sabato 30 aprile 2022

Scenari da incubo

Due anni fa (esattamente il 15 aprile 2020) pubblicai un post dal titolo "Cosa succederà se tutto andasse storto", nel quale commentavo un articolo uscito sulla rivista Science nel quale veniva descritto il possibile andamento futuro della pandemia. Gli Autori prevedevano che avremmo osservato una serie di ondate pandemiche, protratte per un congruo numero di anni. Allora eravamo agli inizi della pandemia di Covid-19 e sapevamo ancora poco sia sulle caratteristiche del virus SARS-CoV-2 che sull'efficacia dei vaccini e dei farmaci che sarebbero stati sviluppati nei mesi successivi. 

Con il senno di poi, oggi possiamo dire che ci troviamo in una situazione che rispecchia solo parzialmente le previsioni dell'articolo: non siamo fuori dalla pandemia ed è ragionevole presumere che ancora per molto tempo ci potrebbero essere nuove ondate pandemiche, ma l'effetto combinato dei vaccini e dei farmaci utilizzati per contrastare la Covid-19 ha sensibilmente ridotto sia i danni sanitari indotti dalla pandemia che i suoi effetti sul tessuto economico e sociale. Alcune ipotesi molto pessimistiche avanzate nel lavoro pubblicato 2 anni fa non si sono realizzate, ma in compenso oggi abbiamo a che fare con un virus molto più contagioso (anche se meno aggressivo) rispetto a quello che circolava nella primavera del 2020 (questa ipotesi non era stata considerata dagli Autori). 

Si conferma quanto anticipavo nel mio post di 2 anni fa: questi modelli matematici non sono abbastanza precisi per poter fornire previsioni attendibili, ma sono utili per disegnare scenari di massima, importanti per capire quali sono i rischi che corriamo (soprattutto se i decisori politici ne tengono conto quando impostano le loro politiche di lungo periodo).

Il post di 2 anni fa mi è tornato in mente oggi dopo aver letto l'articolo apparso su Nature dal titolo "Climate change increases cross-species viral transmission risk". L'articolo non è liberamente consultabile da chiunque, ma è comunque possibile leggerne l'abstract. Un estratto in italiano è disponibile qui. In estrema sintesi, gli Autori hanno studiato gli effetti che il riscaldamento globale attualmente in atto potrà produrre nel corso dei prossimi 50 anni, valutando l'impatto sulle specie animali selvatiche che popolano la nostra Terra. Molti animali selvatici rischieranno l'estinzione, ma altri riusciranno facilmente a spostarsi raggiungendo nuovi territori dove prima non erano presenti (sta già succedendo, ad esempio, per numerose specie di pesci tropicali che incominciano ad essere presenti nel Mediterraneo). 

Questi spostamenti di massa aumenteranno il rischio di salto di specie per molti virus. In particolare gli Autori stimano che esistano circa 10 mila virus che circolano liberamente tra i mammiferi selvatici e che potrebbero fare abbastanza facilmente il salto di specie verso gli esseri umani. Gli spostamenti indotti dal riscaldamento globale potrebbero facilitare questo salto di specie, generando nuove pandemie. In altre parole, la pandemia di Covid-19 potrebbe essere solo il primo esempio di un fenomeno che è destinato ad intensificarsi nel corso dei prossimi decenni.

Anche per questo articolo valgono le considerazioni che scrissi 2 anni fa a proposito dell'articolo apparso su Science: le ipotesi fatte sono certamente ragionevoli, ma non è affatto detto che si debba verificare lo scenario peggiore. Tanto per cominciare è augurabile che la pandemia di Covid-19 e la guerra in Europa non ci facciano mettere in soffitta le preoccupazioni per il cambiamento climatico. Siamo ancora in tempo per mitigarne almeno gli effetti più dannosi, purché si proceda senza indugio e non si perdano di vista le vere priorità. Chi pensa di accettare il riscaldamento globale per salvaguardare un effimero aumento di qualche punto percentuale del PIL non ha capito nulla.

Il messaggio che viene fuori con chiarezza da questo articolo è che "le disgrazie non vengono mai da sole". Il riscaldamento globale, oltre ad innescare enormi problemi economici e sociali, potrebbe essere accompagnato da un pesante aggravamento della situazione sanitaria globale. Carenza di acqua potabile, carestie e nuove pandemie potrebbero scatenare una sorta di "tempesta perfetta" che metterebbe a repentaglio il futuro dell'Umanità. 

Bisogna agire subito, finché siamo in tempo.

venerdì 29 aprile 2022

Aggiornamento sulla pandemia: la situazione a fine aprile 2022

Continua il lento declino dei nuovi contagi, accompagnato da una sostanziale stabilità dei ricoveri (soprattutto nei reparti ordinari) e dei decessi. Le recenti festività pasquali ed il progressivo allentamento delle misure di prevenzione non sembrano avere inciso in modo significativo sull'andamento dei parametri pandemici.

Partiamo dal numero di contagi ricordando che - almeno in parte - la leggera discesa osservata nel corso delle ultime settimane potrebbe essere legata al fatto che un numero crescente di positivi asintomatici o pauci sintomatici sfugge ai tamponi:

Nuovi contagi giornalieri (linea grigia) e loro media stimata su base settimanale (linea blu). Nel corso delle ultime settimane è stato osservato un lento declino dei contagi

Il numero delle persone ricoverate nei reparti Covid degli ospedali italiani è rimasto pressoché costante nel corso delle ultime settimane. Si nota tuttavia una progressiva riduzione della percentuale di pazienti che richiedono il ricovero in terapia intensiva. Tale andamento può essere legato alla minore aggressività dei ceppi virali attualmente in circolazione, ma può essere dovuto  anche al miglioramento dei trattamenti sanitari a cui sono sottoposti i pazienti a maggior rischio di gravi complicanze.

Numero di pazienti ricoverati nei reparti Covid degli ospedali italiani (somma di tutti i reparti)
Variazione percentuale del numero di pazienti ricoverati nei reparti Covid degli ospedali italiani calcolata rispetto al valore della settimana precedente 

Suddivisione dei ricoveri nei reparti Covid degli ospedali italiani distinti tra terapie intensive (linea rossa) e reparti ordinari (linea verde). Il dato attuale dei ricoveri nei reparti ordinari è leggermente superiore rispetto al valore di fine dicembre 2021, mentre il dato relativo ai ricoveri in terapia intensiva è più che dimezzato (si noti la scala verticale logaritmica)

Un certo miglioramento sul fronte dei ricoveri più critici è stato osservato anche considerando  i nuovi ricoveri nei reparti Covid di terapia intensiva. L'aumento osservato 3 settimane fa è stato un episodio estemporaneo, fortunatamente non ripetutosi nel corso delle settimane successive.

Nuovi ricoveri nei reparti Covid di terapia intensiva normalizzati rispetto ad un campione di 100 mila abitanti

Il dato sui decessi, aldilà di alcune fluttuazioni, mostra un andamento pressoché costante nel corso delle ultime settimane:

Decessi giornalieri normalizzati rispetto ad un campione di 100 mila abitanti (linea grigia) e loro media stimata su base settimanale (linea rossa)

In conclusione, la situazione sanitaria è sotto controllo anche se i ricoveri ed i decessi sono ancora molto numerosi e - almeno fino ad oggi - non accennano a diminuire. Si osserva un lieve miglioramento a livello dei ricoveri in terapia intensiva, ma è ancora troppo presto per dire se questo andamento possa anticipare un sostanziale miglioramento della situazione pandemica.


mercoledì 13 aprile 2022

Segnalazione da Nature Medicine: la carica virale dei vaccinati è sensibilmente inferiore rispetto a quella dei non vaccinati

Si è a lungo discusso se la vaccinazione, oltre a proteggere dall'insorgenza delle complicanze più gravi, riduca anche la contagiosità di coloro che - malgrado la vaccinazione - abbiano comunque contratto il contagio. Un lavoro apparso su Nature Medicine ci aiuta a far luce su questo punto, arrivando alla conclusione che la carica virale dei vaccinati che hanno contratto la Covid-19 è sensibilmente inferiore (circa 1/5) rispetto alla carica virale dei non vaccinati.

Il lavoro è stato svolto a Ginevra ed ha analizzato la carica virale di alcune centinaia di pazienti entro i primi 5 giorni dopo la comparsa dei sintomi. Un elemento di fondamentale importanza è legato al fatto che, invece di affidarsi alla misura dei cicli di amplificazione delle analisi PCR (quelle comunemente chiamate tampone molecolare), i ricercatori hanno misurato la quantità di virus in grado di produrre l'infezione presente nei campioni prelevati dai pazienti. La differenza non è di poco conto perché - come ormai ben noto - le analisi PCR non distinguono virus integri (in grado di infettare) rispetto ai frammenti di virus che spesso finiscono nei tamponi dopo che i virus sono stati distrutti dalla risposta anticorpale del paziente sotto esame. 

Le analisi sono state fatte utilizzando 3 varianti virali: il ceppo originale che circolava prima della comparsa delle cosiddette "variants of concern", la variante Delta e la variante Omicron. Lo studio ha riguardato pazienti sia vaccinati che non vaccinati.

La cosa interessante è che la riduzione della carica virale dei contagiati vaccinati si osserva dopo la somministrazione di 2 dosi quando il contagio avviene con la variante Delta. Nel caso di Omicron per vedere una analoga riduzione della carica virale sono necessarie 3 dosi vaccinali.

Sappiamo che la carica virale della persona infetta non è l'unico fattore che determina la sua contagiosità. Contano certamente una serie di fattori ambientali (permanenza in un luogo chiuso scarsamente arieggiato, distanza rispetto alle altre persone, utilizzo della mascherina, ecc.). Inoltre le diverse varianti potrebbero avere una diversa capacità di infettare le cellule dell'ospite dopo che sono entrate nelle vie aeree del contagiando. Senza contare che i vaccini, pur non preservando in assoluto dai contagi, garantiscono comunque un certo livello di protezione anche rispetto ai contagi lievi. Comunque, a parità di tutti gli altri fattori, la carica virale presente nella persona positiva è certamente un fattore determinante per valutare la probabilità di contagio.

I risultati di questo lavoro dimostrano che i vaccinati, pur potendo contrarre la Covid-19, rappresentano comunque un pericolo ridotto per le altre persone e confermano la bontà delle scelte volte a ridurre la presenza di persone non vaccinate all'interno di ambienti ad elevato rischio di contagio (ad esempio, bar e ristoranti).

martedì 12 aprile 2022

Segnalazione da Nature - Humanities & Social Sciences Communications: il caso Svezia

Un duro e documentato articolo apparso su Nature - Humanities & Social Sciences Communications descrive l'approccio seguito dalle Autorità politiche e sanitarie della Svezia durante il primo anno di pandemia (prima  dell'arrivo dei vaccini). L'articolo è molto critico e mette in evidenza numerosi approcci eticamente discutibili che sono stati adottati soprattutto nei confronti delle persone più anziane e fragili (quelle che "tanto sarebbero morte comunque entro breve tempo"). Un altro punto preoccupante sollevato dall'articolo è quello relativo alla manipolazione dei dati che le Autorità svedesi avrebbero alterato in modo sistematico. 

Un riassunto (in italiano) che illustra i contenuti dell'articolo è disponibile qui.

L'approccio svedese è stato sovente considerato come un modello da imitare da parte dei negazionisti di tutto il Mondo. Potremmo dire che la Svezia si è comportata in modo diametralmente opposto rispetto ai paesi come la Cina che hanno adottato (e continuano ad adottare anche oggi) misure rigorosissime per l'individuazione e l'isolamento dei contagi. 

Oggi molti Paesi (a partire dalla Gran Bretagna) stanno seguendo un approccio abbastanza simile a quello svedese, ma la situazione attuale è completamente diversa rispetto a quella di inizio pandemia. L'evoluzione avvenuta a livello virale e la diffusione dei vaccini (oltre all'immunità indotta dai contagi avvenuti fino ad oggi) hanno fortemente ridotto (anche se non completamente eliminato) le conseguenze sanitarie indotte dalla Covid-19. Speriamo che, pur attenuando sensibilmente le misure per il contenimento della diffusione virale, non si adotti fino in fondo il "modello svedese", incluso il trattamento riservato a molti pazienti anziani che è stato molto simile ad una vera e propria forma  di eutanasia.

venerdì 8 aprile 2022

Aggiornamento sulla pandemia: fine dell'emergenza o semplice assuefazione?

I numeri della pandemia registrati in Italia durante le ultime 2 settimane sono sostanzialmente stazionari. Il progressivo allentamento delle (già ridotte) misure di contenimento della diffusione virale non ha provocato cambiamenti apprezzabili della situazione sanitaria. Rimane purtroppo molto elevato il livello dei decessi Covid che oscilla intorno a circa 1.000 casi settimanali. 

In questo momento è impossibile dire se tale numero rappresenti un forte campanello d'allarme: ogni settimana in Italia hanno luogo complessivamente circa 10-15 mila decessi (il numero oscilla con andamento stagionale). Il numero di decessi Covid registrato attualmente è certamente significativo se rapportato al numero totale dei decessi, ma non sappiamo in quanti di questi tristi eventi la Covid-19 sia stata la causa determinante o solo una concausa. 

Per saperne di più dovremo attendere i dati ISTAT sulla mortalità complessiva per verificare se - come successo nel 2020 e, sia pure in maniera minore, anche nel 2021 - il numero dei decessi complessivi sia stato significativamente superiore rispetto alla media registrata negli anni immediatamente precedenti alla pandemia. Fino a che i dati ISTAT non saranno disponibili, qualsiasi congettura rispetto all'impatto della Covid-19 sulla mortalità generale del 2022 sarà campata in aria.

Passiamo ora al dato di contagi che mostrano un lieve calo. Non sappiamo quanto di questo calo sia reale e quanto vada attribuito al fatto che molti contagiati asintomatici o pauci-sintomatici non facciano più il tampone. C'è certamente un senso generale di stanchezza e di progressivo allentamento delle precauzioni ed un numero crescente di contagiati potrebbe semplicemente sfuggire alle statistiche. Comunque, se ci limitiamo ai dati ufficiali, possiamo dire che i contagi sono in leggero calo:

Andamento dei contagi giornalieri (linea grigia) e loro valore medio stimato su base settimanale (linea blu)

Variazione percentuale dei contagi misurata rispetto allo stesso giorno della settimana precedente. I valori delle ultime settimane sono leggermente negativi a conferma dell'andamento lentamente calante del numero assoluto dei contagi

Sul fronte ospedaliero, abbiamo nuovamente superato la quota di 10 mila pazienti ricoverati nei reparti Covid degli ospedali italiani. La recente abolizione delle zone colorate (che lo ricordo erano collegate all’occupazione dei reparti ospedalieri) fa sperare che le Regioni/PPAA la smettano di ridurre artificialmente i dati dei ricoveri facendo sparire dalle statistiche (e talvolta evitando anche di comunicare) il numero dei pazienti Covid ricoverati nelle cliniche private. I numeri di cui disponiamo parlano di un dato che, nel corso delle ultime 3 settimane. ha registrato un aumento. 

I nuovi ricoveri in terapia intensiva sono stati pressoché stabili per più di 1 mese, mentre nel corso dell'ultima settimana hanno registrato una crescita inattesa. Questo dato va monitorato attentamente perché è quello meno manipolabile da parte delle burocrazie sanitarie. Ovviamente non possiamo escludere che l'aumento registrato nella settimana che si conclude oggi sia dovuto ad una mera fluttuazione statistica.

Numero complessivo dei posti letto occupati nei reparti Covid degli ospedali italiani

Variazione percentuale del numero complessivo di posti letto occupati nei reparti Covid degli ospedali italiani, misurata rispetto ai dati della settimana precedente. Nel corso delle ultime 3 settimane si è registrato un aumento dei ricoveri

Nuovi ricoveri settimanali registrati nei reparti Covid di terapia intensiva degli ospedali italiani. Il dato è normalizzato rispetto ad un campione di 100 mila abitanti. Nel corso dell'ultima settimana è stata osservata una crescita che è oggetto di particolare attenzione

Come discusso inizialmente, il tragico conto dei decessi è purtroppo stabilmente alto:

Decessi giornalieri attribuiti alla Covid-19 (linea grigia). Il dato è normalizzato rispetto ad un campione di 100 mila abitanti. La linea rossa rappresenta il valore medio stimato su base settimanale

Un andamento dei ricoveri Covid simile a quello italiano è stato osservato anche in altri Paesi europei. Qui di seguito vi mostro i dati della "Grande Londra", il complesso di città strettamente connesse con la capitale inglese che comprende circa 9 milioni di abitanti. Questa parte dell'Inghilterra ha quasi sempre mostrato una tendenza "anticipatrice" rispetto all'andamento della pandemia in Europa:


Nuovi ricoveri giornalieri nei reparti Covid degli ospedali della Grande Londra

Numero complessivo di persone ricoverate nei reparti Covid della Grande Londra
Aldilà delle fluttuazioni giornaliere, il dato sui nuovi ricoveri londinesi mostra una andamento in crescita. Osservando il numero dei ricoveri complessivi, si osserva che l'aumento principale ha riguardato i ricoveri nei reparti ordinari, mentre è stato decisamente meno significativo per i reparti di terapia intensiva. Il confronto tra la "Grande Londra" e l'Italia dovrebbe tenere conto di almeno 5 fattori: 
  1. la totale eliminazione - fatta in Inghilterra - di qualsiasi misura obbligatoria per il contenimento virale (incluse le mascherine al chiuso);
  2. l'avvio già autorizzato in Inghilterra di una quarta dose vaccinale per le persone molto anziane o comunque fragili (in Italia si sta discutendo se estendere il richiamo - attualmente limitato agli immunodepressi - anche agli anziani over-80);
  3. i fattori climatici che certamente sono più favorevoli in Italia perché  consentono di gestire un numero maggiore di iniziative all'aperto;
  4. a livello di sotto-varianti virali ci potrebbero essere delle differenze significative tra la Grande Londra e l'Italia;
  5. l'uso che viene fatto dei farmaci antivirali per prevenire l'insorgenza di gravi patologie nei contagiati più a rischio. 
A proposito dei farmaci antivirali, non ho notizie precise su quanto avvenga a Londra, ma in Italia si può dire che il loro utilizzo è estremamente limitato, soffocato da una burocrazia sanitaria asfissiante.

Tutto ciò premesso, si può affermare che la situazione londinese è - una volta che i dati vengono normalizzati rispetto al numero di abitanti - peggiore rispetto a quella italiana. I numeri dei ricoveri della Grande Londra superano di circa il 50% i valori italiani. Considerata la complessità dei parametri che influenzano l'occupazione dei reparti Covid nelle 2 realtà, è difficile trarre delle conclusioni. La spiegazione più ovvia sarebbe che gli inglesi scontano l'eliminazione completa di tutte le precauzioni anti-contagio, ma non si può escludere che gli altri fattori discussi precedentemente possano avere avuto un impatto non trascurabile.

Concludiamo illustrando alcuni dati relativi al nostro piccolo Trentino. Il dato sui ricoveri complessivi mostra una risalita abbastanza significativa:

Numero di posti letto occupati nei reparti Covid degli ospedali pubblici del Trentino. Il dato relativo agli eventuali ricoveri nelle cliniche private non è mai stato comunicato



Numero di ospiti delle RSA del Trentino che risultano positivi alla Covid-19 (linea blu). Percentuale rispetto alla popolazione complessiva (linea rossa). Ricordo che gli ospiti delle RSA trentine sono circa 4.500, corrispondenti a meno dell'1% dell'intera popolazione

Il dato sugli ospiti delle RSA trentine che risultano attualmente positivi mostra una forte incidenza dei contagi all'interno delle RSA. Ci sono stati certamente dei problemi legati alla diffusione di estesi focolai all'interno di alcune strutture, ma - da inizio febbraio in poi - è stata osservata una incidenza abbondantemente superiore rispetto a quanto atteso in base al livello di circolazione generale del virus. Va anche ricordato che - probabilmente - in molte RSA si continuano a fare i tamponi con regolarità e questo potrebbe far emergere molti contagi asintomatici che sfuggono quando abbiamo a che fare con la popolazione esterna alle RSA.

domenica 3 aprile 2022

Segnalazione: il concetto di immunità di gregge non si applica alla pandemia di SARS-CoV-2

In un articolo firmato, tra gli altri, anche da Anthony Fauci viene affrontato il tema della cosiddetta immunità di gregge arrivando alla conclusione che tale concetto non si può applicare alla pandemia di SARS-CoV-2. Secondo i più semplici modelli epidemiologici, l'immunità di gregge viene raggiunta quando la percentuale di persone che hanno acquisito l'immunità dal virus (grazie alla vaccinazione o a un precedente contagio) sono sufficienti per "schermare dal contagio" le persone che sono ancora sensibili al virus. La percentuale minima di popolazione immune che serve per raggiungere l'immunità di gregge dipende dalla contagiosità del virus e dal grado di immunità che viene garantito dai vaccini o dai precedenti contagi. Una volta raggiunta l'immunità di gregge, la pandemia è destinata ad estinguersi perché il virus non riuscirà più a diffondersi.

Purtroppo la continua evoluzione del virus con la comparsa di nuove varianti dominanti sempre più contagiose ed il rapido calo del livello di protezione dai contagi che avviene pochi mesi dopo la vaccinazione (o dopo un precedente contagio) rendono impossibile raggiungere l'immunità di gregge (applicando la formula classica si otterrebbe che la percentuale di persone immuni dovrebbe essere superiore al 100%, cosa ovviamente impossibile). Questo non vuole dire affatto che le vaccinazioni non servano perché, anche se la protezione dai contagi è limitata, garantiscono comunque una forte protezione contro i contagi più gravi. 

Purtroppo anche se tutti fossero vaccinati non potremmo sperare di assistere alla completa sparizione del virus. Saremo dunque costretti a "convivere" con il virus ancora per molti anni, cercando di limitare al minimo l'impatto della pandemia sulle nostre attività. La disponibilità dei vaccini e l'evoluzione del virus che ne ha ridotto l'aggressività ha consentito di abbandonare le gravi forme di restrizione che erano state adottate durante la fase iniziale della pandemia. Servirà ancora molta attenzione e controllo, soprattutto per quanto riguarda l'utilizzo tempestivo dei farmaci antivirali che sono utili per ridurre drasticamente l'insorgenza di gravi complicanze nei soggetti più a rischio. Ma la fase più acuta della pandemia sembra ormai alle nostre spalle ed il futuro sarà meno preoccupante, soprattutto se l'evoluzione del virus non ci riserverà brutte sorprese.

sabato 2 aprile 2022

Adesso arriva la variante Xe

La notizia arriva dall'Inghilterra, sempre in prima linea nell’individuazione delle nuove varianti virali: è stata individuata una nuova variante denominata Xe che in realtà è una combinazione delle 2 varianti Omicron BA.1 e BA.2. L'evento non era inaspettato considerata l'ampia diffusione delle 2 varianti Omicron con la conseguente probabilità che un singolo individuo risultasse infettato contemporaneamente  da ambedue le varianti. La nuova variante Xe può quindi essere il risultato di un effetto di ricombinazione avvenuto durante la fase di riproduzione del virus. Anche se è stata classificata usando un nome diverso, Xe può essere considerata a tutti gli effetti come una sotto-variante di Omicron.

Elenco delle mutazioni presenti nelle varianti Omicron BA.1 e BA.2. La maggioranza delle mutazioni (quelle che si trovano all'interno delle linee viola e blu) sono comuni ad ambedue le varianti

Attualmente in Inghilterra la nuova variante Xe copre circa l'1% dei campioni analizzati. Dal punto di vista pratico, Xe sarebbe caratterizzata da una contagiosità leggermente più elevata rispetto ad Omicron BA.2 (già estremamente elevata), mentre non c'è evidenza che Xe produca casi mediamente più gravi rispetto alle varianti Omicron.