Vi segnalo un articolo scritto da Cristina Da Rold e pubblicato sul sito online de Il Sole 24 Ore. L'articolo fa il punto sulla somministrazione di anticorpi monoclonali e farmaci antivirali a pazienti Covid non ospedalizzati. L'uso di tali farmaci può contribuire a prevenire l'insorgenza di gravi complicanze con conseguente necessità di ricovero ospedaliero, riducendo il carico dei malati Covid sul sistema sanitario e, nei casi più gravi, il numero dei decessi. Questi farmaci sono anche una concreta alternativa alla somministrazione ravvicinata (2 o 3 volte all'anno) dei richiami vaccinali, strategia sulla cui efficacia molti nutrono seri dubbi.
L'utilizzo di questi farmaci non è semplice ed è riservato esclusivamente ai pazienti classificati come "ad alto rischio". La disponibilità effettiva dei farmaci, il rispetto della tempistica di somministrazione e la possibile interferenza tra questi farmaci ed altri medicinali che i pazienti assumono correntemente a causa di altre patologie complicano notevolmente il processo di somministrazione. Va inoltre considerato che non sempre i medici di base sono opportunamente formati sull'utilizzo dei farmaci per la prevenzione delle forme più gravi di Covid-19 e le procedure di accesso a tali farmaci non sono agevoli, soprattutto per i pazienti che vivono lontano dai centri ospedalieri specializzati.
Pur con tutti i limiti appena ricordati, si nota un aumento significativo nell'utilizzo di farmaci antivirali mentre - in contemporanea - si osserva un declino nell'utilizzo di anticorpi monoclonali.
L'Autrice dell'articolo che vi ho segnalato ha svolto un lavoro certosino andando ad analizzare i bollettini settimanali dell'AIFA per estrarre le informazioni sulla somministrazione dei farmaci anti-Covid a pazienti non ospedalizzati. I dati aggregati non sono correntemente disponibili e solo grazie al lavoro dell'Autrice è stato possibile ricostruirli. Il grafico seguente, ripreso dall'articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, mostra la crescita recente nella somministrazione di farmaci antivirali:
Tratto da Il Sole 24 Ore |
In questo momento non disponiamo dei dati necessari per valutare quale sia l'effetto di tali trattamenti ed, in particolare, quanti siano i ricoveri ospedalieri ed i decessi che si riescono ad evitare grazie alla cura preventiva dei malati di Covid-19 più a rischio. Gli ultimi dati disponibili (ultime 3 pile a destra) indicano che ogni settimana circa 4 mila pazienti ricevono un trattamento non ospedaliero con antivirali. A questi si aggiungono circa mille pazienti che ricevono anticorpi monoclonali.
Secondo i dati distribuiti da Our World in Data, il numero di nuovi ricoveri settimanali nei reparti Covid degli ospedali italiani a metà aprile era dell'ordine di 4.500 unità. Non sappiamo quante di queste persone abbiano ricevuto un trattamento domiciliare preventivo con anticorpi monoclonali o con farmaci antivirali prima di essere ricoverate. Tenuto conto che l'efficacia di tali trattamenti è soggetta ad ampi margini di variabilità, possiamo grossolanamente stimare che almeno 3 mila dei nuovi ricoverati non abbiano ricevuto alcun trattamento domiciliare.
Se questa stima fosse valida, significa che i circa 5 mila trattamenti fatti settimanalmente con antivirali ed anticorpi monoclonali sono ancora pochi rispetto alle effettive necessità. Tenuto conto dell'attuale livello di circolazione virale, per rispondere alle reali necessità il numero dei trattamenti dovrebbe essere quasi raddoppiato.
Si tratta di una stima molto grossolana, ma è l'unica che possiamo fare di fronte alla carenza di dati. Inspiegabilmente, Ministero della Salute e Istituto Superiore di Sanità non comunicano alcuna informazione su questo specifico tema.
Se vogliamo veramente "convivere con il virus", evitando di mettere sotto pressione il nostro sistema ospedaliero, dobbiamo fare tutto il possibile per garantire il trattamento preventivo con antivirali o anticorpi monoclonali a tutti coloro che ne possono trarre beneficio.
Il Nobel Parisi: «Le morti per Covid-19?
RispondiEliminaNon è vero che sono sovrastimate, ecco perché»
6 MAGGIO 2022 - Redazione Open
Il premio Nobel per la fisica 2021 Giorgio Parisi oggi parla in un’intervista rilasciata a La Stampa delle morti causate da Covid-19. E spiega che in Italia non sono sovrastimate e sono in linea con quelle degli altri Paesi.
«In Gran Bretagna hanno confrontato le persone decedute non oltre 28 giorni dal test positivo al virus con i certificati di morte per Covid e questi ultimi sarebbero risultati sovrastimati di circa un 10%. E comunque la letalità del virus è sempre intorno al 2 per mille, come in Italia», spiega il professore nel colloquio con Paolo Russo. Per Parisi «si tratta di differenze minime, la sostanza è che i morti che conteggiamo hanno COME PRIMA CAUSA proprio il Covid.
Del resto i decessi tra i non vaccinati sono 10 volte superiori a quelli riscontrati tra gli immunizzati. Questo vuol dire che sono morti PER L'INFEZIONE, altrimenti non avremmo visto questo effetto protettivo del vaccino». Se fossero morti a causa di altro, sottintende il professore, non ci sarebbe questa differenza.
«E poi – ricorda ancora Parisi - l’Istat ha già condotto uno studio sui certificati di morte, dal quale è risultato che il 90% dei decessi è attribuibile al Covid».
Infine, sottolinea il premio Nobel, «la letalità in Italia è comunque in linea con quella riscontrata in altri Paesi». E se in numeri assoluti il numero di vittime da noi risulta più alto, dipende DA ALTRI FATTORI, non da errori nel conteggio: «In Italia abbiamo un’età media tra le più elevate del mondo e sappiamo che la maggior parte dei decessi da Covid si verifica nella popolazione più anziana. Forse nel confronto con la Gran Bretagna incide anche il fatto che lì hanno vaccinato quasi tutta la popolazione tra 60 a 80 anni, mentre da noi in quella fascia di età qualcuno è rimasto senza copertura».