Ogni definizione troppo precisa porta
in sé il germe per il suo degrado
All'inizio della pandemia si è molto discusso sulla questione di come contare i decessi legati alla Covid-19. La recente decisione inglese di rivedere i criteri con cui si valutano i decessi ha riportato il tema all'attenzione dell'opinione pubblica. Forse ricorderete le discussioni fatte anche in Italia tra chi distingueva i morti per Covid-19 rispetto ai morti con Covid-19. In realtà potremmo andare avanti ore a discutere della questione anche se temo che qualsiasi definizione che cerchi di classificare i casi con troppo dettaglio rischi di essere inconcludente.
Il criterio comunemente adottato è quello di contare come decessi legati all'epidemia quelli delle persone che erano positive al tampone. Soprattutto all'inizio dell'epidemia quando le misure di protezione dal virus erano carenti poteva succedere che una persona già in fin di vita per altre patologie venisse contagiata dal virus poche ore prima di morire. In tal caso la Covid-19 non poteva neppure essere considerata come una concausa del decesso, ma si trattava comunque di un paziente positivo al virus che aveva perso la vita e quindi come tale andava conteggiato nei decessi legati all'epidemia. Qualcuno, anche in Trentino, ha pensato bene di escludere dai decessi dell'epidemia coloro che fossero già in precarie condizioni di salute. Ma si trattava di un criterio ambiguo, che prestava il fianco ad interpretazioni diverse. Più che altro una furbata per ridurre i numeri e far apparire la situazione meno critica di quanto già non fosse (specialmente nelle RSA). Poi l'epidemia è cresciuta come un'onda esponenziale e anche questo criterio è stato abbandonato.
In realtà, sappiamo che in Italia, almeno fino ad apirle, le statistiche ufficiali hanno gravemente sottostimato il numero dei decessi legati all'epidemia. Il dato è stato messo in evidenza con brutale chiarezza dall'INPS che ha calcolato l'eccesso di decessi registrato in Italia nei primi mesi del 2020: ci sono più di 10.000 decessi in più rispetto a quelli attesi che non sono mai stati conteggiati nelle statistiche ufficiali italiane. Quanto al Trentino, chi ha seguito questo blog, ricorderà la grave sotto-stima dei decessi avvenuti nelle RSA.
L'utilizzo di criteri diversi per contabilizzare i decessi legati all'epidemia spiega, almeno in parte, le differenze di letalità che sono state registrate a livello internazionale. Spesso la Covid-19 è una concausa di morte e se si tolgono questi casi le statistiche diventano meno preoccupanti. Se poi non si fanno abbastanza tamponi, le statistiche appaiono ancora migliori.
La recente decisione inglese aggiunge un tassello alla creatività delle definizioni. Sono considerati decessi da Covid-19 solo quelli che avvengono entro 4 settimane dal primo tampone positivo. Si tratta di un criterio del tutto arbitrario che non ha molto senso dal punto di vista scientifico, ma come vedete dal grafico seguente l'effetto "cosmetico" è notevole (il grafico è tratto dal sito della britannica BBC e si riferisce alla sola Inghilterra e non a tutto il Regno Unito). Magicamente spariscono molte decine di decessi al giorno (linea blu) e la situazione appare molto meno drammatica rispetto ai decessi contaggiati prima (linea rossa).
Tecnicamente la definirei una furbata e anche in UK non sono mancate le critiche. La soluzione di compromesso sembra essere quella che le statistiche ufficiali conterranno solo i decessi avvenuti entro 28 giorni dal tampone, ma poi saranno distribuite anche delle statistiche ufficiose in cui i decessi saranno ricalcolati (in aumento) utilizzando un limite di 60 giorni. Come dicevo in un post precedente la "questione dei cinque giorni" che si erano inventati in Trentino è nulla rispetto alla fervida fantasia britannica. E pensare che noi italiani credevamo che i britannici fossero un popolo un po' grigio, dotato di scarsa fantasia e creatività!
Alla fine di tutto questo una domanda sorge spontanea: riusciremo mai a sapere quante persone hanno perso prematuramente la vita a causa della pandemia?. La risposta è senz'altro sì e non è neppure un calcolo difficile da fare. Basta fare quello che in Italia stanno facendo ISTAT ed INPS: vedere l'andamento temporale dei decessi e confrontarlo con la media degli anni precedenti. La cosa importante di questi studi è che, oltre al numero dei decessi in più legati all'epidemia, ci permette di stimare un dato molto importante di cui nessuno parla mai: gli anni di vita persi da coloro che sono morti anticipatamente (o se volete la riduzione della aspettitiva di vita provocata dall'epidemia). Si tratta ovviamente di una stima statistica che non riguarda il singolo individuo, ma operando su numeri complessivi abbastanza grandi la stima si può fare in modo accurato. Questa è senz'altro l'informazione più significativa e fornisce una risposta concreta a chi teorizza che: "tanto sarebbero morti lo stesso a breve!". Quanto a breve? Settimane, mesi o anni? Per le RSA trentine questa domanda è ancora in attesa di una risposta da parte della Provincia Autonoma di Trento.
P.S. Ringrazio il lettore Maurizio per avermi segnalato il sito BBC e per aver suggerito lo spunto per questo post
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