Benvenute/i a quest’ultimo aggiornamento per il mese di Aprile. La domanda che tutti ci poniamo è “Siamo pronti per la fine del lockdown?”. La domanda è più complessa di quanto possa apparire e consiglio di diffidare da chi spara formulette più o meno semplificate. Qualche sera fa ho sentito un noto politico nazionale che usava i dati sull'occupazione delle terapie intensive per giustificare la sua proposta di aperture immediate e massicce di tutte le attività. Capisco che di fronte alla possibilità di guadagnare un pugno di voti ci siano persone pronte a dire tutto ed il contrario di tutto, ma quando si parla di indicatori statistici ci vorrebbe un minimo di prudenza. Io cercherò di presentarvi una serie di dati che sono – a mio avviso – rilevanti per chi dovrà assumere le decisioni e soprattutto per tenere sotto stretta osservazione l’evoluzione futura dell’epidemia.
Partiamo proprio dall'occupazione delle terapie intensive, ovvero da quello che potremmo definire il “parametro di ultima istanza” per l’andamento dell’epidemia. Sappiamo che per una frazione non trascurabile dei casi, l’unico approccio medico praticabile richiede il ricovero in terapia intensiva. Questo è stato “il problema” per la gestione dell'epidemia fino alla prima settimana di aprile. Oggi la situazione è più tranquilla. Vediamo qui sotto l’andamento dell’occupazione di posti di terapia intensiva per i malati di Covid-19 in Trentino.
Il 28 aprile, pur in presenza di una forte calo, c’erano ancora 22 ricoverati Covid 19 nelle terapie intensive degli ospedali trentini, esattamente lo stesso numero registrato lo scorso 18 marzo. La data del 18 marzo è cruciale perché corrisponde, più o meno, al picco dei nuovi contagi fatti registrare in Trentino (parlo dei contagi veri, quelli fisici, anche se i relativi sintomi si sono visti almeno 5 giorni dopo). Poco più di due settimane dopo il 18 marzo, le terapie intensive facevano registrare il picco dell’occupazione (81 presenze) per poi iniziare a calare (meno velocemente di quanto fosse cresciuta). Cosa vuol dire tutto ciò? Da un punto di vista pratico l’occupazione dei posti di terapia intensiva è un indicatore “robusto” perché ci dice se il sistema sanitario riesce a svolgere la sua funzione oppure se è saturo. Tuttavia va ricordato che si tratta di un indicatore “ritardato”. In altre parole, se si generassero nuovi importanti focolai epidemici, prima di vedere un effetto significativo sui ricoveri in terapia intensiva dovremmo aspettare un certo numero di giorni (diciamo almeno una settimana, se non due). La possibilità di vedere tale effetto sarebbe ridotta nel caso in cui ci trovassimo in una situazione di tipo endemico, ovvero non svuotassimo completamente le terapie intensive dai malati di Covid 19. Ricordando che in assenza di misure di mitigazione un nuovo focolaio di Covid 19 potrebbe raddoppiare ogni due giorni, c’è il rischio concreto che la situazione possa sfuggire di mano prima che si veda un significativo incremento dei ricoveri in terapia intensiva. In estrema sintesi, verificare il livello d’occupazione delle terapie intensive è importante, ma non basta per tenere sotto controllo il possibile ritorno dell’epidemia.
Vediamo anche come si colloca il Trentino rispetto ad altre Regioni italiane rispetto ai ricoveri in terapia intensiva. Segnaliamo che c’è stato un miglioramento rispetto alla settima scora quando il Trentino occupava la non invidiabile seconda posizione subito dopo la Lombardia. Durante l’ultima settimana la situazione è migliorata ovunque ed il Trentino retrocede (e ne siamo tutti felici) dal secondo al quinto posto.
Non si segnalano variazioni di particolare rilievo rispetto alla altrettanto non invidiabile classifica relativa alla densità di decessi da Covid 19:
Parliamo adesso di tamponi fatti e di tamponi positivi. Su questo argomento è stata attivata una petizione popolare che chiede di attuare una politica dei tamponi più efficace rispetto al passato. Vediamo i dati, in modo che ciascuno possa farsi un’idea su come stanno le cose. Qui di seguito mostro due grafici: quello relativo ai tamponi fatti per abitante e quello relativo ai tamponi positivi. Prima però, concedetemi di ribadire un concetto che molte analisi trascurano, introducendo – a mio parere – una palese distorsione dei dati. In questa fase dell’epidemia dove sta fortunatamente crescendo il numero dei guariti, una parte non trascurabile dei tamponi è utilizzata per verificare la negatività virologica dei pazienti prima di dichiararli guariti. Per ciascun paziente occorrono almeno due test negativi, ma spesso se ne fanno anche tre nel caso di risultati dubbi o di un prolungamento della positività oltre i tempi medi conosciuti. Quindi il numero totale dei tamponi fatti non è significativo se non vengono prima sottratti i tamponi utilizzati per verificare lo stato dei guariti. Ho quindi corretto i dati (fonte Protezione Civile Nazionale) secondo una formuletta che ho spiegato nei post precedenti. Utilizzando questo approccio si ottengono i grafici seguenti.
La figura che riporta la frazione di tamponi risultati positivi mostra per il Trentino un valore medio intorno al 7% nel corso delle ultime due settimane considerate. Si tratta di un valore ancora molto alto, indice della presenza sul territorio provinciale di “serbatoi” di contagio ancora molto intensi. Riprenderemo questo discorso più avanti.
Si è detto in varie sedi che l’attenuazione delle regole di lockdown potrà avvenire solo in presenza di un deciso calo dei nuovi contagi. Nella figura che vedete qui sotto mostro il confronto fra Veneto, Trentino ed Alto Adige nella speciale curva che si ottiene riportando su un grafico il numero dei nuovi contagi giornalieri rispetto al numero complessivo dei casi fin qui registrato. Per rendere il confronto significativo i dati sono normalizzati e riferiti ad un campione di 10.000 abitanti. Questo tipo di curva non riporta esplicitamente il tempo che è comunque intrinsecamente legato - anche se in modo non lineare - al numero assoluto dei contagi. All’inizio ci aspettiamo che l’andamento sia lo stesso per tutti i territori essendo legato solo al fattore di propagazione del contagio. Poi, a seconda del successo delle azioni di mitigazione intraprese, osserviamo andamenti diversi, con curve che salgono meno e piegano verso il basso prima nei territori dove si è riusciti a fronteggiare lo sviluppo dell’epidemia con maggiore efficacia.Quando l'epidemia volge al termine ci aspettiamo che la curva assuma, grossolanamente, la forma di una lettera U rovesciata (che è quello che si incomincia a vedere sia per il Veneto che per l'Alto Adige).
Ricordiamo che si tratta di dati sperimentali caratterizzati da
significative fluttuazioni, ma l’andamento è abbastanza evidente. In
pratica, vediamo quello che era già stato messo in evidenza da altri
indicatori. Il Veneto è la Regione che ha reagito meglio, mentre il
Trentino è il fanalino di coda. Notiamo comunque che nessuno dei
territori considerati è ancora sceso stabilmente sotto il livello di 0,1 nuovi
casi giornalieri per ogni 10.000 abitanti. Ieri avevamo stimato a 0,02
il livello che, se dovesse rimanere costante nel tempo (situazione endemica), potrebbe generare un numero annuale di nuovi decessi paragonabile con quello associato con gli incidenti stradali. Si tratta di una stima molto grossolana, utile solo per
capire più o meno quale potrebbe essere il livello di contagi massimo
con cui potremmo accettare di convivere (almeno finchè non si troveranno cure più efficaci o un vaccino). Nessuno dei tre territori ha ancora raggiunto tale livello: Veneto ed Alto Adige hanno una media negli ultimi 5 giorni pari a circa
0,2 casi x 10.000 abitanti, mentre la media del Trentino (sempre sugli
ultimi 5 giorni) è pari a circa 1 caso x 10.000 abitanti. Quindi suggerirei cautela
prima di seguire i governatori Zaia e Kompatscher nella gara a chi apre
di più!
In realtà sappiamo che la realtà trentina è molto più complessa di quanto traspaia dai valori medi. I dati di diffusione del contagio e di mortalità sono molto disomogenei all’interno del territorio provinciale. Il grafico che confronta le diverse Comunità di Valle conferma quando già visto nelle scorse settimane: c’è una parte del Trentino che purtroppo è attestata su livelli di mortalità “lombarda”, mentre molte Comunità di Valle hanno valori simili a quelli del Veneto.
Tutto sarebbe più chiaro se la Provincia Autonoma di Trento chiarisse fino in fondo cosa sia effettivamente successo all’interno delle RSA. Dopo un fugace aggiornamento avvenuto lo scorso 3 aprile, i dati disaggregati relativi alle RSA sono spariti dai radar. Inutile che vi confermi che tutte le mie richieste di ottenere più informazioni sulle RSA sono state fin qui disattese. Ogni sera, durante le conferenze stampa, si coglie qualche “voce dal sen fuggita”, ma di documenti scritti non se ne vedono. Personalmente trovo questo comportamento irrispettoso nei confronti dei cittadini. Senza i dati sulle RSA è anche impossibile fare una analisi dettagliata sulle diverse tipologie di contagio e verificare se le strategie adottate per frenare lo sviluppo dell’epidemia siano state efficaci. Se fosse possibile fare questa analisi, potremmo capire se, all’interno del territorio provinciale, si possa pensare ad un allentamento differenziato delle regole di lockdown, iniziando da quelle Comunità di Valle che sono state meno colpite dall’epidemia. Queste Comunità non sono necessariamente solo quelle che mostrano i valori medi di contagio e mortalità più bassi, perché se il grosso dei casi è stato registrato nelle locali RSA, il dato RSA-escluse potrebbe ridursi considerevolmente.
Ovviamente per le RSA bisognerà, in ogni caso, fare un discorso separato perché, comunque la si giri, i dati trentini sono tra i peggiori d’Italia. Come ho già scritto, nel civile Trentino non si dovrebbero scomodare i NAS dei Carabinieri per capire cosa sia successo. D’altra parte, non capisco come si possa parlare di una riorganizzazione del sistema delle RSA senza che siano resi pubblici tutti i dati relativi all’impatto dell’epidemia di Covid 19.
Concludiamo la nostra presentazione settimanale con la curva relativa ai nuovi contagi (punti blu) ed ai decessi (punti rossi). La curva blu tratteggiata è un banale modello di decadimento esponenziale che descrive abbastanza bene i dati relativi ai nuovi casi registrati nel corso del mese di aprile.
Vedete che aldilà delle ampie fluttuazioni (legate in parte anche al diverso numero di test eseguiti giornalmente) si vede una lenta decrescita, con un tempo di dimezzamento dei nuovi casi che è superiore a due settimane. E qui torniamo alla solita domanda, a cui dovremo comunque rispondere per gestire al meglio la Fase 2. Questi nuovi contagi derivano in gran parte da focolai localizzati e ben identificati (RSA, familiari di pazienti positivi lasciati a fare la quarantena in famiglia) oppure c’è comunque un flusso significativo di nuovi contagi legati a contatti che riguardano il resto della popolazione? I familiari degli ospiti delle RSA stanno facendo comprensibili appelli per poter riattivare un minimo di rapporto con i loro cari. Siamo pronti a gestire questi eventuali futuri contatti garantendo che il virus non esca dalle RSA per diffondersi tra il resto della popolazione? Potrei continuare a lungo con tante altre domande, ma non voglio annoiarvi. Spero che chi prende le decisioni tecniche e politiche che condizioneranno la vita di tutti noi durante i prossimi mesi ci informi compiutamente sulle strategie adottate.
Nella fase inziale dell’epidemia si poteva (forse) reclamare l’imprevedibilità degli eventi per giustificare gli errori fatti. Ora non più.
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