martedì 31 agosto 2021

Una nuova variante in arrivo dal Sud-Africa?

Ogni giorno appaiono nuove segnalazioni relative alla comparsa di varianti del virus SARS-CoV-2 ritenute più o meno pericolose. L'Organizzazione Mondiale della Sanità ha cercato di mettere un po' d'ordine definendo quelle che sono le varianti che destano maggiore preoccupazione (VOC, variants of concern) e quelle che vanno seguite con attenzione perché non sono ancora molto diffuse, ma potrebbero diventarlo nei prossimi mesi (VOI, variants of interest).

Filogenesi delle principali varianti del virus SARS-CoV-2. Al centro del cerchio c'è il ceppo originale identificato a Wuhan. La distanza rispetto al centro identifica il numero di mutazioni di ciascuna variante. In basso a destra è mostrato l'andamento temporale del numero di mutazioni osservato nelle diverse varianti fin qui identificate

L'ultima arrivata proviene dal Sud Africa ed è stata al momento classificata come C.1.2. Non è ancora così importante da essere stata classificata con una lettera dell'alfabeto greco (tra un po' finiranno quelle ancora a disposizione!). La C.1.2 è la variante che, fino ad oggi, mostra più mutazioni rispetto al ceppo originale di Wuhan.

Nella figura mostrata sopra (in basso a destra) c'è un grafico che mostra il numero di mutazioni individuato nelle diverse varianti in funzione del tempo passato dalla prima identificazione del ceppo di Wuhan. La linea continua corrisponde ad un valore medio pari a circa 27 mutazioni all'anno. Ovviamente più tempo passa e maggiore sarà il numero delle mutazioni identificate nelle nuove  varianti. Non è detto che le varianti che presentano più mutazioni siano necessariamente le più pericolose: infatti alcuni effetti si potrebbero compensare tra loro e per quanto riguarda la risposta agli attuali vaccini contano solo le mutazioni che interessano la proteina spike

I dati osservazionali mostrano che la variante C.1.2 si sta estendendo ad altri Paesi africani, tutti caratterizzati dal bassissimo livello vaccinale dei loro cittadini. Non è detto che la C.1.2 arrivi anche da noi, ma - se non sarà questa variante - è molto probabile che prima o poi ne arrivi un'altra e sostituisca la variante Delta che già ci sta creando tanti problemi.

Siamo alle solite: se il ricco Occidente si illude di difendersi da solo grazie ai vaccini, sarà continuamente bersagliato da nuove varianti che si svilupperanno nei Paesi dove la pandemia è fuori controllo. Sarà una battaglia lunga e complicata, a meno che non ci decidiamo ad estendere davvero le vaccinazioni su scala globale. 

Recentemente l'Italia ha regalato alcuni milioni di dosi del vaccino AstraZeneca a Tunisia e Vietnam. Un bel gesto, poco più che simbolico. Siamo come quei ricchi che si sentono dei veri benefattori quando regalano ai poveri qualche vecchio abito ormai fuori moda. Senz'altro meglio che lasciarlo negli armadi, ma certamente non è una azione risolutiva.

Segnalazione da Science: un possibile antivirale efficace contro tutte le varianti di SARS-CoV-2

Science ha pubblicato i risultati di uno studio (per il momento limitato a modelli animali) nel quale si suggerisce di utilizzare il masitinib come un antivirale che potrebbe funzionare contro tutte le varianti del SARS-CoV-2 ed altri tipi di coronavirus. Attualmente il masitinib è approvato esclusivamente come farmaco antitumorale per uso veterinario, ma è già in fase di sperimentazione 2 e 3 (non ancora approvato) per combattere diverse patologie negli esseri umani.

Lo studio, oltre a sperimentazioni in vitro e su cavie animali, è stato condotto tramite cristallografia ad alta risoluzione utilizzando la sorgente di luce di sincrotrone disponibile presso i Laboratori di Argonne (USA). Tali misure hanno permesso di evidenziare il modo con cui la molecola di masitinib si lega alla 3CLpro nota anche come Mpro), la principale proteasi virale che svolge un ruolo chiave durante il processo di riproduzione del SARS-CoV-2 all'interno della cellula infettata. 

Il risultato della cristallografia a raggi X mostra come il il farmaco (evidenziato in giallo) si lega alla proteasi 3CLpro del SARS-Cov-2 inibendone l'azione. Tratto da Science

Fin dall'inizio della pandemia c'è stato un fiorire di studi dedicati alla ricerca di antivirali che fossero in grado di inibire il funzionamento delle proteasi che intervengono durante il processo di replicazione del SARS-CoV-2. Purtroppo molti dei farmaci provati fino ad oggi si sono rivelati inefficaci o solo parzialmente efficaci. 

Sulla base delle informazioni fin qui disponibili è impossibile capire se il masitinib possa davvero rappresentare la svolta da tutti attesa, magari utilizzato in combinazione con altri farmaci. Il fatto che la sua attività non dipenda dallo specifico ceppo virale è molto importante perché renderebbe più facile contrastare la naturale tendenza del virus ad evolvere per sfuggire ai trattamenti di tipo farmacologico.

 

Segnalazione: analisi della mortalità durante la prima ondata pandemica in Italia

Ieri la rivista Scientific Reports ha presentato una nuova ed interessante analisi statistica sui decessi provocati dalla prima ondata pandemica in Italia. 

Boschi, T., Di Iorio, J., Testa, L. et al., "Functional data analysis characterizes the shapes of the first COVID-19 epidemic wave in Italy", Sci Rep 11, 17054 (2021). 

https://doi.org/10.1038/s41598-021-95866-y

Un nuovo articolo che analizza i dati della seconda ondata è attualmente in preparazione e sarà pubblicato tra breve.

L'analisi statistica è piuttosto sofisticata e, invece di perdere tempo con improbabili modelli epidemiologici, è andata direttamente a vedere le correlazioni esistenti tra i dati della mortalità ed una serie di fattori demografici, socio-economici, infrastrutturali ed ambientali.

Un tema affrontato dal gruppo italo-americano che ha condotto la ricerca è quello dei dati veri sui decessi Covid che - soprattutto durante la prima ondata pandemica - sono stati spesso sottostimati. Un confronto tra i dati ufficiali dei decessi Covid e l'andamento della mortalità registrata dall'ISTAT ha permesso di apportare alcune correzioni ai dati ufficiali.

L'analisi evidenzia  - come ben sapevamo - un'Italia spaccata in due: da una parte le Marche ed il Nord Italia, con esclusione di Veneto e Friuli Venezia Giulia, dall'altra il resto del Paese. Anche se la prima ondata pandemica ha avuto un andamento temporale differenziato, è stato possibile ricondurre tutti i dati regionali ad un modello unitario, applicando un adeguato ritardo temporale ai dati delle diverse Regioni (ai fini statistici, il Trentino e l'Alto Adige sono stati accorpati come un'unica entità regionale).

I risultati dell'analisi statistica sono piuttosto articolati e non possono essere espressi in modo sintetico. Uno dei dati che emerge chiaramente è che per ridurre la mortalità è più importante che tutti i malati abbiano un accesso pronto e diretto alle cure attraverso il loro medico di famiglia. Solo filtrando i pazienti ed impedendo che si riversino in massa nei pronto-soccorso degli ospedali, si massimizzano i risultati delle cure e si evita che gli ospedali si trasformino in centri di diffusione del virus. Questo risultato conferma pienamente le valutazioni qualitative fatte a suo tempo circa il sistema sanitario lombardo, il cui modello ospedale-centrico è stato severamente messo in crisi dalla prima ondata pandemica.

L'analisi ha dimostrato l'importanza di altri fattori di rischio come, ad esempio, la mobilità delle persone o la frequenza dei contatti che avvengono nelle famiglie, a Scuola, sui luoghi di lavoro e nei luoghi di cura. Nulla di sorprendente, ma questo tipo di analisi consente di porre la parola fine a tante affermazioni di parte del tipo "la nostra attività è sicura, i contagi avvengono altrove!".

Sarà interessante leggere il prossimo articolo dedicato alla seconda ondata pandemica, specialmente se il dettaglio dell'analisi potrà andare oltre la scala regionale. La Statistica, se utilizzata in modo serio e professionale, ci può dare informazioni preziose per documentare i numerosi errori fin qui fatti e soprattutto per evitare di ripeterli. 

Speriamo che la Autorità sanitarie italiane siano in grado di farne un buon uso.

lunedì 30 agosto 2021

Gli eventi avversi del vaccino Pfizer-BioNTech confrontati con quelli del contagio: una analisi nel "mondo reale"

Israele si conferma come una preziosa sorgente di dati relativi all'utilizzo del vaccino Pfizer-BioNTech nel "mondo reale". Uno studio pubblicato recentemente sul New England Journal of Medicine analizza gli effetti avversi verificati a seguito della vaccinazione, confrontando tale dato con l'incidenza degli stessi eventi che si verificano in coloro che non si sono vaccinati e successivamente hanno contratto la Covid-19. La domanda che si sono posti i ricercatori è, ad esempio, questa: "è più facile che una miocardite si manifesti come un effetto avverso della vaccinazione, oppure che possa avvenire come una delle conseguenze del contagio ?"

Lo studio ha analizzato circa 2 milioni di cartelle cliniche. L'arco di tempo considerato è stato di 6 settimane dalla somministrazione del vaccino o dal primo tampone positivo a seconda della categoria di persone analizzate. Per ogni persona inclusa nell'analisi è stata considerata una persona non vaccinata o non malata di Covid-19 con analoghe condizioni di età, genere, etnia e condizioni generali di salute. In questo modo è stato possibile vedere quanti fossero i casi in eccesso rispetto al "normale" sia in caso di somministrazione del vaccino che in caso di contagio.

Il risultato di questa analisi è mostrato nella figura che ho tratto dal lavoro che vi ho segnalato:

Differenza di rischio normalizzata rispetto ad una popolazione di 100 mila abitanti in caso di vaccinazione (barre azzurre) o di contagio da SARS-CoV-2 (barre ocra). Il valore 0 corrisponde alla situazione in cui il rischio per un certo evento sia lo stesso rispetto ad una popolazione (con una  analoga distribuzione di età, genere, etnia, condizioni generali di salute) che non sia stata vaccinata e non sia stata contagiata. Tratto da NEJM

Si vede bene che, salvo due casi specifici, le barre di colore ocra sono di gran lunga più alte rispetto alle barre azzurre. Ad esempio, coloro che hanno ricevuto il vaccino contraggono mediamente 2,7 casi in più di miocarditi per 100 mila persone rispetto a quanto si verificherebbe normalmente. Ma tra le persone che non si sono vaccinate e successivamente hanno preso la COVID-19 i casi in eccesso si sono attestati a 11 per 100 mila. Lo stesso vale per molte altre patologie.

Le principali eccezioni erano la linfoadenopatia, che ingrandisce i linfonodi, e l'herpes zoster. C'erano 78 casi in eccesso di linfoadenopatia per 100 mila persone vaccinate, ma solo 3 come conseguenza della Covid-19. Per il Fuoco di Sant'Antonio sono stati osservati 16 casi per 100 mila vaccinati in eccesso rispetto alla popolazione normale, mentre il dato per coloro che hanno contratto la Covid-19 è risultato addirittura negativo, ovvero sembra che chi contrae la Covid-19 corra un rischio inferiore rispetto alla popolazione normale (ma potrebbe essere un effetto secondario delle cure somministrate ai malati di Covid-19).

Per molte altre patologie il rischio in eccesso rispetto alla popolazione normale è pressochè nullo per chi si vaccina e sensibilmente più alto per coloro che non si vaccinano e successivamente contraggono la Covid-19: fino a 125 e 166 casi in eccesso per 100 mila abitanti, per danno renale acuto e aritmia. Altri eventi importanti includono embolia polmonare (62 eventi in eccesso per 100mila), trombosi venosa profonda (43 eventi), infarto miocardico (25 eventi), pericardite (11 eventi) ed emorragia intracranica (7,6 eventi).

Come si vede la bilancia pende decisamente verso la parte del vaccino. I pochi eventi avversi possibili sono trascurabili rispetto a quello che può accadere in caso di contagio.

L'andamento più recente della pandemia in Israele ha mostrato un forte calo dell'efficacia dei vaccini 6 mesi circa dopo la somministrazione. Questo ha ridotto fortemente il livello di protezione offerto dai vaccini, a meno di somministrare una terza dose vaccinale. Sarebbe interessante estendere questo studio per analizzare l'incidenza di queste stesse patologie in coloro che - pur avendo ricevuto due dosi vaccinali - hanno comunque contratto la Covid-19 durante questi ultimi due mesi estivi.

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domenica 29 agosto 2021

Israele: terza dose per tutti e il green-pass scade dopo 6 mesi

Israele (circa 9 milioni di abitanti di cui poco più di 2 milioni di età inferiore ai 12 anni) ha già somministrato la terza dose vaccinale a quasi 2 milioni dei suoi cittadini. Dopo aver inizialmente fissato a 60 anni l'età minima per accedere alla terza dose vaccinale, il limite è stato progressivamente abbassato ed ora è stato tolto del tutto. Come si vede dal grafico seguente, il grosso delle terze dosi somministrate fino ad oggi ha riguardato principalmente persone con almeno 60 anni di età.

Stato di avanzamento della campagna vaccinale in Israele aggiornato ad oggi 29 agosto. Sopra i 60 anni la grande maggioranza dei vaccinati ha già ricevuto la terza dose. Rimangono alcune sacche di irriducibili no-vax soprattutto nelle comunità di ebrei ultra-ortodossi e tra i cittadini israeliani di origine araba. Tratto dal sito del Ministero della salute israeliano

Contemporaneamente la durata del green-pass è stata portata a 6 mesi dopo la somministrazione dell'ultima dose vaccinale (seconda o terza per chi ha già fatto il richiamo).

Il dato sui ricoveri in condizioni giudicate "gravi" (approssimativamente la somma delle nostre terapie intensive e dei cosiddetti reparti "ad alta intensità") continua ad aumentare, ma l'effetto della somministrazione della terza dose ai cittadini più avanti con gli anni si è già fatto sentire. Qui di seguito vi mostro l'andamento  temporale del numero di persone ricoverate in condizioni "gravi":

Andamento del numero di persone ricoverate in condizioni "gravi": casi che riguardano persone sotto i 60 anni, indipendentemente dal loro stato vaccinale (linea blu), persone con almeno 60 anni di età che abbiano ricevuto almeno due dosi vaccinali (linea verde), persone con almeno 60 anni di età non vaccinate (linea rossa). Elaborato su dati del Ministero della salute israeliano

Si nota che, dall'inizio di luglio, il numero in assoluto più elevato è quello dei cittadini con almeno 60 anni vaccinati (linea verde). Attualmente le tre curve stanno convergendo. I ricoverati in condizioni gravi tra i cittadini con almeno 60 anni vaccinati hanno iniziato a scendere, mentre stanno salendo ancora quelli dei cittadini sopra i 60 anni non vaccinati e quello dei cittadini sotto i 60 anni (il dato mostrato in figura aggrega, sotto i 60 anni, non vaccinati e vaccinati, ma solo pochi di loro hanno già ricevuto la terza dose vaccinale).

I dati mostrati nella figura precedente corrispondono ai casi assoluti e non tengono conto del numero di cittadini appartenenti alle diverse categorie considerate. Se andiamo a vedere i dati dei cittadini sopra i 60 anni, normalizzati rispetto alla popolazione, notiamo che la probabilità di essere ricoverati in "gravi" condizioni è molto più alta per i non vaccinati:

Normalizzazione rispetto al numero di abitanti dei ricoveri in "gravi" condizioni per i cittadini israeliani con almeno 60 anni di età, in funzione del loro stato vaccinale.

Può essere interessante vedere come è cambiato nel tempo il rapporto tra le due curve mostrate nella figura precedente:

Rapporto tra i casi "gravi" normalizzati rispetto al numero di abitanti per i cittadini israeliani con almeno 60 anni non vaccinati rispetto a quelli che hanno ricevuto almeno 2 dosi vaccinali

Il rapporto, che era sceso fino a circa 4 a fine luglio, è sensibilmente cresciuto man mano che i vaccinati ricevevano la terza dose. Attualmente è pari a circa 14. Questo (ed altri dati simili) hanno convinto il Governo israeliano a somministrare la terza dose a tutti i cittadini sopra i 12 anni. 

La scelta di ridurre la durata del green-pass a soli 6 mesi dopo l'ultima dose vaccinale (indipendentemente che sia la seconda dose o la terza dose di richiamo) è una indicazione precisa della volontà del Governo israeliano di estendere la terza dose a tutta la popolazione (vaccinabile). Non è obbligo vaccinale, ma poco ci manca.

Non ci sono, al momento, Paesi che abbiano adottato decisioni così drastiche come quelle di Israele, anche se sono molte le Nazioni che si accingono ad avviare la somministrazione di un richiamo vaccinale già dal prossimo mese di settembre.

In Italia, non si parla ancora di terza dose, ma in compenso si è proposto di estendere la validità del green-pass a 12 mesi. Una scelta che potremmo definire - come minimo - controcorrente.

sabato 28 agosto 2021

Una cura da cavallo

I siti no-vax e variamente "alternativi" contengono spesso suggerimenti su cure-fai-da-te che avrebbero un effetto miracoloso per prevenire o combattere la Covid-19. Un elemento comune di questi farmaci è costituito dal fatto che costano poco e non richiedono un trattamento a livello ospedaliero. Insomma il leitmotiv è sempre lo stesso: "le cure ci sarebbero, sono semplici e costerebbero anche poco, ma ve lo nascondono perché vogliono costringervi a vaccinarvi per arricchire Big Pharma (e magari per iniettarvi un microchip che assumerà il controllo del vostro cervello)".

Anche i suggerimenti "alternativi" seguono le mode. All'inizio della pandemia, molti sostenevano che la clorochina fosse altamente efficace, anche se tutti gli studi clinici effettuati in doppio cieco hanno dimostrato il contrario. Sarà un caso, ma quando si ammalò di Covid-19 il presidente Trump, gli vennero somministrati tutti i farmaci al  momento in uso negli ospedali americani, ma non la clorochina di cui lo stesso Trump si era dichiarato estimatore. Forse i medici che lo avevano in cura hanno valutato le idee terapeutiche di Trump per quello che erano, considerando che in precedenza aveva anche suggerito di utilizzare la candeggina per far fuori il virus (e con lui anche il paziente!).

Oggi l'ultima moda tra le cure alternative punta sull'utilizzo della ivermectina, un antiparassitario approvato per uso veterinario. 

 

I consumi di ivermectina negli Stati Uniti sono cresciuti esponenzialmente, così come sono aumentati i casi di avvelenamento ed i ricoveri per gli effetti avversi che il farmaco ha provocato in coloro che incautamente lo avevano assunto come cura-fai-da-te. A volte, l'illusione di curarsi da soli con l'invermectina produce gravi ritardi prima che i malati si rivolgano ai medici, causando un severo aggravamento delle loro condizioni.

Questa situazione ha spinto la FDA americana ad avviare una campagna di informazione, rilanciata sui social con uno slogan molto esplicito: "Non sei un cavallo. Non sei una mucca. Seriamente a tutti. Smettetela":

Mai come in questo caso si può parlare di una vera e propria "cura da cavallo".

venerdì 27 agosto 2021

Aggiornamento sulla pandemia in Italia: hanno finito il "bianchetto" e scatta la prima zona gialla

Qualcuno, leggendo questo post, farà passare al contatore del blog la soglia dei 300 mila download. Non avrei mai immaginato che un blog nato quasi per caso potesse avere una tale diffusione. Un cordiale saluto a chi mi legge e a tutti coloro che mi mandano i loro preziosi commenti e suggerimenti

La notizia del giorno riguarda il passaggio in zona gialla della Regione Sicilia. Dopo avere "schivato" il passaggio grazie alla creatività della sua burocrazia sanitaria, la Regione Sicilia si è dovuta arrendere all'evidenza dei numeri. Non mi aspetto molto dalle poche restrizioni introdotte con il passaggio a zona gialla, anche perché il problema chiave della Sicilia è quello del limitato livello di vaccinazione, soprattutto per le persone sopra i 50 anni. Questo porta fatalmente ad un significativo aumento dei ricoveri ospedalieri e dei decessi. 

Stato attuale delle vaccinazioni in Sicilia (tratto da Lab24). Anche nelle fasce d'età più a rischio c'è ancora una forte quota di persone che non hanno ricevuto neppure una dose vaccinale
 

Attualmente tutti gli indicatori siciliani (contagi, occupazione dei reparti Covid ordinari e di terapia intensiva) sono i più alti d'Italia e sono pari a circa 2 volte e mezza il valore della media nazionale. Nel corso degli ultimi 7 giorni, la Sicilia ha segnalato 84 decessi Covid, poco più di 1/4 dei 319 decessi complessivi segnalati in Italia.

Di fronte a tale situazione, non si capisce perché così tanti siciliani a rischio si ostinino a rifiutare il vaccino. Se fosse rimasto loro almeno un briciolo di buon senso, correrebbero subito a farlo. Probabilmente si considerano "invincibili" e credono che la Covid-19 possa colpire solo gli altri. Oppure si illudono che intorno a loro "non ce n'è Coviddi”.

Per quanto riguarda il dato nazionale, osserviamo solo un lieve incremento dei contagi:

Andamento dei contagi osservati a livello nazionale (linea grigia). La linea blu rappresenta la media calcolata su base settimanale

Non è chiaro se la sostanziale stabilità osservata nella curva dei contagi durante il mese di agosto sia dovuta, almeno in parte, ad una "fuga dal tampone" di molti - soprattutto giovani asintomatici o pauci-sintomatici - che volevano evitare di finire in quarantena compromettendo le ferie estive. Il dato è certamente anomalo perché nel frattempo i ricoveri ospedalieri hanno continuato a crescere, sia pure meno velocemente rispetto a quanto accadeva qualche settimana fa.

Se osserviamo il dato dei ricoveri in terapia intensiva (che tipicamente segue il dato dei contagi con un ritardo pari a poco più di una settimana), osserviamo un valore ancora in aumento, ma con un incremento molto limitato rispetto alla settimana precedente. Questo farebbe presumere che il picco reale dei contagi sia stato raggiunto poco dopo Ferragosto. Vorrei tuttavia ricordare che anche questo dato potrebbe essere stato "frenato" artificialmente dalle burocrazie sanitarie regionali timorose di mostrare troppi ricoveri in terapia intensiva (basta classificare una parte dei ricoveri in terapia intensiva come "ad alta intensità" ed il gioco è fatto). Quindi c'è ancora un grosso margine di incertezza e soprattutto è impossibile fare previsioni sul futuro andamento della curva dei contagi.

Nuovi ricoveri settimanali nei reparti di terapia intensiva. Il dato è riferito all'intero Paese ed è normalizzato rispetto ad un campione di 100 mila abitanti

Se osserviamo il numero di posti letto occupati nei reparti Covid, il valore medio settimanale mostra ancora un significativo aumento rispetto alla settimana precedente:

Variazione percentuale del numero di posti letto occupati nei reparti Covid (somma di tutti i reparti) degli ospedali italiani. Il valore è mediato su base settimanale

Il dato sui decessi mostra una certa stabilità rispetto alla settimana precedente (che invece aveva avuto una forte crescita rispetto a 7 giorni prima). Come ricordato più volte, il dato dei decessi è sottoposto a forti fluttuazioni legate ai ritardi con cui spesso alcune Regioni comunicano i dati. Anche precedentemente si erano osservate variazioni anomale tra una settimana e l'altra che poi non sono state confermate dall'andamento di lungo periodo. Prima di esprimere un parere su questo dato bisognerà aspettare ancora almeno due settimane:

Andamento dei decessi Covid comunicati in Italia. Il dato è calcolato su base settimanale ed è normalizzato rispetto ad un campione di 100 mila abitanti

A titolo di curiosità, vi invito a confrontare i dati italiani con quelli della Gran Bretagna. Ambedue i Paesi mostrano - nel corso delle ultime settimane - livelli di contagi che sono abbastanza stabili. I contagi italiani, normalizzati rispetto alla popolazione, sono pari a circa 1/4 rispetto a quelli britannici. Per quanto riguarda i decessi, il livello italiano è pari a circa la metà di quelli registrati in Gran Bretagna. I ricoverati in terapia intensiva in Italia sono circa la metà rispetto al valore britannico (tenuto conto che il dato ufficiale della Gran Bretagna include solo gli intubati e dopo avere normalizzato i dati rispetto al numero di abitanti).

Prima di fare confronti, bisogna ricordare che in Gran Bretagna contano solo i decessi che avvengono entro 4 settimane dal primo tampone positivo. In Italia la mediana del tempo che intercorre tra primo tampone positivo e l'eventuale decesso è dell'ordine di 2 settimane, ma c'è una coda di decessi che avvengono dopo il limite delle 4 settimane e che non sarebbero stati inclusi nelle statistiche se anche l'Italia avesse adottato il metodo britannico. Grossolanamente possiamo considerare che questi casi corrispondano a circa il 10 - 20% dei decessi complessivi registrati in Italia. Anche tenendo conto di questo fattore non cambia la sostanza del dato macro: apparentemente in Italia la letalità del virus è doppia rispetto alla Gran Bretagna: 1/4 dei contagi e circa la metà dei decessi. Il dato dei ricoverati in terapia intensiva è allineato con quello dei decessi.

Possiamo attribuire tale differenza solo al livello delle vaccinazioni (molto alto in ambedue i Paesi, soprattutto per le persone più a rischio)? Credo di no. Secondo il mio parere, la spiegazione è che in Italia sfuggono alle statistiche molti più contagi di quanto accada in Gran Bretagna. Basterà ricordare che - normalizzando rispetto al numero degli abitanti - l'Italia fa attualmente circa 1/4 dei tamponi fatti in Gran Bretagna. E così torniamo al punto di partenza: quanto sono affidabili i dati dei contagi italiani? Secondo me sono molto poco affidabili.

Concludo con uno sguardo alla situazione europea secondo quanto comunicato ieri da ECDC:

Tratto da ECDC

L'Italia è giallo/rossa, salvo il Molise che rimane pervicacemente verde. Si riducono un po' le zone rosso scuro in Spagna, mentre aumenta il livello di rischio di Austria, Germania e dei Paesi scandinavi. Insomma la variante Delta procede verso Est e nessuno sembra essere in grado di fermarla.


Un farmaco per tutti i virus del tipo SARS-CoV?

La pandemia di Covid-19 ha stimolato uno straordinario sviluppo di studi volti a comprendere la struttura ed i meccanismi di funzionamento dei virus appartenenti al sottogenere dei sarbecovirus a cui appartengono sia il virus SARS-CoV (detto anche SARS-CoV-1) che generò la pandemia di SARS nel 2003, sia il più noto e recente SARS-CoV-2. Lo scopo finale di questi studi è quello di sviluppare farmaci in grado di combattere tutti i virus appertenenti allo stesso sottogruppo, superando implicitamente anche gli ostacoli generati dalla comparsa, per uno stesso virus, di numerose varianti. 

Lo sviluppo di farmaci antivirali - così come quello dei vaccini - trova spesso dei limiti legati alle continue mutazioni che caratterizzano la naturale evoluzione di tutti i virus. Nel caso del SARS-CoV-2 conosciamo moltissime mutazioni che hanno reso il virus più contagioso e/o più aggressivo rispetto al ceppo virale identificato inizialmente a Wuhan. Di fronte alle continue mutazioni del virus, l'attenzione degli scienziati si è concentrata su quelle parti del virus che hanno una piccolissima probabilità di mutare. Tale probabilità dipende essenzialmente da parametri legati alla struttura molecolare del virus.

Un buon criterio per identificare le parti meno soggette a mutazioni del SARS-CoV-2 è, ad esempio, quello di vedere quali sono le parti che sono rimaste identiche rispetto al precedente SARS-CoV-1. Se tali parti del virus non sono cambiate passando da SARS-CoV-1 a SARS-CoV-2 (che sono due virus diversi anche se sono tutti e due dei sarbecovirus) è ragionevole pensare che non siano facilmente modificabili nell'ambito delle mutazioni che appaiono per il SARS-CoV-2. Per analogia, è ragionevole ritenere che, se un domani dovesse apparire un SARS-CoV-3, le parti "comuni" dovrebbero rimanere più o meno le stesse. Insomma queste parti comuni - che solo oggi stiamo imparando ad identificare - possono essere pensate come una sorta di elemento caratterizzante di tutti i sarbecovirus.

L'esistenza di queste parti  scarsamente soggette a mutazione non è casuale, ma è il risultato di un equilibrio esistente a livello molecolare, legato alle caratteristiche microscopiche del virus. In altre parole, se si prova a modificare uno di questi "punti fermi" (cosa che statisticamente può accedere con una certa frequenza) il nuovo virus diventerà "instabile" e non sarà in grado di riprodursi.

Individuare questi possibili "talloni d'Achille" virali non è facile e richiede l'utilizzo di tecniche sperimentali che indaghino il virus a livello molecolare. Tali tecniche devono essere combinate con sofisticati metodi di calcolo quantistico che consentano di capire i dettagli della struttura e della dinamica interna del virus. 

Sono indagini molto complesse, ma nel corso degli ultimi mesi si sono visti i primi risultati di un certo rilievo. Ancora non abbastanza per rispondere a tutte le domande che gli scienziati si sono posti, ma certamente un enorme passo in avanti verso la comprensione dettagliata del problema.

Recentemente sono stati pubblicati due lavori che vi segnalo perché sono - a mio avviso - molto interessanti. Vi anticipo che la comprensione di questi lavori richiede conoscenze di microbiologia e/o di chimica quantistica piuttosto approfondite. Per chi si accontenta, cercherò di spiegare - in estrema sintesi - quali sono i principali risultati raggiunti e, soprattutto, quali sono prospettive aperte dal punto di vista terapeutico.

Il primo lavoro è stato pubblicato da un gruppo di ricerca guidato dal Professor Harald Schwalbe dell'Istituto di Chimica organica e biologica della Goethe University (Francoforte, D). Lo studio usa un approccio un po' diverso rispetto al solito e, invece di considerare la proteina spike, è andato ad analizzare la struttura della molecola di RNA del virus. Lo studio ha evidenziato 15 punti della molecola di RNA uguali per tutti i sarbecovirus che sono stati analizzati. Ciascuno di questi 15 punti è un possibile obiettivo per farmaci specifici in grado di legarsi chimicamente nei punti stessi, rendendo più difficoltosa (o impedendo del tutto) la replicazione del virus. Lo studio proseguirà nei prossimi mesi per valutare l'efficacia di alcune decine di molecole che sono già state identificate come possibile farmaco.

Un secondo lavoro, apparso su Nature, ha fatto uso di tecniche di cristallografia a raggi X basate su luce di sincrotrone e di altre metodologie per l'analisi sperimentale e teorica di strutture molecolari, per studiare il modo con cui alcuni anticorpi neutralizzanti si legano alla proteina spike. In particolare, l'attenzione degli scienziati si è focalizzata su un anticorpo denominato S309 che era stato originariamente individuato nel plasma di persone che nel 2003 avevano contratto la SARS. Questo anticorpo ha dimostrato di essere in grado di attaccare anche il virus SARS-CoV-2 e tutte le sue principali varianti. Partendo da questo anticorpo, è stato sviluppato un farmaco denominato sotromivab il cui uso è stato autorizzato in via emergenziale dalla FDA fin dallo scorso mese di maggio. I primi dati sul suo utilizzo mostrano una riduzione della probabilità di ricovero o di decesso pari all'85% per i pazienti ad alto rischio di ospedalizzazione a cui viene somministrato nelle fasi iniziali della malattia (molto prima che compaiano sintomi gravi). 

Il lavoro appena pubblicato estende gli studi ad altri anticorpi, cercando di capire, sulla base di una dettagliata analisi svolta a livello molecolare, quali siano le caratteristiche che permettono agli anticorpi di attaccare il virus, indipendentemente dalle sue mutazioni. In particolare, è stato individuato un nuovo anticorpo (S2H97) che si è dimostrato efficace per la neutralizzazione di diversi tipi di sarbecovirus e riesce ad attaccare efficacemente tutte le principali varianti del virus SARS-CoV-2. Questo anticorpo si è dimostrato molto efficace nelle prime sperimentazioni in-vivo fatte su cavie animali. 

In conclusione, dopo oltre un anno e mezzo dall'inizio della pandemia, si incomincia finalmente a capire quali siano i meccanismi molecolari che governano i processi di mutazione virale e quali siano le parti del SARS-CoV-2 meno soggette a variazioni e quindi in grado di fornire un bersaglio "stabile" per i farmaci (ed anche per i futuri vaccini di seconda generazione). 

Tutto questo è il frutto di decenni di studi nei campi della fisica, della chimica e della biologia che ci hanno permesso di imparare a conoscere in modo dettagliato la struttura e la dinamica delle molecole di interesse biologico. I moderni metodi di calcolo quantistico hanno fatto il resto, consentendoci di sviluppare simulazioni sofisticate. 

Aldilà dei tecnicismi, il messaggio fondamentale è che le varianti virali non sono una "maledizione caduta dal Cielo". Sono il risultato di processi naturali la cui dinamica può essere compresa a livello molecolare. Fino ad oggi abbiamo reagito all'attacco della pandemia giocando sostanzialmente in difesa: distanziamento sociale, mascherine ed i vaccini "di prima generazione" sono strumenti preziosi per evitare che si ripetano i disastri dell'anno 2020, ma solo passando ad una "strategia d'attacco" possiamo pensare di contrastare efficacemente il virus SARS-COV-2 (in tutte le sue possibili varianti) e gli altri tipi di sarbecovirus che prima o poi faranno il salto di specie. 

Gli studi di cui vi ho brevemente parlato in questo post sono solo un esempio di come si potrà impostare una "strategia d'attacco" che evidenzi il "tallone d'Achille" del virus  e lo colpisca con precisione.

mercoledì 25 agosto 2021

Cosa succederà a chi ha fatto il vaccino "monodose"?

In Italia sono state somministrate fino ad oggi poco più di 1 milione e 400 mila dosi del vaccino "monodose" Johnson & Johnson (J&J), pari al 73% del numero di dosi disponibili. In Trentino, risulta che siano state somministrate solo 3.858 dosi, pari al 20% della disponibilità. Il restante 80% è rimasto nei frigoriferi della Provincia.

Per tutti coloro che hanno ricevuto il vaccino Johnson & Johnson  si pone il problema della somministrazione di un possibile richiamo. In realtà il problema riguarda tutti i vaccinati, anche alla luce delle recenti notizie provenienti da Israele che dimostrano un forte aumento del livello di protezione associato alla somministrazione di una terza dose di richiamo per coloro che 6 mesi fa avevano ricevuto le due dosi standard del vaccino Pfizer-BioNTech.

Con l'arrivo della variante Delta molti si sono domandati quale fosse l'effettiva copertura garantita dal vaccino J&J. In letteratura sono apparsi diversi lavori, talvolta con risultati contrastanti. Ragionevolmente possiamo aspettarci che anche per il vaccino J&J si osservi una minore efficacia rispetto alla variante Delta e che l'efficacia sia soggetta ad un calo dopo che sono passati alcuni mesi dopo la somministrazione. Non è detto tuttavia che il calo dell'efficacia vaccinale in funzione del tempo sia lo stesso per tutti i vaccini.

Oggi Johnson & Johnson ha annunciato che presenterà all'FDA la richiesta per autorizzare la somministrazione di una seconda dose vaccinale come richiamo da somministrare dopo circa 8 mesi a distanza dalla prima "monodose". Gli studi condotti su volontari hanno dimostrato che il richiamo produce un aumento degli anticorpi neutralizzanti pari a circa un ordine di grandezza.

Alcuni Paesi, come ad esempio la Germania, hanno deciso di abbandonare la somministrazione dei vaccini a virus vettore (tra cui anche J&J) e di adottare una procedura eterologa, proponendo ai vaccinati monodose J&J o con due dosi AstraZeneca un richiamo basato su un vaccino ad mRNA. La Francia sta addirittura valutando la possibilità di somministrare una seconda dose di vaccino ad mRNA già 4 settimane dopo la vaccinazione con il "monodose" J&J.

In Italia non sono state ancora prese decisioni in merito agli eventuali richiami, né per chi ha ricevuto i vaccini a due dosi, né per coloro che sono stati vaccinati con J&J. Risulta anche difficile capire quale sia l'effettiva situazione dell'efficacia dei diversi vaccini perché l'ISS si ostina a diffondere solo dati aggregati sui contagi che colpiscono i vaccinati, senza separarli in base al tipo di vaccino ricevuto. Eppure, nel caso di J&J parliamo di quasi un milione e mezzo di persone vaccinate, una base statistica abbastanza ampia per ricavare informazioni affidabili sul grado di protezione vaccinale.

Oggi, durante la rubrica "I numeri della pandemia" di Sky TG24 a cui ho partecipato assieme al prof. Sergio Abrignani, si è discusso della carenza italiana rispetto alla raccolta dei dati sull'efficacia dei vaccini (il caso di Israele che aggiorna i suoi database due volte al giorno rappresenta un obiettivo per noi irraggiungibile). Qualcuno ha fatto notare al prof. Abrignani che il compito di analizzare i dati sull'efficacia dei vaccini spetterebbe proprio al CTS di cui il prof. Abrignani è un autorevole componente e che i dati aggregati e ritardati forniti dall'Istituto Superiore di Sanità sono meglio che niente, ma sono insufficienti per avere un quadro aggiornato e dettagliato della situazione.
 
Visto quello che è successo in precedenza, credo che la viscosità e la frammentazione dei sistemi informativi che raccolgono i dati sanitari italiani non ci consentiranno di fare molto anche se, tecnicamente, non sarebbe un'impresa troppo difficile: basterebbe raccogliere il numero della tessera sanitaria dei ricoverati (reparti ordinari e terapie intensive) nei reparti Covid e dei deceduti, confrontando tali informazioni con il database dei vaccinati italiani (lo stesso da cui si estraggono le informazioni relative ai green-pass). 
 
Bisognerebbe che qualcuno decidesse di farlo perché, senza queste informazioni, qualsiasi decisione sulla somministrazione del richiamo vaccinale sarebbe presa solo imitando quanto fatto in qualche altro Paese, senza la necessaria conoscenza di quanto accade in Italia.

No-pass, No-tutto!

Ieri il quotidiano l'Adige ha dato notizia della manifestazione di un gruppetto di no-pass che si sono ritrovati davanti alla sede del MART a Rovereto per protestare contro l'obbligo del green-pass per accedere ai musei. La cosa che mi ha colpito è che la manifestazione contro il green-pass, a mio avviso un modo edulcorato per dichiarare il proprio credo no-vax, si basava sul supporto logistico offerto dalla locale sezione no-Tav.

Insomma, no-pass, no-vax, no-Tav, no contro tutto ciò che provenga da una qualsiasi forma di Autorità costituita. Questo sembra essere l'elemento aggregatore di una minoranza rumorosa che in nome della "sua" libertà vuole imporre agli altri cittadini il suo punto di vista, anche a rischio di mettere a repentaglio la salute altrui. 

Perché - per essere chiari - i no-vax della loro salute possono fare quello che meglio credono, purché - in caso di contagio - se ne stiano a casa e non contagino gli altri. Se poi dovessero aggravarsi, continuino a rimanere a casa e non vadano a riempire gli ospedali, sottraendo preziosi posti letto agli altri cittadini.

Naturalmente ciascuno di noi ha idee diverse rispetto alle decisioni che il "Potere" assume quotidianamente. Il diritto di critica è fondamentale ed il confronto democratico tra le diverse opinioni dovrebbe essere in grado di portare ad un ragionevole punto di equilibrio tra punti di vista ed interessi differenti. Tuttavia quando la risposta di un cittadino è sempre e solo "no", sorge il sospetto che dietro a questi atteggiamenti si celi una visione distorta del vivere civile, capace solo di rifiutare le idee degli altri e pronta a demonizzare chi ha il compito (talvolta ingrato) di arrivare alla necessaria sintesi politica. 

Se poi, per nostra sfortuna, il "Potere" è stato consegnato pro-tempore a degli incapaci, c'è sempre la possibilità di mandarli a casa alle prossime elezioni. Ma rifiutare tutto "a prescindere" (come avrebbe detto il mitico Totò) mi sembra un approccio poco intelligente.

martedì 24 agosto 2021

Gran Bretagna: la pandemia non mostra segni di rallentamento

Gli ultimi dati in arrivo dalla Gran Bretagna sono tutti in peggioramento rispetto alla settimana scorsa. Non c'è - per fortuna - la crescita molto forte osservata a inizio luglio, ma la situazione sanitaria incomincia a evidenziare una qualche tensione. Attualmente i contagi viaggiano intorno al livello di 350 nuovi casi settimanali per ogni 100 mila abitanti:

Nuovi contagi settimanali per ogni 100 mila abitanti

Il livello dei nuovi ricoveri giornalieri nei reparti Covid del Regno Unito oscilla vicino a quota 1000. La media settimanale è pari a circa 9 ricoveri per ogni 100 mila abitanti ed è tornata al valore osservato durante il picco dello scorso 25 luglio. Siamo a circa 1/4 del valore di picco osservato durante lo scorso mese di gennaio quando in Gran Bretagna si diffuse la variante virale Alpha, mettendo a dura prova la tenuta delle strutture ospedaliere.

Nuovi ricoveri settimanali nei reparti Covid degli ospedali britannici, normalizzati rispetto ad un campione di 100 mila abitanti

Per quanto riguarda le terapie intensive, conosciamo solo l'occupazione dei posti letto dove sono ricoverati pazienti intubati. Se volessimo confrontare questo dato con l'occupazione delle terapie intensive degli ospedali italiani, dovremmo aggiungere quei malati (approssimativamente il 30% in più) che sono ricoverati in terapia intensiva pur non essendo intubati. Per confronto, oggi in Italia circa 500 pazienti sono ricoverati in terapia intensiva.

Numero di pazienti che si trovano ricoverati nei reparti Covid di terapia intensiva degli ospedali britannici e che sono trattati con sistemi di ventilazione forzata.

Il dato dei decessi continua a crescere ed attualmente è attestato su una media di circa 100 casi giornalieri. I numeri comunicati giornalmente sono soggetti a forti fluttuazioni legate ai ritardi registrati nel sistema di raccolta dei dati. Ricordo che in Gran Bretagna i decessi sono considerati solo se avvengono entro 4 settimane dal primo tampone positivo. I decessi che avvengono oltre tale limite temporale non vengono inclusi nelle statistiche. Questa scelta rende più difficile fare un confronto tra i dati dei decessi che avvengono in Gran Bretagna e quelli di altri Paesi (tra cui l'Italia) che contano tutti i decessi indipendentemente dal momento in cui avvengono. Ciò premesso, ricordo che il dato attuale dei decessi Covid in Italia è pari a circa 0.5 casi settimanali per ogni 100 mila abitanti.

Decessi Covid misurati su base settimanale per ogni 100 mila abitanti. Gli eventi vengono conteggiati solo se avvengono entro 4 settimane dal primo tampone positivo del paziente deceduto. Si noti che il crollo (temporaneo) dei contagi osservato a fine luglio ha prodotto solo un lieve cambio di pendenza della curva dei decessi che è in fase continua di crescita fin dallo scorso mese di giugno

In conclusione, possiamo confermare che in Gran Bretagna è svanita la speranza in un rapido esaurimento dell'ondata pandemica associata alla diffusione della variante Delta. Il Regno Unito si trova da oltre due mesi con un livello di contagi che supera la soglia dei 100 nuovi casi settimanali per ogni 100 mila abitanti. Si nota un significativo aumento dei ricoveri e dei decessi che, inizialmente, sembravano molto attenuati. Non siamo nella situazione critica che si osservò a gennaio con la diffusione della variante Alpha, ma la pressione sul sistema sanitario britannico non può più essere definita come "trascurabile". 

Tutto questo avviene quando la somministrazione di almeno una dose vaccinale ha ormai raggiunto l'86% della popolazione britannica con più di 15 anni (il 77% è completamente vaccinato). Tuttavia anche i dati britannici incominciano a confermare una significativa riduzione dell'efficacia di tutti i vaccini man mano che passano i mesi rispetto alla data di somministrazione della seconda dose vaccinale:

 

Calo dell'efficacia per i vaccini AstraZeneca (a sinistra) e Pfizer-BioNtech (a destra) stimato in Gran Bretagna in funzione del tempo trascorso rispetto alla data di somministrazione della seconda dose. I dati sono stati raccolti dalla fine di maggio in poi, quando in Gran Bretagna il ceppo virale dominante era costituito dalla variante Delta. Tratto dallo studio ZOE COVID, una iniziativa no-profit volta a valutare l'impatto della pandemia sulla popolazione britannica

Probabilmente anche la Gran Bretagna seguirà presto l'esempio di Israele e passerà alla somministrazione della terza dose vaccinale.


domenica 22 agosto 2021

Efficacia dei vaccini: un confronto tra Israele e Italia

Israele sta procedendo speditamente con la somministrazione della terza dose vaccinale alle persone anziane. Recentemente è stato deciso di estendere la terza dose a tutti coloro che hanno più di 40 anni, in modo da coprire con la massima efficacia tutti coloro che - in caso di contagio - rischiano di finire in ospedale. Gli ultimi dati sull'incidenza dei casi gravi tra i cittadini con almeno 60 anni (quelli sottoposti per primi alla terza dose, già tre settimane fa) confermano una sostanziale stabilità dei contagi tra i vaccinati, mentre la curva dei contagi tra i non vaccinati continua a crescere a ritmi sostenuti:

Andamento dei casi classificati come "gravi" in Israele per i cittadini con almeno 60 anni di età non vaccinati /punti rossi) e per i loro coetanei che hanno ricevuto almeno due dosi vaccinali

Il fatto che i casi gravi continuino a crescere tra i non vaccinati, mentre rimangono stabili tra coloro che hanno ricevuto almeno due dosi vaccinali (in realtà oltre il 60% dei cittadini israeliani 60+ ha già ricevuto anche la terza dose di richiamo) è una forte indicazione che il richiamo vaccinale incominci a produrre i suoi effetti. 

Il parametro da tenere sotto controllo è - in particolare - il rapporto tra le densità di casi gravi registrati nelle due popolazioni. Attualmente tale rapporto è tornato ad un valore pari circa a 10, dopo essere sceso circa a 4 poco prima dell'avvio della somministrazione della terza dose. 

Rapporto tra la densità di casi "gravi" riscontrati tra i cittadini di Israele 60+ non vaccinati rispetto ai loro coetanei che hanno ricevuto almeno due dosi vaccinali
 

Non è facile fare un confronto diretto tra la situazione italiana e quella di Israele perché ci sono alcune differenze strutturali di cui bisogna tenere conto. In particolare:

  • La campagna vaccinale italiana è partita con grande ritardo rispetto a quella israeliana e se - come ipotizzato - la perdita di efficacia dei vaccini avvenisse dopo un periodo superiore ai 6 mesi è ancora un po' presto per vedere in Italia un effetto macroscopico come quello osservato in Israele durante gli scorsi mesi di giugno e luglio.
  • In Italia abbiamo usato vaccini diversi, anche se la maggior parte delle vaccinazioni è stata fatta con Pfizer-BioNTech che è il vaccino utilizzato in modo esclusivo dalle Autorità sanitarie israeliane. Non è detto che il tempo di decadimento dell'efficacia sia lo stesso per tutti i diversi tipi di vaccini. In particolare, ci sono indicazioni - al momento ancora preliminari - secondo cui il vaccino AstraZeneca, pur essendo inizialmente meno efficace rispetto al vaccino Pfizer-BioNTech, tenderebbe a conservare la sua efficacia nel tempo meglio di quanto non faccia il vaccino Pfizer-BioNTech. Tali dati (vedi figura seguente) si riferiscono alla probabilità di contagio e non tengono conto della gravità del contagio stesso.
Andamento in funzione del tempo del rapporto della probabilità di contagio (Odds Ratio = OR) di un vaccinato con Pfizer-BioNTech (linea rossa) o AstraZeneca (linea azzurra) misurata rispetto ad una persona non vaccinata. I dati sono stati ottenuti in Gran Bretagna e le bande colorate mostrano il loro margine di incertezza. L'efficacia dei vaccini può essere calcolata (in percentuale) calcolando l'espressione 100*(1 - OR). Tratto da un lavoro che, al momento, è ancora sotto forma di preprint. Il valore iniziale di OR, misurato per i vaccinati con Moderna, è migliore rispetto a tutti gli altri vaccini, ma - al momento - non ci sono informazioni sul suo andamento temporale.
 
  • In Italia le Autorità sanitarie continuano a fornire i dati sull'efficacia dei vaccini in forma aggregata e si ostinano a non diffondere i dati per l'efficacia dei singoli vaccini (cosa - per me -  non facilmente comprensibile).
  • I casi classificati come "gravi" in Israele corrispondono più o meno al 50% dei ricoveri ospedalieri complessivi e sono molti di più rispetto ai casi che potremmo classificare come critici (o da terapia intensiva). In Italia abbiamo i dati complessivi sui ricoveri (inclusi quelli per casi di media gravità) e quelli per le terapie intensive. Per confrontare i dati italiani con quelli israeliani dobbiamo fare una sorta di estrapolazione che non è sempre facile da stimare.
  • I dati israeliani sono riferiti al numero di posti letto occupati, mentre quelli italiani riportano il valore dei nuovi ricoveri. I due parametri possono essere confrontati solo se si assume che la durata media delle degenze non cambi sostanzialmente nell'arco di tempo considerato.

Tutto ciò premesso, vediamo cosa ci dicono gli ultimi dati ISS relativi all'efficacia dei vaccini in Italia. I dati grezzi sono riassunti nella tabella seguente:

Dati ISS relativi all'efficacia dei vaccini nel corso dell'ultimo mese

Partendo da questi dati, troviamo che il livello di ricoveri ospedalieri registrato in Italia nei 30 giorni che si concludevano lo scorso 8 agosto è stato pari a 11,9 nuovi ricoveri settimanali per ogni 100 mila italiani con almeno 60 anni di età non vaccinati. Per i loro coetanei completamente vaccinati il numero dei nuovi ricoveri settimanali è stato pari a 1,3 casi.

Se ci limitiamo a considerare i ricoveri in terapia intensiva, il dato per gli italiani 60+ non vaccinati è pari a 1,6 casi per ogni 100 mila abitanti e si riduce a 0,092 casi settimanali per i completamente vaccinati. Come atteso, il grado di copertura vaccinale aumenta quando si considerano solo i casi più gravi.

Se osserviamo il rapporto tra la densità dei ricoveri tra i non vaccinati e le persone completamente vaccinate, il dato italiano è pari a circa 9 se consideriamo tutti i ricoveri e sale a circa 17 se consideriamo solo i ricoveri in terapia intensiva.

Se confrontiamo il valore dei rapporti stimati in Italia con quello stimato in Israele per i casi "gravi" (una via di mezzo tra il rapporto misurato su tutti i ricoveri e quello che considera solo le terapie intensive) vediamo che il valore attuale in Israele (circa 10 dopo una massiccia somministrazione della terza dose vaccinale) non è distante rispetto al dato italiano. 

Questo conferma che in Italia non si è ancora osservato il crollo di efficacia dei vaccini evidenziato in Israele nei mesi di giugno e luglio, quando il rapporto non vaccinati/vaccinati scese fino a 4. Si tratta di una buona notizia, ma la situazione va comunque seguita con molta attenzione.



venerdì 20 agosto 2021

Aggiornamento sulla pandemia in Italia: siamo su un massimo relativo?

In questa settimana ferragostana si segnala una sostanziale invarianza del numero dei nuovi contagi (ufficiali). Gli altri dati sono ancora tutti in aumento, ma tale andamento è compatibile con il consueto ritardo con cui ricoveri e decessi seguono l'andamento dei contagi. Già nella prossima settimana dovremmo vedere la fine della crescita dei nuovi ricoveri, ammesso che il dato sui contagi non sia stato troppo alterato dalla "fuga dai tamponi" che ha spinto molti positivi a non farsi identificare per evitare di compromettere le ferie estive.

Partendo dai contagi, l'andamento è compatibile con il raggiungimento di un punto di massimo relativo. Il numero dei nuovi contagi ha oscillato intorno ad un valore che è poco meno della metà dei contagi misurati all'inizio dello scorso mese di Aprile quando la pandemia toccò il massimo relativo associato alla diffusione della variante Alpha. Salvo brutte sorprese, a partire dalla prossima settimana, i nuovi contagi dovrebbero iniziare a scendere:

Nuovi contagi giornalieri (linea grigia). La linea blu rappresenta il valore medio calcolato su base settimanale

I ricoveri nei reparti Covid degli ospedali italiani sono aumentati di circa il 20% rispetto alla settimana precedente. L'aumento è meno importante rispetto alle settimane precedenti, ma si tratta ancora di un aumento importante:

Variazione percentuale dell'occupazione dei posti letto nei reparti Covid  degli ospedali italiani misurata su base settimanale

Il dato dei nuovi ricoveri in terapia intensiva è ancora in crescita, sia pure moderata:

Nuovi ricoveri settimanali nei reparti di terapia intensiva

Se guardiamo al dato specifico del Trentino, vediamo numeri leggermente migliori rispetto alla media nazionale, anche se il "gap" tra il dato nazionale e quello del Trentino si sta progressivamente riducendo, sia per i contagi che per i ricoveri:

Confronto tra i dati nazionali (linee verdi) ed i dati del Trentino (linee rosse). Le linee continue si riferiscono ai contagi, mentre quelle tratteggiate rappresentano i ricoveri. Tutti i dati sono normalizzati rispetto ad un campione di 100 mila abitanti

Il dato sui decessi è quello che non mostra, almeno per il momento, alcun segno di rallentamento:

Decessi Covid settimanali normalizzati rispetto ad un campione di 100 mila abitanti

Zona bianca, anzi "sbianchettata"

Come ampiamente previsto, i criteri basati sulle ospedalizzazioni che usano, come denominatore, i posti letto "attivabili", sono stati agevolmente aggirati dalle burocrazie sanitarie regionali che hanno "attivato" nuovi posti letto con grande creatività. Posti letto fantasma, ricoveri in terapia intensiva sistematicamente declassificati come ricoveri "ad alta intensità" e velocissime dimissioni dei malati meno gravi, trasferiti in strutture esterne che non sono considerate nelle statistiche ministeriali, hanno permesso di abbassare considerevolmente il valore degli indicatori di rischio, mantenendoli sotto le soglie che avrebbero fatto scattare il passaggio a zona gialla.

Regioni come la Sicilia, che mostrano da giorni situazioni di reale criticità, rimangono magicamente in zona bianca e potranno completare il mese d'agosto senza alcuna di quelle limitazioni che avrebbero potuto turbare il periodo più importante delle vacanze estive. Più che zona "bianca", potremmo dire che sono state classificate come zona "sbianchettata".

A mio avviso, sarebbe stato più serio dichiarare esplicitamente che - per tutto il mese di Agosto - non si sarebbero applicate limitazioni. Si è preferito introdurre questi criteri basati sui ricoveri (che, se fossero stati applicati in modo serio, avrebbero potuto avere molto senso), ma - di fatto - sono diventati solo un incentivo per stimolare le "furbate" della peggiore burocrazia sanitaria. Tutti in zona bianca e pace se gli ospedali non saranno più in grado di garantire la normale funzionalità per la cura di tutte le altre patologie

Questi criteri - così come li stiamo usando - sono solo una presa in giro.

mercoledì 18 agosto 2021

Pro-vax a "corrente alternata"

Gli ultimi dati sulle vaccinazioni confermano il ritardo sistematico del Trentino, già discusso ampiamente su questo blog. Il "profondo Nord" (Trentino, Alto Adige e Valle D'Aosta) ed il "profondo Sud" (Sicilia e Calabria) sono appaiati nella non invidiabile classifica dei territori dove c'è la maggiore frazione di cittadini che rifiutano il vaccino. Tutte queste Regioni/PPAA hanno una percentuale di popolazione completamente vaccinata inferiore al 57% (il Trentino oggi è al 56,9%), contro una media nazionale del 60,5%. Il maggiore tasso di vaccinazione si verifica in Lazio e Lombardia, ambedue sopra il 65%.

A fronte di questa situazione c'è l'imbarazzato silenzio dei nostri governanti provinciali che (forse preoccupati di non irritare il loro "capitano" padano) fanno finta di nulla e talvolta strizzano l'occhio ai no-vax dando la colpa al Governo centrale per tutti i possibili disagi che possono essere causati a chi rifiuta il vaccino. 

Per onore di verità, va osservato che il Presidente pro-tempore Fugatti almeno ci ha provato a richiamare gli insegnanti al loro dovere di dotarsi di regolare green-pass, forse solo per evitare di spendere un sacco di soldi per una moltitudine di tamponi ripetuti. Comunque la sua presa di posizione è stata ferma e chiara. Speriamo che la mantenga e che il suo "capitano" e le pressioni sindacali non lo costringano a cambiare idea.

Nell'assordante silenzio della politica (forse distratta dalle ferie ferragostane) si alza forte la voce dei Sindacati trentini che chiedono alla Provincia azioni più incisive per aumentare la quota dei cittadini trentini vaccinati. La domanda sorge spontanea: "ma sono gli stessi Sindacati che protestano e organizzano scioperi contro l'obbligo del green-pass per accedere alle mense aziendali o per il personale della Scuola?"

Credo che non si possa essere pro-vax "a corrente alternata". A favore dei vaccini quando si deve protestare (giustamente) contro l'inerzia della Provincia, ma pronti a strizzare l'occhio ai no-vax (e a sostenere chi rifiuta il green-pass che è solo una forma edulcorata di rifiuto dei vaccini) quando si devono difendere gli interessi di una minoranza di lavoratori che, con le loro scelte, mettono a rischio anche la salute dei loro colleghi di lavoro.

Francamente non capisco i tentennamenti e le ambiguità dei Sindacati (non solo trentini) quando si parla di vaccinazione anti-Covid. Se chiarissero la loro posizione sarebbero più credibili, anche quando criticano la Provincia.

martedì 17 agosto 2021

Gran Bretagna: la lenta ripresa del picco pandemico

I dati che arrivano dalla Gran Bretagna confermano che il picco pandemico ha ripreso a salire, anche se con velocità decisamente inferiore rispetto ai valori di inizio luglio. Non deve spaventare il picco di 170 decessi Covid comunicati in data odierna: si tratta infatti di eventi accaduti nei giorni precedenti che, soprattutto in coincidenza con il fine settimana, vengono segnalati con grande ritardo.

Se osserviamo il dato dei contagi, si vede chiaramente che la circolazione virale è ancora molto elevata (circa 300 contagi settimanali per ogni 100 mila abitanti) ed ha ricominciato a crescere. Con il senno di poi, è probabile che una parte del vero e proprio crollo osservato a metà luglio sia stato un calo fittizio dovuto alla chiusura delle Scuole in Inghilterra. Scuole chiuse =  blocco dei tamponi di controllo fatti agli studenti = meno contagi "ufficiali":

Andamento dei contagi in Gran Bretagna (valori normalizzati rispetto ad un campione di 100 mila abitanti)

Insomma, tolti i diversi fenomeni transitori (Scuole, Campionato europeo di calcio di inizio luglio ed eliminazione delle residue restrizioni anti-Covid avvenuta lo scorso 19 luglio), ci ritroviamo con un dato in leggera crescita che - fatti salvi eventuali peggioramenti autunnali - dovrebbe comunque essere arrivato in prossimità del punto di massimo relativo. Al momento, non è possibile dire nulla su quando ci sarà una reale e duratura discesa dei contagi

Passando al dato dei nuovi ricoveri ospedalieri, si vede che il calo (iniziato ad agosto) è stato decisamente meno marcato rispetto a quello dei nuovi contagi ed anche il dato dei ricoveri mostra già una ripresa:

Nuovi ricoveri giornalieri nei reparti Covid degli ospedali britannici

Ancora meno marcata la flessione del numero di posti letto occupati in terapia intensiva (ricordo che in Gran Bretagna vengono conteggiati solo i pazienti intubati) che oscillano intorno a quota 900 da circa 3 settimane:

Numero assoluto di pazienti ricoverati in terapia intensiva in Gran Bretagna che risultano essere "intubati"

Il dato dei decessi cresce meno rapidamente rispetto alle settimane precedenti, ma è ancora in aumento:

Decessi Covid normalizzati rispetto ad un campione di 100 mila abitanti. In Gran Bretagna vengono conteggiati solo i decessi che avvengono entro 4 settimane dal momento del primo tampone positivo

A questo punto non è chiara quale sia la strategia adottata dalle Autorità sanitarie britanniche. Chi sperava che la discesa dei contagi registrata nella seconda metà di luglio segnasse la fine del picco pandemico è rimasto deluso. 

Tra l'altro, le Autorità britanniche, solitamente molto pronte a fornire dati sull'efficacia dei vaccini nel "mondo reale", da un po' di tempo sono rimaste stranamente in silenzio. Dopo aver fornito dati iniziali tutto sommato abbastanza buoni sulla protezione rispetto alla variante Delta, non sono state diffuse ulteriori informazioni. Sarebbe interessante capire cosa stia effettivamente succedendo in Gran Bretagna, anche alla luce dei dati preoccupanti arrivati da Israele che tre settimane fa hanno spinto le Autorità sanitarie di Tel Aviv a partire con la somministrazione della terza dose vaccinale su larga scala.

Nel frattempo quasi il 90% dei cittadini britannici maggiorenni ha ricevuto almeno una dose vaccinale (oltre il 77% è completamente vaccinato), mentre è stata avviata una campagna per la vaccinazione degli studenti di 16 e 17 anni prima del ritorno a Scuola. Per il momento, la Gran Bretagna è rimasto uno dei pochissimi Paesi che non vaccina i ragazzi da 12 a 15 anni. Ricordo che la Gran Bretagna usa anche il vaccino Pfizer-BioNTech già approvato sopra gli 11 anni, ma gran parte della sua campagna vaccinale è stata impostata sul vaccino made-in-UK AstraZeneca che non può essere utilizzato per vaccinare le persone più giovani. Questa impostazione rende senz'altro più complicato lo sviluppo del programma vaccinale britannico.

Sembra che anche la Gran Bretagna si stia orientando per la somministrazione su larga scala di una terza dose vaccinale, a partire dal prossimo mese di settembre. Il programma - sull'esempio di Israele - potrebbe interessare circa la metà dell'intera popolazione britannica.

A meno che le Autorità sanitarie britanniche si accontentino dello status quo, ovvero di andare avanti per un tempo imprecisato con qualcosa come oltre 20 mila nuovi ricoveri mensili nei reparti Covid degli ospedali britannici e con oltre 3 mila decessi mensili causati dalla Covid-19.