sabato 31 ottobre 2020

Anche BoJo annuncia un mese di lockdown

La notizia risale a poco fa. Dopo molte esitazioni e dopo che il Galles aveva deciso di anticipare misure più drastiche, anche BoJo ha annunciato un nuovo lockdown in Inghilterra per il periodo di un mese. Il tentativo è quello di utilizzare il mese di novembre per arrivare ad una sostanziale riduzione dei contagi in modo da affrontare le festività di Natale in una situazione di relativa tranquillità. Funzioneranno regolarmente Scuole e Università. Pub e ristoranti chiusi, tutto il giorno. Aperti solo i negozi essenziali.

Lo hanno capito per primi gli israeliani e molti Paesi europei, uno dopo l'altro, seguono la stessa strada. Anche perché, più si ritardano i necessari provvedimenti, maggiori saranno i sacrifici da fare prima di vedere i risultati. 

Lo hanno capito tutti, ma in Italia stiamo ancora a perdere tempo in discussioni senza senso.

Per aggiornamenti: Agenzia ANSA "I lockdown e l'Europa, le misure in ogni Paese"

Logica sfuggente

La logica - ahimè - è spesso una delle vittime preferite della pandemia. Non è oggettivamente facile mantenere un atteggiamento calmo e razionale quando le situazioni diventano critiche e l’ansia ci spinge talvolta ad assumere atteggiamenti contraddittori e irrazionali. Finché succede ad un comune cittadino la cosa finisce lì, ma quando questo tipo di atteggiamento condiziona i decisori politici allora sono guai per tutti. Con una seria aggravante quando i decisori politici – anche di fronte all’evidenza dei fatti – preferiscono perseverare nei loro errori.

Il Presidente della Provincia pro-tempore fin dall’inizio della pandemia non si è certamente distinto per brillantezza di iniziative e tanto meno per capacità comunicativa. Credo che anche i suoi più fedeli sostenitori abbiano avuto un momento di lieve smarrimento quando, dopo averlo sentito ripetere di andare tranquillamente al ristorante anche di sera (unica provincia in Italia) hanno appreso che domani e lunedi i cimiteri saranno chiusi. Del resto nell’ordinanza provinciale si raccomanda fortemente di “rimanere a casa il più possibile” e quindi niente cimiteri, sia pure all’aperto e con la mascherina (magari controllando gli accessi).

Ma al ristorante al chiuso - ovviamente senza mascherina - va bene. Attenzione però, non toccate l’oliera, potrebbe essere contagiata.

Fact checking: è vero che in Trentino le cose vanno meglio rispetto al resto d'Italia?

Uno dei messaggi ripetuti con più insistenza in Piazza Dante da settembre in poi sarebbe che "in Trentino le cose vanno meglio rispetto al resto d'Italia". Se per resto d'Italia intendiamo l'Alto-Adige siamo perfettamente d'accordo, ma se guardiamo a tutto il resto dello Stivale le cose sono un po' diverse.

Nel grafico che mostro qui sotto sono riportati i valori dei nuovi contagi settimanali (linee continue) e dei ricoveri ospedalieri (linee tratteggiate) normalizzati rispetto ad un campione di 100.000 abitanti per il Trentino (punti rossi) e per l'Italia nel suo complesso (punti blu):

Contagi settimanali (linee continue) e ricoveri (tutti i ricoveri incluse le terapie intensive, linee tratteggiate) per il Trentino (punti rossi) e l'Italia nel suo complesso ((punti blu)

Partiamo dai contagi. Durante il mese di settembre il livello dei contagi in Trentino è stato sistematicamente superiore rispetto al dato nazionale. Si trattava perlopiù di focolai intensi e localizzati che spesso coinvolgevano persone giovani che non avevano bisogno di particolari cure. Infatti il dato dei ricoveri in Trentino a settembre era decisamente migliore (inferiore) rispetto al dato nazionale. L'alto livello di contagi già presente in Trentino durante il mese di settembre ha parzialmente mascherato la forte crescita dei contagi che, ovunque in Italia, è partita all'inizio di ottobre. Molti attribuiscono tale effetto all'apertura delle Scuole, ma in realtà non abbiamo dati abbastanza completi per trarre delle conclusioni affidabili. Comunque l'aumento c'è stato anche in Trentino e, dopo la prima decade d'ottobre, il dato trentino dei nuovi contagi è diventato praticamente sovrapponibile rispetto a quello nazionale. Certamente migliore rispetto a quello dell'Alto Adige, ma in linea con la media italiana come certificato, tra l'altro dall'ultimo rapporto dell'Istituto Superiore di Sanità. 

Tabella sui contagi aggiornata al 25 ottobre elaborata da ISS

Notate che l'ultimo dato ISS relativo ai contagi in Trentino è peggiore (o molto peggiore) rispetto a quelli di Basilicata, Calabria, Emilia-Romagna, Fiuli V.G., Marche, Molise, Puglia, Sardegna, Sicilia e Toscana. Cercare di accreditarci come "primi della classe" mi sembra francamente un po' sfacciato.
 
Quanto ai ricoveri, notiamo che nella seconda metà di ottobre si sta progressivamente colmando il gap esistente tra il dato trentino e quello nazionale. Gli ultimi dati calcolati in data odierna sono molto vicini. Ricordo inoltre che, come evidenziato negli aggiornamenti settimanali che appaiono su questo blog ogni venerdì, durante le ultime tre settimane il dato trentino dei decessi è sempre stato superiore rispetto alla media nazionale. Il tutto accadeva mentre in Piazza Dante si continuava a ripetere che "le terapie intensive sono vuote" a dimostrazione che i decessi avvenivano senza passare attraverso le terapie intensive.

Sento dire che l'allentamento delle pur blande misure di contenimento del virus introdotte con l'ultimo DPCM nazionale sarebbe stato deciso dalle Autorità provinciali sulla base di specifiche valutazione scientifiche. Francamente mi domando quali siano queste informazioni e chi le abbia fornite alla Provincia.


venerdì 30 ottobre 2020

Aggiornamento alla fine di un ottobre nero

L'assessore alla sanità dell'Alto-Adige Widmann ha dichiarato:
 "L'ondata è arrivata prima di quanto previsto dagli esperti"
A chi avrà mai chiesto il parere, al prof. Zangrillo?
 
 
Ultimo aggiornamento di ottobre, un mese che peggio di così non poteva andare. Tutti gli indicatori volgono al peggio e adesso sento anche che qualcuno cerca di scaricare la responsabilità sugli esperti (quali? dica i  nomi) che non l'avrebbero avvisato del pericolo imminente. Tra un po' torneranno a raccontarci la storia dello tsunami inatteso. Ha funzionato a marzo, vuoi vedere che ce la beviamo di nuovo?

Passiamo ai numeri partendo da quelli più dolorosi: i decessi settimanali sono raddoppiati rispetto alla settimana precedente. Ormai la linea rossa tratteggiata che nel grafico rappresenta il livello di decessi mediamente legato ad incidenti stradali si confonde con l'asse orizzontale:
 

Durante le ultime tre settimane di ottobre l'andamento è stato sempre lo stesso: raddoppio dei decessi rispetto alla settimana precedente. E purtroppo devo ricordare che i decessi avvengono solo dopo un certo lasso di tempo rispetto ai contagi e quindi il peggio deve ancora venire.

A livello regionale (vedi sotto) si nota un picco molto elevato della Valle d'Aosta (che è comunque soggetta a rapide fluttuazioni a causa delle ridotte dimensioni) seguita dalla Liguria e da un gruppo di Regioni/PPAA che comprendono Lombardia, Piemonte, Trentino, Abruzzo, Umbria, Alto Adige e Toscana, tutte sopra la media nazionale:

Per quanto riguarda i contagi, il tempo di raddoppio dei casi si è un poco allungato rispetto ai 7 giorni di metà ottobre. La minima riduzione della progressione dei contagi si coglie anche osservando che i punti degli ultimi giorni sono stabilmente sotto la linea rossa tratteggiata che corrisponde al fit esponenziale dei dati di ottobre. Meglio di niente, ma troppo poco per far sperare in un significativo cambiamento da qui a breve.

Se vogliamo confrontare la situazione italiana con quella europea, può essere utile consultare la mappa elaborata ieri da ECDC:

Tratto da ECDC

Ormai gran parte dell'Italia è al livello "più scuro" corrispondente a più di 240 nuovi contagi per ogni 100.000 abitanti nell'arco delle ultime due settimane. Gran parte d'Europa si trova in una  analoga situazione.

Più in dettaglio, qui di seguito trovate i dati nazionali di contagi e dei decessi (sempre riferiti a 100.000 abitanti e a due settimane) nei diversi Paesi inclusi nella indagine di ECDC. Notate che l'Italia che fino a fine settembre si posizionava in fondo alla triste classifica ha purtroppo guadagnato molte posizioni. Purtroppo però ci sono ancora ampi margini di peggioramento.


Contagi

Decessi
Belgium 1600,2
Czechia 15,3
Czechia 1512,3
Belgium 8,4
Luxembourg 995,6
Hungary 6,3
Slovenia 962,1
Romania 5,6
Liechtenstein 805,1
Poland 4,8
Netherlands 732,2
Spain 4,4
France 706,0
France 4,3
Croatia 521,1
Croatia 4,1
Spain 508,6
United_Kingdom 4,0
Slovakia 504,6
Bulgaria 4,0
Poland 445,9
Netherlands 3,3
United_Kingdom 437,7
Slovenia 3,0
Austria 400,0
Italy 2,9
Italy 389,3
Portugal 2,9
Portugal 382,6
Luxembourg 2,8
Malta 347,3
Malta 2,8
Romania 311,9
Slovakia 2,4
Bulgaria 294,9
Austria 1,9
Hungary 290,5
Lithuania 1,4
Ireland 282,8
Ireland 1,3
Iceland 247,1
Greece 1,2
Lithuania 226,5
Latvia 1,2
Cyprus 213,5
Germany 0,7
Germany 182,1
Denmark 0,7
Sweden 181,6
Iceland 0,6
Denmark 172,4
Estonia 0,4
Latvia 121,8
Sweden 0,3
Greece 107,8
Norway 0,1
Norway 58,4
Finland 0,1
Estonia 52,2
Cyprus 0,0
Finland 46,6
Liechtenstein 0,0

Solo per curiosità vi segnalo il paradosso dei minuscolo Liechtenstein che ha quasi mille contagi (dato normalizzato), ma nessun decesso. Fortunati loro!







 

Ecco un déjà-vu: quando arriva il picco dei nuovi contagi?

"Bisognava chiudere prima ma la gente deve vedere i letti pieni" 
Angela Merkel

Sembra di essere tornati al mese di marzo quando tutti si chiedevano ansiosamente quando si sarebbe verificato il picco dei nuovi contagi.  Oggi, nel pieno della seconda ondata molti si stanno ponendo la stessa domanda. Sono andato a rivedere cosa scrivevo nei post di 7 mesi fa e le risposte odierne non sono molto diverse da allora. Sinteticamente potremmo dire: "dipende!".

Rispetto ad allora possiamo dare alle risposte un contenuto un pochino più quantitativo. Torniamo allora brevemente ai giorni di fine febbraio-inizio marzo quando la pandemia apparve ufficialmente nel Bel Paese. In realtà era arrivata molte settimane prima, ma non ce ne eravamo accorti. Nel periodo dal 22 febbraio (data di inizio ufficiale) fino al 10 marzo (inizio del lockdown) l'indice di riproduzione del contagio R si collocava intorno al valore 2,5. Questo è il numero medio di contagi tipico della Covid-19 in assenza di qualsiasi provvedimento di contenimento della diffusione del virus. Ricordo che allora le mascherine erano "merce rara" e la vita continuava con lo stile "pre-Covid" in gran parte del Paese, a parte le due zone rosse di Codogno e Vo' Euganeo. Il lockdown esteso e generalizzato deciso intorno al 10 marzo cambiò sostanzialmente la situazione, anche se ci vollero almeno due settimane per vederne gli effetti. Intorno al 25 marzo si verificò il picco dei nuovi contagi registrando un valore pari a circa 5000 casi, concentrati per la maggior parte in Lombardia e nel resto del Nord-Italia. In realtà, non fu facile notare la presenza del picco dei contagi perché il numero di casi giornalieri era soggetto a forti oscillazioni statistiche e, durante quel mese di marzo, anche altre Regioni iniziarono a seguire la scelta pionieristica del Veneto di fare il maggior numero possibile di tamponi. Questo portò ad un apparente incremento del numero dei contagi, ma in realtà si stava solo migliorando la capacità (allora molto limitata) di riconoscere le persone virologicamente positive. 

Tornando all'indice di riproduzione dei contagi, il massimo dei contagi giornalieri corrisponde praticamente al raggiungimento del valore R = 1. Da inizio aprile in poi iniziò la discesa dei contagi, inizialmente lenta e progressivamente sempre più veloce fino ad arrivare al famoso "virus clinicamente morto" in coincidenza con l'arrivo dell'estate.

Oggi la situazione è diversa perché partiamo da un valore di R sostanzialmente minore rispetto a quello di marzo. Parliamo infatti di un valore intorno ad 1,5 e dobbiamo ricordare che, ai fini dell'andamento della curva dei contagi, è necessario scendere sotto ad 1. Quindi oggi dovremmo ridurre R fino a circa il 67% del suo valore attuale, mentre a marzo occorreva abbatterlo fino al 40%. Ai fini pratici questo significa che lo sforzo  sarà probabilmente minore (in termini di tempo) rispetto allo scorso marzo. Non a caso, gli israeliani che i conti li sanno fare (e sanno anche salvaguardare le attività economiche) il secondo lockdown lo hanno fatto prima degli altri. Purtroppo, come commenta amaramente Angela Merkel, queste cose non sono facili da spiegare e la gente si convince a fare i sacrifici solo quando si ritrova con le spalle al muro. Non capendo che se si fosse agito prima, i sacrifici avrebbero potuto essere  minori.

Alla fine di questa lunga discussione, se volete sapere quando registreremo il nuovo massimo dei contagi dovrò deludervi. Certamente molto prima di Natale perché se dovessimo continuare con il ritmo attuale a metà dicembre dovremmo avere milioni di nuovi contagi ogni giorno. In pratica non basterebbero tutti gli italiani per reggere il ritmo. In realtà tra provvedimenti più o meno maldestri della politica, autolimitazioni dei cittadini che riducono i loro contatti spontaneamente ed effetti tecnici (il famoso effetto "harvesting") è probabile che il massimo si raggiunga a novembre, ma non chiedetemi quando perché ogni ipotesi sarebbe campata in aria. Quale sarà il prezzo da pagare in termini di criticità del Sistema sanitario, decessi e danni socio-economici è tutto da capire. Senz'altro molto più alto rispetto a quanto sarebbe stato se ci fossimo già mossi.

Tamponi fatti e ricerca dei contagi: cerchiamo di fare un po’ di chiarezza

Uno dei parametri che spesso vengono utilizzati per dare conto della velocità di propagazione del virus è quello relativo al rapporto tra il numero di nuovi contagi ed il numero di tamponi fatti, spesso chiamati “tamponi positivi”. Prima di tutto ricordiamo che questi numeri fanno riferimento ai prelievi fatti con tampone che successivamente sono sottoposti all’analisi di tipo molecolare (PCR). Sono i numeri che le Regioni/PPAA comunicano ogni mattina al Ministero della Sanità e che verso le ore 17 sono pubblicati sul sito della Protezione Civile Nazionale
 
Sappiamo che l’utilizzo dei tamponi può essere mirato a scopi molto diversi tra loro e che non esiste una relazione lineare tra il numero di tamponi fatti ed il numero dei contagi rilevati. In coincidenza con la fine della fase acuta iniziale della pandemia, il Ministero della Salute ha iniziato a raccogliere informazioni più dettagliate e, accanto al numero dei tamponi fatti, è stato aggiunto il numero complessivo delle persone sottoposte ad almeno un test. Ad esempio, i tamponi di controllo fatti alle persone virologicamente positive non contribuiscono ad aumentare tale numero. 
 
Tra i dati che Regioni/PPAA devono comunicare al Ministero della Salute c’è anche la suddivisione dei contagi in base alla metodologia di ricerca. Si chiede di separare i contagi rilevati tra persone che sono state sottoposte al test dopo aver manifestato sintomi riconducibili alla Covid-19 e persone (presumibilmente asintomatiche, ma non è detto) che che sono state trovate positive nell’ambito di attività di screening. È interessante notare che questo secondo numero è attualmente pari, come media nazionale, a circa un terzo dei casi complessivi. Tuttavia c’è una estrema variabilità a livello dei singoli territori. Addirittura nel caso dell’Alto-Adige i casi rilevati nell’ambito di attività di screening risultano pari a zero. Francamente stento a credere che in Alto-Adige non si effettuino controlli periodici sul personale della Sanità o delle RSA, ma forse in Alto-Adige queste attività le chiamano con un nome diverso. Questo ci fa capire come spesso le direttive del Ministero della Salute siano sottoposte ad interpretazioni più o meno fantasiose da parte delle Autorità regionali (in Trentino lo sappiamo bene!). Purtroppo il Ministero della Salute non sembra fare molto per ricondurre tutti ad una applicazione omogenea delle norme
 
Torniamo al numero di tamponi e vediamo quali potrebbero essere i parametri necessari per dare una migliore interpretazione dei dati. Innanzitutto dobbiamo togliere dal numero dei tamponi fatti quelli destinati al controllo dello stato virologico degli attualmente positivi. In passato ci volevano due tamponi negativi per uscire dall’isolamento. Di fronte alle difficoltà del sistema diagnostico, recentemente si è deciso che basta un tampone negativo. Poiché il numero di attualmente positivi è molto alto (siamo ormai a circa 300.000 persone), supponendo che a ciascuno di loro venga fatto un tampone alla settimana, è facile capire che una buona fetta dei tamponi che si riescono a fare serve esclusivamente per questo scopo e non ha alcuna utilità per identificare nuovi positivi
 
Con la progressiva estensione dei test anticorpali rapidi (che lo ricordo non portano in caso di risultato positivo ad un aumento  delle persone "attualmente positive") molte Regioni/PPA tendono un po' furbescamente (specialmente per persone giovani con sintomi lievi) a ritardare anche di una settimana l'esecuzione dell'esame molecolare di conferma che dovrebbe, in linea di principio, essere fatto in tempi brevissimi. Se passata una settimana, il test molecolare risulta negativo ecco che, magicamente, si risparmia un tampone e si abbelliscono le cifre ufficiali dell'epidemia. L'altro lato della medaglia è costituito dal fatto che spesso non viene neppure fatto il tracciamento dei contagi ed il rispetto della quarantena è lasciato al senso civico dei singoli e dei loro contatti più stretti..
 
In prima battuta potremmo considerare che i tamponi di ricerca di nuovi positivi coincidano con l’aumento di persone sottoposte ad almeno un test, ma anche questa ipotesi non è corretta. Infatti anche l’operatore della RSA che ogni settimana viene sottoposto a tampone nell’ambito di attività di screening non fa aumentare il numero di persone che siano state sottoposte ad almeno un tampone, ma il suo esame rientra a tutti gli effetti tra quelli dedicati alla ricerca di nuovi positivi. 
 
Riassumendo – e mi rendo conto che non è facile seguire il filo del discorso – se usiamo come riferimento il numero totale dei tamponi fatti sovrastimiamo il numero dei tamponi effettivamente dedicati alla ricerca di nuovi positivi. Viceversa se usiamo come riferimento il numero di nuove persone sottoposte a tampone sottostimiamo il numero dei tamponi di ricerca, penalizzando le Regioni/PPAA che fanno attività di screening in maniera più estesa. Purtroppo non possiamo correggere questi errori neppure guardando al numero di casi trovati nell’ambito di attività di screening, anche perché molti di questi numeri non sono affatto affidabili. 
 
Per capire meglio bisognerebbe conoscere, oltre al numero complessivo dei tamponi, la loro distribuzione nei tre seguenti campi di applicazione: a) tamponi di verifica degli attualmente positivi, b) tamponi fatti a persone sintomatiche e c) tamponi fatti nell’ambito di attività di controllo preventivo (ad esempio, viaggiatori in arrivo da zone ad alta prevalenza, personale impegnato in attività a rischio (Sanità, RSA, lavoratori dei macelli, ecc.)). 
 
Molto grossolanamente, ECDC ha fissato al 4% il rapporto tra i nuovi contagi ed il numero complessivo dei tamponi come soglia per valutare la capacità di ricerca dei contagi da parte dei diversi Paesi europei. Si tratta di un valore arbitrario, basato sull’esperienza passata, ma comunque discutibile. Soltanto se avessimo le informazioni necessarie per suddividere i tamponi tra le tre categorie illustrate precedentemente potremmo definire delle soglie di attenzione credibili. 
 
Credo tuttavia che sia molto difficile – soprattutto in un momento come questo – che le Autorità sanitarie abbiano la capacità di fornire informazioni più attendibili.

giovedì 29 ottobre 2020

Un altro che voleva porre un freno alla paura

Tra i tanti - esperti e meno esperti - che questa estate si affannavano per convincerci che la Covid-19 fosse un problema ormai superato vorrei ricordare il prof. Giuseppe Remuzzi, direttore dell'Istituto Farmacologico Mario Negri che a giugno in una intervista rilasciata al Corriere della Sera affermava "I nuovi positivi non sono contagiosi, stop alla paura".

Oggi un tal prof. Giuseppe Remuzzi (sarà la stessa persona?) ai microfono di RAI 1 dichiara "Gli over 70 devono sapere che se si ammalano di Covid e finiscono in rianimazione uno su due morirà". Certo se lo ha detto uno che a giugno voleva porre fine alla paura, la situazione deve essere proprio seria.

Il Trentino col cerino in mano

Dopo aver fatto finta di non voler applicare le sia pur blande restrizioni introdotte dall'ultimo DPCM nazionale, il Presidente Kompatscher, preso atto del fatto che la situzione epidemica dell'Alto Adige è tra le più preoccupanti d'Italia, oggi ribalta completamente la situazione ed introduce norme ben più restrittive di quelle (troppo blande) applicate a livello nazionale. Ha perso almeno una settimana prima di prendere questa decisione e questo costerà all'Alto Adige qualche problema sanitario che si sarebbe potuto evitare, ma - come si dice - meglio tardi che mai. Ancora una volta Südtirol ist nicht Italien, meglio fare come dice Frau Merkel.

In Trentino, il Presidente provinciale pro-tempore deve solo sperare che il TAR intervenga al più presto per togliergli le castagne dal fuoco. Come quegli studenti che cercano di copiare dal primo della classe, ha copiato male e forse non capiva esattamente cosa stesse copiando. Nel frattempo, la Provincia di Trento si è preoccupata di raccomandare agli ospedali di coprire con un lenzuolo bianco i sacchi di plastica nera dove - a norma di legge - devono essere rinchiusi i corpi delle persone decedute a causa della Covid 19.

Ora Fugatti si ritrova da solo, con il cerino in mano. Speriamo che alla fine a bruciarsi non siano tutti i trentini.

Ormai non si muove più nessuno

La mappa che indica i livelli di rischio associati ai viaggi tra Paesi europei è stata appena pubblicata e mostra un progressivo deterioramento della situazione. Numerose zone appaiono colorate in grigio scuro a indicazione del fatto che non hanno fornito a ECDC i dati relativi alla densità di tamponi fatti, necessari per identificare le soglie di rischio così come erano state definite non più di un mese fa.  Quelle soglie di rischio sono ormai del tutto superate perché prevedevano diverse classi di densità dei contagi con la classe massima che equivale a superare il limite di 240 nuovi contagi per ogni 100.000 abitanti nell'arco delle ultime due settimane. Gli ultimi dati di ECDC mostrano livelli che sfiorano i 1.500 casi, con quasi tutti gli Stati ben oltre il valore 240. Solo Norvegia, Finlandia ed Estonia sono riuscite a mantenere il livello dei nuovi contagi sotto una soglia pari a 100.

 

Tratto da ECDC
 

Non sorprende quindi che quasi tutte le regioni europee siano ormai off-limits per quanto riguarda la mobilità internazionale (zone rosso scuro o grigio scuro). Per il momento, si salvano solo una parte della Danimarca e della Grecia, Goenlandia, Norvegia, Finlandia, Estonia e qualche isoletta sperduta. Tempi duri per le compagnie aeree!

In compenso, la Svizzera preso atto che è messa peggio dell'Italia, ha tolto le limitazioni di viaggio per i cittadini provenienti da alcune Regioni italiane. Mal comune, mezzo gaudio.

I dati che ci mancano (e che potremmo facilmente avere)

Mentre ormai tutta Europa si sta ponendo la “marzulliana” domanda “abbiamo troppi contagi perché non riusciamo a tracciarli o non riusciamo a tracciarli perché ne abbiamo troppi?” ed in attesa che forme più o meno strette di lockdown vengano progressivamente introdotte (magari chiamandole con un nome diverso) vale la pena di vedere quali siano i limiti attuali delle politiche di tracciamento. Perché – come ho già scritto in vari post precedenti – in un modo o nell’altro anche questa seconda ondata si esaurirà e, a meno che nel frattempo non siano diventati disponibili su larga scala un vaccino o cure efficaci, dovremo comunque porci il problema di evitare che ne arrivi una terza (parliamo di inizio 2021 per intenderci).

Uno dei punti su cui vorrei soffermarmi in questo post è quello legato alla disponibilità di dati epidemiologici geo-localizzati. Al di fuori del gergo tecnico, significa conoscere in dettaglio non solo dove si trovano le persone attualmente positive (il Comune di residenza o per le Città più grandi il quartiere in cui abitano), ma avere ulteriori informazioni relative al luogo in cui passavano parti significative della loro giornata prima del contagio. Ad esempio, la Scuola frequentata se sono studenti o il luogo di lavoro per chi svolge un’attività lavorativa.

Se consideriamo il Comune di Trento (quasi il 20% degli abitanti di tutto il Trentino) oggi conosciamo solo quante sono le persone residenti attualmente positive ed il numero dei nuovi contagi giornalieri. Decisamente troppo poco per capire cosa stia effettivamente accadendo. Non sappiamo nulla rispetto ad dettaglio dei contagi, ad esempio se ci siano significative differenze tra le diverse Circoscrizioni cittadine. Senza contare che non abbiamo idea di quante siano le persone contagiate che risiedono in altri Comuni del Trentino, ma che a Trento passavano una parte consistente della loro giornata per motivi di studio o di lavoro. E non sappiamo nulla neppure dei viaggi che queste persone facevano abitualmente e quindi del possibile ruolo dei trasporti pubblici nel processo di diffusione del virus.

Ovviamente non possiamo pensare di raccogliere e analizzare questo tipo di dati manualmente usando un banale foglio Excel. I numeri di una città come Trento non sono tali da poter parlare rigorosamente di Big Data, ma ci siamo vicini. Elaborare i dati sui contagi e visualizzarli sotto forma di opportune mappe geografiche ci può permettere di capire meglio se esistano particolari criticità localizzate. Questa sarebbe un'informazione essenziale per decidere di applicare eventuali forme di lockdown più severo a limitate aree geografiche o a particolari settori di attività. Quando finalmente il livello dei nuovi contagi sarà riportato sotto controllo, le mappe dei contagi potranno continuare a servire in funzione preventiva se decidessimo di adottare tecniche di “pooling” per testare un gran numero di persone con un numero relativamente ridotto di analisi molecolari.

Vorrei sottolineare che la mia proposta non è per nulla innovativa. Non c’è nulla di straordinario rispetto a quello che correntemente si fa già in Paesi come la Cina, la Corea del Sud o il Giappone. Tra l’altro il Trentino ha all'interno della sua Università e dei suoi Centri di ricerca numerosi esperti che potrebbero aiutare a scegliere le soluzioni tecnologiche migliori sia in termini di effettiva disponibilità che di contenimento dei costi. Mi meraviglio che nessuno si sia mai preoccupato di muoversi in questa direzione.

mercoledì 28 ottobre 2020

Nuovi lockdown intorno a noi

Dopo l'Irlanda, anche Francia e Germania hanno annunciato, proprio in queste ore, nuovi lockdown generalizzati. Può essere interessante confrontare i dati dei nuovi contagi che si stanno registrando attualmente nei due Paesi. Durante l'ultima settimana (22-28 ottobre) la Francia ha registrato circa 240.000 contagi e  1.500 morti. Le persone attualmente positive sono poco più di un milione. La Germania ha registrato circa 80.000 contagi settimanali e 300 morti. Gli attualmente positivi in Germania sono circa 125.000.

Vediamo ora i dati italiani, riferiti sempre all'ultima settimana: 140.000 contagi e poco più di 1.000 morti. Gli attualmente positivi sono circa 275.000 e proprio oggi hanno superato sia pure di un soffio il numero complessivo di coloro che a partire dall'inizio della pandemia si sono ammalati e sono guariti.

Questi numeri andrebbero normalizzati per tener conto del diverso numero di abitanti: circa 60, 67 e 83 milioni per Italia, Francia e Germania rispettivamente. L'effetto della normalizzazione non è particolarmente significativo, ma migliora un po' il dato della Germania che è comunque - anche rispetto ai dati assoluti - il Paese che si trova nella situazione un pochino meno critica. Aldilà delle differenze, la tendenza generale è la stessa per tutti i tre Paesi: se non si attuano efficaci politiche di contenimento del virus, l'attuale situazione francese sarà tra qualche giorno quella italiana e dopo una ulteriore settimana quella tedesca.

Mentre in Italia preferiamo fare la politica dello struzzo e perdiamo tempo cercando di annacquare i provvedimenti del tipo "pannicello caldo" introdotti dal recente DPCM, Francia e Germania adottano gli unici provvedimenti che possano dare un risultato concreto in un tempo relativamente breve. L'esperienza di Israele lo dimostra. E non penso che Israele sia un Paese dove le ragioni dell'economia siano trascurate.  

Ricordando sempre che se non dotiamo l'Italia di una reale capacità di tracciamento dei nuovi contagi, anche un lockdown di ampie dimensioni produrrebbe solo un miglioramento effimero.

Se vi può consolare ...

Oggi è stato sfiorato il livello di quasi 25.000 nuovi contagiati. Se vi può consolare, se avessimo continuato con la tendenza mostrata durante le prime due settimane di ottobre, oggi di nuovi contagi ne avremmo dovuti contare circa  30.000. Sappiamo che i dati giornalieri non sono significativi perché soggetti a forti fluttuazioni, ma se mediamo a 7 giorni, si nota che l'aumento più veloce dei contagi è accaduto nella seconda settimana di ottobre (contagi settimanali pari a poco più di due volte quelli della settimana precedente). Attualmente siamo leggermente scesi e stiamo attorno ad un fattore 1,9. Il mitico Totò avrebbe detto "bazzeccole, quisquilie, pinzellacchere!" perché siamo comunque di fronte ad una rapida crescita dei contagi che, a sua volta, produce un aumento dei ricoveri e, tra qualche settimana, si rifletterà anche sul tragico bilancio dei decessi. A questo proposito, nel suo ultimo rapporto, l'Istituto Superiore di Sanità ha aggiornato il calcolo del tempo che passa tra la comparsa dei sintomi ed il decesso (valore della mediana ovvero del tempo che passa perché si verifichi il 50% degli eventi). La stima riferita ai mesi da giugno ad agosto era di 38 giorni. Non è detto che tale stima sia ancora valida, ma è un valore certamente più grande rispetto ai 12 giorni corrispondenti all'analogo calcolo che l'ISS ha fatto considerando il periodo marzo-maggio.

Tornando ai nuovi contagi, probabilmente il piccolo rallentamento registrato nella velocità di crescita  potrebbe essere messo in relazione con l'introduzione di norme più stringenti sull'uso delle mascherine (ci vogliono sempre un paio di settimane prima di vedere gli effetti dei diversi provvedimenti). Non mi aspetto effetti particolarmente significativi perché già prima dell'estensione dell'obbligo, molti usavano abitualmente la mascherina soprattutto nei luoghi più a rischio. Poi se camminate da soli per strada ed il pedone più vicino a voi si trova a 50 metri di distanza capite bene che usare o meno la mascherina non fa una grande differenza. Comunque come si dice "tutto fa brodo!".

Continuo a temere che, malgrado l'introduzione di nuove misure con i DPCM più recenti non ci siano concrete possibilità di riportare rapidamente l'indice di trasmissione del contagio sotto al valore critico pari ad uno. Ma spero vivamente di sbagliarmi!

Fact-checking: è vero che la maggior parte dei morti per Covid sarebbero comunque deceduti - anche senza Covid - nel giro di poche settimane?

A marzo quando soprattutto al Nord Italia contavamo i numerosi lutti associati alla pandemia di Covid-19 girava una voce che tendeva in qualche modo a sminuire la gravità degli eventi sostenendo che le persone decedute erano per la stragrande maggioranza persone in pessime condizioni generali di salute e quindi la pandemia si sarebbe limitata ad accelerare eventi che sarebbero comunque accaduti nell'arco di poche settimane (rileggete i quotidiani locali della scorsa primavera e troverete numerose dichiarazioni di questo tipo). L'effetto è noto agli epidemiologi che lo chiamano "harvesting": la pandemia arriva e raccoglie prioritariamente le vite più fragili. Ma la domanda è: oltre ai più fragili, muoiono anche persone che - senza la pandemia - avrebbero avuto una aspettativa di vita non trascurabile?

La mia idea personale è sempre stata (l'ho scritto a suo tempo in questo blog) che - da un punto di vista statistico - si trattasse di un pietosa bugia per cercare di consolare i familiari delle vittime e, in taluni casi, di un maldestro tentativo delle Autorità politiche e sanitarie per attenuare le loro responsabilità. Ma si trattava di una idea personale o se preferite un pregiudizio. Oggi abbiamo a disposizione i primi dati statistici per verificare come sono andate effettivamente le cose.

I dati provengono da una fonte che abbiamo già usato in passato: il Centro Nazionale di Prevenzione e Controllo delle Malattie (CCM) che opera in collaborazione con il Ministero della Salute. In rete è disponibile il rapporto in cui viene analizzato l'andamento della mortalità in Italia fino all'inizio di settembre 2020.

In particolare, vi mostro il dato relativo ad un campione di città del Nord-Italia (Aosta, Bolzano, Trieste, Torino, Milano, Brescia, Verona, Venezia, Bologna, Genova):

Tratto da Rapporto CCM

Qui sotto vedete lo stesso dato disaggregato per classi di età (sopra i 65 anni) dove si nota - come atteso - che l'effetto è stato più significativo per le persone più anziane.

 

Tratto da Rapporto CCM
 

Le linee tratteggiate che appaiono nei grafici mostrano l'andamento medio della mortalità in Italia misurato negli anni precedenti e le bande colorate che circondano le linee tratteggiate rappresentano l'incertezza statistica associata al valore della mortalità media.

Il picco di marzo-aprile associato alla pandemia di Covid-19 è ben evidente in tutti i grafici. Non è detto che questo eccesso di mortalità sia legato solo ed esclusivamente a persone che abbiano contratto la Covid-19. Il numero di morti in più registrati a livello anagrafico supera di circa il 30% i decessi ufficialmente registrati per Covid-19. Difficile dire quanti di questi decessi in più siano dovuti a casi non diagnosticati col tampone e quanti siano i decessi indiretti legati alla possibile carenza di cure per altri malattie legata alla situazione emergenziale. Comunque sono tutti decessi che - statisticamente parlando - non si sarebbero verificati se non ci fosse stata la pandemia.

Tornando alla nostra domanda originale, cosa ci aspetteremmo se le morti per Covid (che sono la grande maggioranza dell'eccesso dei decessi registrati a marzo-aprile) fossero effettivamente state solo un anticipo di eventi che sarebbero comunque accaduti con poche settimane di ritardo? Una volta calato il picco dei decessi Covid, ci saremmo aspettati un significativo calo della mortalità nei mesi successivi, soprattutto per le persone più anziane.

Se guardate i dati statistici non c'è alcuna evidenza di un "picco negativo" nei mesi estivi. Da maggio fino all'inizio di settembre i decessi registrati in Italia sono stati - al netto delle normali fluttuazioni statistiche - in linea con il valore degli anni precedenti. Questo vuol dire che l'aspettativa residua di vita delle persone decedute per Covid a marzo-aprile era mediamente ben superiore rispetto alle poche settimane. La storiella che tanto muoiono soltanto coloro che sono già comunque in fin di vita non sta in piedi.

 

martedì 27 ottobre 2020

Aggiornamento sui ricoveri: la coperta incomincia a diventare troppo corta

Oggi dall'Alto Adige arrivano tre notizie: a) è stato deciso di ridurre del 30% le prestazioni non urgenti dei reparti non-Covid degli ospedali, b) i tamponi d'ora in avanti si faranno solo ai sintomatici, rinunciando quindi a qualsiasi tentativo di tracciare i contagi e c) è stato avviato un piano straordinario di controlli per cercare di fermare il virus prima che dilaghi nelle RSA, una sorta di Linea Maginot per evitare che anche il numero dei decessi schizzi verso l'alto. Non siamo tornati a marzo, ma ci sono tutte le premesse per tornarci.

Intanto il Presidente Kompactscher, volendo riaffermare che "Südtirol ist nicht Italien" si affanna ad annacquare il già blando DPCM nazionale, facendo finta di ignorare che l'Alto Adige è una delle zone d'Italia dove il virus si sta espandendo con maggiore velocità.

Ma a parte Alto Adige e Valle D'Aosta che in questo momento presentano le situazioni più critiche, tutto il resto dello Stivale non se la passa troppo bene e condivide una tendenza di progressivo forte peggioramento. Sono svanite molte promesse sull'organizzazione di una Medicina territoriale che avrebbe consentito di trattare i pazienti meno gravi a casa e non ci resta che contare il numero dei ricoveri ospedalieri. Senza dimenticare che, a differenza di quanto accadeva durante lo scorso marzo, oggi il virus morde su tutto il territorio nazionale e quindi viene a mancare anche la possibilità che i territori meno colpiti possano aiutare quelli che si trovano nelle situazioni più critiche.

Passiamo ora ai dati: rimane attestato intorno al 6% il rapporto tra le persone ricoverate e gli attualmente positivi. Ricordiamo che, almeno per i casi meno gravi, i tempi di ricovero possono essere limitati a non più di una settimana (molto meno del tempo medio durante il quale un paziente rimane virologicamente positivo). Questo significa che la frazione di persone contagiate che vengono ricoverate è senz'altro superiore al 6%. Di quanto superiore - sulla base di dati pubblicati - non sono in grado di dirvelo.




Notate che le tre curve hanno sostanzialmente la stessa forma, con i minimi estivi che ormai si confondono con lo zero dell'asse verticale. Si nota anche il cambio di regime che si è verificato a fine settembre, imprimendo una forte accelerazione a tutti i parametri considerati. 

Il numero dei ricoveri nei reparti ordinari è un indicatore di non immediata interpretazione. I criteri adottati nelle diverse realtà regionali per decidere se trattare i pazienti meno gravi a casa o in ambiente ospedaliero potrebbero essere diversi e cambiare nel tempo. Quando parliamo di terapie intensive entrano in gioco parametri clinici abbastanza ben definiti ed il dato dei posti occupati è senz'altro più significativo (anche se a volte c'è una certa ambiguità tra ciò che si intende per intensivo o semi-intensivo). Attualmente i malati Covid occupano circa il 20% del numero di posti di terapia intensiva (Covid e non Covid) disponibili in Italia. Sappiamo che è possibile aumentare ulteriormente i posti disponibili, ma non è solo una questione di spazi e attrezzature mediche. Il tempo della corsa disperata ai ventilatori polmonari è storia passata, ma una volta che si aumentano i posti in terapia intensiva serve anche il personale per renderli operativi. Fatalmente si dovrà togliere personale da altri reparti intaccando la funzionalità complessiva degli ospedali.

Il dilemma che rischiamo di trovarci davanti ancora per molti mesi sarà: "Curiamo i pazienti Covid o curiamo gli altri malati?". E parliamo di malati gravi non di cure che possono essere facilmente rinviate di sei mesi o un anno.

Chi sostiene che bisognerebbe lasciare che la Natura faccia il suo corso e preoccuparsi solo dell'economia dovrebbe essere consapevole del problema. Con un ulteriore aumento dei contagi, la richiesta di ricoveri Covid diventerebbe insostenibile e molti pazienti Covid dovrebbero essere lasciati nelle RSA o nelle loro abitazioni private senza ricevere alcuna cura. 

Confesso che - per motivi anagrafici - il mio pensiero è di parte, ma personalmente preferirei sperare di accedere, ove necessario, alle migliori cure senza togliere tale possibilità ad altri malati.