L'antico detto "Paese che vai, usanza che trovi" si applica molto bene quando andiamo ad osservare i diversi approcci con cui le Autorità sanitarie dei diversi Paesi hanno reagito all'annuncio della scoperta del nuovo ceppo virale Omicron.
Alcuni Paesi si sono auto-isolati, riducendo al minimo indispensabile il flusso di passeggeri in arrivo dall'Estero. Israele, Giappone e Nuova Zelanda (non a caso, due isole ed un Paese che non è un isola dal punto di vista geografico, ma di fatto lo è dal punto di vista delle relazioni internazionali) sono 3 esempi di questo approccio: si chiudono le frontiere a doppia mandata e poi si vedrà.
Altri Paesi - tra cui l'Italia - si sono limitati ai "pannicelli caldi" bloccando i voli diretti dal Sud Africa. Più o meno quello che fu fatto con la Cina all'inizio della pandemia e sappiamo tutti come andò a finire. In Europa, Lufthansa e Swiss continuano a volare con il Sud Africa e c'è il rischio concreto che i passeggeri in arrivo con questi voli poi si spostino verso tutti gli altri Paesi.
La pragmatica Gran Bretagna ha colto al volo l'occasione dell'arrivo della variante Omicron per giustificare nei confronti dell'opinione pubblica la reintroduzione di alcune misure di contenimento virale che - un po' troppo precipitosamente - erano state completamente abbandonate durante lo scorso mese di luglio. Aldilà del nuovo obbligo di uso del mascherine al chiuso, la misura più drastica adottata dalla Gran Bretagna è senz'altro quella di rendere possibile la somministrazione della terza dose vaccinale per tutti i cittadini maggiorenni, dopo almeno 3 mesi dalla somministrazione della seconda dose. Si tratta di un provvedimento che, nelle intenzioni delle Autorità sanitarie britanniche, dovrebbe servire ad ergere una vera e propria barriera vaccinale contro Omicron, anche se, francamente, non riesco a capire come si possa pensare di gestire la campagna vaccinale con tempi di somministrazione così ravvicinati.
Possiamo comunque dire che questa somministrazione massiccia di terze dosi, se non servirà per contrastare la variante Omicron, sarà comunque utilissima per abbattere il livello dei contagi dovuti alla variante Delta (circa 300 mila nuovi casi alla settimana) che affligge la Gran Bretagna ormai da molti mesi.
L'esempio della Gran Bretagna è stato seguito da molti altri Paesi che, dopo aver allentato o abbandonato del tutto le restrizioni anti-Covid, stanno rapidamente tornando sui loro passi e, in alcuni casi, si apprestano ad adottare anche rigide misure di lockdown.
L'Italia ha di fatto annullato la procedura che prevedeva il passaggio alla DAD solo dopo la comparsa di almeno 3 contagi nella stessa classe. Il picco di contagi in età scolastica, che osserviamo ormai da alcune settimane, ha convinto il Ministero dell'istruzione a tornare a procedure più prudenti. Ufficialmente per prevenire la diffusione della nuova variante Omicron, ma in realtà perché la norma in vigore dallo scorso settembre si era rivelata troppo blanda e di difficile attuazione (prevedeva l'uso massiccio di tamponi molecolari che le Aziende sanitarie spesso non sono in grado di garantire).
Nel pomeriggio di oggi (30 nov.) la circolare ministeriale è stata ritirata, portando a 2 il numero di casi necessari per far scattare la DAD. Evidentemente le idee al Ministero dell'istruzione sono un po' confuse.
Durante la scorsa estate, quando arrivò in Europa la variante Delta, la situazione era tutto sommato "tranquilla", con pochi contagi e con gli ospedali sostanzialmente vuoti. Anche grazie alla stagione estiva, la prima ondata pandemica associata alla variante Delta fu gestita senza troppi affanni.
Oggi la situazione è completamente diversa perché, complice l'ormai imminente stagione invernale, l'Europa sta affrontando una recrudescenza dei contagi da variante Delta molto significativa. Se la variante Omicron si dovesse diffondere rapidamente e non fosse - come molti sperano - meno aggressiva della Delta, il vero rischio sarebbe quello di aggravare una situazione sanitaria che - per molti Paesi europei - è già piuttosto critica.
L'esperienza di questi due anni ci insegna che qualsiasi tentativo di tenere il virus fuori dai "confini della Patria" è fatalmente destinato al fallimento. Se va bene, si ottiene un rallentamento del processo, ma se il nuovo ceppo virale è molto contagioso, bastano pochi casi per innescare focolai autoctoni che prenderanno rapidamente il sopravvento.
Vaccini, mascherine e distanziamento sono gli unici strumenti che abbiamo a disposizione per gestire questa nuova difficile fase della pandemia. Se vogliamo ridurre al minimo i danni di natura socio-economica, il distanziamento (ed i lockdown) dovrebbero essere considerati come una sorta di extrema ratio. No-vax permettendo, se riusciremo ad aumentare la copertura vaccinale, se procederemo velocemente con le terze dosi e se ricorderemo di usare le mascherine, possiamo ragionevolmente sperare di riuscire a gestire anche questa nuova sfida, perché - a differenza di tanti altri Paesi europei - l'Italia parte comunque da una situazione sanitaria che non è ancora compromessa.
Sperando ovviamente che si realizzino le ipotesi formulate dai più ottimisti e che questo nuovo ceppo virale si riveli molto meno aggressivo rispetto ai suoi predecessori, contribuendo a riportare la pandemia su binari più gestibili.
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