Uno dei parametri che spesso vengono utilizzati per dare conto della velocità di propagazione del virus è quello relativo al rapporto tra il numero di nuovi contagi ed il numero di tamponi fatti, spesso chiamati “tamponi positivi”. Prima di tutto ricordiamo che questi numeri fanno riferimento ai prelievi fatti con tampone che successivamente sono sottoposti all’analisi di tipo molecolare (PCR). Sono i numeri che le Regioni/PPAA comunicano ogni mattina al Ministero della Sanità e che verso le ore 17 sono pubblicati sul
sito della Protezione Civile Nazionale.
Sappiamo che l’utilizzo dei tamponi può essere mirato a scopi molto diversi tra loro e che
non esiste una relazione lineare tra il numero di tamponi fatti ed il numero dei contagi rilevati. In coincidenza con la fine della fase acuta iniziale della pandemia, il Ministero della Salute ha iniziato a raccogliere informazioni più dettagliate e, accanto al numero dei tamponi fatti, è stato aggiunto il numero complessivo delle persone sottoposte ad almeno un test. Ad esempio, i tamponi di controllo fatti alle persone virologicamente positive non contribuiscono ad aumentare tale numero.
Tra i dati che Regioni/PPAA devono comunicare al Ministero della Salute c’è anche la suddivisione dei contagi in base alla metodologia di ricerca. Si chiede di separare i contagi rilevati tra persone che sono state sottoposte al test dopo aver manifestato sintomi riconducibili alla Covid-19 e persone (presumibilmente asintomatiche, ma non è detto) che che sono state trovate positive nell’ambito di attività di screening. È interessante notare che questo secondo numero è attualmente pari, come media nazionale, a circa un terzo dei casi complessivi.
Tuttavia c’è una estrema variabilità a livello dei singoli territori. Addirittura nel caso dell’Alto-Adige i casi rilevati nell’ambito di attività di screening risultano pari a zero. Francamente stento a credere che in Alto-Adige non si effettuino controlli periodici sul personale della Sanità o delle RSA, ma forse in Alto-Adige queste attività le chiamano con un nome diverso. Questo ci fa capire come spesso le direttive del Ministero della Salute siano sottoposte ad interpretazioni più o meno fantasiose da parte delle Autorità regionali (in Trentino lo sappiamo bene!).
Purtroppo il Ministero della Salute non sembra fare molto per ricondurre tutti ad una applicazione omogenea delle norme.
Torniamo al numero di tamponi e vediamo quali potrebbero essere i parametri necessari per dare una migliore interpretazione dei dati. Innanzitutto dobbiamo togliere dal numero dei tamponi fatti quelli destinati al controllo dello stato virologico degli attualmente positivi. In passato ci volevano due tamponi negativi per uscire dall’isolamento. Di fronte alle difficoltà del sistema diagnostico, recentemente si è deciso che basta un tampone negativo. Poiché il numero di attualmente positivi è molto alto (siamo ormai a circa 300.000 persone), supponendo che a ciascuno di loro venga fatto un tampone alla settimana, è facile capire che una buona fetta dei tamponi che si riescono a fare serve esclusivamente per questo scopo e non ha alcuna utilità per identificare nuovi positivi.
Con la progressiva estensione dei test anticorpali rapidi (che lo ricordo non portano in caso di risultato positivo ad un aumento delle persone "attualmente positive") molte Regioni/PPA tendono un po' furbescamente (specialmente per persone giovani con sintomi lievi) a ritardare anche di una settimana l'esecuzione dell'esame molecolare di conferma che dovrebbe, in linea di principio, essere fatto in tempi brevissimi. Se passata una settimana, il test molecolare risulta negativo ecco che, magicamente, si risparmia un tampone e si abbelliscono le cifre ufficiali dell'epidemia. L'altro lato della medaglia è costituito dal fatto che spesso non viene neppure fatto il tracciamento dei contagi ed il rispetto della quarantena è lasciato al senso civico dei singoli e dei loro contatti più stretti..
In prima battuta potremmo considerare che i tamponi di ricerca di nuovi positivi coincidano con l’aumento di persone sottoposte ad almeno un test, ma anche questa ipotesi non è corretta. Infatti anche l’operatore della RSA che ogni settimana viene sottoposto a tampone nell’ambito di attività di screening non fa aumentare il numero di persone che siano state sottoposte ad almeno un tampone, ma il suo esame rientra a tutti gli effetti tra quelli dedicati alla ricerca di nuovi positivi.
Riassumendo – e mi rendo conto che non è facile seguire il filo del discorso – se usiamo come riferimento il numero totale dei tamponi fatti sovrastimiamo il numero dei tamponi effettivamente dedicati alla ricerca di nuovi positivi. Viceversa se usiamo come riferimento il numero di nuove persone sottoposte a tampone sottostimiamo il numero dei tamponi di ricerca, penalizzando le Regioni/PPAA che fanno attività di screening in maniera più estesa. Purtroppo non possiamo correggere questi errori neppure guardando al numero di casi trovati nell’ambito di attività di screening, anche perché molti di questi numeri non sono affatto affidabili.
Per capire meglio bisognerebbe conoscere, oltre al numero complessivo dei tamponi, la loro distribuzione nei tre seguenti campi di applicazione: a) tamponi di verifica degli attualmente positivi, b) tamponi fatti a persone sintomatiche e c) tamponi fatti nell’ambito di attività di controllo preventivo (ad esempio, viaggiatori in arrivo da zone ad alta prevalenza, personale impegnato in attività a rischio (Sanità, RSA, lavoratori dei macelli, ecc.)).
Molto grossolanamente,
ECDC ha fissato al 4% il rapporto tra i nuovi contagi ed il numero complessivo dei tamponi come soglia per valutare la capacità di ricerca dei contagi da parte dei diversi Paesi europei. Si tratta di un valore arbitrario, basato sull’esperienza passata, ma comunque discutibile. Soltanto se avessimo le informazioni necessarie per suddividere i tamponi tra le tre categorie illustrate precedentemente potremmo definire delle soglie di attenzione credibili.
Credo tuttavia che sia molto difficile – soprattutto in un momento come questo – che le Autorità sanitarie abbiano la capacità di fornire informazioni più attendibili.