venerdì 30 aprile 2021

Aggiornati i dati inglesi sulle rare forme di trombosi associate al vaccino AstraZeneca

L’Agenzia britannica MHRA (Medicines and Healthcare products Regulatory Agency) ha rilasciato un rapporto aggiornato sui casi di rare trombosi associate alla somministrazione del vaccino AstraZeneca. Complessivamente sono stati segnalati 209 casi, di cui circa il 20% mortali, dopo la somministrazione di circa 22 milioni di dosi vaccinali. Praticamente poco meno di 1 caso ogni 100.000 dosi vaccinali ed un decesso ogni mezzo milione di dosi.

Quasi tutti i casi sono stati associati con la prima dose, ma ci sono anche alcuni casi accaduti dopo la somministrazione della seconda dose. Va tuttavia ricordato che la Gran Bretagna sta attuando una politica di somministrazione molto ritardata della seconda dose e quindi la statistica sulla somministrazione della seconda dose è molto più limitata rispetto alla prima.

L’aspetto più interessante del rapporto britannico riguarda l’età delle persone che hanno manifestato questo grave effetto collaterale. La ripartizione per età mostra 23 casi in persone di età compresa tra i 18 ed i 29 anni, 27 tra i trentenni, 30 tra i quarantenni, 59 tra i cinquantenni e 58 (pari a circa 1/4 dei casi totali) tra quelli di età pari o superiore a 60 anni. L'età non era nota nei restanti casi. Non ci sono evidenze statisticamente significative di differenze associate al genere delle persone colpite dalle rare forme di trombosi analizzate nel corso di questa indagine.

Per valutare il cosiddetto rapporto costo/benefici bisogna tenere conto di due fattori: a) il numero di casi riscontrato in una certa fascia d'età deve essere normalizzato per tenere conto del tasso di vaccinazione che, in generale, cresce significativamente all'aumentare dell'età e b) i casi registrati tra le persone più giovani vanno considerati con maggiore attenzione perché queste persone - se in buone condizioni generali di salute - non corrono seri rischi nel caso in cui contraggano la Covid-19. 

Tenuto conto di questi dati, il comitato che consiglia il Governo inglese sull'uso dei vaccini (Joint Committee on Vaccination and Immunisation) sta valutando la possibilità di alzare da 30 a 40 anni l’età minima delle persone a cui somministrare il vaccino AstraZeneca.

Al momento, non risulta che le Autorità sanitarie britanniche abbiano deciso di modificare le regole per il richiamo delle persone più giovani che abbiano già ricevuto una prima dose di AstraZeneca. Paesi come Francia, Olanda e Germania hanno deciso di somministrare come seconda dose un vaccino ad mRNA. Decisione che è stata criticata da alcuni (c'è chi l'ha definita "somministrazione di un cocktail di vaccini") perché mancano ancora dati attendibili sugli effetti di questa inedita procedura. 

Anche in Italia se ne sta discutendo, ma al momento non sono state ancora prese decisioni in merito. In attesa di avere dati statisticamente più significativi, si continua a somministrare una seconda dose di vaccino AstraZeneca anche alle persone più giovani che hanno già ricevuto la prima dose. In Italia ci sono oltre un milione e duecentomila persone (soprattutto  docenti e forze dell'ordine) che attendono la seconda dose a maggio e che non sanno bene cosa succederà.

 

Aggiornamento di fine aprile

Oggi - oltre al mese di aprile - si chiude la prima settimana che ha visto la riapertura - anche se non completa - di molte attività. Troppe per chi teme che la situazione possa ridiventare rapidamente critica e troppo poche per chi vorrebbe aprire tutto, a tutela dei settori economici che hanno più sofferto a causa delle misure di limitazione attuate durante l'ultimo semestre.

In attesa di capire come andranno a finire le cose vediamo cosa ci dicono i dati, cominciando dai nuovi ricoveri in terapia intensiva. Il dato nazionale relativo all’ultima settimana (linea nera) mostra un calo che prosegue ormai da 5 settimane. La tendenza è chiara ed è ancora troppo presto per vedere, ammesso e non concesso che ci sarà, un cambio di tendenza associato alle aperture che sono avvenute durante l’ultima settimana. 
 
Se sentirete qualcuno dire “Ecco, abbiamo aperto e non è successo niente!”, lasciatelo parlare e “fate gli scongiuri”. Come scienziato dovrei negare la validità di qualsiasi pratica non scientifica, ma - almeno a livello psicologico – uno scongiuro ogni tanto male non fa.


Nuovi ricoveri settimanali nei reparti Covid di terapia intensiva (normalizzati rispetto ad un campione di 100.000 abitanti) per Italia (linea nera), Veneto (linea azzurra), Trentino (linea rossa) e Alto Adige (linea verde). Elaborato su dati della Protezione Civile Nazionale
 
Il dato del Veneto (linea azzurra) è stato praticamente stabile durante le ultime tre settimane. Il dato dell'Alto Adige (linea verde) recupera la forte crescita registrata durante la scorsa settimana, mentre l'ultimo dato del Trentino cresce e si riporta esattamente sulla media nazionale. C'è da ricordare che, sia per il Trentino che per l'Alto Adige, a causa del numero ridotto di abitanti, il dato può essere affetto da ampie fluttuazioni statistiche.
 
Anche il dato sui ricoveri complessivi è confortante e mostra una discesa importante, più o meno in linea con quella della settimana precedente:
 
Variazione percentuale del numero di persone ricoverate (media settimanale) nei reparti Covid degli ospedali italiani (somma di tutti i reparti). Elaborato su dati della Protezione Civile Nazionale

In questo scenario di progressivo miglioramento, purtroppo non si scorge ancora la tanto attesa riduzione dei decessi. La campagna vaccinale avanza (oggi sono state somministrate mezzo milione di dosi vaccinali) eppure i decessi non calano ancora come ci aspetteremmo. Il dato del Trentino è abbastanza chiaro:

Andamento dei decessi Covid in Trentino

Si nota che da fine gennaio (segmento D della curva) la crescita dei decessi prosegue con una tendenza che non mostra segni di cedimento. Nel frattempo sembra (ma non posso assicurarlo perché la Provincia annuncia i dati giornalieri dei decessi durante le conferenze stampa, ma non fornisce mai documenti di sintesi) che sia in atto una riduzione dell'età media delle persone che hanno perso la vita a causa della Covid-19.

Sul fronte dei contagi l’andamento è quello mostrato in figura, con un calo che procede abbastanza lentamente. Siamo ancora molto lontani dalla soglia dei 5.000 contagi giornalieri che dovrebbe permetterci di riprendere a fare una qualche forma di tracciamento dei contagi. 
Andamento giornaliero dei nuovi contagi in Italia. Si notano tre massimi relativi: il picco principale registrato a metà novembre in concomitanza con l'arrivo della seconda ondata pandemica, un piccolo picco registrato in occasione delle festività di fine 2020 ed il picco di marzo associato alla diffusione della variante inglese. Attualmente il livello dei contagi è più o meno lo stesso di fine gennaio.
 
Il valore medio della stima dell’indice di trasferimento del contagio comunicato oggi dall’Istituto Superiore di Sanità è abbastanza basso (0,85), pur essendo leggermente superiore rispetto a quello della settimana precedente. Per la terza settimana consecutiva le stime dell’ISS risultano decisamente inferiori rispetto a quelle fornite dal mio modellino empirico basato sull’andamento di tutti i contagi. Contemporaneamente l’ISS ha comunicato che i contagi riscontrati questa settimana (media nazionale pari a 146 contagi settimanali per ogni 100.000 abitanti) sono di poco inferiori rispetto a quelli della settimana precedente (152). 
 
Questo scenario sembra più compatibile con una stima dell’indice R di poco inferiore rispetto ad 1. Evidentemente cresce l’incidenza dei casi asintomatici (ricordo che l’ISS stima l'indice R considerando solo i casi sintomatici) oppure le Regioni/PPAA stanno progressivamente alzando i criteri adottati  per classificare un contagio come sintomatico.

Stima dell'indice di trasferimento del contagio elaborato dall'Istituto Superiore di Sanità (punti rossi). I punti blu sono i risultati del mio modellino empirico basato sul conteggio di tutti i contagi, inclusi gli asintomatici

Arriverà la quarta ondata?

A distanza di circa un anno rispetto alla fine della prima ondata pandemica stiamo rivivendo un déjà vu. Nel linguaggio corrente sono entrate due nuove categorie sconosciute prima della pandemia: “chiusuristi” e “aperturisti” si scontrano sulla base di un confronto molto più ideologico che scientifico. Le esigenze dell’economia sono condivise da tutti, ma certamente trovano maggiore ascolto tra quella parte di popolazione che ha subito un calo sostanziale delle entrate economiche a causa della pandemia. Non mancano i prudenti che fanno notare il rischio di una sorte di “sindrome indiana”.

Fino a qualche mese fa l’India veniva indicata come una sorta di meravigliosa eccezione rispetto all’impatto della pandemia. Alcuni osservatori si erano spinti a ipotizzare che, grazie alla forte presenza di giovani, l’India fosse arrivata ad una sorta di immunità di gregge, pur in assenza di un piano vaccinale adeguato. Il paradosso dell’India (maggiore produttore mondiale di vaccini anti-Covid) che esporta la maggior parte della sua produzione e non vaccina in modo adeguato i suoi cittadini era giustificato adducendo come motivazione il numero relativamente basso di contagi e di decessi. È bastata la concomitanza tra una serie di eventi di massa e la circolazione di una nuova variante ad alta contagiosità per ribaltare completamente la situazione portando rapidamente l’India nella situazione di emergenza sanitaria che tutti conosciamo.

Il pericolo che situazioni analoghe si possano verificare anche in altre parti del Mondo è reale, a cominciare dall’Europa che sta arrancando con la sua campagna vaccinale. 
 
Va detto con chiarezza: la possibilità dell’arrivo della cosiddetta “quarta ondata” non dipenderà dal fatto che il coprifuoco sia fissato alle 22 piuttosto che alle 23. Come al solito, tendiamo a dimenticare la natura intrinseca della pandemia che, nel linguaggio della fisica, è un tipico “sistema complesso. Come ho discusso in precedenti post, la complessità dipende da molteplici fattori. In particolare:
  1. L’evoluzione della pandemia è regolata da processi che avvengono su scale dimensionali molto diverse: si va dagli effetti microbiologici che dipendono, ad esempio, dalle variazioni che modificano la struttura del virus su scala molecolare (le cosiddette varianti virali) e che possono portare all'aggiramento delle barriere difensive presenti tra le persone che hanno già contratto la Covid-19 o che sono state vaccinate. Altri fattori importanti riguardano la dimensione delle interazioni umane: separazione delle persone, permanenza in luoghi chiusi, utilizzo della mascherina. Ci sono poi effetti che agiscono su scala planetaria, come i viaggi delle persone che possono portare ad una rapida propagazione delle nuove varianti virali ben aldilà del luogo dove sono state originate.
  2. Un altro fatto che si tende a scordare è quello che non esiste una relazione lineare tra cause ed effetti. Inoltre deve essere sempre considerato l’effetto legato alla compresenza di fattori diversi. Ad esempio, quando la circolazione virale supera una certa soglia, saltano le possibilità di tracciamento ed i nuovi focolai di infezione si propagano con maggiore virulenza, indipendentemente dal tipo di ceppo virale circolante o dal comportamento dei singoli. Sento spesso ripetere frasi del tipo “non esiste la dimostrazione che un certo tipo di comportamento porti ad una aumento dei contagi”. Sono, il più delle volte, affermazioni del tutto prive di senso perché l’effetto del singolo comportamento va contestualizzato nella condizione generale della pandemia.
  3. Di fronte alla complessità del problema fioriscono gli studi basati su modelli matematici tutto sommato elementari che talvolta vengono spacciati come “previsioni” sull’andamento della pandemia. É successo anche recentemente – aldilà delle intenzioni dell’Autore - con uno studio predisposto dal dott. Stefano Merler di FBK che è stato diffuso dalla stampa nazionale in modo tanto approssimato quanto fuorviante. In realtà lo studio si limitava a disegnare possibili scenari senza ipotizzare quale potesse essere la situazione nei prossimi mesi. In pratica il concetto era “se si verifica un certo aumento dei contagi, queste potrebbero essere le conseguenze in termini di pressione sul sistema sanitario e di decessi”. Nessuno ha mai ipotizzato che l’andamento dei contagi che si verificherà nei prossimi mesi sia esattamente lo stesso ipotizzato nel modello. Prevedere esattamente quale sarà l’andamento futuro della pandemia è un'operazione che – da un punto di vista tecnico e metodologico – ha una difficoltà confrontabile con la previsione dell'andamento futuro dei mercati finanziari. C’è chi dice che saliranno e chi dice che scenderanno: qualcuno, più fortunato degli altri, azzeccherà la previsione. Il fortunato previsore acquisirà la fama di essere una specie di guru, ma solo fino alla prossima previsione che molto probabilmente sbaglierà.
Cercando di sintetizzare al massimo, per rispondere alla domanda che trovate nel titolo di questo post ci vorrebbe una "sfera di cristallo" (ma una di quelle buone, che funzioni davvero!). Non possedendo capacità divinatorie, posso solo limitarmi ad osservare che il pericolo di un brusco peggioramento c'è e non va sottovalutato, ma non bisogna neppure cadere nell'errore di dare per scontato che la "sindrome indiana" colpisca anche l'Europa.
 
Rispetto alla fine della prima ondata pandemica qualche miglioramento comunque lo possiamo almeno sperare. In particolare:
  1. Speriamo che non ci siano più illustri clinici pronti a bruciarsi la reputazione affermando che “il virus è clinicamente morto” oppure “vi spiego perché non dobbiamo più avere paura della pandemia”.Qualcuno di loro è sparito dai salotti televisivi. Altri sono ancora presenti, ma si sono fatti un pochino più prudenti.
  2. Speriamo che il Ministro della Salute pro-tempore non sprechi l’estate per scrivere un altro libro auto-elogiativo del tipo “Perché guariremo”. 
  3. Speriamo che i Presidenti di Regione/PA – pomposamente auto nominatisi “governatori” – la smettano di giocare al “poliziotto buono” che vuole aprire imputando al Governo centrale il ruolo del “poliziotto cattivo” che ci vuole chiudere tutti in casa.
  4. Speriamo soprattutto che la campagna vaccinale prenda finalmente pieno vigore. A livello nazionale siamo arrivati alla somministrazione di mezzo milione di vaccini al giorno ed un ulteriore raddoppio di tale limite potrebbe essere atteso entro giugno. L’obiettivo di somministrare almeno una dose vaccinale a tutti coloro che lo richiedono potrebbe essere raggiunto entro il prossimo mese di luglio.
Il vaccino, lo sappiamo, non è la panacea di tutti i mali, soprattutto se dovessero entrare in circolazione nuovi ceppi virali profondamente mutati. Ma, rispetto ad un anno fa, la situazione è profondamente cambiata in meglio. Ci attendono mesi in cui più che un “rischio calcolato” il Governo nazionale dovrebbe saper gestire un “rischio vigilato.

Per raggiungere tale obiettivo è necessaria la leale collaborazione tra le diverse Istituzioni e la lealtà si basa anche sul fatto che i burocrati delle Regioni/PPAA dovrebbero smetterla di inventarsi metodi più o meno creativi per aggirare le norme nazionali. Il rilevamento dei dati pandemici deve essere fatto in modo serio, accurato e trasparente. Dopodiché si tratta di attuare un sistema di vigilanza sfrondato da tutte le inconsistenze tecnico-scientifiche che hanno fin qui caratterizzato l’azione dell’Istituto Superiore di Sanità. Bisognerebbe badare al sodo e considerare essenzialmente 5 parametri: 
  1. nuovi contagi (veri);
  2. capacità di tracciamento effettiva dei nuovi contagiati;
  3. circolazione delle diverse varianti virali e presenza di nuovi ceppi virali;
  4. nuovi ricoveri ospedalieri, soprattutto nei reparti di terapia intensiva;
  5. andamento delle vaccinazioni. 
Con questi parametri è possibile avere un quadro realistico della situazione e, in caso di allarme, bisognerà agire subito con chiusure mirate, anche su scala geografica localizzata.

Non servono invece gli scontri ideologici, la contrapposizione tra negazionisti e profeti di sventura, il cinismo di chi assume decisioni politiche per raccattare qualche voto in più, senza preoccuparsi delle conseguenze, soprattutto se riguardano categorie di cittadini da cui non si aspetta di essere votato.

Semplice, non vi pare?




mercoledì 28 aprile 2021

Il Brasile nega l'autorizzazione all'importazione del vaccino Sputnik V per un problema legato alla possibilità di replicazione dell'adenovirus

 

Secondo un comunicato delle Autorità sanitarie brasiliane il vaccino russo Sputnik V presenterebbe seri rischi associati alla capacità di replicazione degli adenovirus utilizzati nel vaccino (due diversi adenovirus per la prima e la seconda dose). Analogamente agli altri vaccini a virus vettore, il vaccino russo utilizza un adenovirus per produrre la proteina spike che "addestra" il sistema immunitario della persona vaccinata, inducendo l'immunità verso il virus SARS-CoV-2. 

La condizione essenziale per il funzionamento di questi vaccini è che il virus vettore sia neutralizzato e non sia in grado di replicarsi. Misure di laboratorio fatte dalle Autorità sanitarie brasiliane su diversi campioni del vaccino Sputnik V avrebbero mostrato la presenza di adenovirus in grado di riprodursi.

A seguito di questo evento è stata negata l'autorizzazione all'importazione in Brasile del vaccino Sputnik V. Non è chiaro se il problema valga in generale o sia limitato al lotto di vaccino preparato per essere esportato in Brasile. Se confermato, questo risultato metterebbe la pietra tombale sulle speranze che il vaccino Sputnik V possa essere rapidamente autorizzato dall'EMA per la somministrazione in Europa.

Il produttore russo, in un suo commento, ha attribuito la decisione delle Autorità sanitarie brasiliane a non meglio specificate "motivazioni politiche". In questo particolare momento, le considerazioni geopolitiche si mescolano fatalmente con quelle di carattere scientifico e sanitario. Difficile capire cosa sia effettivamente accaduto. 

Molti hanno segnalato le notevoli difficoltà incontrate dalla Russia per la produzione del suo vaccino. Inoltre è poco credibile che un Paese che si trova in una situazione sanitaria particolarmente grave come il Brasile, si inventi dati falsi per rifiutare un vaccino che potrebbe essere di grande aiuto per uscire dallo stato di crisi. Sappiamo però che, a volte, le decisioni di natura politica possono prendere il sopravvento su qualsiasi valutazione di carattere etico. 

Nel corso delle prossime settimane - forse - si potrà chiarire meglio cosa sia effettivamente accaduto.

sabato 24 aprile 2021

La variante indiana è arrivata in Svizzera (ma in Italia c'è già dal 10 marzo!)

I giornali di tutta Europa oggi hanno dato ampio risalto alla notizia del primo caso di variante indiana (B.1.617) identificato in Svizzera. In realtà, si tratta di un passeggero che era in transito in un aeroporto svizzero, proveniente da un altro Paese europeo.

Come giustamente riporta il Corriere del Ticino, il primo caso trovato in Svizzera segue di molte settimane il primo caso trovato in Italia. Si potrebbe amaramente commentare che quando c'è da importare un virus dall'Asia, l'Italia non è mai seconda a nessuno.

Per la precisione, la variante B.1.617 era stata trovata lo scorso 10 marzo a Firenze. Non si ha notizia se altri casi siano stati trovati in Italia nelle settimane successive (ammesso e non concesso che qualcuno si sia preso la briga di cercarli).

La FDA autorizza la ripresa della somministrazione del vaccino Johnson & Johnson

Ieri l'Agenzia americana FDA ha autorizzato la ripresa della somministrazione del vaccino Johnson & Johnson, sospesa una decina di giorni fa a causa della segnalazione di alcuni casi di rare trombosi cerebrali. 

Le indagini portate avanti nel corso delle ultime due settimane hanno evidenziato che, oltre ai 6 casi già noti al momento della sospensione, se ne sono verificati altri 9. Complessivamente 15 casi - che hanno coinvolto solo donne e che hanno portato a 3 decessi, mentre 7 pazienti sono attualmente ricoverate, di cui 4 in terapia intensiva. 

La probabilità maggiore che si verifichino tali eventi è stata trovata per le donne di età compresa tra 30 e 39 anni (circa 12 casi per milione di dosi di vaccino). Se consideriamo tutte le  donne di età compresa tra 18 e 49 anni, l'incidenza media scende a circa 7 casi per milione di dosi vaccinali.

La stima dell'incidenza è nettamente inferiore rispetto a quella elaborata da EMA dopo la somministrazione della prima dose del vaccino AstraZeneca, pari a circa 20 casi per milione di dosi vaccinali nell'intervallo di età compresa tra 18 e 49 anni. Il dato dell'EMA non considera le possibili differenze di genere e fornisce una media per tutta la popolazione.

Pur non imponendo limiti alla somministrazione del vaccino, la FDA ha modificato il bugiardino in modo da segnalare l'eventualità che la vaccinazione con Johnson & Johnson produca tali rari eventi trombotici nelle donne di età inferiore ai 50 anni.

Sia per il vaccino Johnson & Johnson che per quello AstraZeneca la probabilità che la vaccinazione induca una forma rara di trombosi cerebrale decresce velocemente sopra i 50 anni.

Aggiornamento 23 aprile: la situazione prima delle riaperture

Partiamo subito dal parametro decisamente più confortante: osservando i dati a partire dallo scorso autunno, questa settimana è stato registrato il calo percentuale più consistente del livello di occupazione dei reparti ospedalieri Covid:

Variazione percentuale del numero medio (calcolato su base settimanale) dei posti letto occupati nei reparti Covid degli ospedali italiani (somma di tutti i reparti)

Questo dato nazionale fa il paio con un altro dato locale che ci fa vedere come finalmente il numero dei pazienti Covid ricoverati nelle terapie intensive del Trentino (linea rossa qui sotto) si sia riportato sul valore medio nazionale (linea nera). Era stato decisamente più alto - senza soluzione di continuità - a partire dallo scorso mese di novembre e fino a una settimana fa:

Pazienti Covid ricoverati in terapia intensiva normalizzati rispetto ad un campione di 100.000 abitanti

Anche il dato relativo ai nuovi ricoveri nei reparti di terapia intensiva avvenuti nel corso della settimana mostra valori confortanti per il Trentino (linea rossa qui sotto), mentre l'Alto Adige, che nel corso delle ultime settimane aveva mostrato dati decisamente migliori rispetto alla media nazionale, fa registrare un piccolo rimbalzo che non è ancora un vero e proprio "campanello d'allarme", ma va comunque attentamente monitorato.

Nuovi ricoveri settimanali nei reparti Covid di terapia intensiva normalizzati rispetto ad un campione di 100.000 abitanti

Ci aspettiamo che il dato dei nuovi ricoveri in terapia intensiva tenda a diminuire a causa di due diverse motivazioni: a) il calo della circolazione virale e b) l'aumento della percentuale di persone "fragili" che ricevono il vaccino. 

L'andamento dei nuovi ricoveri in terapia intensiva sarà - a mio avviso - il parametro più efficace per seguire l'evoluzione della pandemia nel corso delle prossime settimane. Le crescenti riaperture potranno portare ad un aumento del numero dei contagi, ma se i vaccini saranno prioritariamente dedicati a coprire le persone più fragili, è sperabile che la situazione sanitaria possa essere tenuta sotto controllo. Si è parlato in questi giorni di un "rischio calcolato". Io preferirei parlare di un "rischio vigilato" ed il dato mostrato sopra è senz'altro uno dei parametri chiave da osservare se vogliamo evitare di richiudere tutto nel giro di poche settimane.

Purtroppo il calo dei contagi e dei ricoveri non ha ancora prodotto la sperata forte riduzione dei decessi. In questo periodo, ogni 10 giorni, in Italia muoiono a causa della Covid-19 più o meno lo stesso numero di persone che muoiono ogni anno a causa degli incidenti stradali. Si tratta di una "strage silenziosa" a cui ci siamo più o meno assuefatti, anche se adesso le vittime comprendono persone di età sempre più giovane. Francamente mi sarei aspettato un calo dei decessi più veloce di quanto sta avvenendo. 

In Trentino, la situazione dei decessi ha subito un netto miglioramento a fine gennaio in concomitanza con la vaccinazione degli ospiti delle case di riposo, ma da allora in poi i decessi si susseguono con un andamento lineare (segmento D nel grafico qui sotto) che ancora non mostra alcun segno di saturazione (dovremmo vedere, prima o poi, un segmento orizzontale "E" analogo al segmento B che era stato osservato dopo la fine della prima ondata pandemica):

Numero di decessi ufficialmente attribuiti alla Covid-19 in Trentino. Fonte dati: Provincia Autonoma di Trento. Le lettere A-B-C-D identificano 4 tratti della curva dei decessi che possono grossolanamente essere approssimate con un andamento lineare

Per quanto riguarda il numero dei contagi, c'è un calo meno rapido di quanto sarebbe auspicabile:

Numero dei contagi registrati a livello nazionale. Si osserva un minimo relativo associato al numero ridotto di tamponi eseguiti durante le feste pasquali

Nelle ultime settimane si nota una forte discordanza tra le stime dell'indice di trasferimento del contagio stimato dall'Istituto Superiore di Sanità (punti rossi nel grafico qui sotto) e la stima basata sul mio modellino (punti blu) che analizza i dati dei contagi giornalieri comunicati dalla Protezione Civile Nazionale. 

Stima dell'indice di trasferimento del contagio nazionale. I punti rossi sono i valori elaborati dall'Istituto Superiore di Sanità che considera solo i casi sintomatici, mentre i punti blu sono la stima elaborata con il mio modellino empirico che considera i dati di tutti i contagi comunicati giornalmente dalla Protezione Civile Nazionale. Il valore mostrato per il prossimo 28 aprile è una proiezione basata su dati ancora incompleti.

Le stime dell'indice R elaborate dall'Istituto Superiore di Sanità indicano un calo dei contagi più rapido rispetto a quello stimato tramite il mio modellino empirico. La discordanza potrebbe essere semplicemente legata alle fluttuazioni associate con le festività pasquali che incidono poco sui dati ISS (che analizza solo i casi sintomatici e fa riferimento alla data di comparsa dei sintomi invece che a quella della diagnosi). Un analogo effetto era stato visto durante le festività di fine anno. 

Ci potrebbe essere anche un effetto legato alle vaccinazioni che potrebbero far aumentare la percentuale di casi asintomatici. Più banalmente, i bassi valori stimati ultimamente da ISS potrebbero dipendere dall'adozione di criteri più restrittivi per l'identificazione dei casi sintomatici adottati da parte delle Regioni/PPAA desiderose di "abbellire" la stima del loro indice Rt. La questione è aperta: vedremo nelle prossime settimane quale sarà l'evoluzione della situazione.

Concludo con un dettaglio relativo ai contagi rilevati in Trentino. Dopo il vero e proprio "crollo" evidenziato all'inizio di aprile, il valore della circolazione virale ora si colloca intorno ai 100 contagi settimanali per ogni 100.000 abitanti e mostra una lieve tendenza a scendere. Il dato più interessante è - a mio avviso - quello relativo alla distribuzione d'età dei contagiati:

Distribuzione dei contagi in Trentino per alcune fasce d'età. Elaborato su dati della Provincia Autonoma di Trento

Per i contagi nella fascia d'età "scolastica" (6-19 anni, linea verde) si nota un forte aumento a partire da fine febbraio in concomitanza con il dilagare della cosiddetta "variante inglese". La chiusura delle Scuole (metà marzo) è associata ad un progressivo calo, seguito da un nuovo aumento ad inizio aprile in corrispondenza della riapertura delle Scuole.

Il livello dei contagi tra i più piccoli (0-5 anni, linea rossa) non mostra cambiamenti di rilievo, mentre per gli ultra settantenni (linea azzurra) si vede un calo progressivo, più forte durante le ultime due settimane. Il dato è solo parziale, ma sembra indicare che la campagna vaccinale sta producendo gli effetti sperati. Due mesi fa il 14% dei contagi riguardava persone di almeno 70 anni (e molti di loro finivano in ospedale), contro il 10% circa dei ragazzi in età scolastica. Attualmente la situazione si è ribaltata: i più anziani (70+) sono leggermente sotto il 10%, mentre i giovani in età scolastica coprono il 16% dei contagi.

L'ultimo grafico riguarda il numero di classi messe in quarantena dopo la riapertura delle Scuole. Il dato ultimo relativo al Trentino corrisponde a 83 classi. Per confronto, il Veneto (4,9 milioni di abitanti) ha attualmente 16.816 studenti in quarantena. Tenendo conto del numero di abitanti e considerando un numero medio di studenti per classe pari a 24, i dati del Trentino e del Veneto sono abbastanza simili. 

La tendenza all'aumento è evidente. Se finalmente si facessero i test salivari (più volte annunciati come imminenti con tanto di conferenza stampa dell'Assessora competente), sarebbero senz'altro molto utili.

Numero di classi del Trentino messe in quarantena dopo la riapertura delle Scuole





giovedì 22 aprile 2021

E adesso arriva la variante indiana

Nella ormai lunga storia della pandemia, si annuncia un déjà-vu: si sta diffondendo una nuova variante – detta “variante indiana” o B.1.617 – che in questo momento sta provocando una forte crescita di contagi e di decessi nel sub-continente indiano. Il nuovo ceppo virale contiene due mutazioni della proteina spike: E484Q e L452R. La prima mutazione è simile a quella trovata nei ceppi virali presenti in Brasile e Sud Africa, mentre la seconda è stata trovata in alcuni ceppi virali identificati in California.
 
Andamento dei nuovi contagi giornalieri in India. Tratto da Our World in Data

Mentre in Italia stiamo perdendo tempo con le schermaglie tra i partiti, con alcune forze politiche che “bombardano” lo stesso Governo di cui fanno parte, altri Paesi hanno già fatto scattare l’allarme rosso. La variante indiana è già stata identificata sia in Gran Bretagna che in Israele in alcuni viaggiatori provenienti dall’estero ed è possibile che sia già presente anche in Italia. Per il momento si tratta di casi isolati, ma non c’è da stare troppo tranquilli. Il meccanismo di diffusione è più o meno lo stesso che ha accompagnato la propagazione della variante inglese: identificata in Inghilterra alla fine del 2020, nel giro di 3 mesi è diventata dominante in tutta Europa. Le nuove aperture e la ripresa dei viaggi internazionali potranno rendere il processo di diffusione della nuova variante ancora più veloce.

Come per tutte le altre varianti che l’hanno preceduta, il problema del ceppo virale B.1617 è la possibile resistenza agli anticorpi neutralizzanti presenti in coloro che hanno contratto forme precedenti di Covid-19 o sono stati vaccinati. Attualmente in Israele sono in corso le prime valutazioni relative all’efficacia del vaccino Pfizer BioNTech. Secondo alcune indiscrezioni di stampa l’efficacia per la variante indiana sarebbe inferiore rispetto al ceppo “inglese” che attualmente è quello dominante in Europa. Di quanto inferiore ancora non lo sappiamo.


 

martedì 20 aprile 2021

EMA come Ponzio Pilato

Con il solito atteggiamento pilatesco, EMA conferma la possibilità di rare forme di trombosi legate alla somministrazione del vaccino Johnson & Johnson, ma lascia ai singoli Stati il compito di assumere eventuali decisioni in relazione ai limiti di somministrazione. La conclusione a cui arriva l'EMA mi lascia francamente perplesso: "Su Johnson & Johnson ogni Paese decida secondo la sua situazione".

La presidente della commissione di farmacovigilanza dell'EMA, Sabine Straus ha chiarito che: "C'è un'associazione forte e chiara tra la vaccinazione col siero di Johnson & Johnson ed i casi molto rari di trombosi cerebrale".

La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che qualche giorno fa si è fatta vaccinare con Pfizer BioNTech ha dichiarato: "Accolgo l'annuncio dell'EMA sulla sicurezza del vaccino di Johnson&Johnson. Questa è una buona notizia per le campagne vaccinali in tutta l'Ue". 

Analoghe dichiarazioni le abbiamo sentite fare da numerosi alti burocrati della Sanità italiana, tutti rigorosamente vaccinati, fin dallo scorso mese di gennaio, con il vaccino Pfizer BioNTech.

La situazione è simile a quella dell'altro vaccino a vettore virale (AstraZeneca) anche se il numero di eventi rari segnalato negli USA per il vaccino Johnson & Johnson è, in proporzione al numero di dosi somministrate, decisamente minore rispetto ai casi segnalati per AstraZeneca. In questo momento stiamo aspettando che anche l'americana FDA prenda posizione, dopo aver temporaneamente sospeso l'erogazione del vaccino Johnson & Johnson in attesa di fare una verifica sul numero effettivo di casi di rare trombosi segnalate.

In una comunicazione inviata al New England Journal of Medicine il gruppo di ricercatori del Laboratorio Janssen che ha sviluppato il vaccino prodotto da Johnson & Johnson ipotizza che il problema delle trombosi rare sia specificamente legato all'adenovirus dello scimpanzé che AstraZeneca ha utilizzato per il suo vaccino. Nel caso del vaccino Johnson & Johnson è stato usato un adenovirus umano e questo potrebbe considerevolmente ridurre la probabilità di taluni eventi avversi. A mio avviso, si tratta, al momento, di una pura congettura, tutta da verificare

Sia per AstraZeneca che per Johnson & Johnson, EMA ricorda che i rischi sono molto minori rispetto ai benefici. Cosa assolutamente vera, a meno che non siate una giovane donna in buone condizioni di salute. D'altra parte non possiamo mai dimenticare che un vaccino non è un farmaco che si assume per curare una malattia, ma è qualcosa che si somministra ad una persona sana per evitare che si ammali in futuro. Se i vaccini a vettore virale fossero gli unici disponibili, non c'è dubbio che andrebbero somministrati senza alcuna esitazione. Ma considerato che ci sono a disposizione anche vaccini ad mRNA che sono decisamente più efficaci e - aldilà della controversa questione delle rare trombosi cerebrali -  provocano comunque meno reazioni avverse gravi, la domanda sorge spontanea: "Perché un cittadino ultra sessantenne dovrebbe accettare di ricevere un vaccino a vettore virale invece di un vaccino ad mRNA?".

In Italia, alcune Regioni comunicano il tipo di vaccino che viene somministrato nei diversi centri vaccinali. In questo modo i cittadini di età superiore ai 60 anni, nel momento in cui scelgono il centro dove riceveranno la vaccinazione, sanno anche quale sarà il tipo di vaccino che sarà loro somministrato. Altre Regioni/PPAA sono meno trasparenti. Beati gli svizzeri che usano solo i vaccini a mRNA (e se li producono pure).

Entro fine giugno potrebbe diventare disponibile anche il vaccino tedesco CureVac


Sono ormai in dirittura di arrivo gli studi di fase 3 del candidato vaccino prodotto da CureVac, un'azienda biotecnologica basata a Tubinga in Germania. Questo nuovo prodotto, pur essendo basato sulla tecnologia a mRNA, presenta un notevole vantaggio rispetto ai concorrenti Pfizer BioNTech e Moderna. Infatti il vaccino CureVac non necessita di una "catena del freddo" complessa come quella degli altri vaccini ad mRNA e può essere conservato in un normale frigorifero per oltre tre mesi. Questo semplifica enormemente la gestione delle vaccinazioni che potranno essere decentralizzate affidandole anche a medici di famiglia e farmacie, analogamente a quanto già succede per i vaccini a vettore virale.

Forse qualcuno dei lettori ricorderà che poco più di un anno fa, l'allora Presidente Trump tentò di acquistare la società CureVac al fine di trasferirne l'attività negli Stati Uniti. L'offerta fu prontamente bloccata dal Governo tedesco che intervenne invocando la cosiddetta "golden power" e impedì l'affare miliardario.

La conclusione degli studi di fase 3 del candidato vaccino prodotto da CureVac è prevista entro la metà del prossimo mese di maggio e subito dopo l'EMA dovrebbe completare l'istruttoria per autorizzarne la somministrazione in Europa. Sulla base dei contratti già stipulati tramite l'Unione Europea, l'Italia dovrebbe ricevere almeno 30 milioni di dosi del vaccino CureVac, di cui circa 7 milioni - sperabilmente - entro la fine del mese di giugno.

Aumenta la capacità produttiva dei vaccini ad mRNA in Europa

Nel corso delle ultime settimane sono arrivate numerose notizie che riguardano l’aumento della capacità produttiva dei vaccini ad mRNA in Europa. Le notizie più recenti, ancora non confermate, parlano di un interesse del nostro Governo per far partire la produzione dei vaccini ad mRNA su larga scala anche in Italia. I siti produttivi potenzialmente interessati sono quelli di Thermo Fisher a Monza, Novartis a Torre Annunziata (NA), ReiThera e Takis a Castel Romano (Roma).

La richiesta dei vaccini anti-Covid basati sulla tecnologia ad mRNA è aumentata considerevolmente a causa di alcuni rari effetti avversi segnalati per i vaccini a vettore virale. Vale comunque la pena di ricordare che – aldilà del possibile impatto di tali rari effetti – i vaccini a RNA messaggero sono senz’altro preferibili rispetto agli altri tipi di vaccino sia in termini di efficacia che di rapidità di adattamento nel caso in cui sia necessario modificare i vaccini per difenderci da nuove varianti virali.

Senza contare che la tecnica ad mRNA ha un enorme potenziale anche per lo sviluppo di altri vaccini e, se si riusciranno a risolvere alcuni problemi legati alla somministrazione di alte dosi, anche per nuove terapie oncologiche. Acquisire le competenze necessarie per lo sviluppo e la produzione dei vaccini anti-Covid ad mRNA, aldilà della risposta emergenziale a cui siamo stati costretti a causa della pandemia, permetterà all’Italia di recuperare il tempo perduto, facendo investimenti strategici nel campo delle tecnologie farmaceutiche.

Al momento, a parte alcune attività tutto sommato marginali che riguardano principalmente l’infialamento del prodotto finito, sono attivi in Europa due grandi impianti dedicati alla produzione dei vaccini ad mRNA:
  1. Lo stabilimento della società svizzera Lonza localizzato a Visp (Basilea) che produce i principi attivi del vaccino Moderna. L’impianto, attualmente in fase di ulteriore espansione, è destinato a coprire le richieste provenienti dal mercato europeo.
  2. Lo stabilimento BioNTech di Marburg (Mainz, Germania) uno dei più grandi al mondo che coprirà l’intero ciclo produttivo del vaccino Pfizer BioNTech. Lo stabilimento apparteneva alla società Novartis ed è stato velocemente riconvertito per la produzione del vaccino ad mRNA.
Sia pure con un certo ritardo, l’Europa è stata in grado di potenziare la sua capacità produttiva dei vaccini ad mRNA e questo ci fa sperare che entro la fine della prossima estate la disponibilità di vaccini sarà tale da coprire senza affanni tutte le esigenze dei Paesi europei. 
 
Nel frattempo stanno giungendo notizie, ancora non confermate, secondo cui l'Unione Europea starebbe valutando di non rinnovare per il 2022 i contratti di fornitura dei vaccini a vettore virale.
 
 

lunedì 19 aprile 2021

Terzo rapporto AIFA sugli effetti avversi dei vaccini

I quotidiani italiani hanno riportato la notizia della pubblicazione del terzo rapporto AIFA relativo alle segnalazioni di eventi avversi avvenuti in concomitanza con la somministrazione dei vaccini anti-Covid in Italia. Talvolta il resoconto giornalistico è stato ridotto a titoli del tipo: “Vaccino Covid e reazioni avverse: Pfizer supera AstraZeneca per numero di segnalazioni”. Oppure: "Vaccini, ecco il test sulle reazioni avverse: Pfizer ne ha molte di più di AstraZeneca". Affermazioni piuttosto superficiali perché i dati presentati da AIFA sono probabilmente affetti da errori sistematici che - purtroppo - la stessa Agenzia ha dimenticato di mettere in evidenza.

Per capire questo punto partiamo da un grafico presente nel rapporto AIFA dove si mostra l’andamento temporale del numero di segnalazioni degli effetti collaterali e del numero di dosi vaccinali somministrate:


Figura tratta dal terzo rapporto AIFA sugli effetti avversi legati alla vaccinazione. Si noti che il rapporto tra casi segnalati e vaccinazioni era molto alto all’inizio della campagna vaccinale quando la somministrazione del vaccino riguardava principalmente il personale sanitario

I dati mostrati in figura indicano un numero relativamente alto di segnalazioni di eventi avversi durante il mese di gennaio quando la maggioranza di vaccini era somministrata al personale sanitario. Il numero di segnalazioni è calato vistosamente da febbraio in poi, pur in presenza di un progressivo aumento del numero di dosi vaccinali somministrate
 
Evidentemente, c’è stata  da parte del personale sanitario una maggiore sensibilità rispetto alla utilità di segnalare gli eventuali eventi avversi, anche se di lieve o modesta entità. Poiché il personale sanitario ha sempre ricevuto esclusivamente il vaccino Pfizer BioNTech, questo ha prodotto un effetto che ha probabilmente alterato i dati relativi al numero di segnalazioni per i 3 diversi tipi di vaccini utilizzati in Italia.

Se osserviamo l’incidenza dei casi avversi non gravi (92,7% del totale) segnalati per ogni 100.000 dosi vaccinali, troviamo i seguenti valori:
  • Pfizer BioNTech 500
  • Moderna 200
  • AstraZeneca 426
In effetti i casi segnalati per il vaccino Pfizer BioNTech sono maggiori rispetto agli altri due vaccini, ma se dalla statistica togliessimo i dati relativi alle somministrazioni fatte al personale sanitario probabilmente troveremmo numeri diversi.

Nel caso degli eventi gravi possiamo ragionevolmente ipotizzare che i casi siano stati rilevati in modo più omogeneo. Tali eventi  sono stati lo 7,1% del totale (per lo 0,2% delle segnalazioni non è stato raccolto il dato relativo alla gravità). 

Per “eventi gravi” si intendono reazioni che non hanno necessariamente comportato il ricovero ospedaliero, ma che hanno comunque allertato la persona vaccinata perché le reazioni sono andate oltre a fenomeni non acuti e di breve durata. Il grafico seguente – tratto dal rapporto AIFA – ci mostra la distribuzione di tali eventi, calcolato su tutti i vaccini somministrati.

Distribuzione delle segnalazioni per tipo di gravità. Tratto dal rapporto AIFA

AIFA ci fornisce  la frequenza degli eventi gravi per ogni 100.000 dosi di vaccino somministrate. I valori sono:
  • Pfizer BioNTech 33
  • Moderna 22
  • AstraZeneca 50
Come si vede, la situazione è molto diversa rispetto agli eventi lievi. 
 
Chi si aspettasse di trovare nel rapporto AIFA appena pubblicato qualche informazione in più rispetto ai casi di rare trombosi associate al vaccino AstraZeneca resterà deluso. Da un punto di vista quantitativo, tenuto conto dei dati EMA, rispetto ai 50 eventi gravi segnalati in Italia per ogni 100.000 vaccinazioni con AstraZeneca, il contributo delle cosiddette "rare trombosi" potrebbe incidere per circa 0,5 casi, in altre parole solo l'1% degli eventi gravi segnalati. Si tratta veramente di fenomeni rari, ma come ho discusso in un post precedente proprio la rarità dell'evento è un elemento fondamentale per associarlo alla vaccinazione.
 
Il rapporto AIFA contiene molte pagine in cui si ricostruisce la storia dell’intera vicenda AstraZeneca, ma purtroppo non mostra alcun dato aggiornato. Il rapporto AIFA rilasciato il 15 aprile fa riferimento ai casi segnalati in Italia entro lo scorso 22 marzo (11 casi segnalati in Italia rispetto agli 86 casi segnalati complessivamente in Europa) e non fornisce dettagli relativi al possibile contributo italiano agli ulteriori casi segnalati a livello europeo tra il 23 marzo e lo scorso 4 aprile (casi complessivi passati da 84 a 222 come segnalato dall’EMA in una nota posta a piè di pagina inserita nel suo rapporto emesso il 7 aprile).

AIFA ribadisce che se guardiamo al numero di trombosi complessive segnalate dopo la somministrazione del vaccino siamo – per tutti i vaccini – su numeri in linea con la media attesa per i non vaccinati. Del resto, sapendo che in Italia ogni anno si registrano almeno 60.000 casi di trombosi, è facilmente comprensibile che, quando si vaccinano milioni di persone, alcuni di questi casi di trombosi potranno coincidere temporalmente con il periodo della vaccinazione. Diverso è il discorso per quelle rare forme di trombosi che sono state associate al vaccino AstraZeneca e per le quali la FDA dovrebbe presto esprimersi in relazione alla ipotizzata correlazione con la somministrazione del vaccino Johnson & Johnson.

In conclusione, il rapporto AIFA è denso di dati, ma non ci aiuta a capire cosa sia effettivamente successo in Italia con il vaccino AstraZeneca. Partendo da questo dato di fatto, non mi pare un buon esercizio di giornalismo lasciare intendere che il rapporto dimostrerebbe che il vaccino AstraZeneca sia addirittura più sicuro rispetto al vaccino Pfizer BioNTech.


Non tutti gli "effetti collaterali" della pandemia sono negativi

 

Cittadini israeliani (tutti rigorosamente vaccinati) si liberano delle mascherine. Gesto simbolico, comprensibile dopo un anno di rigido vincolo, ma da non imitare perché fortemente dannoso per l'ambiente! Tratto da The Times of Israel

Proprio nel momento in cui Israele toglie l'obbligo di indossare la mascherina all'aperto, dagli ospedali israeliani arriva una notizia relativa al crollo dei casi gravi di asma che sono stati verificati durante l'ultimo anno. Parliamo di casi abbastanza gravi da richiedere un ricovero ospedaliero. 

Il dato sui ricoveri  è notevole: -65% rispetto agli anni precedenti. Una parte di tale calo potrebbe essere attribuita al timore di accedere a strutture ospedaliere dove ci sarebbe potuta essere una maggiore probabilità di contagio da SARS-CoV-2, ma - secondo le Autorità sanitarie israeliane - la principale causa della riduzione dei casi di asma grave è collegata all'uso diffuso della mascherina. Andamenti simili sono stati osservati per altre patologie legate alla respirazione come l'influenza invernale o le allergie da polline.

Prima della pandemia, noi italiani guardavamo con un certo stupore i gruppi di turisti di origine asiatica che giravano per le nostre città d'arte con bocca e naso rigorosamente coperti dalle mascherine. Chissà se - passata la pandemia - anche in Italia rimarrà l'abitudine di indossare la mascherina, soprattutto in certe stagioni e tra le persone più esposte a determinate patologie.

domenica 18 aprile 2021

Israele toglie l'obbligo della mascherina all'aperto

Dopo aver riaperto gran parte delle attività, Israele (9 milioni di abitanti) ha finalmente tolto l’obbligo di indossare la mascherina all’aperto. Si tratta di un passaggio anche simbolico che sancisce la fine di un lungo periodo di restrizioni. Può essere interessante vedere quale sia la situazione attuale di Israele e confrontarla con i numeri italiani: questo ci permette di capire meglio i criteri di “rischio calcolato” che sono stati adottati dallo Stato israeliano:

  • Cittadini che hanno ricevuto almeno una dose vaccinale: 62% (di cui il 55% ha ricevuto ambedue le dosi Pfizer-BioNTech). In Italia 17,8% (di cui il 7,4 ha ricevuto ambedue le dosi).
  • Ricoverati in terapia intensiva: 2,1 per ogni 100.000 abitanti. In Italia circa 5.
  • Contagi durante l’ultima settimana: 22 per ogni 100.000 abitanti. In Italia circa 165.
  • Deceduti durante l’ultima settimana: 8 per ogni milione di abitanti. In Italia circa 45.

Benché i nuovi contagi siano relativamente pochi, Israele tiene alta la guardia soprattutto rispetto alle forme di infezione asintomatica della popolazione vaccinata. In particolare vengono costantemente monitorate le mappe genetiche dei ceppi virali in circolazione per timore dell'arrivo di nuove varianti che siano meno sensibili rispetto ai vaccini. Tra le altre misure già programmate da Israele c'è la vaccinazione dei ragazzi di età compresa tra i 12 ed i 15 anni che dovrebbe iniziare tra circa 1 mese.

Come si vede, i numeri di Israele sono decisamente migliori rispetto a quelli italiani, a partire da quelli delle vaccinazioni che hanno raggiunto il punto di massima erogazione a fine gennaio ed attualmente sono in fase di completamento. In questo momento, Israele sta organizzando un probabile richiamo con una terza dose vaccinale da somministrare entro il prossimo autunno. Il vaccino sarà ottimizzato rispetto alle nuove varianti virali che saranno dominanti a livello internazionale durante la prossima estate. Insomma, Israele sembra aver affrontato la questione Covid dimostrando “una marcia in più” rispetto al resto del Mondo.

L’unico dato dove non si vede una differenza abissale tra Italia ed Israele è quello relativo al numero di pazienti Covid ricoverati nei reparti di terapia intensiva (Israele ha "solo" poco meno della metà dei ricoverati rispetto all'Italia). Ma in questo caso dobbiamo tenere conto che, durante le fasi calanti di una ondata pandemica, nei reparti di terapia intensiva si tendono ad accumulare pazienti che erano stati contagiati mesi prima e che – se curati bene – riescono a sopravvivere, anche se il trattamento può richiedere una lunghissima degenza. Il dato israeliano attuale, in presenza di pochi contagi e quindi di pochissimi nuovi ricoveri, è in gran parte dovuto alla presenza di questi lungo-degenti. Anche in Italia la presenza di tali casi incomincia a farsi sentire, ma nell'ultima settimana l'Italia ha visto ancora 2,3 nuovi ricoveri in terapia intensiva per ogni 100.000 abitanti. La metà circa dei pazienti ricoverati nei reparti Covid di terapia intensiva italiana ha un tempo di degenza inferiore a 7 giorni. La situazione è quindi molto diversa rispetto a quella di Israele.

venerdì 16 aprile 2021

Aggiornamento sulla pandemia: 16 aprile

Mentre si sta discutendo del piano - più o meno accelerato - delle nuove aperture, i dati sulla pandemia forniscono indicazioni abbastanza incoraggianti, anche se permangono alcune criticità a cominciare dal numero dei decessi che non accenna a calare. Il numero assoluto di nuovi contagi è ancora leggermente superiore rispetto a quello registrato a fine gennaio, quando la variante inglese non era ancora dominante.

L'attuale andamento dei contagi risente ancora delle fluttuazioni osservate durante il periodo pasquale. Il picco negativo, osservato a causa della forte contrazione del numero di tamponi fatti a Pasqua e Pasquetta, è stato - almeno in parte - riassorbito nel corso di questa settimana. Aldilà delle consuete fluttuazioni giornaliere, si osserva una sostanziale stabilità dei contagi nel corso delle ultime due settimane. 

Nuovi contagi giornalieri

La stima dell'indice R basata sul mio consueto modellino empirico, evidenzia una proiezione per il prossimo 21 aprile pari ad 1. La proiezione, ancora da confermare, potrebbe essere stata fortemente influenzata dal "crollo" artificiale dei contagi registrato in occasione delle feste pasquali.

Indice di trasferimento del contagio, valutato a livello nazionale. I punti rossi sono le stime rilasciate dall'ISS che considerano solo i casi sintomatici. I punti blu sono il risultato del mio modellino empirico che tiene conto dei dati giornalieri dei contagi comunicati dalla Protezione Civile Nazionale

I dati sui ricoveri in ospedale sono, a mio avviso, molto più "robusti" dei dati dei contagi e - soprattutto - non sono facilmente manipolabili (specialmente quelli relativi alle terapie intensive). Osservando i dati sui ricoveri si osserva un miglioramento che - finalmente - ha assunto una velocità apprezzabile:

Variazione percentuale della media settimanale dei ricoveri nei reparti Covid (somma di tutti i reparti)

Anche il dato sull'occupazione delle terapie intensive è finalmente in discesa:

Ricoveri nei reparti Covid di terapia intensiva normalizzati per un campione di 100.000 abitanti.

Il numero di posti letto occupati nei reparti di terapia intensiva dipende da un equilibrio complesso. Durante l'ultima settimana ci sono stati mediamente 200 nuovi ricoveri al giorno mentre l'occupazione complessiva delle terapie intensive si è ridotta di circa 270 posti. Purtroppo, oltre alle guarigioni, dobbiamo tenere conto che, ogni giorno, nell'ultima settimana abbiamo registrato mediamente 400 decessi al giorno. Non è quindi sempre facile capire quanto il miglioramento in termini di riduzione dei posti letto occupati sia attribuibile ad un reale miglioramento della situazione oppure sia - almeno in parte - dovuto ad un numero ancora troppo alto di decessi.

Il parametro più sensibile per capire quale sia il vero andamento della situazione è - a mio parere - quello dei nuovi ricoveri in terapia intensiva. Vediamo qui di sotto la situazione dell'Italia e del Nord Est (escluso Friuli V. G.):

Nuovi ricoveri settimanali nei reparti Covid di terapia intensiva da fine gennaio fino a oggi. Il dato è normalizzato su un campione di 100.000 abitanti

Notiamo che l'Alto Adige (linea verde) conferma una tendenza verso un netto miglioramento, decisamente migliore rispetto al dato nazionale (linea nera). L'Alto Adige è l'unico territorio che registra attualmente un numero di nuovi ricoveri in terapia intensiva inferiore rispetto al dato di fine gennaio (prima della diffusione della variante inglese). Il dato nazionale (linea nera) ha raggiunto il massimo  intorno a metà marzo e da allora scende con andamento abbastanza regolare. Il Trentino (linea rossa) ha avuto mediamente - nell'arco dell'intero periodo considerato - i valori più alti. Nel corso delle ultime due settimane il dato del Trentino è finalmente sceso in maniera significativa ed attualmente è leggermente inferiore rispetto al dato nazionale. Anche il Veneto mostra chiari segni di miglioramento.

L'andamento dei nuovi ricoveri in terapia intensiva, oltre che dalla prevalenza virale (attualmente in calo), dipende anche dall'andamento delle vaccinazioni. Man mano che si coprono le categorie più esposte alle complicanze gravi della Covid-19 ci aspettiamo che, a parità di contagi, diminuiscano i nuovi ricoveri in terapia intensiva. Anche se  - mediamente - possono passare tra 1 e 2 settimane tra la comparsa dei primi sintomi e l'eventuale ricovero in terapia intensiva, il monitoraggio di tale parametro è senz'altro utile per avere un'idea abbastanza precisa sul reale impatto della pandemia. Ci aspettiamo che, nell'arco di un paio di settimane, il calo dei nuovi ricoveri possa tradursi anche in un calo dei decessi.

In conclusione, ci avviamo ad una fase di apertura generalizzata trascinandoci sulle spalle un fardello di contagi, ricoveri e decessi ancora imponente. La campagna vaccinale procede più lentamente di quanto sarebbe auspicabile e un qualsiasi "ritorno di fiamma" della pandemia ci riporterebbe rapidamente in una situazione estremamente critica. Per questo motivo è essenziale - a mio parere - monitorare accuratamente i dati relativi ai ricoveri Covid perché - alla fine - è lì che si giocherà la vera partita.

Finché i ricoveri caleranno, potremo ragionevolmente sostenere che la situazione sia sotto controllo. Ma bisognerà fare la massima attenzione ad eventuali segnali di inversione della tendenza.





Indagare sui casi di trombosi rare associati ai vaccini a vettore virale

La rivista The New England Journal of Medicine ha pubblicato due articoli con titolo quasi identico:

A. Greinacher, et al., “Thrombotic Thrombocytopenia after ChAdOx1 nCov-19 Vaccination”, New England Journal of Medicine, April 2021, DOI: 10.1056/NEJMoa2104840

N. H. Schultz et al., “Thrombosis and Thrombocytopenia after ChAdOx1 nCoV-19 Vaccination", New England Journal of Medicine, April 2021,DOI: 10.1056/NEJMoa2104882

La sigla ChAdOX1 identifica il vaccino AstraZeneca. I due articoli, oltre a descrivere alcuni casi di rare trombosi associate con la somministrazione del vaccino, discutono anche degli aspetti legati alla diagnostica ed alla cura di questi rari eventi. Ricordo che molti di questi eventi – anche letali – hanno riguardato giovani donne che, in caso di contagio con il virus SARS-CoV-2, avrebbero avuto una probabilità estremamente limitata di contrarre una forma grave della Covid-19.

L’approccio ai problemi associati ai vaccini a vettore virale ha registrato una serie di sottovalutazioni e di errori di comunicazione che hanno generato un pesante impatto sull’opinione pubblica. C'è la diffusa sensazione che talvolta le Autorità sanitarie hanno confuso la prudenza con la reticenza. A mio parere, l’unico modo per convincere le persone più riluttanti a ricevere il vaccino AstraZeneca (o Johnson & Johnson quando sarà disponibile) è quello di fare chiarezza su tutti i diversi aspetti della vicenda.
 
Basterebbe rispondere a tre semplici domande:
  1. Quanti sono veramente i casi di rare trombosi associate alla somministrazione dei vaccini a vettore virale? Nel suo comunicato emesso lo scorso 7 aprile, EMA fa riferimento ai dati aggiornati al 22 marzo che comprendono 86 casi complessivi (di cui 62 riferiti a forme di di tipo CVST) su 25 milioni di dosi somministrate in Europa. La percentuale di casi letali era pari a circa il 20% (18 su 86). In una nota a piè di pagina dello stesso documento, si dice che i dati aggiornati al 4 aprile comprendono 222 casi complessivi su 34 milioni di dosi (di cui 169 riferiti alle forme di tipo CVST), ma non specifica quanti casi siano stati letali. Sorprende il fatto che il numero di casi segnalati passando da 25 a 34 milioni di dosi sia quasi triplicato. Non aiuta certamente a fare chiarezza l’italiana AIFA che nel suo comunicato del 15 aprile parla soltanto dei casi verificati in Italia entro lo scorso 22 marzo: complessivamente 11 eventi di cui 4 letali, ma non fornisce alcun dato aggiornato. Questi numeri parziali non aiutano a capire cosa stia effettivamente accadendo e creano disorientamento. Meglio ha fatto la commissione della FDA americana che nella riunione di mercoledì scorso si è presa una decina di giorni per raccogliere ed analizzare tutti i dati disponibili. Trattandosi di eventi rari è necessario fare una analisi accurata di tutti gli eventi avversi segnalati ed analizzare i casi clinici sospetti uno ad uno. Questo richiede tempo, anche se i Governi e l’opinione pubblica vorrebbero risposte immediate.
  2. Le persone sopra i 60 anni non corrono alcun rischio? Su questo punto l’EMA ha espresso una posizione a mio avviso ambigua. In un suo rapporto ricorda che gli episodi di rare trombosi sono stati segnalati prevalentemente su donne di età inferiore rispetto ai 60 anni e la cosa non è sorprendente perché analoghe osservazioni sono state fatte sui casi (molto meno frequenti) che avvengono tra le persone non vaccinate. Tuttavia la stessa EMA che oggi suggerisce di usare il vaccino AstraZeneca per gli anziani, fa notare che i dati sui casi di rare trombosi registrati in tale fascia di popolazione potrebbero essere viziati dal fatto che – inizialmente – il vaccino, in Europa, non veniva somministrato alle persone di età superiore ai 60 anni. Per stessa ammissione dell’EMA, i dati disponibili si riferiscono principalmente alle vaccinazioni di anziani fatte in Gran Bretagna. Quali sono questi dati? Sono sufficienti per trarre conclusioni statisticamente significative? Mettetevi nei panni di una Signora di 62 anni a cui viene proposto di ricevere il vaccino AstraZeneca. Vi sentireste del tutto tranquilli/e? L'EMA ha recentemente annunciato un ulteriore approfondimento di tutta la questione "trombosi rare" che dovrebbe chiarire anche questo aspetto. Attendiamo di vedere i risultati della nuova indagine.
  3. I medici sono preparati per la diagnosi e la terapia di questi possibili anche se rari eventi? La mancanza – almeno in USA – di protocolli adeguati è la motivazione che ha spinto la FDA a sospendere le vaccinazioni con il farmaco Johnson & Johnson negli Stati Uniti. Le pubblicazioni che ho citato all’inizio di questo post affrontano il problema e propongono alcune soluzioni. Se un adeguato sistema di diagnosi e cura di tali rare patologie consentisse di evitare almeno gli eventi fatali, il livello di rischio percepito dall’opinione pubblica potrebbe ridursi significativamente. Oggi molte persone – a torto o a ragione – percepiscono la vaccinazione con AstraZeneca some una sorta di “roulette russa” e questo produce un effetto pesantemente negativo sull’intera campagna vaccinale.
Riassumendo, a meno di non decidere come ha fatto la Danimarca (e come fa da sempre la Svizzera) di somministrare ai cittadini solo vaccini ad mRNA, se vogliamo che la campagna vaccinale proceda speditamente è necessario ricostituire un minimo di fiducia nell’opinione pubblica. A questo fine serve a poco ripetere che i “pericoli sono ben altri”. I vaccini – come qualsiasi altro farmaco – possono presentare dei rischi, ma se ci sono dei rischi vanno valutati accuratamente, spiegati senza reticenze e vanno adottate tutte le misure necessarie per minimizzarli. Solo così i cittadini saranno in grado di fare scelte consapevoli, aderendo con convinzione alla campagna vaccinale, senza farsi distrarre dalle sirene no-vax.

mercoledì 14 aprile 2021

La vera storia degli effetti collaterali del vaccino AstraZeneca in Gran Bretagna

Per diversi giorni, dopo che in Germania sono stati messi in evidenza per la prima volta i rari casi di trombosi collegati con il vaccino AstraZeneca, la posizione ufficiale delle Autorità sanitarie britanniche è stata quella di minimizzare il problema, facendo intendere che in Gran Bretagna non ci fosse evidenza di simili episodi.

In realtà le cose sono andate diversamente. Il Guardian ha dedicato un articolo alla storia della prof.ssa Marie Scully, ematologa dell'University College di Londra (UCL), che è stata la prima in Gran Bretagna ad individuare il collegamento tra il vaccino AstraZeneca ed alcune rare forme di trombosi. Qui potete trovare una traduzione in italiano dell'articolo.

Alla luce di quanto reso pubblico, risulta ancora più sorprendente la posizione adottata dalle Autorità sanitarie britanniche e da AstraZeneca che hanno tardato molto tempo prima di prendere posizione sull'argomento, illudendosi forse che la storia si sarebbe sgonfiata nel giro di pochi giorni e continuando a vaccinare con AstraZeneca 500.000 persone al giorno di tutte le età.


La Scienza ai tempi di Twitter

Questi tempi di pandemia sono caratterizzati da una incredibile accelerazione dei tempi della comunicazione scientifica. Ormai le notizie passano in tempo “reale”, ma non sempre la velocità di diffusione si accompagna alla qualità delle informazioni.

I media di tutto il Mondo hanno dato ampio risalto ad un messaggio che Moderna ha diffuso ieri:

 

Dal  punto di vista commerciale, si tratta del classico tentativo di dare il “colpo di grazia” all’avversario (Johnson & Johnson) che si trova in un momento di grave difficoltà. Soprattutto se, nella traduzione giornalistica corrente, il messaggio diventa: “Nessun caso di trombosi legato al vaccino dopo 64,5 milioni di somministrazioni”.

In particolare il messaggio di Moderna fa riferimento agli eventi del tipo CVST, i quali – secondo la letteratura scientifica – avvengono con una incidenza dell’ordine di 3-4 casi all’anno per 1 milione di persone. Quindi, supponendo di osservare per il periodo di 1 mese 64 milioni di persone non vaccinate, ci attenderemmo di trovare mediamente circa 20 eventi.

A meno di ipotizzare che il vaccino Moderna eserciti addirittura una azione protettiva, ci aspetteremmo che un numero di eventi CVST più o meno equivalente sia stato osservato, nello stesso intervallo di tempo, anche per i circa 64 milioni di persone che hanno ricevuto il vaccino Moderna. Quanti siano stati gli eventi CVST registrati tra i vaccinati non lo sappiamo perché Moderna ha accuratamente evitato di inserire questo dato nel suo messaggio.

La comunicazione di Moderna sembra essere più finalizzata ad attrarre investitori finanziari piuttosto che a fornire informazioni scientifiche. Una rivista scientifica qualificata non avrebbe mai accettato di pubblicarla se non fosse stata accompagnata dall'analisi statistica indispensabile per verificarne la validità.

Sia chiaro, io non contesto a Moderna di avere fornito informazioni false, ma sottolineo il fatto che - sulla base dei dati comunicati - non è possibile verificare se le informazioni siano scientificamente fondate.

I messaggi che appaiono sui social, oltre ad influenzare i mercati finanziari, svolgono un ruolo fondamentale per orientare l'opinione pubblica. Questo ci fa capire quanti danni possono essere prodotti da una informazione incompleta, soprattutto se è accompagnata da una divulgazione un po' troppo superficiale.