Il dibattito di questi giorni sull'utilizzo dei tamponi ha aumentato la percezione che nessuna azione di contrasto alla Covid-19 sia di per sé risolutiva. La percezione è corretta, ma non ci deve gettare nello sconforto. In linea di principio, l'unico modo - del tutto astratto - veramente efficace per eradicare la pandemia sarebbe quello di isolare ciascuno di noi rispetto a tutti gli altri per un congruo numero di settimane (almeno due, ma probabilmente ce ne vorrebbero molte di più). Una specie di super-lockdown planetario impossibile da praticare che produrrebbe - tra l'altro - danni ingentissimi sia sul fronte della salute (perché le altre malattie continuano ad esserci e devono essere curate) che su quello economico. Torniamo con i piedi per terra e vediamo un po' più in dettaglio come stanno le cose.
All'inizio della pandemia, ciascun contagiato trasferiva mediamente il contagio ad altre tre persone. Il numero dei contagiati cresceva con andamento esponenziale ed i clinici avevano idee piuttosto vaghe rispetto ai protocolli terapeutici da applicare alla nuova malattia. Pensare, come sostengono alcuni, che prima o poi torneremo in una situazione analoga non ha molto senso, a meno che il virus nel frattempo evolva dando spazio ad una forma geneticamente molto diversa rispetto a quella attuale che renda la Covid-19 decisamente più letale. Questa ipotesi è puramente accademica e fa il paio con l'ipotesi simmetrica che l'evoluzione naturale del virus lo trasformi in qualcosa di simile ai coronavirus che provocano il semplice raffreddore. Al momento, non ci sono solide indicazioni né in un senso, né nell'altro. Ragioniamo quindi sul virus così come lo conosciamo oggi, sempre pronti a rivedere le nostre idee quando ci saranno robuste prove scientifiche di una significativa evoluzione del virus.
Spesso utilizziamo una espressione "convivere con il virus" che ha un doppio significato: limitarne la circolazione e ridurre i danni sanitari prodotti dai contagi. Mascherine, lavaggio delle mani, riduzione delle interazioni sociali (anche senza arrivare a rigidi lockdown), uso esteso e razionale dei tamponi molecolari e degli altri strumenti diagnostici, isolamento delle persone positive, ricerca dei contatti dei contagiati per circoscivere sul nascere eventuali focolai, misure di protezione per le categorie più fragili sono tutte azioni che possono essere classificate come "di per sé non risolutive". Alcune di queste azioni sono affidate al senso di responsabilità dei singoli, altre ricadono sotto la regia e la responsabilità delle Autorità politiche e sanitarie. Se il contagio si diffonde non basta gridare "piove, governo ladro!". Tutti noi dobbiamo comportarci responsabilmente e dalle Autorità dobbiamo pretendere che vengano messe in atto strategie lungimiranti e coerenti, risparmiandoci promesse e annunci inutili che alla fine si ritorcono contro chi li fa.
La stessa "immunità di gregge" non è affatto "di per sé risoltiva". Come abbiamo visto in precedenti post c'è evidenza di casi di re-infezione a pochi mesi di distanza una dall'altra e sono numerose le pubblicazioni scientifiche che riportano di una rapida discesa del livello degli anticorpi misurati in alcuni malati nell'arco di qualche mese. La questione è ancora dibattuta, ma certamente chi ha già contratto la Covid-19 non può essere sicuro di aver acquisito una immunità duratura.
Anche il vaccino (almeno i primi che saranno resi disponili) non sarà propabilmente "di per sè risolutivo". Le aziende impegnate nei principali progetti stimano che sia possibile raggiungere un livello di efficienza di almeno il 50-60%. Sarebbe già un grosso risultato e potrebbe contribuire a ridurre drasticamente la circolazione del virus soprattutto tra le categorie più a rischio. Al momento il vaccino non c'è ancora e dobbiamo lavorare con gli strumenti di cui disponiamo. Nessuno risolutivo, ma tutti utili per portare i tre contagi medi di inizio pandemia ad una valore il più possibile inferiore ad uno. Solo così potremo contenere il livello dei contagi sotto una soglia accettabile, anche se non possiamo escludere grosse fluttuazioni temporali. L'importante è che la situazione non degeneri dal punto di vista sanitario e che gli ospedali non si saturino così come era accaduto ad inizio pandemia.
Anche sul fronte della cura dei malati più gravi sono stati fatti dei progressi, anch'essi "non di per sé risolutivi". Non c'è ancora una cura specifica, ma i protocolli sanitari sono stati messi a punto e continuano a migliorare mese dopo mese. L'individuazione precoce dei casi di contagio che possono portare alle complicanze più pericolose, il tempestivo ricovero e trattamento dei malati prima che le complicanze insorgano, il trattamento dei casi più gravi con opportune combinazioni di farmaci sono la chiave di volta per ridurre la letalità della Covid-19. Ovviamente se arrivasse un farmaco specifico tutto sarebbe più semplice, ma anche dal punto di vista sanitario siamo in una situazione molto migliore rispetto a quella sperimentata all'inizio della Pandemia.
In conclusione, ben vengano i dibattiti sui limiti delle diverse azioni di contrasto alla Covid-19, soprattutto se servono a dissipare definitivamente il messaggio da "liberi tutti" che tanti danni ha provocato durante la stagione estiva. Ma non dobbiamo mai dimenticare che la combinazione di tanti strumenti (tutti di per sé non risolutivi) ci aiuta comunque a gestire al meglio la situazione.
Del resto, se ci pensate bene, nella vita l'unica azione risolutiva al 100% è la morte. Il più tardi possibile ovviamente.