lunedì 30 marzo 2020

Come vanno le cose in Trentino?

Oggi vi presento una breve analisi dello stato di avanzamento dell'epidemia, basato sulla distribuzione territoriale dei casi di contagio ufficialmente rilevati e sui decessi. Da un punto di vista metodologico, questo raffronto andrebbe fatto solo dopo aver acquisito i dati relativi a tutte l''epidemia perché c'è un ritardo temporale (diverso per ciascuna persona) tra il momento in cui avviene il contagio, il giorno in cui il contagio è stato rilevato ufficialmente e, per i più sfortunati, il giorno del trapasso. Ciò premesso e con tutte le cautele del caso, possiamo osservare due cose:

1) Considerare il numero assoluto dei contagi e dei decessi ha scarso significato statistico, soprattutto quando si vuole fare un confronto tra territori diversi. Eppure vedo sovente grafici e titoli di giornale che si focalizzano sui numeri assoluti. Solo se consideriamo le densità (ad esempio, io ho scelto di normalizzare i dati rispetto ad un campione di 10.000 abitanti) possiamo fare confronti che abbiano un qualche significato.

2) Quando abbiamo a che fare con i decessi a livello di singoli comuni del Trentino parliamo, fortunatamente, di numeri piccoli in assoluto. In un post di qualche giorno fa ho spiegato che questi numeri sono afflitti da una indeterminazione statistica intrinseca molto importante. Può sembrare irrispettoso parlare di persone defunte come numeri di una distribuzione di Poisson. Purtroppo la verifica del numero e della distribuzione dei decessi è uno dei pochi parametri che possiamo considerare per cercare di capire cosa sia successo e, soprattutto, per fare previsioni sul prossimo futuro. Con il doveroso rispetto per le persone defunte ed i loro familiari, proseguiamo la nostra analisi che, lo ripeto, è solo parziale e non pretende di fornire conclusioni definitive.

Nei due grafici riportati qui sotto mostro, rispettivamente, l'andamento della densità dei decessi e della densità dei contagi, aggiornata secondo i dati ufficiali PAT del 29 marzo. Sono stati considerati i Comuni che hanno fatto registrare almeno tre decessi, un numero molto piccolo e tutti ci auguriamo che rimanga tale. Ci sono comuni dove la densità dei contagi risulta abbastanza alta, ma per fortuna in quei Comuni i decessi sono rimasti sotto la soglia che abbiamo considerato e quindi non sono inclusi nel nostro grafico. Nei due grafici la linea rossa corrisponde al valore medio dell'intero Trentino che, pur essendo molto peggiore rispetto all'analogo parametro calcolato per il vicino Veneto, si colloca comunque nella parte bassa della scala.
Vediamo quali (parziali conclusioni) possiamo trarre da questa analisi:

1) Il comune di Ledro è la nostra piccola "Bergamo". Purtroppo non sono ancora disponibili i dati disaggregati delle RSA rispetto al resto della popolazione. Sarebbero importanti per confermare l'ipotesi che tutto sia partito da un  focolaio incontrollato che si è diffuso in una residenza per anziani. Notizie di stampa sembrano andare in questa direzione, ma io non posso confermarlo sulla base dei dati ufficialmente disponibili.

2) Le città di Trento e Rovereto, pur essendo i maggiori centri urbani del Trentino, sono ambedue sotto la media provinciale. Anche il dato di Arco, che pure si distingue per densità di contagi, risulta meno grave dal punto di vista dei decessi fin qui accertati.

3) Il caso di Canazei è interessante perché presenta un livello di contagi superiore a quello del focolaio veneto iniziale di Vò Euganeo. I decessi fatti registrare fin qui a Canazei sono comunque la metà, per densità, rispetto a Ledro.

Per pura curiosità ho provato a riportare su un grafico l'andamento della densità dei decessi, rispetto alla densità dei contagi (parliamo ovviamente di contagi ufficiali). Il punto rosso corrisponde al valor medio del Trentino. Le barre orizzontali e verticali indicano l'errore statistico. Sono ovviamente percentualmente più grandi per i comuni più piccoli. Vi prego, non pensate di usare la pendenza della retta (fit lineare dei dati) per trarne una stima della mortalità. Ovviamente ci aspettiamo che dove i decessi siano avvenuti principalmente all'interno di residenze per anziani, a parità di contagi, ci possano essere più decessi. Ma si tratta, lo ripeto, solo di dati parziali e solo alla fine si potranno fare analisi pienamente significative. 
Osservando il grafico, intuiamo come la cattiva performance del Trentino rispetto al Veneto sia stata pesantemente condizionata da quello che è avvenuto nelle Valli (Bassa Valsugana esclusa, direi).

domenica 29 marzo 2020

Aggiornamento 29 marzo

A partire dalla prossima settimana, l'aggiornamento dei dati statistici relativi all'epidemia avrà una cadenza bi-settimanale: il mercoledì ed il sabato sera, a meno che non si verifichino fatti di particolare rilevanza. Spero di avervi convinto che la famosa ricerca del picco è inutile quanto lo fu, a suo tempo, la ricerca del cosiddetto "paziente zero". Il picco lo stiamo passando con tempistiche diverse a seconda del territorio considerato e ormai, a meno di ritorni di fiamma (che tutti speriamo non accadano), nelle prossime settimane assisteremo ad un declino più o meno rapido a seconda di quanto riusciremo a mantenere calma e disciplina. Troverete invece nuovi post focalizzati sulle  problematiche che dovremo affrontare d'ora in avanti. In particolare, discuteremo del punto di equilibrio che è necessario raggiungere tra le esigenze della salute e quelle dell'economia. In altre parole: "È peggio morire di Covid-19 o di stenti?". Senza dimenticare che negli ospedali, ci vorrà ancora molto tempo per uscire dalla fase acuta dell'emergenza e non bisogna mai dimenticare di sostenere chi rischia la vita per curare gli ammalati.

Nota metodologica. Il sito dove sono illustrati i dati della Provincia Autonoma di Trento è stato allargato ed ora contiene anche un file denominato stato clinico con la progressione storica dell’epidemia in Trentino. Il file non è ancora completo e ci sono evidenti incongruenze da correggere (zona superiore della colonna decessi). È stata inserita una colonna denominata RSA, che si riferisce alle persone attualmente positive ricoverate all’interno di RSA. Il dato che bisognerebbe diffondere – a mio parere – è quello relativo al numero complessivo di casi positivi che, ad ogni dato giorno, sono stati riscontrati all’interno delle RSA (ospiti e personale delle RSA). Questo numero, sottratto al numero complessivo di persone identificate come positive in Trentino, ci permetterebbe di separare l’effetto dei contagi avvenuti all’interno delle RSA rispetto a quelli che riguardano il resto della popolazione. Sarebbe anche necessario separare i decessi avvenuti all’interno delle RSA rispetto a quelli avvenuti in abitazioni private e in ambiente ospedaliero. Ci auguriamo che nei prossimi giorni la base dati diventi più robusta.

Partiamo dal confronto del numero attuale di ricoveri e del numero complessivo di decessi fatto registrare in Trentino, Veneto e Liguria. Ricordo, per chi non avesse letto il mio post dello scorso 19 marzo che la curva della densità del numero attuale dei ricoveri è destinata a mostrare un massimo con grande ritardo rispetto a quella dei contagi reali. Infatti le persone che sono attualmente ricoverate sono state contagiate in un arco di tempo che va da un minimo di circa una settimana, a molte settimane fa. Prima che escano dal conteggio le persone devono guarire o (ahimè) passare a miglior vita. Analogamente a quanto succede per i test di positività, anche questa curva soffre di possibili errori sistematici. In particolare, molte Regioni stanno attrezzando area di ricovero “attenuato” dove portare persone che richiedono ancora un certo livello di assistenza medica pur avendo superato la fase critica della malattia. Non è chiaro se - ai fini statistici - queste persone risultino ancora ricoverate oppure no. Poiché la disponibilità di queste strutture è destinata ad aumentare nelle prossime settimane, l’effetto indotto sui dati da noi analizzati potrebbe essere significativo. Nella stessa figura riportiamo la densità dei decessi. Si tratta del numero complessivo e quindi qui non ci attendiamo alcun picco. La curva dei decessi è destinata a crescere. Una crescita meno veloce è comunque segno di un rallentamento dell’epidemia. 

Rispetto a due giorni fa c'è un cambiamento: abbiamo abbandonato la scala semi-logaritmica per passare a quella lineare. È un buon segno. Vuol dire che per la densità dei ricoveri siamo ormai vicini alla zona del massimo, con tutti i limiti e le precisazioni che abbiamo discusso sopra. L'andamento è quello che abbiamo visto nei gironi scorsi: Trentino e Liguria viaggiano appaiati e mostrano dati peggiori rispetto al Veneto. Ormai quel che è fatto è fatto: oggi vediamo gli effetti delle azioni svolte prima della metà del mese di marzo e dobbiamo attendere ancora con pazienza che la situazione evolva. In particolare per il Trentino, una volta esaurito l'effetto della diffusione iniziale del contagio in una parte importante delle RSA, dovremmo avvicinarci a valori meno importanti di quelli liguri dove la popolazione è mediamente molto più anziana di quella trentina.

Riportiamo anche il dato relativo al dato dei nuovi contagi giornalieri (valore assoluto per Trentino, Veneto, Lombardia e Italia). La tendenza ad aumentare il numero di test somministrati aumenta la volatilità di questi dati, ma nonostante questo effetto vediamo che i diversi andamenti vanno nella direzione auspicata.
Sulla consistenza del dato trentino potrei esprimermi con più confidenza se riuscissi a disaggregare il contributo dovuto alla diffusione iniziale del Covid-19 nelle RSA (vedi sopra). Analizzando il dettaglio del dato veneto, è confermata la massima attenzione per Verona dove si ipotizza un significativo flusso di contagi legato ai rapporti con la vicina provincia di Brescia che, assieme a Bergamo, è la zona della Lombardia  dove c'è stata la maggiore diffusione del contagio.

5 settimane e ½ di epidemia: cosa abbiamo imparato?



Sono passate poco più di cinque settimane dall’inizio dell’epidemia di Covid-19 in Italia. Troppo poche per trarre conclusioni complete, abbastanza per capire alcuni punti importanti che ci potranno essere d’aiuto nel prosieguo di questa dura battaglia. Cercherò di elencarli qui di seguito, scusandomi se la brevità sarà privilegiata rispetto alla completezza della discussione.

1) Il tempo non è una variabile indipendente. Soprattutto nella fase iniziale di crescita esponenziale dell’epidemia – quando i contagi raddoppiavano in meno di 5 giorni – l’adozione tempestiva di provvedimenti per la identificazione dei contagi ed il confinamento dei potenziali contagiati è stata determinante per salvare vite umane e per ridurre sensibilmente lo sviluppo complessivo del contagio. Ora che ci avviamo (speriamo) verso la fase calante dell’epidemia il paradigma si ribalta: dovremo ponderare bene le nostre decisioni, specialmente quando si tratterà di allentare le condizioni di limitazione alla mobilità delle persone. All’inizio dell’epidemia troppe decisioni sono arrivate in ritardo perché non si voleva danneggiare l’economia. Nelle prossime settimane potremmo prendere decisioni troppo affrettate sempre per la stessa motivazione. Trovare il giusto equilibrio tra salute pubblica e sviluppo economico è un problema che, pur senza troppo clamore, affrontiamo ogni giorno anche in tempi normali. Ma questi non sono tempi normali e gli errori ci costano molto di più.

2) Ospedali e strutture per gli anziani possono diventare il migliore alleato per il virus. La diffusione iniziale del virus è diventata molto più aggressiva quando il virus si è incistato in strutture sanitarie o in residenze per gli anziani. Abbiamo imparato che presidiare queste strutture a partire dal personale che ci lavora (e rischia la vita) è essenziale per contenere lo sviluppo dell’epidemia. Molti danni sono stati fatti e ahimè non sono più recuperabili. Dobbiamo evitare di ripetere questi errori perché finché ci saranno in giro positivi, soprattutto asintomatici, il rischio di innescare nuovi violenti focolai epidemici sarà sempre presente.

3) Ci siamo fatti cogliere impreparati. Il Sistema Italia ha ampiamente sottovaluto il pericolo e si è fatto cogliere impreparato. Il fatto che altri Paesi occidentali abbiano commesso lo stesso errore è una ben magra consolazione, tutt’al più la potremmo considerare come una “attenuante generica”. La reazione al virus non è stata la stessa ovunque, c’è chi ha reagito con efficacia in tempi stretti e chi ci ha messo di più a capire e ad accodarsi alle migliori pratiche. Speriamo che la gestione della fase calante dell’epidemia sia meno caotica. Sarà necessario attivare procedure che potranno essere differenziate in base alla realtà territoriale ed al diverso livello di rischio delle persone, ma bisognerà al tempo stesso garantire uno stretto coordinamento tra le diverse regioni. Senza il necessario sincronismo, le misure adottate rischiano di perdere d’efficacia. 

4) I numeri su cui abbiamo basato i nostri ragionamenti sono scarsamente credibili. Questa affermazione rappresenta una sorta di corto-circuito logico per un blog come questo che è dedicato proprio ai numeri. Solo alla fine, quando la serie storica dei dati sarà completa ed avremo i risultati di alcune specifiche indagini da fare sul campo potremo valutare quanto i numeri che ci sono stati forniti giornalmente possano essere considerati affidabili. Certamente sono ampiamente sottostimati. Verrebbe da chiedersi se questa sottostima derivi da una scelta politica consapevole per evitare di diffondere il panico tra la popolazione, oppure sia il frutto inevitabile della situazione emergenziale in cui siamo precipitati. Francamente, io non ho una risposta. E comunque, questi sono i numeri di cui disponiamo e dobbiamo cercare di usarli al meglio (senza mai dimenticare quanto ci ha insegnato Claude E. Shannon a proposito della Teoria dell’Informazione).

Segnalazione: editoriale di Luca Ricolfi sulla storia dei tamponi

Oggi vi segnalo un lucido editoriale pubblicato da Luca Ricolfi su "Il Messagero".



Leggetelo, ricostruisce la storia dei tamponi fin dall'inizio con chiarezza e senza risparmiare critiche a chi se le merita.

sabato 28 marzo 2020

Mal comune NON è mezzo gaudio

In un post dello scorso 12 marzo presentavo una breve panoramica dello stato di avanzamento della pandemia in diversi Paesi esteri. Da allora la situazione è drammaticamente cambiata ed oggi molte Nazioni stanno subendo la triste sorte già toccata all’Italia. Per certi versi il cambio più repentino è stato quello della Gran Bretagna che, in una manciata di giorni, ha cambiato completamente le sue scelte sui metodi da usare per fronteggiare la diffusione dell’epidemia (si veda l’interessante commento che è apparso recentemente sulla rivista The Lancet).

Un vecchio detto recitava “mal comune, mezzo gaudio”, ma quando c’è di mezzo una pandemia non è assolutamente vero. In questi giorni abbiamo letto o sentito numerosi interventi di persone che si compiacevano del rapido sviluppo dell’epidemia in Paesi che due settimane fa trattavano l’Italia dall’alto in basso, convinti che la loro supposta superiorità li proteggesse. A mio parere questo atteggiamento è profondamente sbagliato, non solo per ovvie motivazioni di carattere etico-morale. Senza dimenticare che anche noi italiani abbiamo tenuto lo stesso atteggiamento nei confronti della Cina, almeno fino a quando abbiamo scoperto di avere l’epidemia in casa nostra.

Qui vorrei soffermarmi su un punto di vista un po’ diverso. Cercherò di convincervi che maggiore sarà l’espansione – spaziale e temporale – della pandemia, maggiori saranno i danni per tutti, anche per quei Paesi che sono riusciti a spegnere l’epidemia.

Vi risparmio, come al solito, qualsiasi tecnicismo fisico-matematico sui sistemi complessi, privilegiando un taglio semplificato, a costo di apparire banale. L’espansione della pandemia non conviene a nessuno per una lunga serie di motivazioni. Ne elenco alcune, senza pretesa di essere esaustivo:

Maggiore sarà la diffusione della pandemia, maggiore sarà il pericolo dei cosiddetti “contagi di ritorno”. Attualmente è il problema di maggior rilievo per la Cina. Su scala più piccola, Codogno e Vò Euganeo stanno già affrontando lo stesso problema in ambito regionale. Dobbiamo ricordare che, senza poter disporre di un vaccino, nella storia dell’Umanità questa è la prima volta che si cerca di spegnere una pandemia senza aspettare che si formi la cosiddetta immunità di gregge. Se ci riusciremo sarebbe un successo di straordinaria importanza. I contagi di ritorno sono i possibili inneschi per una rinnovata espansione dell’epidemia anche in quei Paesi che ne erano usciti. Quindi il fatto che l’Europa si aggravi, mentre noi stiamo vedendo che le cose incominciano, sia pur lentamente, a migliorare non ci deve procurare alcuna perversa soddisfazione. Anzi, proprio da quei Paesi che oggi sono all’inizio dell’epidemia potrebbero provenire i contagi di ritorno che dobbiamo temere.

Maggiore sarà l’estensione della pandemia, maggiore sarà la scarsità di medicinali, dispositivi e presidi sanitari necessari per affrontarla. Nelle prime settimane dell’epidemia italiana abbiamo assistito alla spasmodica caccia ai respiratori ed alle altre attrezzature necessarie per allestire le postazioni di terapia intensiva. Nelle prossime settimane dovremo preoccuparci di trovare i reagenti chimici necessari per fare i test di positività al virus. La capacità produttiva mondiale è ancora tarata su condizioni normali e non sarà facile assecondare le richieste che arriveranno dai Paesi dove il contagio dilaga. Almeno su questo punto, mi sarei aspettato che l’Europa riuscisse ad attivare in tempi brevissimi un piano che coordini le diverse strutture produttive in modo da rispondere in modo coordinato alle necessità di tutti i popoli europei. Non mi pare che sia successo.

Maggiore sarà l’estensione della pandemia, maggiori saranno le conseguenze negative sul piano socio-economico. Questo vale soprattutto per un Paese come l’Italia dove il contributo dell’esportazione è fondamentale per la sopravvivenza delle nostre aziende grandi e piccole. Noi dipendiamo dall’esportazione, così come la Germania. Pensare che il mercato interno possa sostituire quello estero è pura illusione. Se la pandemia imperversa per il mondo chi si comprerà le auto tedesche ed i prodotti del Made in Italy? Tra un po' dovremo incominciare a preoccuparci di come far ripartire il nostro sistema produttivo, con una epidemia che ha colpito proprio il cuore industriale dell'Italia. Non sarà cosa facile perché, ammesso di riuscire a riprendere la produzione, non è detto che ritroveremo i vecchi clienti. Se tutti si chiuderanno all'interno delle loro forntiere, l'export italiano soffrirà moltissimo. Con una lunga catena di fallimenti e con la conseguente crescita di disoccupazione e disagio sociale.

Fin qui abbiamo enunciato una serie di affermazioni che ci possono apparire semplici o, se preferite, lineari. Potremmo pensare di fare un passo in più, costruendo un modello che ci permetta di valutare quali potrebbero essere i futuri sviluppi dell'epidemia di Covid-19 in Italia, con le connesse ricadute in termini di salute pubblica e andamento dell'economica. In pratica dovremmo scrivere un sistema di equazioni che mettano in relazione fattori endogeni (ad esempio, efficacia del sistema sanitario, restrizioni alla mobilità delle persone, disponibilità di risorse finanziarie, ecc.) rispetto a fattori esogeni (mobilità delle persone  e delle merci da e verso l'estero, andamento della pandemia a livello globale, interventi a livello europeo, ecc.). Scrivere queste equazioni non è semplice. Potremmo partire dall'analisi di quello che è successo fin qui e cercare delle relazioni empiriche, utilizzando anche i metodi di intelligenza artificale oggi disponibili. Una volta che le equazioni sono state individuate dovremmo affidarci ad un computer per effettuare quelle che si chiamano simulazioni. Non pensate di poter fare questo tipo di conti sul PC di casa. Ci vuole un computer bello tosto, ma la cosa è tecnicamente fattibile. La nostra simulazione ci dimostrebbe la complessità del sistema. Qualsiasi azione che noi possiamo immaginare produrrà una molteplicità di effetti, taluni positivi ed altri negativi. Trovare il migliore rapporto tra costi e benefici non è affatto semplice. Come dicevo sempre ai miei studenti "Diffidate da chi vi propone soluzioni semplici per sistemi complessi!". C'è però una cosa che sarà senz'altro confermata dalla nostra simulazione. Qualsiasi siano le scelte adottate all'interno del nostro Paese, i costi (danni alla salute, all'economia e forse anche alla nostra democrazia) saranno senz'altro più alti, se nel frattempo la pandemia non sarà stata bloccata a livello globale. Anche su questo fronte la Cina sta facendo da apripista: ha dovuto affrontare per prima l'epidemia a casa sua ed ora deve gestire i problemi di ritorno legati alla pandemia.

Concludo qui. Ieri il Santo Padre ha pregato per tutti noi, per tutto il mondo. Speriamo che sia stato ascoltato perché è veramente interesse di tutti che questa maledetta pandemia diventi al più presto solo un doloroso ricordo.

venerdì 27 marzo 2020

Aggiornamento 27 marzo

Le paure che erano scattate a Milano ieri sera sono rientrate e oggi il Governatore Fontana sembra più tranquillo. In compenso il Sindaco Sala, secondo notizie di stampa, avrebbe proposto di non comunicare più i dati giornalieri per evitare allarmismi. Ma se i due facessero un mini corso bipartisan di statistica, non sarebbe meglio?

L'aggiornamento sul Trentino parte dal confronto con Veneto e Liguria e segue il formato che abbiamo imparato a conoscere. Le linee continue si riferiscono ai ricoveri ospedalieri, mentre quelle tratteggiate si riferiscono ai decessi. I dati sono normalizzati rispetto ad un campione di 10.000 abitanti.
Le analogie tra Liguria e Trentino sono evidenti e confermano l'andamento già discusso nei giorni precedenti. Ricordando che la Liguria è la regione italiana con il maggiore indice di vecchiaia, possimo ipotizzare che il dato trentino sia stato influenzato dalla propagazione del virus all'interno delle residenze per anziani. Secondo dati di stampa - che non ho verificato personalmente - circa 1/3 delle RSA trentine sarebbero state pesantemente contagiate. Un dato molto preoccupante. In tutta Italia si sono verificati problemi simili. Al momento non  ci sono dati per capire se il caso trentino rappresenti una anomalia rispetto al resto del Paese oppure se i numeri siano più o meno gli stessi anche nelle altre regioni.

Osservando l'andamento dei nuovi contagi giornalieri, non si presentano particolari novità rispetto a quanto avevamo scritto due giorni fa. 
Il dato trentino sembra essere quello che mostra una qualche maggiore evidenza di aver superato il massimo (non ancora completamente confermata dal punto di vista statistico). Purtroppo non dispongo delle informazioni necessarie per disaggregare tra loro i dati delle RSA e quelli del resto della popolazione e posso fare solo delle ipotesi. La propagazione del virus all'interno delle RSA colpite potrebbe essere arrivata a saturazione e quindi non si possono generare nuovi casi, ammesso che si protegga adeguatamente il personale che assiste gli anziani. Non siamo sicuri che sia stato raggiunto il massimo dei nuovi contagi giornalieri anche per il resto della popolazione trentina, comunque il trend così come lo vediamo è abbastanza positivo. Ovviamente una delle priorità è quella di proteggere le RSA trentine dove il virus non è arrivato. In positivo, segnaliamo che è in via di partenza la collaborazione con il Cibio che permetterà di avere un sensibile incremento del numero di test fatti giornalmente.

Analizzando in dettaglio i dati veneti si osserva che, come anticipato due giorni fa, la zona intorno a Verona è quella che attualmente desta maggiori preoccupazioni, sia in termini di nuovi contagi che di decessi. Il rischio di una propagazione verso il Basso Trentino persiste, ma siamo sicuri che la situazione sia attentamente monitorata da parte della Autorità trentine.  

Errore e Pregiudizio

Tranquilli, non voglio infliggervi un pistolotto moralistico su quanto sia ingiusto avere pregiudizi, almeno in condizioni normali. Tutti ne abbiamo, chi più e chi meno. E per tenerceli stretti facciamo largo uso di quella che gli scienziati cognitivi chiamano la memoria selettiva. In altre parole, di fronte alla realtà che è sempre troppo complicata per essere costretta entro la gabbietta dei nostri pregiudizi, diamo molta enfasi agli accadimenti che li confermano, dimenticando rapidissimamente quelli che li confutano. In fondo i pregiudizi sono comodi. Perché perdere tempo a porci domande, analizzare i dati e cercare di fare previsioni attendibili. Meglio avere la risposta pronta, magari con un nemico ben identificato a cui dare sistematicamente la colpa dei nostri guai.

In tempi normali è così, ma questi non sono tempi normali. Le nostre vite sono state stravolte. Molti soffrono e troppe persone a noi care ci lasciano prematuramente. Perché parlare di pregiudizi oggi? Perché i pregiudizi sono comodi, ma ci inducono spesso in errore. In tempi difficili come quelli attuali, i danni prodotti dai nostri errori vengono amplificati e quindi dobbiamo cercare di farne il meno possibile.

Qui di seguito ho provato a fare un elenco – non esaustivo – di come i pregiudizi ci abbiano fin qui mal consigliato. Non è mia intenzione “piangere sul latte versato”, ma nel prossimo futuro potremo fare nuovi errori non meno importanti. È quindi essenziale cercare di capire cosa fare almeno per limitare i danni.

1) Pensavamo che il virus ce lo portassero i cinesi. Convinti, anche se restii ad ammetterlo, di una nostra supposta superiorità razziale abbiamo a lungo creduto che il Coronavirus fosse un problema circoscritto alla Cina ed, eventualmente, ai Paesi vicini. Se analizziamo lo stato di salute dei nostri concittadini di origine cinese è facile verificare come sia mediamente migliore rispetto a quello dei loro vicini italiani. Probabilmente, grazie ai loro contatti diretti con la Cina, erano meglio informati, si sono dotati di sistemi di protezione adeguati e, soprattutto, appena avuto conferma della presenza dell’epidemia in Italia, hanno chiuso le loro attività senza attendere i tardivi provvedimenti delle autorità regionali e nazionali.

I due casi positivi di turisti cinesi identificati a Roma a fine gennaio hanno confermato i nostri pregiudizi. Gli untori saranno certamente cinesi ci siamo detti, e abbiamo provveduto a cancellare i voli diretti con la Cina, convinti di aver individuato la possibile origine del contagio e di averla bloccata. Se in quei giorni qualche politico italiano avesse avuto l’ardire di proporre l’espulsione in massa dei cittadini italiani di origine cinese sarebbe immediatamente schizzato all’insù nei sondaggi.

Ci è mancato anche un pizzico di fortuna, Se, a fine gennaio, un cinese residente in Italia si fosse presentato in un ospedale lombardo con i sintomi della broncopolmonite sarebbe scattato l’allarme rosso e sarebbero state prese immediatamente tutte le misure necessarie. Purtroppo non è avvenuto e sappiamo cosa sia successo dopo.


2) Ci siamo affidati a persone poco capaci. Per anni in Italia ci siamo gingillati con le polemiche sulla “Kasta” e, a furia di sentircelo ripetere, ci siamo convinti che competenza ed esperienza non valessero nulla. Abbiamo buttato a mare in modo indiscriminato una intera classe politica in nome del famoso “cambiamento”. Abbiamo affidato le leve del comando ad una generazione di persone inesperte e, alla prova dei fatti, molte di loro si sono rivelate incapaci di prendere decisioni. Vi ricordate lo slogan “Bisogna cambiare, tanto non potranno fare certamente peggio di quelli di prima!”. Provate a guardarli negli occhi questi nostri governanti nazionali e locali. Tanti – non tutti per fortuna – si atteggiano a novelli Churchill, ma è chiaro come il sole che sono solo dei poveri umarell che non reggono il peso delle loro responsabilità. Spesso manca loro l’umiltà di chiedere aiuto a chi è esperto e di seguirne i consigli. La risposta all’epidemia è stata molto difforme anche in realtà territoriali vicine tra loro, indipendentemente dall’appartenenza politica di questo o quel decisore politico. Il virus è un vero democratico: colpisce chiunque indipendentemente da razza, religione, stato sociale e credo politico. Per combatterlo efficacemente ci vogliono leader che sappiano mobilitare nella loro comunità il meglio delle risorse disponibili, senza preoccuparsi di guadagnare o perdere una manciata di voti. E magari che siano anche disposti a riconoscre i loro errori, facendo un po' di autocritica quando è necessario. Affidarci agli incapaci e agli arroganti  è un lusso che possiamo permetterci solo in tempi normali.

3) Il nemico principale non è il virus, ma il mio avversario politico. Tanti parlano di bene comune e di unità, ma siamo il Paese di Guelfi e Ghibellini e questo irresistibile istinto a schierarci su fronti contrapposti non muore mai. Vi ricordate lo scontro tra governanti locali (di ogni colore) ed il governo centrale prima di arrivare all’adozione dei provvedimenti necessari per il contenimento dell’epidemia? E intanto il contagio procedeva più o meno indisturbato. Chi parte dal preconcetto che l’avversario politico abbia sempre torto e che le sue idee vadano combattute “a prescindere” non fa certamente un buon lavoro per il Paese.

Fin qui è storia, seppur recente. Ma c’è un altro pregiudizio che – secondo me – cova sotto la cenere e che potrebbe produrre seri danni nei prossimi mesi. Oggi sono tutti  spaventatissimi ed i pregiudizi anti scientifici, così diffusi in Italia, sembrano improvvisamente scomparsi. Persino alcuni irriducibili no-vax hanno ammesso – sulla base di contorti ragionamenti – che se ci fosse un vaccino per il Coronavirus se lo farebbero fare. Non sono sicuro che questo atteggiamento si manterrà tra uno, due o più mesi, quando il peso delle restrizioni alla mobilità personale sarà diventato insopportabile e le disastrose conseguenze economiche dell’epidemia saranno evidenti a tutti. Temo che, illudendosi di essere usciti dall'emergenza, molti torneranno a coltivare i loro pregiudizi anti scientifici e riprenderanno fiato le più strampalate teorie complottiste. Qualche avvisaglia di quello che potrebbe succedere l’abbiamo già vista. Temo che nei prossimi mesi la situazione si possa deteriorare, ma spero sinceramente di sbagliarmi.

Perché i dati fluttuano?

Ieri (26 marzo) abbiamo assistito ad una giornata che potrei definire di “delirio statistico”. Nel pomeriggio il Governatore Fontana ci ha fatto partecipi delle sue preoccupazioni a causa dell’aumento dei contagi rilevati in Lombardia. Idea colta al balzo dal circo mediatico che si è subito scatenato sulle ipotesi più pessimistiche. Qualcuno è arrivato a ipotizzare che Milano sia destinato a diventare una sorta di nuova Bergamo e così via.

In questi giorni ho più volte ribadito l’idea che bisogna tenere l’attenzione sempre alta, ma non si possono cogliere trend sulla base di dati temporalmente limitati. Bisogna avere pazienza: non dobbiamo esaltarci per un paio di giorni di dati in ribasso, né deprimerci per una fluttuazione in salita. Siamo così presi dall’ossessione del “picco”, da aver dimenticato (o,  ahimè, non ancora capito) che un conto sono i modelli matematici e un conto sono i dati reali. Madre Natura segue regole ben precise, incurante delle nostre speranze e delle nostre paure. Ma i numeri che vengono raccolti quotidianamente sono il frutto di campionamenti statistici soggetti a fluttuazioni che possono essere percentualmente rilevanti. Quanto siano grandi queste fluttuazioni lo potremo stimare solo alla fine, facendo una analisi complessiva dei dati. Qui mi limiterò a spiegare quali siano le cause principali delle fluttuazioni, senza ricorrere a teoremi matematici, cercando di farmi capire anche grazie a semplici esempi.

Partiamo dal dato dei nuovi contagi, quello che dovrebbe mostrare il famoso “picco”. Credo che oggi tutti siano finalmente coscienti del fatto che il numero dei contagi “ufficiali” sia molto inferiore rispetto a quello dei contagi effettivi. Quanto inferiore non lo sappiamo: potrebbe essere 1/5, 1/10, qualcuno ipotizza che sia addirittura 1/100. Faccio un esempio che non è rigoroso, ma ci aiuta a capire. In pratica è come se stessimo misurando l’altezza della punta di un iceberg in un mare in tempesta per avere un’idea di quanto l’iceberg sia grande. La distanza tra la cima dell’iceberg ed il livello del mare dipende non solo dalle dimensioni dell’iceberg, ma anche dall’altezza delle onde. Ovviamente se l’iceberg si scioglie, mediamente misureremo una altezza decrescente in funzione del tempo. Ma le singole misure potranno fluttuare entro ampi margini.

Ci sono poi da tener presente gli effetti sistematici. Sappiamo che – finalmente – c’è una tendenza ad aumentare il numero di test, abbandonando progressivamente lo sciagurato approccio iniziale che limitava il test ai sintomatici più gravi (a meno che non fossero calciatori di serie A!). Tornando all’esempio del nostro iceberg è come se ci fossero distacchi di ghiaccio dai bordi emersi dell’iceberg, lasciando intatta la punta dell’iceberg. Un po’ come quando fate la punta alla matita, tagliando il legno, ma stando attenti a non spezzare la parte centrale in grafite. La famosa legge di Archimede ci dice che la massa della parte emersa dell’iceberg corrisponde a circa il 10% della massa totale. Se “facciamo la punta” alla parte emersa dell’iceberg, succede che l’altezza della parte emersa aumenti, anche se la massa complessiva dell’iceberg scende. Quindi, dal punto di vista della nostra misura dei contagi otterremo un risultato non confrontabile con i dati dei giorni precedenti.

Una ulteriore importante causa di fluttuazione dei dati giornalieri è legata ai possibili sfasamenti temporali. Sappiamo che il completamento dei test richiede tempi che possono arrivare anche ad alcune ore. Inoltre è facile immaginare che soprattutto dove l’epidemia è esplosa le strutture dedicate all’analisi dei campioni si trovino in condizioni di stress estremo. C’è il rischio che i dati arrivino in ritardo andando a ridurre artificialmente la misura giornaliera, salvo andare a produrre un aumento della misura stessa nel giorno successivo. Se i ritardi fossero costanti non sarebbe un grosso problema, ma temo che non sia così.

Un commento infine sulle fluttuazioni intrinseche dei risultati statistici, con particolare attenzione ai casi in cui il valore sia piccolo in assoluto (diciamo inferiore a circa 100). Prendete nota di questa osservazione perché sarà di importanza cruciale quando finalmente arriveremo nella fase calante dell'epidemia e dovremo decidere come e quanto allentare le restrizioni alla mobilità personale. Salto tutti i dettagli, ma gli studenti volenterosi possono approfondire l’argomento e in particolare studiare come la distribuzione di Poisson possa essere utilizzata per prevedere le fluttuazioni statistiche intrinseche dei cosiddetti eventi rari. Facendo le cose nel miglior modo possibile, assumendo che il valore esatto della quantità che stiamo misurando sia N, da un punto di vista statistico ci aspettiamo che il risultato della nostra misura possa assumere un ampio ventaglio di valori (interi) all’interno di un intervallo che è centrato intorno a N. Quanto ampio? I fisici esprimono i loro risultati nella forma N ± Δ, ovvero non parlano di un valore, ma piuttosto di un intervallo di valori che va da N - Δ a N + Δ. Nel caso di eventi rari si può dimostrare che, ripetendo lo stesso esperimento nelle stesse identiche condizioni, in circa 2/3 dei casi, i risultati dei singoli esperimenti cadranno entro un intervallo di semi-ampiezza Δ = N1/2 (N1/2 altro non è che la radice quadrata di N). Se volessimo ampliare il livello di confidenza, potremmo considerare che in oltre il 99% dei casi (un numero molto vicino al 100%, ma mai il 100%)  Δ = 3 N1/2. Quindi supponendo che sia  N = 25, in circa 2/3 dei casi otterremo un risultato che cadrà entro l’intervallo 20-30, ed in quasi la totalità degli esperimenti  avremo un risultato nell'intervallo che va da 10 a 40. Questo ci fa capire quanto sia difficile, sulla base di un singolo esperimento, attribuire pieno significato statistico a numeri piccoli. Questo fatto pone un limite intrinseco alla nostra possibilità di disaggregare i dati, considerando campioni statistici di dimensioni ridotte.

I fisici sono persone fortunate perché nei loro laboratori possono ripetere i loro esperimenti molte volte fino a che non ottengono dati statisticamente significativi. Lo stesso non vale per gli epidemiologi, soprattutto se gli chiedete di stimare quale è l’andamento giornaliero di una epidemia. L’esperimento è uno solo, irripetibile, e noi siamo contemporaneamente osservatori e cavie. Tuttavia il concetto illustrato sopra è sempre valido. Attenzione ad attribuire significato a cambiamenti che siano dell’ordine di grandezza della radice quadrata del valore misurato!

Morale della favola: dobbiamo tutti avere pazienza. E i fortunati che stanno al sicuro in casa loro e godono di buona salute, se non hanno di meglio da fare, possono studiare la distribuzione di Poisson. È un potente anticorpo contro i virus della cattiva informazione.

giovedì 26 marzo 2020

Decessi e test: una possibile relazione?

Questa sera aggiorno la triste classifica dei decessi, inserendo un nuovo grafico che vorrei portare alla vostra attenzione. Infatti, oltre alla densità di decessi (calcolata come al solito per un campione di 10.000 abitanti) ho cercato di vedere se si potesse trovare una qualche relazione tra densità di decessi e densità di test. Iniziamo senz'altro dal confronto delle densità di decessi tra diverse realtà geografiche. Parliamo ovviamente dei decessi ufficialmente attribuiti all'epidemia. Per i casi non registrati ufficialmente non possiamo dire nulla.
Non ci sono stravolgimenti rispetto al grafico presentato qualche giorno fa, salvo un generale aumento dei valori, che tuttavia non è omogeneo per le diverse realtà regionali. Più interessante, secondo il mio parere, il grafico seguente dove mostro il valore della densità dei decessi in funzione della densità di tamponi fatti. Parliamo di realtà territoriali che, fino ad oggi,  hanno avuto un andamento molto diverso dell'epidemia. La maggior parte dei punti è localizzata entro un cluster identificato tramite una linea blu. Sia pure con significative fluttuazioni osserviamo che per i punti inclusi nel cluster c'è una proporzionalità tra decessi e test. Non è sorprendente perché sono tutte realtà in cui i test sono stati fatti principalmente ai sintomatici gravi e, in taluni casi, solo post-mortem.

Fuori dal cluster, identichiamo tre punti. Il punto grigio scuro è quello della Lombardia, nettamente spostato verso l'alto. Tra l'altro, soprattutto per alcune zone della Lombardia, c'è ormai la certezza che i numeri ufficiali dei decessi siano abbondantemente sottostimati. Se fossero più accurati il punto della Lombardia schizzerebbe ulteriormente verso l'alto, a conferma di una pessima performance che il resto del Paese deve assolutamente evitare di ripetere.

Dalla parte opposta troviamo due punti rosso e verde che corrispondono, rispettivamente all'Alto-Adige e al Veneto. L'Alto-Adige, senza tanto clamore, ha applicato 149 test x 10.000 abitanti di poco inferiori al ben noto caso del Veneto (163 test x 10.000 abitanti). Ambedue i territori mostrano una densità di decessi che si colloca nella fascia più bassa, pur essendo localizzati nel Nord del Paese. Il Trentino (punto azzurro) che confina proprio con Veneto e Alto-Adige, ha una situazione peggiore rispetto ai vicini: circa la metà della densità di test ed il triplo della densità di decessi rispetto al Veneto.


Sarebbe troppo semplice considerare la ridotta densità dei test fatti come unico driver della propagazione dell'epidemia, ma - a questo punto - sorge spontanea la domanda: "Quante vite umane avrebbero potuto salvare i decisori politici delle altre realtà regionali se avessero adottato fin da subito il metodo scelto dalla Regione Veneto?"

Aggiornamento: contiamo veramente tutti i decessi da Coronavirus?

© Cancelli & Foresti, 2020
 
La risposta è "certamente no" e questa affermazione viene confermata da un interessante studio curato da Claudio Cancelli e Luca Foresti che è descritto nella edizione odierna del Corriere della Sera. Gli Autori, entrambi fisici di formazione, hanno effetuato una analisi della mortalità registrata nel Comune di Nembro (BG) in questo primo scorcio d’anno confrontandola con l’andamento degli anni precedenti. Il succo del discorso è riassunto nella figura mostrata sopra. Si vede che l’andamento dei decessi registrato quest’anno (linea rossa) presenta un grande picco che si distacca nettamente rispetto all’andamento degli anni precedenti (linea blu). Ufficialmente, nello stesso periodo, sono state registrate un certo numero di morti da Coronavirus che sono mostrate dalla linea gialla. I valori registrati dalla linea gialla sono sistematicamente inferiori rispetto al picco evidenziato dalla linea rossa. Questo andamento conferma quanto si diceva da alcuni giorni rispetto ad una anomalia del numero di decessi da Coronavirus registrati nella Bergamasca durante il mese di marzo.

La spiegazione più plausibile è che la situazione di emergenza abbia costretto le Autorità sanitarie a limitare fortemente i ricoveri nelle strutture ospedaliere che erano sottodimensionate rispetto alle effettive esigenze. Molti sono morti in casa, senza neppure un tampone post-mortem e sono sfuggiti alle statistiche. Non aver accertato tutti i possibili contagi è stata una scelta voluta per ingannare l'opinione pubblica oppure è stata una scelta obbligata perché si è preferito usare i pochi test disponibili per i vivi? Sinceramente non saprei rispondere. Sarà compito della Magistratura, a tempo debito e con il necessario distacco, valutare se ci siano state responsabilità di rilevanza penale.

Cancelli & Foresti, partendo dall’analisi dei dati del Comune di Nembro, deducono che il numero di morti da Coronavirus sia stato superiore per circa 4 volte rispetto a quello comunicato ufficialmente dalla Regione Lombardia. Facendo analoghe valutazioni per altre realtà territoriali gli Autori ottengono risultati simili, con un massimo pari a circa 10 per il Comune di Bergamo.

I risultati di questo lavoro rappresentano solo l’inizio di uno studio che bisognerà sviluppare nei prossimi mesi per capire quali siano stati i danni effettivi prodotti dall’epidemia. Bisognerà analizzare una grande massa di dati, cercando di disaggregarli sulla base delle diverse cause di morte. Qui mi limito ad elencare alcuni aspetti che dovranno essere considerati. L’eccesso di morti registrati all’anagrafe rispetto ai decessi accertati come casi di Coronavirus potrebbero, in parte, essere dovuti ad un effetto secondario dell’epidemia. Quante persone hanno rinunciato a presentarsi al pronto soccorso per paura del contagio e magari sono morte per un infarto che, preso per tempo, avrebbe avuto una prognosi non infausta? Quante persone, pur essendosi presentate negli ospedali sono state rimandate a casa senza ricevere la necessaria attenzione?. Medici e infermieri hanno fatto l’impossibile lavorando in condizioni di gravissima emergenza, ma non è sicuro cha abbiano potuto garantire la necessaria qualità delle cure mediche. Una seconda considerazione deriva dal fatto che la riduzione della mobilità personale, avrebbe potuto salvaguardare vite umane, indipendentemente dai problemi legati al contagio. Ad esempio, se estendiamo la valutazione ad un periodo di tempo abbastanza lungo, ci potrebbe essere stata una riduzione dei decessi legati al traffico e all'inquinamento atmosferico. In altre parole, la base da cui misurare il picco potrebbe essere più bassa rispetto alla media degli anni precedenti. Riassumendo, l’ordine di grandezza che ci aspettiamo di trovare è quello indicato nello studio di Cancelli & Foresti, ma questo è solo l’inizio di un lungo e complicato lavoro di analisi dei dati che dovrà essere fatto per molte realtà territoriali del Nord Italia (e speriamo sinceramente di non doverlo estendere ad altre parti del Paese).

Un commento finale sul possibie utilizzo dei dati relativi ai decessi per Coronavirus come una sorta di proxy (sia pure ritardato) per la curva dei contagi reali. Il problema di contare tutti i decessi di persone che siano positive al Coronavirus è stato già discusso in post precedenti. Un piccolo passo per cercare di capire qualcosa di più sarebbe quello di disaggregare il dato dei decessi separando quelli avvenuti presso le strutture ospedaliere, rispetto a quelli avvenuti altrove (abitazioni private, comunità, RSA, ecc.). Quando si disaggregano i dati i valori assoluti si riducono e la distribuzione di Poisson “pesta” sempre di più. Non è detto che i dati disaggregati mostrino un sufficiente rapporto segnale/rumore, ma vale la pena comunque di tentare una analisi più approfondita.

mercoledì 25 marzo 2020

Aggiornamento 25 marzo:

Oggi presenterò i dati in un modo leggermente diverso rispetto a quanto fatto nei giorni precedenti. In un post pubblicato ieri ho cercato di spiegare come, superata la fase iniziale di espansione esponenziale dell’epidemia, non abbia più senso parlare di tempo di raddoppio dei contagi. Evidentemente ho perso un po’ delle mie capacità didattiche. Questa mattina sono sobbalzato quando ho letto su un  sito web trentino che attualmente il tempo di raddoppio dei casi in Cina sarebbe di 895 giorni. Avete letto bene, proprio 895 giorni neppure arrotondato a 900 che comunque sono sempre circa due anni e mezzo. Il significato di questa previsione è il seguente: analizzando i pochi casi residui registrati in Cina (che sono la coda di una distribuzione) si pretende di dedurre cosa potrebbe succedere in Cina tra due anni e mezzo. Una vera sciocchezza dal punto di vista statistico e anche del comune buon senso!

Passiamo ora a qualche numero un po’ più credibile. Partiamo dall'osservazione che ormai, almeno per le regioni del Nord Italia, la crescita non segue più l'andamento esponenziale tipico dell'inizio dell'epidemia, ma siamo nella zona del flesso della curva dei contagi totali. Abbandoniamo quindi la discussione dei dati relativi ai contagi totali (li rivedremo alla fine per una analisi ex post) e concentriamoci sui dati relativi ai nuovi contagi giornalieri. I contagi giornalieri sono affetti da errori di misura percentualmente rilevanti, sia perché i numeri non sono per fortuna molto grandi, sia soprattutto a causa dei ritardi di comunicazione che portano ad attribuire erroneamente ad una certa giornata meno contagi, salvo attribuire un eccesso di contagi nel giorno successivo. Ci aspettiamo quindi una certa volatilità dei dati. Ricordiamo che i dati relativi ai nuovi contagi giornalieri sono quelli che dovranno mostrare il famoso “picco”. Francamente non posso dirvi se oggi siamo qualche giorno prima o qualche giorno dopo il picco. Certamente abbiamo abbandonato la zona di espansione esponenziale dell’epidemia (parlo sempre delle regioni del Nord. Per il resto del Paese non ho ancora avuto tempo per fare analisi dettagliate e quindi non mi esprimo). Le prime zone rosse identificate all’inizio dell’epidemia (Vò Euganeo e Codogno) sono ormai ben oltre il picco ed i nuovi casi sono quasi azzerati. Il principale problema, per quelle aree, è semmai quello dei contagi di ritorno, analogamente a quanto succede attualmente in Cina.  

In realtà dovremmo disaggregare i dati regionali su base territoriale e analizzare i dati specifici di ciascun territorio. Quando mostriamo dati aggregati su base regionale (ancor peggio se sono dati nazionali!) mescoliamo curve che possono essere sfasate tra loro anche di molti giorni. Chi fa analisi di dati conosce bene questo effetto che tende ad appiattire il picco trasformandolo in una sorta di plateau.

Sempre riguardo all’andamento dei nuovi contagi giornalieri, ricordiamo che l’attuale tendenza a seguire l’esempio virtuoso del Veneto (aumento del numero dei test) porterà fatalmente a trovare un numero crescente di nuovi contagiati (se li cerchi, li trovi! Su questo tema si veda anche l'interessante contributo del collega Roberto Battiston). Se a questo si aggiungono le incertezze dovute alle fluttuazioni statistiche e agli errori di misura sistematici, capiamo che la curva seguita dai dati ufficiali potrà essere molto diversa rispetto a quanto previsto dai modelli teorici. Ad esempio, la Regione Lombardia oggi ha riconosciuto un errore di comunicazione relativo ai giorni precedenti, che ha comportato una sostanziale fluttuazione di alcuni dati giornalieri lombardi (e nazionali). Morale della favola: del famoso picco di cui tutti parlano avremo certezza solo dopo che lo avremo passato da molti giorni. Possiamo quindi commentare che come era prematuro, due giorni fa, far festa per due giorni di dati che andavano nella giusta direzione, oggi non ci dobbiamo deprimere se gli ultimissimi dati non vanno sempre nella direzione auspicata.

Più interessante, secondo il mio parere, l’aggiornamento sulla curva dei ricoveri (tutte le persone attualmente ricoverate, indipendentemente dal giorno di ricovero) e dei decessi di Veneto, Trentino e Liguria. Il confronto con il Veneto è, al momento, il benchmark di riferimento per capire l’andamento dell’epidemia. Anche per il Veneto ci sono grosse differenze territoriali. Nei giorni più recenti i dati meno positivi arrivano dalla zona del Veronese. C’è il sospetto che questo sia dovuto ai contatti con la vicina Provincia di Brescia che, assieme a Bergamo, è una delle zone più critiche della Lombardia. Questa non è una buona notizia per il Basso Trentino e ci fa capire quanto sia importante rispettare le regole che limitano la mobilità delle persone.



Vediamo che anche i dati degli ultimi due giorni confermano un andamento divergente tra Veneto da una parte e Trentino e Liguria dall’altra. L’argomento è già stato discusso in post precedenti. Liguria e Trentino hanno subito un effetto di diffusione del contagio per via turistica (c’erano lombardi che sono andati a svernare al mare e chi è venuto a sciare). Le linee continue mostrano il numero dei ricoveri ospedalieri (normalizzato rispetto ai residenti). L'andamento è simile per Liguria e Trentino, peggiore rispetto a quello del Veneto. Questo è confermato dal numero dei decessi (linee tratteggiate). Il dato trentino si sta avvicinando progressivamente a quello ligure, ma il maggior numero di decessi fatto registrare in Liguria potrebbe essere spiegato su base demografica (maggiore indice di vecchiaia in Italia). Probabilmente il dato trentino dipende dalle carenze fatte registrare all'inizio della epidemia nella protezione delle residenze per anziani. Una analisi più dettagliata rispetto all’andamento dei decessi in diverse regioni italiane è discussa in un post rilasciato ieri sera.

La curva del numero delle persone ricoverate segue l’andamento dei contagi reali con molto ritardo. Prima di vedere un declino del numero complessivo dei ricoverati, bisogna non solo ridurre i nuovi ricoveri, ma bisogna attendere che le persone guariscano (o ahimè muoiano). Una qualche speranza potrebbe venire dalla Regione Veneto dove l’incremento dell’occupazione dei posti in terapia intensiva sembra essere essere vicino al massimo.  Tuttavia, per poter fornire qualche informazione più dettagliata sarebbe utile poter disporre dei dati relativi ai nuovi ricoveri giornalieri (oggi sono comunicati solo quelli relativi al numero complessivo dei pazienti ricoverati). Ammesso e non concesso che i criteri di ricovero non cambino nel tempo, potremmo approssimativamente dire che i nuovi ricoveri corrispondono tentativamente ad 1/5 di contagi avvenuti circa 10 giorni prima. Quindi, sia pure con un certo ritardo, il famoso picco lo dovremmo vedere anche sul numero dei nuovi ricoveri giornalieri. Il risultato non sarebbe condizionato dalla caccia all’asintomatico come nella misura dei nuovi contagi. Quanto al ritardo temporale rispetto al dato “vero” ci aspettiamo che anche i nuovi contagi ufficiali mostrino un ritardo simile a quello dei nuovi ricoveri perché spesso il test ed il ricovero avvengono più o meno allo stesso istante.

Per quanto riguarda la distribuzione dei casi di positività all’interno del territorio trentino, non aggiorno i dati perché l’APSS in collaborazione con la Fondazione FBK ha reso disponibile una specifica infografica: https://covid19trentino.fbk.eu/ Se usasse una scala a colori invece che monocromatica il sito sarebbe di lettura più agevole (almeno per me!), ma è comunque completo ed è costantemente aggiornato. Qui mi limito ad osservare che il Comune di Canazei (ed altri 5 comuni trentini) hanno ormai raggiunto o superato la densità di casi rilevati a Vò Euganeo (circa 250 casi x 10.000 abitanti), con la differenza che a Vò Euganeo sono stati contati tutti i contagiati, anche se asintomatici. Temo che nei focolai trentini il numero dei contagi sia sottostimato, ma non ho elementi per quantificare la possibile differenza rispetto al dato reale. Nei prossimi giorni conto di pubblicare uno studio più approfondito sull'evoluzione dell'epidemia dove sono localizzati i tre principali focolai trentini.

martedì 24 marzo 2020

Una triste classifica

Ecco un piccolo aggiornamento relativo alla ditribuzione dei decessi da Coronavirus, calcolata come numero di casi per ogni 10.000 abitanti. I dati sono aggiornati al 24 marzo
Il fatto che la Lombardia sia stata la regione che ha fatto registrare più decessi è cosa nota. Ricordo che questo è un dato calcolato a livello regionale. Se facessimo lo stesso conto per la provincia di Bergamo otterremmo un valore molto più alto. La provincia di Bergamo conta circa un decimo degli abitanti di tutta la Lombardia e la mappa dei decessi lombardi è molto disomogenea. Sappiamo inoltre che attualmente nella provincia di Bergamo molte persone anziane muoiono nelle loro abitazioni o nelle case di riposo senza neppure esere sottoposte a test e queste morti sono ignorate dalle statistiche ufficiali. Secondo notizie ampiamente riportate dalla stampa e mai smentite, intorno a metà marzo la sola città di Bergamo ha registrato 330 decessi per settimana, contro un valor medio degli anni precedenti, pari a 26 decessi. Purtroppo i dati distribuiti dalla Regione Lombardia forniscono i valori disaggregati solo per i contagi, ma non per i decessi.

Limitandoci ai dati lombardi aggregati, assumendo una mortalità pari a circa il 4%, potremmo stimare che questi decessi corrispondano ad una platea di 100 contagiati per ogni 10.000 abitanti. Assumendo ancora che il decesso avvenga mediamente 4 giorni dopo l'accertamento di positività al virus, questo significherebbe che questo livello di contagi corrispondeva allo scorso 20 marzo. Secondo i dati ufficiali quel giorno in Lombardia risultavano circa 22.000 persone positive al virus, ovvero 22 contagiati per ogni 10.000 abitanti. Il numero dei contagiati reali potrebbe essere circa 5 volte superiore rispetto ai casi ufficiali.  

Nel confronto tra i dati regionali, appare evidente l'ottimo risultato conseguito fin qui dal Veneto. La densità di decessi in Veneto è inferiore a 0,5 casi per ogni 10.000 abitanti, un decimo rispetto alla Lombardia e meno della metà del dato trentino. Ricordiamo che il Veneto ha affrontato l'epidemia di Coronavirus fin dallo scorso 21 febbraio perché l'identificazione del focolaio di Vo' Euganeo è avvenuta praticamente in simultanea rispetto a quello di Codogno.  La differenza del diverso impatto dell'epidemia tra Lombardia e Veneto non può essere spiegata in base ai dati demografici. Infatti l'indice di vecchiaia (rapporto tra popolazione over 65 rispetto ai giovani, 0-14 anni) è pari a 165,5 e 172,1 per Lombardia e Veneto, rispettivamente (fonte ISTAT). La media italiana è 173,1 ed il picco di popolazione anziana si registra in Liguria dove l'indice sale a ben 255,8. Nella provincia di Bergamo l'indice di vecchiaia (pre-Coronavirus) era 145,2 nettamente inferiore rispetto alla media lombarda e purtroppo ci aspettiamo che si abbasserà sensibilmente quando sarà ricalcolato alla fine dell'epidemia. Non sono un esperto della materia, ma le ipotesi che ho sentito circa una possibile mutazione del virus che lo avrebbe reso più aggressivo in terra lombarda mi sembra francamente campata in aria, anche per la vicinanza territoriale tra Veneto e Lombardia.

A mio parere la spiegazione è molto più semplice. Ritengo che il Veneto abbia saputo adottare scelte migliori e più tempestive. Sottovalutazioni, condizionamenti di natura economica, ritardi ed incapacità organizzativa hanno comportato per altre regioni un conto più pesante in termini di malati e deceduti.

Approfondimenti: quanto resiste il Coronavirus in aria e sulle superfici solide?

Il tema è stato oggetto di grandi discussione, in particolare per le questioni legate alla cosiddetta distanza di sicurezza che dobbiamo tenere quando stiamo in un ambiente chiuso. Recentemente il New England Journal of Medicine (NEJM) ha pubblicato un articolo che potrete trovare qui (in lingua inglese):

N. van Doremalen, et al. "Aerosol and Surface Stability of SARS-CoV-2 as Compared with SARS-CoV-1"

L'articolo fa chiarezza sulla resistenza del virus quando si trova disperso nell'aria tramite aerosol, o quando viene depositato su superfici solide di vario tipo. I valori del tempo medio entro cui la carica virale si dimezza vanno da circa mezz'ora per il virus sospeso in aria in forma di aerosol (goccioline di dimensioni microscopiche) fino a 6-7 ore per il virus depositato su materiali come acciao inox e plastica. I valori non sono molto diversi da quelli rilevati per virus analoghi (SARS-CoV-1). 

I risultati di questo studio confermano l'importanza di rispettare le norme di comportamento ed in special modo quelle relative al lavaggio frequente ed accurato delle mani. Dobbiamo sempre ragionare pensando che le superfici che tocchiamo al di fuori della nostra abitazione siano potenzialmente infette.

Il fatto che il virus si possa efficacemente propagare per via area sotto forma di aerosol ci fa capire quanto il semplice rispetto della distanza di sicurezza pari ad almeno un metro non basti a proteggerci dal contagio in caso di una lunga permanenza al chiuso in compagnia di persone contagiose, anche asintomatiche. Come ricordato in un post precedente, la normale espirazione, anche in assenza di tosse e raffreddore, comporta l'emissione di goccioline dotate di carica virale che possono diffondersi utilizzando questo canale In questo caso servono senz'altro mascherine con un adeguato livello di protezione.

Come fanno notare gli Autori, i risultati mostrati in questo lavoro sono importanti per valutare il rischio di trasmissione del  SARS-CoV-1 (coronavirus) specialmente in ambienti critici come quelli ospedalieri.


Le trappole della Statistica

La Statistica si illude di costringere la Natura entro i suoi modelli,
ma la Natura ignora la Statistica e fa quello che vuole

L’arrivo (speriamo presto confermato) del tanto atteso picco dei nuovi contagi giornalieri cambia radicalmente l’approccio che dovremo seguire per analizzare il flusso dei dati che arriveranno nelle prossime settimane. Alcune approssimazioni che avevano senso durante la fase iniziale dell’epidemia non sono più valide e possiamo finalmente tentare di dare una prima grossolana stima dei danni complessivi che ci aspettiamo di registrare alla fine dell’epidemia. In questo post cercherò di delineare quale potrebbe essere una possibile strategia per la futura analisi dei dati.

Partiamo da un parametro che ormai ci è familiare perché lo abbiamo monitorato costantemente durante le settimane precedenti: il tempo di raddoppio dei casi. Questo parametro è molto importante nella fase iniziale dell’epidemia, quando ancora non sappiamo dove andremo a parare. Oggi, superato il massimo dei contagi giornalieri, possiamo già dire che – a meno di  improbabili recrudescenze dell’epidemia (che tutti speriamo non ci saranno!) – tutti i nuovi casi di contagio che avverranno nelle prossime settimane saranno inferiori rispetto ai casi accumulati fino ad oggi. Quanti di meno, dipende da quanto saremo capaci a ridurre R0 il più possibile vicino a zero (vedi post di ieri dedicato alla durata dell’epidemia). È facile capire che a questo punto non ha più senso domandarci quanto sia attualmente il tempo atteso per il raddoppio dei contagi perché alla fine dell’epidemia certamente il numero complessivo dei casi sarà minore del doppio dei casi contati fino ad oggi. In altre parole, salvo recrudescenze dell’epidemia, al raddoppio non ci arriveremo mai.

Vediamo ora un semplice esempio matematico che ci permette di capire meglio quanto espresso sopra. Per descrivere l’andamento dell’epidemia userò la cosiddetta funzione logistica. Eviterò la matematica e mi limiterò a mostrare i risultati. I più esperti potrebbero obiettare che è un grave errore concettuale pensare di utilizzare una semplice equazione logistica per descrivere l’andamento dei contagi in una epidemia durante la quale sono cambiate, nel corso del tempo, le condizioni di propagazione del contagio senza attendere il famoso “effetto gregge” (presenza crescente di guariti nella popolazione). Personalmente ritengo che, almeno in parte, l’effetto gregge ci sia stato, specialmente in talune zone della provincia di Bergamo. Questo però lo sapremo solo dopo una attenta analisi della presenza di anticorpi nella popolazione. Comunque l’obiezione è giusta. L’approccio è grossolano e sovrastima i nuovi casi che registreremo da ora in avanti, ma il modello è semplice e ci fa comunque capire come vanno le cose.


Nella figura che segue riportiamo tre informazioni relative all’epidemia calcolate con il modello logistico: numero complessivo dei contagi, nuovi contagi giornalieri e tempo di raddoppio dei contagi complessivi, T2. La linea tratteggiata verticale indica il momento in cui il numero dei nuovi contagi giornalieri raggiunge il massimo, corrispondente al punto di flesso della curva dei contagi complessivi.


La cosa interessante da notare è che l’andamento del tempo di raddoppio dei casi cresce, sia pure lentamente per tutta la durata iniziale dell’epidemia, quella che nel nostro grafico appare come una linea retta. È più o meno quello che abbiamo osservato durante le due scorse settimane. Il tempo di raddoppio diverge quando si ci avvicina al punto di flesso della curva dei contagi complessivi (linea nera tratteggiata verticale). A destra della linea tratteggiata verticale il tempo di raddoppio non è mostrato semplicemente perché non è più calcolabile. Infatti arrivati al punto di flesso abbiamo accumulato la metà di tutti i contagi che conteremo alla fine dell’epidemia. Passato quel punto, non ha più senso chiederci quanto tempo ci vorrebbe per un ulteriore raddoppio perché un ulteriore raddoppio non potrà mai verificarsi.


Nel mondo reale, non trattiamo funzioni matematiche ma dati sperimentali con i loro errori sistematici e le loro fluttuazioni. Finché siamo nella fase esponenziale dell’epidemia ha senso calcolare il tempo di raddoppio mediando su un congruo numero di giorni in modo da evitare di dare troppa importanza alle fluttuazioni dei dati. Quando ci avviciniamo al flesso della curva dei contagi complessivi le valutazioni di T2 diventano poco affidabili perché o siamo in presenza di una divergenza oppure l’abbiamo già passata e siamo in una zona dove (fortunatamente) non ha più senso parlare di tempo di raddoppio. Quindi da ora in poi, abbandoniamo le stime dei tempi di raddoppio, augurandoci di non doverle più calcolare.

Passiamo ora ad un altro argomento. Nei giorni scorsi abbiamo discusso di come si possa fare una valutazione sia pur tardiva del numero effettivo dei contagi, valutando il numero dei decessi e quello delle persone che hanno avuto necessità di un ricovero ospedaliero. Questa valutazione parte dalla ipotesi che tutte le persone che abbiano necessità di essere ricoverate in ospedale siano effettivamente accolte. Difficile sostenere che questo sia vero perché talvolta si preferisce assistere a domicilio le persone in condizioni critiche che abbiano una scarsissima probabilità di trarre beneficio dalle cure che possono essere praticate nelle strutture ospedaliere e, in particolare, nelle terapie intensive. La situazione si sta complicando ulteriormente perché in questi giorni molte regioni stanno organizzando strutture per accogliere persone ancora contagiose, ma che abbiano superato la fase critica della malattia. Non chiamiamo queste strutture “lazzaretti”, ma più o meno l’idea è quella. Queste iniziative sono importanti perché il picco dei ricoveri ospedalieri avverrà in ritardo rispetto al picco dei nuovi contagi giornalieri e se non si liberano i posti occupati dai malati ricoverati nelle settimane precedenti la situazione potrebbe farsi ancora più critica di quanto non sia già adesso. Ai fini statistici però registreremo senz’altro delle forti anomalie sui dati che andremo ad analizzare. Ad esempio, a Genova è stata attrezzata a tempo di record una nave ospedale dove è già iniziato il trasferimento di pazienti non gravi che erano ricoverate nei nosocomi cittadini. Ci aspettiamo quindi nei prossimi giorni una riduzione del numero delle persone che risultano ufficialmente ricoverate in ospedale, ma tale riduzione non potrà essere correlata all’andamento dei contagi.


Che informazione ci vorrebbe per poter capire meglio cosa succede? In questi momenti tragici può sembrare irrispettoso porsi questa domanda. Non sono solo numeri, ma sono persone che soffrono e talvolta muoiono. Bisogna però capire che avere dati affidabili non serve solo per la curiosità degli statistici, ma serve piuttosto per valutare l’efficacia delle azioni di contenimento del contagio e per capire quando tali azioni potranno essere rese meno rigide. Tra tutti i dati disponibili quello che, a mio avviso, potrebbe fornirci più informazioni, è quello dei nuovi ricoveri giornalieri. Attualmente viene fornito il dato delle persone attualmente ricoverate, dato che risente di entrate ed uscite, ma i dettagli sulle entrate non sono noti (o meglio, qualcuno li ha, ma non vengono pubblicati). Bisognerebbe anche sapere quale è il numero dei nuovi contagiati che, pur essendo in gravi condizioni, non vengono ricoverati per i motivi che ho illustrato sopra. Con questi numeri si potrebbe tentare una valutazione del numero effettivo di nuovi contagi, sia pure con un ritardo di circa 10 giorni rispetto ai dati reali. Vedremo nei prossimi giorni se sarà possibile effettuare questa analisi.





lunedì 23 marzo 2020

Aggiornamento 23 marzo: vediamo la luce in fondo al tunnel?

La battuta girava molti anni fa, ai tempi della guerra in Vietnam. “Vedo la luce in fondo al tunnel” dichiarò un alto ufficiale americano pochi giorni prima di una disastrosa offensiva dei vietcong. “Peccato – aggiunsero alcuni – che non era la fine del tunnel, ma il faro della locomotiva che gli stava venendo addosso”.

Ieri e ancora di più oggi, i dati diffusi a livello sia locale che nazionale ci fanno intravvedere dei segnali incoraggianti. Troppo presto per cantare vittoria. In un post di questa mattina ho mostrato come, ammesso di essere arrivati al massimo dei nuovi casi di positività giornalieri (personalmente credo che sia così), ci attende ancora una lunga battaglia ed è necessario non solo tenere duro, ma anche implementare al più presto tutte quelle misure di contenimento del contagio sulle quali ancora ci sono grosse carenze.

Prima di presentare i dati elenco, qui di seguito, tutti i problemi che limitano l’affidabilità dei dati statistici e quindi rendono più deboli le previsioni. 
  1. Sulla consistenza dei dati relativi ai contagi “ufficiali” abbiamo discusso a lungo. Sappiamo che questi numeri rappresentano solo la punta di un iceberg sulle cui reali dimensioni ci sono valutazioni sensibilmente differenti. Le tendenze temporali hanno senso solo se assumiamo che i criteri adottati nell’applicazione dei test non siano stati cambiati nel tempo. Paradossalmente, l’attuale tendenza a seguire il meritorio approccio veneto incrementando il numero dei test, porterà nel breve periodo a trovare un numero di contagi crescente che potrebbe differire sensibilmente – come tendenza temporale – rispetto ai contagi reali. Come già detto “Se li cerchi li trovi”.
  2. Anche sui dati dei ricoveri e dei deceduti, apparentemente più oggettivi, ci sono molte incertezze. Ormai è pratica diffusa, anche in Trentino, non ricoverare i pazienti molto anziani e più deboli, coscienti del fatto che anche il trattamento in terapia intensiva servirebbe a poco per aumentare le loro probabilità di sopravvivenza. Scelta tragica, ma purtroppo razionale. Clamoroso il dato fatto registrare a Bergamo la scorsa settimana, dove la grande maggioranza dei decessi è avvenuta a casa. Molti di questi decessi non sono stati neppure conteggiati come casi di Coronavirus. 
Ciò premesso, vediamo cosa è cambiato rispetto all’ultimo aggiornamento di due giorni fa. Il grafico sui contagi totali, calcolati dall'inizio dell'epidemia, non ci dice ancora molto, anche se abbiamo rivisto in aumento la valutazione dei tempi di raddoppio, ricalcolati in accordo ai punti più recenti della serie.

Più significativo il grafico relativo ai nuovi contagi giornalieri:
Per la prima volta da quando seguiamo questo andamento abbiamo per due giorni consecutivi una riduzione di tutti e quattro i conteggi che stiamo monitorando. Parafrasando il noto proverbio "Una rondine non fa primavera" potremmo dire che in Statistica "Due punti non determinano una tendenza". Quindi ci vuole ancora qualche giorno prima di fare valutazioni più affidabili, ma certamente questo è quello che ci aspettavamo di trovare a due settimane circa dall'attivazione delle misure di restrizione della mobilità personale. Prudenza quindi, ma anche speranza.

Aggiorno anche il dato relativo ai ricoveri ospedalieri e ai decessi. Sulla consistenza del dato trentino non mi esprimo. C'è una costante differenza tra i dati presenti nel database della APSS di Trento e quelli comunicati a livello nazionale. Continuo a non capire la motivazione di queste incongruenze. Il dato ufficiale APSS certificherebbe che tra ieri ed oggi il numero dei ricoverati sia diminuito da 287 a 206 unità. Sarebbe una riduzione clamorosa. Speriamo che sia così. In tal caso sarebbe comunque utile trasmettere gli stessi dati a livello nazionale.
Vediamo che questo grafico non mostra significativi cambi di tendenza, a parte il dato relativo ai ricoveri in Trentino di cui ho discusso sopra. Ci aspettiamo che ci sia un certo ritardo, specialmente con i decessi. Per i ricoveri, una volta superata la fase più critica, potrebbero cambiare i criteri adottati per selezionare i pazienti da ospedalizzare e questo renderebbe più difficile la lettura dei dati.

Quanto durerà ancora?

Una volta arrivati al numero massimo di nuovi contagi giornalieri, qualcuno potrebbe illudersi che la situazione sia ormai sotto controllo e che le cose possano tornare alla normalità in un tempo relativamente breve. Oggi vorrei presentarvi una stima dei tempi necessari per spegnere l'epidemia. Userò, come al solito, un modello molto grossolano senza alcuna pretesa di fare previsioni accurate. Il mio scopo è di fornire l'ordine di grandezza dei processi in atto e ribadire come le azioni di tutti (Autorità politiche e sanitarie e singoli cittadini) possano incidere in maniera sostanziale sul nostro futuro.

Un po' di matematica per iniziare. Se non vi interessa potete saltare questo paragrafo e andare direttamente ai commenti. Supponiamo di avere oggi 100.000 casi di positività al Coronavirus. Parliamo di tutti i positivi inclusi gli asintomatici ed anche i sintomatici che non sono stati sottoposti a test. Il numero è scelto in modo arbitrario. Personalmente credo che i positivi oggi siano molti di più, ma la questione non è particolarmente rilevante ai fini della discussione che faremo. Le persone che sono attualmente positive spariranno dal nostro conto dopo un certo numero di giorni che sono espressi tramite un parametro T0 perché saranno guarite (o ahimè defunte), ma nel frattempo potranno contagiare altre persone che erano sane. Sappiamo che tutto si gioca intorno al numero medio di nuovi contagi trasmessi da ciascun positivo. Indichiamo con R0 questo numero. L'analisi dei dati cinesi fornisce per R0 un valore pari a circa 2,5 nella fase iniziale dell'epidemia, quando non sono state ancora attuate specifiche misure per il contenimento del contagio. Per una persona perfettamente isolata rispetto a tutti le altre il valore scende a zero. Scriviamo il tutto secondo una semplice equazione differenziale (che lo ripeto contiene alcune grossolane approssimazioni):

dN(t)/dt = N(t) [R0 - 1]/T0

dove con N(t) ho indicato il numero di persone attualmente positive al giorno t. La soluzione di questa equazione è mostrata in figura, calcolata per T0  = 10 giorni e per diversi valori di R0 che sono tutti minori di uno, tali cioè da portare al progressivo spegnimento dell'epidemia. Le linee continue mostrano il numero di persone positive che ci avere giornalmente nell'arco di circa 4 mesi, mentre per le curve corrispondenti ai casi  R0 = 0,75 e 0,25 (curve rossa e verde) mostriamo tramite una linea tratteggiata il numero di casi che ci aspettiamo di trovare in più rispetto quelli che avremmo avuto se fossimo riusciti  a mettere tutte le persone positive in condizione di non trasmettere il contagio ad altri, ovvero  R0 = 0 (linea nera). Tutti i casi mostrati dalle curve tratteggiate sono casi (inclusi i decessi correlati) che potremmo ancora evitare. Inoltre, dal punto di vista dei danni socio-economici, notiamo che maggiore è il valore di R0, maggiore sarà il tempo che dovremo attendere prima di poter dichiarare che l'epidemia sia stata debellata.


Analizzando l'andamento della linea nera, notiamo che anche nel caso limite di un perfetto blocco dei nuovi contagi, il numero delle persone attualmente contagiate non andrà a zero immediatamente. Bisogna dare loro il tempo di guarire. Tuttavia il modello prevede che una piccola frazione dei contagiati al giorno zero rimanga positiva per un tempo molto più lungo di T0. Dai dati cinesi  sembra che questa stima sia troppo pessimista. Il risultato deriva senz'altro dal modello iper-semplificato che è stato utilizzato. L'effetto non è comunque tale da cambiare le considerazioni che sono espresse in questo post.


La figura mostrata qui sopra riporta gli stessi dati della figura precedente, ma questa volta fa uso di una scala lineare. Non si vedono più i dettagli, ma si coglie meglio l'andamento generale e la rilevanza dei casi in più (linee tratteggiate) che sono stati calcolati sulla base delle diverse ipotesi di confinamento del contagio.


Le conclusioni che possiamo trarre da questo piccolo calcolo sono molto chiare: "Non basta superare il punto di massimo dei nuovi contagi giornalieri (più precisamente, il punto in cui la curva dei contagi complessivi avrà derivata seconda uguale a zero). La partita si gioca dopo. Si potranno limitare i danni solo con una rigida ed efficace politica di restrizione della mobilità personale e di identificazione dei contagiati anche asintomatici (e dei loro contatti) tra chi è costretto ad uscire perché lavora negli ospedali e nelle altre attività essenziali.  Non ci sono alternative e la fretta potrebbe essere una pessima consigliera. Se, appena visto qualche risultato, si pensasse che tutto sia finito, il rischio è quello di portare ad un aumento repentino di R0 che potrebbe innescare una recrudescenza dell'epidemia o, quantomeno, un significativo allungamento dei tempi che dovremo attendere per uscirne fuori.

E poi? L'esperienza cinese ci mostra che c'è sempre il pericolo di un ritorno dell'epidemia. Sappiamo che ormai è riconosciuto lo stato di pandemia a livello globale ed anche il movimento di poche decine di contagiati potrebbe reinnestare l'epidemia nei territori che ne erano usciti. Girano in rete ipotesi di un andamento stagionale, più o meno simile a quello dei comuni raffreddori. Ci preoccuperemo di questa eventualità quando sarà il momento. Oggi la priorità è uscire da questo incubo. Tutti noi possiamo contribuire a raggiungere questo risultato nel tempo più breve possibile. Pensateci prima di uscire per niente!

domenica 22 marzo 2020

Se cinque giorni vi sembran pochi

Affidare il potere agli incompetenti e ai pavidi è un lusso
che possiamo permetterci solo in tempi normali



In questo momento di grave crisi, in tutti noi la speranza si alterna allo scoramento. Ancora non si vedono gli effetti del blocco alla mobilità delle persone introdotti una decina di giorni fa e si infiamma il dibattito su cosa dovremmo fare per avere finalmente successo nel confinamento dell’epidemia. Ricordo che il problema non è solo quello di arrivare al tanto atteso picco dei nuovi contagi giornalieri, ma il vero obiettivo è quello di far scendere il numero dei contagi giornalieri il più rapidamente possibile. Infatti per raggiungere il picco basta che ciascun nuovo contagiato contagi, a sua volta, meno di un'altra persona (in media). Ma c'è una enorme differenza, in termini di durata dell'epidemia e del numero totale di decessi, se il numero medio di contagi dovesse scendere a 0,9 piuttosto che 0,1.

Nessuno in questo momento può fare una previsione accurata su quali saranno i danni complessivi prodotti da questa epidemia. I conti veri li potremo fare alla fine e solo allora sarà il caso di chiamare a rispondere dei loro errori coloro che – sia a livello nazionale che locale – hanno preso decisione tardive o sbagliate. Per il momento, possiamo solo cercare di capire meglio cosa stia effettivamente succedendo e quale possa essere l’impatto della nostra incapacità decisionale sullo sviluppo dell'epidemia..

Un prima considerazione riguarda il ritardo che necessariamente separa qualsiasi tipo di intervento rispetto agli effetti attesi. Si tratta di un argomento già discusso in vari post precedenti. Molto sommariamente, cinque giorni ci vogliono affinché almeno la metà dei nuovi contagiati inizi a manifestare i sintomi. Ulteriori cinque giorni sono il tempo medio affinché dai primi sintomi iniziali si passi ad un aggravamento della situazione tale da sottoporre il paziente al test, con conseguente ricovero ospedaliero o confinamento domiciliare. Insomma per circa 10 giorni il neo-contagiato può continuare a contagiare altre persone e, se asintomatico, tale periodo può diventare ancora più lungo. Illudersi che continuando con questo andazzo si arrivi alla condizione necessaria per l’estinzione dell’epidemia è pura follia. Ho già discusso in precedenti post quanto sia stata sbagliata la decisione di sottoporre a test solo i pazienti gravemente sintomatici. Su questo punto, a parte la lungimirante posizione del Veneto, c’è stata sia a livello locale che nazionale un atteggiamento di chiusura che ha prodotto danni ingenti. Siamo, ahimé, il Paese dove si fanno i test ai calciatori, ma non a medici e infermieri. Speriamo che il cambiamento di atteggiamento che, almeno a parole, abbiamo verificato negli ultimi giorni si traduca presto in azioni concrete. Identificare subito i contagiati, anche asintomatici, specialmente tra il personale sanitario e tra le persone che sono impegnate nei servizi e nelle attività produttive essenziali è di fondamentale importanza. 

L’altra questione riguarda il tema del blocco delle attività produttive non essenziali. Molti giorni fa in questo blog avevo messo in evidenza l’illogicità di chi proponeva di chiudere “tutto”, perché l’unico modo veramente efficace per vincere l’epidemia in tempi rapidissimi sarebbe stato quello di chiudere tutto, ma proprio tutto ospedali compresi. Bisogna chiudere il più possibile, bilanciando con cautela danni certi e benefici attesi. In questi giorni, dopo la solita sceneggiata a cui hanno attivamente partecipato politici locali e nazionali, è stato finalmente deciso di chiudere tutte le attività industriali e professionali non strettamente indispensabili. Non sarà facile perché l’articolazione delle filiere produttive è cosa complessa e questo tipo di azioni richiedono coordinamento, flessibilità e prontezza di intervento. Mi tremano i polsi a pensare che questa incombenza finirà per essere affidata alla scalcagnata burocrazia italiana. Cosa volete che vi dica? Speriamo bene!

Prima di concludere vorrei affrontare un tema che, ad oggi, non sembra appassionare ancora l'opinione pubblica, ma che - secondo il mio parere - è di fondamentale importanza. Mi riferisco, in particolare, alla questione delle attrezzature medicali che sono necessarie per curare i malati e per proteggere le persone sane. Non si tratta solo delle famose e introvabili mascherine, ma di tutta una gamma di dispositivi che in passato si producevamo anche in Italia, ma la cui produzione è stata ormai quasi totalmente delocalizzata in ossequio alle leggi del mercato globale. Con lo scoppio della pandemia, quasi tutti i Paesi  - non solo l'Italia - si sono fatti cogliere alla sprovvista e hanno scoperto di non avere le scorte necessarie per affontare la lunga e dolorosa battaglia che ci attende. In questi giorni leggiamo di atteggiamenti banditeschi da parte di governi stranieri che hanno rubato materiale sanitario destinato all'Italia mentre era in transito attraverso il loro terrirorio. Comportamenti riprovevoli che prima o poi dovranno scontare. Ma il problema oggi è riuscire ad avere il materiale sanitario indispensabile. La domanda che molti si pongono è: "Possibile che un Paese come il nostro che ha, per dimensioni, la seconda industria manifatturiera d'Europa, non sia ancora stato in grado di riconvertire velocemente alcune sue fabbriche per attivare un adeguato livello di produzione?". Per fare le mascherine dobbiammo fare riferimento alle sarte di buona volontà (va benissimo per carità ed è un magnifico esempio di impegno civico) e riusciremo piuttosto a riattivare una solida produzione di tipo industriale?  Dopo un mese dall'inizio dell'epidemia siamo ancora a lamentarci delle carenze, con lo Stato (responsabile della gestione delle emergenze)  e le Regioni (responsabili della sanità) che si rinfacciano la reciproca carenza di capacità programmatoria. Vogliamo fare qualcosa o pensiamo di chiedere la carità a cinesi e russi? Non ci voleva un genio per capire che le misere scorte di materiale sanitario si sarebbero presto esaurite. Se avessimo avviato un serio programma di riconversione industriale a inizio marzo ormai ne vedremmo i risultati. Come al solito ciascuno procede in ordine sparso e, almeno per il momento, ci tocca vedere un ventaglio di soluzioni fantasiose che vanno dagli scaldacollo alle mascherine di "carta igienica".

Aggiungo un commento che non appariva nel post originale. Finalmente ieri sera (22 marzo) anche a livello nazionale ci si è resi conto dell'importanza di tracciare i contatti dei nuovi contagiati per limitare l'alteriore diffusione del virus. Le tecnologie possono aiutare e l'esperienza coreana insegna. In Italia abbiamo perso un bel po' di giorni per disquisire sulle (pur importanti) questioni del rispetto della privacy e non è stato fatto nulla dal punto di vista tecnico. Chiaramente tutte le azioni attivate per bloccare l'epidemia comportano una seria restrizione delle libertà personali. Tuttavia, come ha fatto notare un giurista tanto esperto quanto saggio "Il problema c'è, ma ne discuteremo a tempo debito". Tornando al nostro discorso, non è difficile fare un elenco di 5 esperti di informatica e telecomunicazioni italiani in grado di affrontare la questione e di stabilire un piano di intervento. In un mondo ideale li avrebbero convocati già da molti giorni e li avrebbero messi all'opera. In Italia, abbiamo deciso di fare un bando pubblico con una commissione giudicatrice che valuterà le proposte al più presto possibile! Tutto questo per garantire la "trasparenza". Vi sembra che la trasparenza valga più di molte vite umane?

In conclusione: "Quanti contagi e quanti morti in più avremo in Italia a causa degli errori di programmazione, della incapacità organizzativa e dei tentennamenti decisionali?". Non ho un numero preciso, ma basta osservare l’andamento attuale dei contagi rilevati ufficialmente per capire che ogni cinque giorni i casi raddoppiano. Cinque giorni di ritardo nel prendere le decisioni necessarie significano raddoppiare i danni dell’epidemia. Valutate voi se vi sembran pochi.