodo la media nazionale è stata pari a 3.649 tamponi settimanali per ogni 100.000 abitanti. In altre parole, il Trentino ha fatto circa il 15% in più di tamponi rispetto alla media nazionale, differenza ampiamente spiegabile a causa della circolazione virale del Trentino che è stata quasi doppia rispetto a quella nazionale.
L'unico territorio che può ragionevolmente dire di aver fatto "molti più tamponi degli altri" è l'Alto Adige, che ha fatto da 3 a 4 volte più tamponi del Trentino. Alto Adige che con il dato di oggi scende - per la prima volta dopo molte settimane - sotto la soglia dei 250 nuovi contagi settimanali per ogni 100.000 abitanti e conferma di avere un indice Rt saldamente inferiore ad 1.
Insomma c'è chi ha fatto la zona rossa prima e chi si appresta a subirla solo adesso. La scelta di comportarsi come gli struzzi non risolve i problemi, ma li sposta solo nel tempo.
Che chi frigna e chi si vanta
RispondiEliminaBolzano. Coronavirus, oltre il 10% degli alto-atesini è stato vaccinato. Quasi 80mila le dosi somministrate - Continua spedita, forniture permettendo, la campagna vaccinale in Alto Adige. Il 10,17% della popolazione ha ricevuto almeno una dose. L'assessore alla Salute Thomas Widmann: "Siamo al top in Italia"
(NdC) Ehm, molti infermieri e operatori sanitari in Alto Adige hanno rifiutato il vaccino (si parla di circa il 50 percento). Quindi con i vaccini RIFIUTATI di Pfizer e Moderna la ASL ha iniziato a vaccinare gli over-80. Tutto qui, non è il caso di “torturare i dati” solo per poi citare Briatore (“Siamo al top!”).
Siparietto oggi alla conferenza (senza) stampa della Provincia
RispondiElimina1 - “Al momento non abbiamo ricevuto comunicazioni ufficiali” (come lo studente che si dice all’oscuro “la prof non ha ancora messo sul libretto elettronico il voto della prova di mate”, ma la prof in classe gli ha detto che è andata male)
2 - “Hanno cambiato i criteri di classificazione dei territori” (come lo studente che afferma “mi avevano detto che lo scritto valeva di più dell’orale” o “lo sanno tutti che il secondo quadrimestre vale di più del primo”)
3 - “Il nostro Rt questa settimana ADDIRITTURA sarebbe in calo da 1.10 a 1.04, all’interno di un intervallo che va da 0.99 a 1,1, quindi in calo rispetto alla settimana scorsa e questo quindi ci avrebbe garantito la permanenza in zona almeno arancione (come lo studente che si lamenta “la coordinatrice di classe aveva detto a mia mamma che con 5/6 non mi avrebbero dato il debito di elettrotecnica)
4 - Il Responsabile dell’Ufficio Stampa, Gianpaolo Pedrotti, la butta sul ridere: “Presidente, un collega ci chiede con una domanda provocatoria: Allora conveniva fare meno tamponi?”
Il Presidente ridacchia e poi: “Fare i tamponi è un modo per cercare di tenere sotto controllo il livello del contagio e l’espansione del contagio stesso, quindi QUESTI TIPI DI CALCOLI NON SI FANNO, si lavora per cercare di operare al meglio sotto l’aspetto sanitario.
Io dico solo che un criterio di questo tipo non tiene conto né del numero dei tamponi fatto né di come li fai nella tracciabilità che hai, dopodiché così è, ne prendiamo atto” (come lo studente che salta apposta l’ultima prova del pentamestre per salvare la media e la prof allora fa la media sulle prove di tutto l’anno).
Presidente Fugatti, è ora di uscire dalla ristretta logica “scolastica” (lo scopo non è avere 6, sfangarla, non prendere la carenza, non venire beccati, copiare una relazione di fisica cambiando alcune parole, saltare la prova perché l’orale poi è più facile e si può svolgere a casa la prova dei propri compagni...)
Ma è così difficile trovare un criterio di adeguatezza e congruità per la quantità dei tamponi che ogni Regione deve fare? Controlliamo che non ci sia una drastica diminuzione di questi numeri e che non vengano usate troppe astuzie per migliorare il dato di incidenza. Superata l’emergenza troveremo il modo di TOGLIERE DI MEZZO le competenze regionali sulla sanitá in particolare in situazioni critiche per la salute pubblica nazionale, tipo questa.
RispondiEliminaBasterebbe separare i tamponi in alcune macro-categorie (chiedendo per ciascuna di esse quanti sono stati i tamponi molecolari e quanti gli antigenici):
EliminaTamponi fatti per verificare lo stato virologico di coloro che sono stati identificati in precedenza come positivi.
Tamponi eseguiti come screening di determinate categorie (ospiti e personale di RSA, personale sanitario, altre categorie professionali a rischio). Dato che dovrebbe calare nel tempo grazie ai vaccini.
Tamponi eseguiti su coloro che vengono ricoverati in ospedali per cause non Covid.
Screening a tappeto svolti a livello locale per isolare eventuali focolai di grandi dimensioni.
Tamponi fatti su persone con sintomi sospetti o contatti stretti di persone contagiate (sono i veri tamponi diagnostici e sono gli unici per i quali ha senso valutare il rapporto tra casi positivi ed il numero di tamponi fatti).
Non mi pare così difficile: ci possono arrivare anche i ben pagati dirigenti delle 21 Sanità regionali. Se poi il Governo nazionale decidesse di riportare un po' d'ordine, sarebbe senz'altro meglio.
Pur con tutte le attenzioni sulla scarsa chiarezza di come vengano raccolti i dati, il sito INFN, come è noto, mette in prima pagina il "tasso di positività* come rapporto fra nuovo infetti e "persone testate" ben diverso da quello che riportano giornalmente i media.
EliminaBisogna uniformare i sistemi informativi delle sanità regionali o al limite puntare ad un sistema informativo sanitario unico a livello nazionale. Speriamo che qualche soldo europeo venga speso in direzione di una standardizzazione di cui abbiamo in prospettiva assoluto bisogno. Sarebbe interessante sapere come sono organizzati sotto il profilo informatico tra stato e regioni nella sanità in Germania, in Francia ed in Inghilterra.
EliminaLa differenza principale in zona rossa mi sembra sia l'obbligo della didattica a distanza.
RispondiEliminaPerò, ecco il grimaldello : Nota Prot . 662 del 12 marzo 2021 dal Ministero dell’Istruzione
Dipartimento per il Sistema Educativo di Istruzione e di Formazione
Direzione Generale per lo Studente, l’Inclusione e l’Orientamento scolastico
Ai Dirigenti Scolastici
e ai Coordinatori Didattici
delle istituzioni del sistema nazionale di istruzione
Oggetto: decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 2 marzo 2021, articolo 43 - alunni con
bisogni educativi speciali e degli alunni con disabilità
omissis ".. laddove per il singolo caso ricorrano le condizioni tracciate nel citato articolo
43 le stesse istituzioni scolastiche non dovranno limitarsi a consentire la frequenza solo agli alunni e
agli studenti in parola, ma al fine di rendere effettivo il principio di inclusione valuteranno di
coinvolgere nelle attività in presenza anche altri alunni appartenenti alla stessa sezione o gruppo
classe – secondo metodi e strumenti autonomamente stabiliti e che ne consentano la completa
rotazione in un tempo definito – con i quali gli studenti BES possano continuare a sperimentare
l’adeguata relazione nel gruppo dei pari, in costante rapporto educativo con il personale docente e
non docente presente a scuola."
Chissà se la scarsa flessibilità dell'organizzazione scolastica non possa essere finalmente attaccata, con una scuola sempre aperta, mattina e pomeriggio, anche se con un terzo di banchi occupati in tutte le aule, in Zona rossa.
Purtroppo, sembrerebbe che l'Ordinanza N. 67 dd 13/3/2021 del Presidente della P.A.T. applichi in modo restrittivo la Nota Prot. 662 del 12 marzo 2021 dal Ministero dell’Istruzione.
EliminaInfatti, in relazione alla didattica in presenza " esclusivamente per i predetti servizi socio educativi della prima infanzia, servizi di conciliazione per la prima infanzia in fascia zero - tre anni e attività delle scuole dell’infanzia", il Presidente Fugatti prescrive nella nuova Ordinanza quanto segue:
"..è possibile svolgere attività in presenza anche in favore dei figli/minori in affido di operatori sanitari in servizio in strutture sanitarie pubbliche e private, nonché nelle RSA, come comprovato dagli interessati circa la loro qualifica di operatori sanitari in dette strutture da apposita autocertificazione ai sensi del DPR n. 445/2000. Per questi bambini e per quelli con bisogni educativi speciali le attività in presenza possono essere organizzate in gruppi stabili di massimo quattro bambini di gruppi/sezione anche diversi, laddove necessario per garantire l’inclusione scolastica/educativa".
__Una specie di doposcuola che separa dal resto della classe.
Il “nuovo lockdown”: la lezione imparata
RispondiEliminaDavide Maria De Luca | editorialedomani.it | 12 marzo 2021
Il nuovo decreto legge stabilisce un nuovo criterio aritmetico, aggiuntivo rispetto agli attuali, per spostare una regione in zona “rossa”: il passaggio sarà (pressoché) automatico al raggiungimento di una media settimanale di 250 nuovi casi ogni 100mila abitanti.
Se a questo aggiungiamo che il decreto approvato la settimana scorsa dispone la chiusura di tutte le scuole di ogni ordine e grado (comprese le scuole per l’infanzia, che dallo scorso settembre erano sempre rimaste aperte), il quadro risulta chiaro: l’ultima stretta decisa dal governo Draghi è LA PIU’ SEVERA dai tempi del primo lockdown, disposto dal governo Conte un anno fa all’inizio dell’epidemia.
Di fatto, però, il Governo Draghi si è trovato involontariamente a ricalcare almeno in parte le azioni del governo Conte lo scorso autunno ed è intervenuto all’ INSEGUIMENTO dell’epidemia, quando la situazione già minacciava di sfuggire dal controllo e senza tentare di prevenire l’esplosione di nuovi casi.
Accanto alle similitudini ci sono anche DIFFERENZE tra la vecchia seconda ondata e l’attuale terza. In altre parole, sembra che ci siano almeno ALCUNE LEZIONI che sono state imparate in questi mesi.
Uno dei problemi della seconda ondata è stato PER MESI le regioni non hanno risposto alle richieste di disporre lockdown locali in presenza di focolai di Covid-19 che provenivano da scienziati, tecnici ed esponenti del governo. Soltanto l’entrata in vigore del decreto sulle zone colorate, tra mille proteste e polemiche provenienti in parte anche dalla stessa maggioranza, ha cambiato la situazione.
Nelle ultime settimane abbiamo invece visto una situazione molto differente. Nel corso degli ultimi due mesi, l’Italia si è riempita di zone rosse e mini lockdown locali, in genere decisi dai governi regionali e spesso su richiesta degli amministratori locali.
Le chiusure sono avvenute in genere per ridurre la circolazione dalle varianti più contagiose (in particolare “brasiliana” e “sudafricana”, la variante “inglese” è ormai dominante nel nostro Paese), anche se non si è trattato di lockdown di stile cinese o australiano (là qualche decina di casi bastano per mettere in quarantena milioni di persone).
Ma qualche effetto sembrano averlo avuto. L’Umbria è stata una delle prime regioni ad adottare lockdown mirati e ora l’epidemia in regione sembra aver già passato il picco.
Il Trentino viene dimenticato da Roma e per alcune ore rimane in arancione. Poi la correzione nel nuovo decreto
RispondiEliminaRedazione Trento - La voce del Trentino – sabato 13 marzo 2021
La speranza degli addetti ai lavori è durata qualche ora, quando hanno constatato che nel decreto firmato dal Ministro Speranza non erano state inserite le province di Trento e Bolzano. A questo punto un vero giallo oppure un grossolano errore del Ministero della Salute che si è dimenticato di inserire nella lista delle zone rosse le province di Trento e Bolzano.
Qui il primo decreto “frettoloso” (un elenco provvisorio?) datato 12 marzo:
http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_notizie_5367_0_file.pdf
A seguire, un nuovo decreto infatti ha inserito il Trentino in zona rossa e l’Alto Adige in quella arancione. Per la provincia di Bolzano il rifacimento dei conteggi dei contagi fa uscire un risultato minore dei 250 positivi su 100 mila abitanti. Quindi il Governo fa retromarcia e inserisce Bolzano nella zona arancione.
Qui il secondo decreto che “aggiusta” Marche e PA Trento, datato 13 marzo:
http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_notizie_5367_3_file.pdf
Lo stato di confusione che regna nel Governo in questo momento ha previsto 2 decreti a correzione dei precedenti. Se nel caso del Trentino la nostra provincia poteva essere annessa per sbaglio all’Alto Adige, difficile capire la dimenticanza delle Marche. Voto per l’organizzazione 2, per la geografia invece 0.
Nella settimana conclusasi con domenica 7 marzo, Bolzano aveva accumulato 286 nuovi infetti su 100.000 abitanti ed il Trentino 344. Dai dati della Protezione Civile Nazionale.
RispondiEliminaIl dettaglio per tutta Italia, come secondo dei miei 7 parametri, lo si trova qui:
https://www.dropbox.com/s/oz8p8290h9njc3a/2021_%203_%207%20Quadri%207%20parametri%20Covid.pdf?dl=0
Se invece l'ISS usa fonti completamente diverse, sconosciute all'opinione pubblica, allora la cosa mi sembra grave, quanto a trasparenza.
Alla fine della tabella degli inidcatori del suo rapporto numero 43
Eliminahttp://www.salute.gov.it/imgs/C_17_monitoraggi_48_0_fileNazionale.pdf
ISS ha aggiunto una tabella con la circolazione virale aggiornata al giorno 11 marzo. In questa tabella Bolzano scende sotto la soglia dei 250 contagi settimanli per ogni 100.000 abitanti. Penso che questi siano i dati utilizzati per le valutazioni finali.
Trovo un po' paradossale che - dopo aver finalmente preso atto che i 21 parametri sono troppi e molti di loro sono inutili - l'ISS si sia adeguato allo standard ECDC, ma mantenga in piedi il castello di carte dei 21 parametri. Confusione si aggiunge a confusione.
Tra l'altro siamo in attesa di sapere come l'ISS valuterà se il numero di tamponi fatti da Regioni/PPAA sia effettivamente "adeguato e congruo dal punto di vista quantitativo".
Grazie. BZ 229, TN 381.
EliminaISS ci tiene a scrivere che quest'ultimo (incidenza dal 5 all'11 marzo) è un dato fornito dal Ministero della Salute; La pagina di copertina del documento è IDENTICA, tranne che nella formattazione, a quella del "Report 43, Sintesi Nazionale" di ISS "aggiornata al 10 marzo" (26 pagg), pur contenendo SOLO appendici (12 pagg) e che vanno, appunto, oltre il 10 marzo.
I due documenti vedo che sono stati chiusi dalla stessa persona a distanza di mezz'ora il primo dal secondo.
Una serata di venerdì scorso un po' concitata.
Alle superiori il mio professore di greco e latino si portava a casa i quaderni Pigna blu e correggeva 2-3 temi al giorno e ce li riportava in classe dopo 3-4 settimane, poco prima del tema successivo (Lorenzo, il mio compagno di banco, era furente e non capiva come fosse necessario tutto questo tempo… In più il suo quaderno di greco era tornato lordato di caffè… ehm… “mia figlia piccola ha procurato un piccolo danno”).
EliminaPurtroppo spesso gli errori segnati a me non erano segnati ad altri e viceversa, e in più punti e in diversi temi, perché tra una correzione e l’altra il tempo passava e il prof – in buona fede – non controllava i quaderni tra loro (ce li avrebbe riportati dopo mesi…).
INVECE venerdì mattina + pomeriggio + sera i 4 file scaricabili del Ministero mi fanno ipotizzare scene del tipo: “Se noi diventiamo rossi, allora anche loro” - “Non è giusto, prof (Draghi), la versione della nostra fila era più lunga” - “Allora facciamo tutti rossi e non stiamo lì a perdere tempo” “Però a lui (Bolzano) ha lasciato anche il quarto d'ora della ricreazione prima di consegnare”... con ogni Presidente di Regione/PA che alla notizia dei vari colori “difendeva” i suoi sudditi.
Credo siano stati messi in scena due libri che ho letto qualche anno fa: “Sempre capricci!?” e “Perché lui sì e io no?”, autrice Roberta Giudetti, edizioni Erickson:
[INTRO] Come tutte le relazioni, anche quelle tra fratelli e sorelle non sono sempre idilliache: accanto ai momenti di condivisione e affetto ci sono quelli di scontro, gelosia e rivalità, che - dopo l'immancabile scambio di aggettivi poco gentili, accuse reciproche e qualche pedata - solitamente si concludono con l'appello ai genitori e il classico: «ECCO, voi volete più bene a lui che a me!». E qui mamma (Italia) e papà (Draghi?) vanno in crisi.