mercoledì 31 marzo 2021

Una analisi dei decessi del Trentino

In attesa che la campagna vaccinale riesca finalmente a fornire una adeguata protezione ad anziani e persone fragili, il Trentino conta - fino ad  oggi - circa 1350 decessi causati dalla Covid-19. Sappiamo che questo numero sottostima il dato reale a causa di un numero significativo di decessi che non sono stati inseriti nelle statistiche ufficiali. Durante la prima ondata solo una parte del picco anomalo dei decessi avvenuti nelle RSA trentine era stato effettivamente conteggiato. I dati ISTAT relativi all'intero 2020 mostrano per il Trentino un eccesso di mortalità rispetto alla media dei 5 anni precedenti largamente superiore rispetto ai dati ufficiali dei decessi Covid.

Ciò premesso, osservando i dati dei decessi ufficiali, si possono comunque cogliere alcuni elementi di un certo interesse. La figura seguente mostra che la curva dei decessi (linea rossa) può essere grossolanamente approssimata con 4 segmenti di retta rappresentati dalle linee tratteggiate di colore nero, identificate con le lettere A, B, C e D:

Andamento dei decessi per Covid-19 in Trentino secondo i dati comunicati dalla Provincia Autonoma di Trento (linea rossa). La curva può essere grossolanamente approssimata con 4 linee nere tratteggiate (indicate con le lettere A, B, C e D)
 

Si distinguono 4 diversi andamenti:

  1. Prima ondata (linea A). La linea tratteggiata mostrata in figura ha una pendenza pari a circa 85 decessi settimanali. I decessi hanno iniziato a crescere a ritmo sostenuto nella seconda metà di marzo, ma già a fine aprile si osserva che la curva rossa si allontana dalla linea tratteggiata Sono gli effetti del rigido lockdown introdotto a metà marzo 2020 che, in circa due mesi, ha sostanzialmente azzerato i decessi provocati dalla prima ondata pandemica.
  2. Pausa estiva (linea B). Durante la scorsa estate (quando qualcuno si illudeva che il virus fosse clinicamente morto) il livello dei nuovi decessi è rimasto vicino a 0, producendo un lungo plateau nella curva dei decessi complessivi.
  3. Con l'arrivo della seconda ondata (linea C) il livello dei decessi ha ripreso a salire molto velocemente. Il Trentino, da novembre in poi, è riuscito incredibilmente a rimanere zona gialla (malgrado un livello di contagi che si avvicinava a 1.000 nuovi contagi settimanali per ogni 100.000 abitanti), ma tra la fine di ottobre 2020 e la fine di gennaio 2021 ha contato nuovi lutti causati dalla Covid-19 con un ritmo pressoché costante, pari a circa 60 casi settimanali. 
  4. A fine gennaio, si nota un forte cambio di pendenza (passaggio dalla zona C alla zona D). Molto probabilmente è l'effetto delle vaccinazioni fatte agli ospiti delle RSA che ha ridotto sensibilmente i decessi tra i grandi anziani spesso affetti da una o più co-morbilità. Durante gli ultimi due mesi i decessi sono progrediti con un ritmo pari a circa 16 decessi settimanali, ma - almeno fino ad oggi - non c'è stato l'ulteriore calo dei decessi che sarebbe stato auspicabile. Segno che la vaccinazione delle categorie più a rischio (anziani e giovani fragili) non è progredita con la necessaria velocità, sia per la limitata disponibilità dei vaccini, sia per taluni discutibili criteri che sono stati adottati per la scelta delle persone da vaccinare. Inoltre bisogna tener conto del fatto che la maggiore circolazione della variante inglese potrebbe aver prodotto casi mediamente più gravi, neutralizzando l'effetto della parziale vaccinazione dei trentini di età superiore ai 75 anni che è attualmente in corso.

Complessivamente, da ottobre in poi, i decessi causati dalla pandemia sono stati più del doppio rispetto a quelli registrati durante la prima ondata pandemica. Questo fatto è dovuto alla estensione temporale della seconda ondata pandemica, iniziata ad ottobre e, almeno fino ad oggi, non ancora esaurita (potremmo discutere a lungo se attualmente si debba parlare di "seconda" o "terza" ondata, ma la sostanza delle cose è che i reparti Covid degli ospedali hanno iniziato a riempirsi 6 mesi fa e sono ancora pieni). Il tardivo passaggio in zona rossa avvenuto a marzo (quando i contagi, sia pure molto elevati, erano solo un terzo di quelli di novembre) è una classica "chiusura della stalla a buoi scappati". 

Il ritmo ancora alto delle nuove entrate nei reparti Covid di terapia intensiva dimostra che le criticità del sistema sanitario trentino non sono state ancora risolte. Solo quando il numero delle nuove entrate in terapia intensiva si sarà azzerato e quando, con qualche settimana di ritardo, vedremo un analogo crollo dei decessi, potremo dirci veramente fuori da questa lunghissima ondata pandemica.



 




Pfizer annuncia che il suo vaccino è molto efficace nei ragazzi di età compresa tra 12 e 15 anni

L'attuale autorizzazione per l'utilizzo del vaccino Pfizer BioNTech prevede che la somministrazione possa essere fatta solo a persone di età maggiore o uguale di 16 anni. 

Oggi è stato annunciato il risultato di uno studio condotto su un campione di 2.260 giovani di età compresa tra i 12 ed i 15 anni. Secondo le anticipazioni rilasciate dalla ditta produttrice il vaccino avrebbe dimostrato una efficacia pari al 100% (0 casi di contagio sintomatico tra i ragazzi che avevano ricevuto il vaccino, contro 18 casi riscontrati tra coloro che avevano ricevuto il placebo). Ricordo che, come al solito, questi studi non vanno a cercare eventuali contagi asintomatici sottoponendo i volontari a tamponi con cadenza periodica, ma si limitano ad analizzare lo stato dei partecipanti nel caso in cui manifestino sintomi, anche di lieve entità.

Per quanto riguarda gli eventuali effetti collaterali, lo studio non evidenzia particolari criticità. Tenuto conto del numero abbastanza limitato di partecipanti, si può comunque concludere che l'efficacia del vaccino è molto alta e non è inferiore rispetto a quella riscontrata per le persone di età maggiore rispetto a 15 anni (pari al 95%).

I risultati annunciati oggi da Pfizer saranno presto sottoposti alla FDA per ottenere l'autorizzazione alla somministrazione del vaccino fino all'età minima di 12 anni. Potrebbe essere un passo in avanti importante per avvicinarsi ad una effettiva immunità di gregge.

Pfizer ha anche annunciato di avere avviato una nuova sperimentazione (che coprirà tutte le tre fasi 1/2/3) per i bambini d'età compresa tra 6 mesi e 11 anni.

 


martedì 30 marzo 2021

Nuova puntata della "telenovela" AstraZeneca

 


In Europa, il vaccino AstraZeneca era stato inizialmente autorizzato solo per le persone di età inferiore ai 55 anni a causa di un grossolano errore fatto dalla ditta produttrice nell'arruolamento dei volontari che avevano partecipato agli studi di fase 3. Si erano dimenticati di arruolare un numero adeguato di volontari d'età superiore ai 55 anni e questo non aveva permesso all'EMA di disporre di un numero abbastanza ampio di casi per valutare l'efficacia del vaccino sulle persone più anziane. L'errore dovrebbe essere stato corretto negli studi di fase 3 che AstraZeneca ha rifatto negli Stati Uniti ed in altri Stati del continente americano. Inoltre la somministrazione diffusa del vaccino AstraZeneca agli anziani della Gran Bretagna sembra aver evidenziato una efficacia non molto diversa rispetto a quella riscontrata per i più giovani. 

Va ricordato inoltre che tutte le valutazioni sono concordi nell'affermare che AstraZeneca, così come gli altri tre vaccini fin qui autorizzati, offre una copertura pressoché totale rispetto alle forme più gravi di Covid-19, quelle che possono portare all'ospedalizzazione o addirittura al decesso.

I recenti casi di rare e particolari forme di trombosi celebrale riscontrate in Germania ed altri Paesi europei tra persone giovani, soprattutto donne (circa 1 caso per ogni 100.000 dosi di vaccino somministrato), hanno fatto sospendere la somministrazione del vaccino AstraZeneca per un pugno di giorni. 

Dopo l'intervento dell'EMA le vaccinazioni sono ripartite, ma ora si sta diffondendo un orientamento diametralmente opposto rispetto a quello iniziale. La scelta francese  di  somministrare il vaccino AstraZeneca solo alle persone di età superiore ai 55 anni è stata adottata  anche in Germania che ha scelto il limite dei 60 anni come età minima per ricevere il vaccino AstraZeneca.

È difficile capire se questi provvedimenti siano effettivamente motivati: non c'è pace per il vaccino AstraZeneca e cresce il disorientamento tra chi attende di essere vaccinato.











Alcune varianti della proteina N provocano falsi negativi quando si usano i test antigenici rapidi

Già annunciata all'inizio del corrente mese di marzo, è stata recentemente immessa in medRxiv una pubblicazione (attualmente sottomessa per la pubblicazione, ma non ancora accettata dai referee), nella quale si descrivono le mutazioni della proteina N che permettono al virus SARS-CoV-2 di sfuggire alla gran parte dei test antigenici attualmente in commercio. 

C. Del Vecchio et al. "Emergence of N antigen SARS-CoV-2 genetic variants escaping detection of antigenic tests"; doi.org/10.1101/2021.03.25.21253802

Una sintesi dell'articolo scritta in italiano la potete trovare qui.

Il problema segnalato nell'articolo potrebbe essere particolarmente grave soprattutto per il Trentino e per le altre Regioni/PPAA che hanno di fatto abbandonato l'utilizzo dei tamponi molecolari per la rivelazione dei nuovi positivi, usando al loro posto i più veloci ed economici tamponi antigenici, per lo più "appaltati" a strutture esterne agli ospedali come, ad esempio, le farmacie.

Oltre ad essere molto meno sensibili rispetto ai tamponi molecolari, i tamponi antigenici potrebbero non rilevare i contagi caratterizzati da una elevata carica virale nel caso in cui il virus presenti la coppia di mutazioni A376T e M241I nella proteina N (il bersaglio dei test antigenici).

Le Regioni/PPAA che fanno un uso eccessivo di tamponi antigenici "abbelliscono" i dati dei loro contagi (perdendo sistematicamente i casi a bassa carica virale), ma rischiano di favorire lo sviluppo selettivo dei ceppi virali poco visibili ai tamponi antigenici, innescando un meccanismo perverso che rende ancora più difficile il controllo dell'effettivo stato della circolazione virale.

Ci sono alcuni semplici provvedimenti che potrebbero ridurre considerevolmente i rischi descritti nell'articolo. In particolare:

  1. sottoporre immediatamente a tampone molecolare i casi sospetti sintomatici che dovessero risultare negativi ai tamponi antigenici;
  2. utilizzare i tamponi molecolari come prima scelta quando si verifica lo stato virologico di persone asintomatiche che abbiano avuto contatti stretti con casi positivi o quando si realizza lo screening di determinate categorie di persone prima della loro entrata in aree critiche (ad esempio dei pazienti non Covid prima del loro ricovero in ospedale).
Trovare (quasi) tutti i contagi non è difficile: basta volerlo fare.

 

 


Qualcosa si muove (in Sicilia!)

Più volte in questo blog mi sono posto la domanda retorica "ci sarà un giudice a Berlino?" anche per i cittadini danneggiati dai furbetti che hanno alterato i dati della pandemia. Queste manipolazioni sono servite per evitare che alcune Regioni/PPAA finissero in zona rossa, pur in presenza di una elevatissima circolazione virale. A mio avviso, l'aspetto più grave di tali comportamenti è stato quello di aver fornito ai cittadini una immagine riduttiva sullo stato della pandemia, inducendoli a sottovalutare i rischi di contagio con possibili gravi ripercussioni per la loro salute.

A quanto si apprende dalla stampa, almeno un giudice interessato ad approfondire l'argomento c'è:

 
Chissà se anche in altre parti d'Italia ci sono magistrati curiosi che abbiano voglia di far luce sulla problematica gestione dell'emergenza pandemica che ha caratterizzato tante Regioni/PPAA italiane.

Intanto nel CTS si registra un certo nervosismo:
Cito, in particolare, una dichiarazione rilasciata da un componente del CTS che mi suona familiare: "Come dire, d’ora in poi gli italiani potrebbero cominciare a chiedersi se effettivamente la zona e il colore assegnati al territorio in cui vivono, siano essi restrittivi o meno, corrispondono alla realtà dei dati."

lunedì 29 marzo 2021

I vaccini ad mRNA nel mondo reale: protezione del 90% rispetto a qualsiasi forma di contagio

L'istituto americano CDC (Centers for Disease Control and Prevention) ha pubblicato un rapporto preliminare nel quale viene analizzato l'effetto prodotto dai vaccini ad mRNA (Pfizer e Moderna) su un gruppo di quasi 4.000 persone attive nel settore sanitario. Il dato interessante di questo studio è che, dopo la vaccinazione, tutti i partecipanti al progetto sono stati seguiti per almeno tre mesi, facendo un tampone molecolare ogni settimana. Questo ha permesso di individuare anche le forme di contagio completamente asintomatiche che si sono verificate dopo la vaccinazione.

Il dato è importante perché gli studi di fase 3 dei vaccini analizzano solo le forme di contagio sintomatico: i volontari che partecipano alla sperimentazione vengono sottoposti a tampone solo se manifestano sintomi.

Sappiamo che tutti i vaccini (anche AstraZeneca) foniscono una protezione pressoché totale contro le forme gravi di Covid-19 ed una protezione verso le forme sintomatiche non gravi che - per i vaccini ad mRNA - arrivano fino al 95%. Ma c'è una domanda ancora largamente inevasa: "Le persone vaccinate possono contrarre forme asintomatiche della Covid-19 e quindi diventare potenzialmente contagiose per le altre persone?". In termini strettamenti tecnici, la domanda è "I vaccini per il SARS-CoV-2 forniscono una immunità sterilizzante?"

Le risposte che abbiamo acquisito fino ad oggi sono il frutto di analisi indirette basate sullo studio dell'andamento del contagio nelle popolazioni dei Paesi dove la vaccinazione dei cittadini sono progredite più velocemente (ad esempio Israele e Gran Bretagna). Per rispondere in modo accurato bisognerebbe seguire un ampio campione di popolazione vaccinata, individuando accuratamente anche la presenza di tutti i casi di contagio asintomatico. L'unica via possibile per ottenere queste informazioni è quella di sottoporre frequentemente i vaccinati a tampone molecolare, ma - come ricordato precedentemente - questo non si fa neppure con i volontari che partecipano agli studi di fase 3. Lo studio CDC è importante perché è l'unico - per quanto a mia conoscenza - che affronta il problema in modo diretto (analizza tutti i casi asintomatici).

I dati raccolti da CDC mostrano che, per i due vaccini considerati, il grado di protezione (dopo due vaccinazioni) è pari al 90% includendo qualsiasi forma di contagio, anche completamente asintomatico. Il livello di protezione dopo una singola dose è pari all'80%, due settimane dopo aver ricevuto la prima dose.

I risultati di questo studio sono caratterizzati da una incertezza statistica abbastanza ampia legata alla dimensione relativamente piccola del gruppo di persone seguite nell'analisi fatta da CDC.

Se questi valori fossero confermati, potremmo effettivamente parlare di vaccini "sterilizzanti". Questo potrebbe portare ad un allentamento delle misure di prevenzione imposte ai vaccinati (ad esempio obbligo di indossare la mascherina o di isolamento in caso di contatto con un contagiato) considerata la loro bassa probabilità di essere contagiati anche in forma solo asintomatica e di diventare a loro volta contagiosi.

I vaccini nell'Italia delle corporazioni

In attesa che le Regioni/PPAA adottino – senza eccezioni – le linee guida sulle priorità di accesso alle vaccinazioni basate esclusivamente su criteri di età e fragilità, crescono le pressioni di numerose categorie professionali che chiedono di saltare la fila e di essere vaccinate prima degli altri.

Molti, a livello personale, sono già riusciti a sottrarre il vaccino a chi ne avrebbe avuto più bisogno sfruttando la compiacente complicità di familiari e amici o le loro posizioni di potere. Altri si muovono utilizzando le loro organizzazioni professionali e non esitano a minacciare pesanti rappresaglie se le loro richieste non saranno soddisfatte.

Sono rimasto francamente sconcertato leggendo la presa di posizione dell’Associazione nazionale magistrati che è arrivata a minacciare il blocco delle udienze se i magistrati non saranno inseriti immediatamente tra i salta-fila.

Vacciniamo i magistrati, ma non vacciniamo gli avvocati? E che fare dei tassisti, degli autisti degli autobus, degli addetti ai supermercati e di tutte le altre categorie professionali che lavorano a stretto contatto con il pubblico? Che senso ha vaccinare un magistrato 40-enne e non vaccinare un pensionato di 74 anni che, se contrae la Covid-19, rischia la vita?

È sconcertante che le prese di posizione più sfacciatamente corporative si scatenino proprio nel momento in cui le terapie intensive sono vicine al punto di massima occupazione, piene di anziani e di persone fragili che il vaccino non l’hanno potuto ricevere.

domenica 28 marzo 2021

La didattica a distanza tra disagio sociale e docenti neo-luddisti

Crescono in tutta Italia le manifestazioni di protesta contro la didattica a distanza, ormai nota con l’acronimo DAD. Come succede spesso, queste manifestazioni raccolgono un fronte molto eterogeneo che va da chi mette in evidenza l’innegabile disagio degli studenti (e dei loro genitori) fino a chi usa la protesta anti-DAD come una opportunità per propagandare idee negazioniste.

Il copione di queste manifestazioni è sempre più o meno lo stesso:
  1. Si parte dalle difficoltà oggettive e dai limiti tecnologici di questo forzato esperimento di interazione a distanza.
  2. Si mettono in evidenza i danni psicologici e le difficoltà di apprendimento dei nostri giovani.
  3. Si ricordano i disagi delle famiglie e soprattutto delle madri costrette ad impossibili tour de force tra DAD, lavoro ed altri impegni famigliari.
  4. Si citano – senza capirne i limiti – gli studi che negherebbero il ruolo delle Scuole come amplificatore del contagio, confondendo l’ampiezza (in termini di numero di pagine) di un rapporto con la sua consistenza scientifica;
  5. Si citano studi in modo parziale domandandosi "basta chiudere le Scuole per bloccare la diffusione del virus?". La risposta è ovviamente no se non si chiudono anche molte altre attività, ma questo non vuol dire che quando la situazione è particolarmente critica (ovvero quando le terapie intensive sono sature) e dopo avre chiuso tutte le attività non strettamente indispensabili, non si debba mettere nel conto anche la chiusura temporanea delle Scuole.
  6. Si fa finta di ignorare che quando sono state chiuse le Scuole in Trentino i contagi tra i giovani in età scolare erano cresciuti di quasi il 50% nell’arco di due sole settimane a dimostrazione che ormai le Scuole erano diventate un potente amplificatore della circolazione virale. 
  7. Si nega l’importanza dei tamponi come strumento di monitoraggio dello stato epidemiologico delle Scuole e, in taluni casi, si arriva addirittura alla richiesta di non farli.
  8. Si conclude definendo la DAD come una sorta di “male assoluto” da abbandonare definitivamente al più presto possibile.
A sinistra la distribuzione d'età dei contagiati del Trentino nella settimana che terminava lo scorso 26 febbraio. A destra, lo stesso dato due settimane dopo, poco prima della chiusura delle Scuole. Il livello complessivo dei contagi è rimasto pressoché stabile nel corso delle due settimane prese in considerazione, ma la percentuale di contagi tra la popolazione in età scolastica (6-19 anni, fetta di colore verde) è passata dal 10,7% al 15,7% dei casi complessivi. Elaborato sulla base dei dati comunicati durante le conferenze stampa PAT
 
Questa miscela di verità e di posizioni quantomeno opinabili rende oggettivamente difficile discutere di DAD perché ormai siamo ad una specie di scontro ideologico. Si è pro o contro e qualsiasi tentativo di approfondire la realtà delle cose rischia di scontentare tutti.

Pur essendo consapevole di questa difficoltà, provo ad affrontare comunque l’argomento concentrandomi, in particolare, su una domanda: “cosa rimarrà di questa esperienza quando la pandemia sarà passata?”.

Premetto che non è certo mia intenzione negare l’esistenza degli enormi problemi sollevati dalla DAD. In queste settimane molti nonni si sono improvvisati “tutor” dei loro nipoti più piccoli che avevano entrambi i genitori impegnati in attività lavorative esterne e non potevano essere abbandonati a casa da soli per seguire la DAD. Molti nonni – come il sottoscritto - hanno potuto toccare con mano il disagio dei più piccoli e le difficoltà affrontate dai docenti che disponevano di strumenti tecnologici limitati (la frase più comune ascoltata era “scusate, non funziona”) e poco addestrati a gestire l’interazione a distanza (che non può essere la mera riproduzione di ciò che avviene in presenza).

Siamo sempre alla prima stanza di un tipico museo dell’automobile, dove si vedono carrozze in cui il motore a scoppio ha preso il posto dei cavalli, ma non vere e proprie automobili, almeno come le conosciamo noi oggi.

La Scuola trentina avrebbe potuto utilizzare la scorsa estate per prepararsi meglio al possibile ritorno alla DAD. Non lo ha fatto o lo ha fatto in modo largamente insufficiente, forse perché allora molti si illudevano che il virus fosse “clinicamente morto”. Peccato perché sarebbe stata un’occasione per dimostrare il vero valore dell’Autonomia che non è un privilegio caduto dall’alto, ma dovrebbe essere soprattutto capacità di far bene e di innovare, svolgendo un ruolo propositivo utile per tutto il Paese.

In particolare, mi pare che – anche in Trentino – sia mancata completamente una approfondita discussione sulle implicazioni pedagogiche della didattica a distanza. Un anno fa, la DAD spuntò fuori “come un coniglio dal cilindro” per rispondere alla sfida del lockdown. Oggi, in condizioni completamente diverse, continuiamo a privilegiare l’approccio emergenziale e pochi sembrano preoccuparsi di fornire le dotazioni tecnologiche che sarebbero necessarie (che non significa solo dare un tablet a chi non ce l’ha) e soprattutto di cambiare il modo di fare didattica quando si lavora a distanza.

Mettere in discussione i metodi pedagogici non significa svilire il futuro ruolo dei docenti per sostituirli con un computer. Ma il solo fatto di adombrare che la didattica del futuro possa essere – almeno in parte – diversa rispetto a quella che si faceva fino a ieri, ha fatto nascere anche tra il personale docente talune posizioni che potremmo definire neo-luddiste: “la didattica a distanza è il male assoluto, il “cavallo di Troia” con il quale si vuole svilire il ruolo dei docenti e, come tale, va combattuta senza se e senza ma”.

Gli echi di queste posizioni neo-luddiste li abbiamo sentiti con molta chiarezza durante le manifestazioni anti-DAD di questi giorni. Molti hanno chiesto che, passata l’emergenza, la didattica a distanza sia messa definitivamente in soffitta e si ritorni “al bel tempo che fu”.

Personalmente non credo che la DAD sparirà del tutto, così come non abbandoneremo completamente le esperienze di lavoro a distanza a cui siamo stati costretti a causa dell’emergenza pandemica. Durante l’ultimo anno abbiamo sviluppato sperimentazioni che – in tempi normali – avrebbero richiesto almeno un decennio. L’oggettiva impreparazione ed i limiti tecnologici con cui abbiamo affrontato l’emergenza non ci possono far perdere di vista il fatto che stiamo vivendo un passaggio epocale. C’è tanto lavoro da fare per capire gli errori di questa frenetica sperimentazione, ma certi processi sono irreversibili.

All’inizio del XIX secolo i luddisti si illudevano di fermare lo sviluppo industriale distruggendo le fabbriche, salvando così le vecchie pratiche artigianali. Qualsiasi processo innovativo porta con sé movimenti più o meno consistenti di neo-luddisti che si illudono di fermare il tempo.

Io non sono un acritico entusiasta dell’innovazione: ci sono un sacco di stupidaggini che nessuno ha mai fatto prima e che talvolta vengono confuse con l'innovazione. Ad esempio, aver smantellato il sistema di assistenza distribuita sul territorio e aver concentrato gli investimenti della Sanità lombarda esclusivamente nei grandi ospedali è stato a lungo presentato come un modello altamente innovativo,  fonte di ispirazione anche per le altre Regioni/PPAA. L'arrivo della pandemia ha rivelato tutti i limiti di questo approccio.
 
Pur essendo consapevole che talvolta bisogna pensarci bene prima di abbandonare i vecchi (e collaudati) modelli per adottare approcci completamente nuovi, non sottovaluto il fatto che le nuove tecnologie (e quelle che saranno disponibili a breve) cambieranno profondamente l’interazione tra gli esseri umani. La formazione dei nostri giovani non potrà prescindere dall’utilizzo di tali tecnologie e lo dovrà fare capendo che, per sfruttarle al meglio, bisognerà anche rivedere profondamente il nostro approccio pedagogico. Il fatto che la pandemia abbia - sia pure in modo un po' caotico - accelerato tali processi non ci deve far presumere che, finita la pandemia, l'orologio del cambiamento si fermi.

Illudersi che tutto torni come prima serve a poco e rischia di produrre danni futuri non meno gravi rispetto ai danni prodotti dall’attuale approccio incompleto e talvolta raffazzonato alla didattica a distanza.

sabato 27 marzo 2021

I furbetti del vaccino

Dal nord al sud del Bel Paese fioriscono le segnalazioni di personaggi vip e meno vip che hanno saltato la fila sottraendo il prezioso vaccino a persone particolarmente fragili che ne avrebbero avuto più bisogno. Durante questo mese di marzo, in Italia moriranno di Covid-19 più di 10.000 persone. Molte di loro si sarebbero potute salvare se nei mesi di gennaio-febbraio avessero ricevuto le dosi di vaccino che invece sono state inoculate ai furbetti saltafila ed ai burocrati che si sono intrufolati tra i medici e gli infermieri impegnati nella cura dei malati.

Non sono mancati i casi di famosi giornalisti, noti fustigatori del malcostume italico, ma poco attenti "alla trave del loro occhio". C'è chi addirittura ha teorizzato che abbiano fatto bene "perchè l'arte di arrangiarsi farebbe parte di una sorta di giusta reazione allo Stato che non funziona". 

Come ho già scritto in altri post, questa pandemia da cui ci illudevamo di "uscire migliori" in realtà ha messo a nudo i difetti tipici del nostro Paese: troppi incompetenti al comando, campanilismi esasperati e soprattutto l'idea di fondo che la furbizia sia un valore e che conti molto più dell'onestà e del merito.

Chi ci salverà da questo malcostume? Molto difficilmente potremo contare sull'intervento della Magistratura, considerato che ci sono stati numerosi casi di magistrati (fin qui impuniti) che hanno saltato la fila.

venerdì 26 marzo 2021

Aggiornamento di fine marzo

Finalmente è tornata la primavera e speriamo che, oltre al bel tempo, porti al più presto possibile tutta l'Italia in zona "bianca". Per il momento siamo tutti arancio/rossi ed il Trentino rimane "dark red" per ECDC e "rosso"  per il Ministero della Salute. Tuttavia gli indicatori mostrano una tendenza verso il miglioramento e se non ci saranno "ritorni di fiamma" della pandemia dovremmo presto avere buone notizie.

Per il momento accontentiamoci del fatto che, a livello nazionale, si nota con molta chiarezza che il recente picco di contagi è stato superato:

Nuovi contagi in Italia. Elaborato su dati della Protezione Civile Nazionale

Questo andamento si riflette nella discesa dell'indice di trasferimento del contagio sotto la soglia unitaria. La stima diffusa oggi dall'Istituto Superiore di Sanità (rapporto 45) è ancora maggiore di 1 (valore medio 1,08 con intervallo di confidenza che va da 0,93 a 1,21), ma si riferisce allo scorso 17 marzo. 

Il mio modellino empirico forrnisce stime in tempo "quasi reale" e funziona abbastanza bene (vedi sotto). Per fine marzo fornisce una proiezione con valor medio pari a 0,96. Ricordo che l'indice nazionale è mediato su un intervallo di due settimane e quindi il dato di fine marzo in realtà è una media dei valori stimati durante la seconda metà del mese. La mia proiezione non è ancora definitiva perché mancano i dati da domani a mercoledì prossimo e la stima finale potrebbe essere leggermente inferiore rispetto a quella che vi mostro in figura:

Indice di trasferimento del contagio nazionale (mediato su un periodo di due settimane). I punti rossi sono le stime rilasciate dall'Istituto Superiore di Sanità. I punti blu (con i relativi valori numerici) sono le stime del mio modellino empirico. La stima per il prossimo 31 marzo è una proiezione non ancora definitiva. Elaborato su dati della Protezione Civile Nazionale
 

Il dato sui ricoveri ospedalieri mostra ancora una crescita rispetto alla settimana precedente, ma la percentuale di incremento settimanale si è ridotta sensibilmente e questo ci fa intuire che anche sul fronte dei ricoveri dovremmo raggiungere rapidamente il punto di massimo (variazione percentuale pari a 0):

Variazione percentuale della media di occupazione (calcolata su base settimanale) dei reparti Covid negli ospedali italiani. Elaborato su dati della Protezione Civile Nazionale

Sul fronte delle terapie intensive che, nel corso dell'ultimo mese, hanno rappresentato un fortissima criticità del Trentino, si osservano segnali contrastanti nell'ambito del Nord-Est:

Nuovi ricoveri settimanali nei reparti Covid di terapia intensiva normalizzati per un campione di 100.000 abitanti. Elaborato su dati della Protezione Civile Nazionale

Notiamo che il dato nazionale (linea nera) si è stabilizzato dopo un mese di continui aumenti. Il dato veneto (linea azzurra) ha continuato a crescere diventando, nel corso dell'ultima settimana, il più alto tra i dati inclusi in figura. Il dato del Trentino (linea rossa) è finalmente sceso a valori più o meno in linea con il dato nazionale, dopo essere stato per più di un mese nettamente superiore. Il dato dell'Alto Adige (linea verde) mostra un livello in linea con quello della settimana precedente.

Se torniamo al dato di fine gennaio vediamo che Trentino, Alto Adige, Veneto erano più o meno allineati rispetto alla media nazionale che, allora, era pari a circa 1,5 nuovi ricoveri settimanali per ogni 100.000 abitanti. Trentino e Alto Adige sono stati i primi a mostrare una forte crescita dei ricoveri in terapia intensiva, seguiti con un ritardo di almeno due settimane dal dato nazionale e dal Veneto. L'Alto Adige è stato il primo territorio a mostrare un calo già ad inizio marzo, mentre il Trentino oscillava intorno al valore massimo pari a circa 4 nuovi ricoveri settimanali per ogni 100.000 abitanti. Nell'ultima settimana tutti i dati sono stabili o calanti, salvo il Veneto che ha mostrato un ulteriore incremento dei ricoveri.

Questo dato sui nuovi ricoveri in terapia intensiva è il parametro - a mio parere - più difficilmente manipolabile. Se un paziente è grave e richiede il ricovero in terapia intensiva è difficile mascherare il fatto con qualche furbata burocratica. Il dato dei nuovi ricoveri in terapia intensiva è statisticamente "robusto" ed è proporzionale al numero di contagi reali (che possono essere manipolati molto più facilmente). 

Nelle sue valutazioni l'ISS considera solo la percentuale di posti letto occupati che è comunque importante per valutare la capacità di cura, ma non è rappresentativo della diffusione del contagio. Infatti in Regioni (come ad esempio il Veneto) che dispongono di un numero abbastanza grande di posti letto in terapia intensiva è possibile mantenere il livello complessivo dei ricoveri sotto le soglie di allarme anche quando i nuovi ricoveri sono numerosi. Senza dimenticare che (ahimé) i decessi che avvengono nelle terapie intensive "liberano" posti e fanno migliorare il parametro della percentuale di posti letto occupati.

Concludo con un rapido passaggio dedicato alla situazione europea ed, in particolare, alla classificazione delle regioni fatta da ECDC. Nella mappa appare evidente come l'Alto Adige sia tornato "dark red", malgrado il livello di contagi relativamente basso. Il fatto non è sorprendente perché lunedì scorso i dirigenti sanitari dell'Alto Adige hanno liberato gli "scheletri dagli armadi" informando di aver omesso di comunicare al Ministero della Sanità poco più di 10.000 contagi trovati prima dello scorso 15 gennaio con il tampone antigenico e poi verificati con il molecolare. Questo blocco di 10.000 contagi arretrati è stato imputato al giorno 23 marzo, facendo scattare la soglia di allarme di ECDC che, per un paio di settimane, segnalerà l'Alto-Adige come uno dei posti più pericolosi al mondo.

A quando un'analoga "operazione trasparenza" da parte della Provincia Autonoma di Trento? 

Tratto da ECDC. Si noti l'Alto Adige tornato "dark red", malgrado il livello relativamente basso degli attuali contagi







La realtà “aumentata” del Presidente Fugatti

Stabilmente "incastrato" in zona rossa, dopo aver millantato un imminente ritorno alla zona arancione, il Presidente pro-tempore della Provincia autonoma di Trento ha pensato bene di “lanciare la palla in tribunaanticipando di qualche giorno i provvedimenti sulla Scuola del Presidente Draghi. E così in Trentino le Scuole dell’infanzia e le Scuole primarie riapriranno nello scampolo di settimana prima delle vacanze pasquali. Tre giorni al massimo, un gesto poco più che simbolico, tanto per far vedere che "Fugatti c’è".

La mia opinione sulla gestione delle Scuole e su quello che si sarebbe potuto fare in Trentino l’ho già espressa in post precedenti e non starò qui a ripetermi. La nostra Provincia avrebbe potuto sperimentare una gestione della Scuola attenta alle esigenze degli studenti e delle loro famiglie, ma anche all’avanguardia nel monitoraggio dello stato epidemiologico e nel tracciamento dei contagi.

Non l’ha fatto, preferendo nascondere la verità sotto il tappeto, ripetendo il mantra “le Scuole sono sicure” anche quando non lo erano e presentando rapporti sulla Scuola con dati incompleti ed analisi statistiche sbagliate. Adesso, fiutata l’aria, la Provincia anticipa di qualche giorno le decisioni del presidente Draghi, pensando di fare bella figura. E soprattutto contando sul fatto che nessuno – anche volendo – impugnerà la decisione, considerato che non ci sono i tempi tecnici per farlo.

Ma la cosa più sorprendente è stata, a mio parere, la motivazione adottata per giustificare la decisione: Fugatti ha fatto riferimento all'andamento in discesa di un Rt “augmented” (letteralmente “aumentato”) che anticiperebbe temporalmente le stime di Rt elaborate dall’Istituto Superiore di Sanità. Quando ha parlato di Rt il Presidente pro-tempore ha fin qui dimostrato seri problemi cognitivi, ma oggi ha deciso di stupirci con una nuova mirabolante tecnologia (forse qualcosa riferito alla “augmented reality”?) che gli permette di vedere nel futuro. 

Mi permetto di osservare che, senza bisogno di particolari “effetti speciali” bastava che facesse riferimento al mio brutale modellino empirico che mostra finalmente, sia per il Trentino che per l’Italia, un indice di trasferimento del contagio sotto ad 1, con una tendenza verso una ulteriore discesa.

Stima dell'indice di trasferimento del contagio Rt puntuale (mediato su 7 giorni) del Trentino. I punti rossi sono le stime elaborate dall'Istituto Superiore di Sanità. I punti blu sono le stime elaborate utilizzando il mio modellino empirico. La stima del punto blu più recente è una proiezione e pertanto è soggetta ad ulteriori variazioni fino alla fine di questa settimana

giovedì 25 marzo 2021

Vaccini: l'Italia arranca

ECDC ha aggiornato il suo rapporto sull'avanzamento delle vaccinazioni Covid in Europa. Come ricordato ieri dal presidente Draghi molte Regioni italiane sono in grave ritardo nella vaccinazione dei cittadini più anziani. Per quanto riguarda la frazione di cittadini di 80 o più anni che hanno ricevuto almeno una dose di vaccino, il valore mediano in Europa è pari al 57,7%.  In Italia siamo appena al 42,8. Numerosi Paesi hanno già raggiunto livelli superiori al 70%.

Frazione di cittadini di 80 o più anni che hanno ricevuto almeno una dose vaccinale (dato ECDC aggiornato al 21 marzo). In rosso è evidenziato il dato italiano

Si conferma il "buco" italiano per le vaccinazioni dei cittadini settantenni, troppo vecchi per ricevere le vaccinazioni dedicate a chi lavora e troppo "giovani" per ricevere le vaccinazioni riservate agli anziani. Così finiscono fatalmente ad intasare i reparti di terapia intensiva degli ospedali.

Distribuzione delle dosi vaccinali somministrate in alcuni Paesi europei suddivisi per fasce d'età. Il dato italiano è evidenziato in rosso. Tratto da ECDC

Qui sotto mostro un confronto diretto tra i dati di Francia ed Italia:

Si noti la forte differenza nella distribuzione per età dei due Paesi. In particolare le dosi vaccinali fornite ai cittadini francesi di età 70-79 anni sono seconde solo a quelle fornite ai cittadini di età superiore agli 80 anni. In Italia il picco di età maggiore o uguale a 80 anni è più o meno uguale a quello francese, ma il resto della distribuzione è quasi speculare rispetto a quella francese, con un massimo nell'intervallo d'età 25-49 anni.


Nuovi dati sul vaccino AstraZeneca

AstraZeneca ha pubblicato i dati aggiornati sulla sperimentazione di fase 3 condotta negli Stati Uniti. Complessivamente i dati comprendono 190 casi di contagio sintomatico (49 in più rispetto ai dati comunicati all'inizio di questa settimana) che hanno riguardato i volontari a cui era stato somministrato il placebo e, in misura  molto minore, coloro che avevano ricevuto due dosi di vaccino. L'aumento percentualmente importante dei casi di contagio inclusi nello studio ci fa capire che le preoccupazioni espresse dal NIAID erano ben fondate.

La nuova stima dell'efficacia è leggermente inferiore rispetto a quella annunciata pochi giorni prima: valore medio pari al 76% con un intervallo di confidenza compreso tra il 68 e l'82% (3 giorni fa era stato comunicato un valore medio di efficacia pari al 79%).

AstraZeneca enfatizza il fatto (molto sorprendente a dire il vero) che l'efficacia per le persone over-65 sarebbe (come dato medio) pari all'85%, superiore rispetto al valore stimato considerando tutti i volontari che hanno partecipato alla sperimentazione (76%). Si tratta - a mio avviso - di una sorta di "illusione ottica statistica". Infatti, a causa della ridotta dimensionalità del sotto gruppo di volontari over-65, l'intervallo di confidenza della stima va dal 58 al 95%. Con un intervallo di confidenza così ampio, non ha molto senso parlare di un reale aumento dell'efficacia per i volontari più anziani. 

Viene confermato il fatto che la sperimentazione non ha evidenziato casi di Covid-19 gravi o addirittura letali tra coloro che sono stati vaccinati. Ci sono stati complessivamente 8 casi di elevata gravità, ma hanno riguardato esclusivamente il gruppo di volontari che avevano ricevuto il placebo.

A questo punto non ci resta che aspettare per vedere se ci saranno - a breve - ulteriori novità, soprattutto sul fronte della autorizzazione della FDA per la commercializzazione del vaccino AstraZeneca negli Stati Uniti.

Rimane il fatto che forse in AstraZeneca dovrebbero porsi il problema di sostituire urgentemente chi ha diretto la sperimentazione di fase 3 del vaccino, caratterizzata da errori tecnici grossolani e da clamorosi disastri comunicativi.

mercoledì 24 marzo 2021

Previsioni sui parametri per la definizione dei colori

A livello nazionale, si conferma la tendenza alla discesa dei contagi. La stima dell'indice R nazionale, aggiornata ad oggi utilizzando il mio modellino empirico, fornisce un valore esattamente pari ad 1, ma si tratta - lo ricordo - di una stima mediata sulle ultime due settimane. In realtà il picco dei contagi è stato superato da qualche giorno e  - a meno di un imprevisto "ritorno di fiamma" della pandemia - d'ora in avanti i nuovi contagi dovrebbero scendere.

Stima dell'indice di trasferimento del contagio nazionale (dato mediato su due settimane). I punti rossi corrispondono alle stime dell'Istituto Superiore di Sanità, basate sul dato dei contagi sintomatici. I punti blu sono quelli ottenuti con il mio modellino empirico che utilizza i dati di tutti i contagi forniti dalla Protezione Civile Nazionale

Per quanto riguarda l'indice R del Trentino, il mio modellino fornisce le seguenti previsioni:

Stima dell'indice di trasferimento del contagio nazionale (dato mediato su una settimana). I punti rossi corrispondono alle stime dell'Istituto Superiore di Sanità, basate sul dato dei contagi sintomatici. I punti blu sono quelli ottenuti con il mio modellino empirico che utilizza i dati di tutti i contagi forniti dalla Protezione Civile Nazionale 

Per quanto riguarda la prossima assegnazione del colore del Trentino, è ormai certo che domani ECDC ci lascerà nella zona a maggiore livello di gravità (dark red). 

Il colore "italiano" dal prossimo 29 marzo in poi dipenderà dai contagi settimanali che saranno registrati entro domani 25 marzo (contano i dati comunicati alla Protezione Civile Nazionale). Nei 6 giorni 19-24 marzo sono già stati contati 1.347 contagi. La soglia del Trentino per rimanere in zona rossa corrisponde a 1.364 contagi settimanali. Quindi a meno che i contagi che saranno comunicati domani 25 marzo crollino improvvisamente ad un livello pari a poche decine (oggi i nuovi contagi sono stati 308), il Trentino rimarrà in zona rossa.

Negli ultimi giorni ho sentito ripetere da diversi esponenti della Giunta provinciale frasi del tipo "il Trentino potrebbe rientrare in zona arancione già dal prossimo 29 marzo se i contagi caleranno". Come si dice "se la mì nonna avea le rote, era un carretto".

Per il 29 marzo lo escluderei, ma ci sono ragionevoli probabilità di rientrare in zona arancione subito dopo Pasqua.


Nuovi farmaci antivirali per il SARS-CoV-2 in arrivo?

Pfizer ha annunciato l'avvio della sperimentazione di fase 1 per un  nuovo farmaco antivirale specifico per il SARS-CoV-2 che funziona sul principio della inibizione della proteasi. Il farmaco è pensato per la somministrazione orale in pazienti nella fase iniziale della malattia. Per pazienti già ospedalizzati è prevista una formulazione alternativa che prevede la somministrazione per via endovenosa.

Il meccanismo di funzionamento del nuovo farmaco sperimentato da Pfizer è basato sull'inibizione di un enzima virale (chiamato proteasi) impedendo così al virus di replicarsi all'interno della cellula infettata. 

In questo momento la letteratura scientifica è ricca di proposte su nuovi farmaci antivirali che potrebbero essere efficacemente utilizzati per combattere il SARS-CoV-2. Ad esempio:

Novelli, G., Liu, J., Biancolella, M. et al. Inhibition of HECT E3 ligases as potential therapy for COVID-19. Cell Death Dis 12, 310 (2021). https://doi.org/10.1038/s41419-021-03513-1

Liu, G., Lee, JH., Parker, Z.M. et al. ISG15-dependent activation of the sensor MDA5 is antagonized by the SARS-CoV-2 papain-like protease to evade host innate immunity. Nat Microbiol (2021). https://doi.org/10.1038/s41564-021-00884-1

Anche in questi giorni sono apparsi sulla stampa annunci un po' troppo frettolosi che parlano di farmaci "risolutivi" che sarebbero disponibili in tempi molto brevi. Naturalmente non bisogna dimenticare che prima di arrivare all'approvazione di un nuovo farmaco, ci sono dei tempi tecnici non facilmente comprimibili e non sempre i nuovi farmaci si dimostrano efficaci e senza significativi effetti collaterali quando si passa dalla sperimentazione in vitro alla prova su volontari. Ci vuole cautela, ma considerata la molteplicità delle proposte attualmente in fase di valutazione è ragionevole sperare che ci possano essere sviluppi interessanti nell'arco del prossimo semestre.

Può sembrare strano che, malgrado la crescente disponibilità di vaccini, ci sia un così forte interesse anche per lo sviluppo di nuovi farmaci antivirali. Bisogna però ricordare che - almeno fino ad oggi - non sono ancora disponibili farmaci antivirali specifici per il SARS-CoV-2. C'è quindi un grande interesse a sviluppare farmaci mirati, tenuto conto anche della possibilità di utilizzarli per eventuali nuovi Coronavirus che dovessero diffondersi in futuro.  Inoltre non va dimenticato che i vaccini - anche quelli più efficaci - riducono considerevolmente la possibilità di contagio, ma non la escludono completamente. I farmaci antivirali rappresentano quindi un'arma complementare che si affianca ai vaccini, garantendo una possibilità di cura anche a coloro che non possono essere vaccinati o che hanno tratto un limitato beneficio dalla vaccinazione.

Un commento finale riguarda un'altra famiglia di farmaci anti Covid attualmente in fase di sperimentazione. Mi riferisco, in particolare, ai farmaci basati su anticorpi neutralizzanti che hanno generato grandi aspettative, ma almeno fino ad oggi - non hanno dimostrato di poter essere risolutivi. Salvo casi particolari, gli anticorpi neutralizzanti - oltre ad avere costi di produzione molto elevati - hanno dimostrato un'efficacia limitata, specialmente quando si trattano i pazienti infettati da ceppi virali di più recente diffusione.

martedì 23 marzo 2021

Prosegue la "telenovela" AstraZeneca

Ormai siamo alle puntate con cadenza quotidiana, in pieno stile telenovela. 

Con un inconsueto comunicato il National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID) ha messo in dubbio la consistenza dei dati relativi allo studio di fase 3 condotto da AstraZeneca negli Stati Uniti. Secondo anticipazioni di stampa diffuse ieri lo studio americano avrebbe fornito una stima di efficacia del vaccino (79%) decisamente superiore rispetto al risultato ottenuto nel corso del primo (e tormentato) studio condotto in Europa. Ma a tambur battente, dal NIAID ci hanno fatto sapere che il comitato indipendente che vigila sulla consistenza dei dati (DSMB) ha segnalato che lo studio:

 “ .. may have included outdated information from that trial, which may have provided an incomplete view of the efficacy data. We urge the company to work with the DSMB to review the efficacy data and ensure the most accurate, up-to-date efficacy data be made public as quickly as possible” 

In pratica gli esperti mettono in dubbio la consistenza della nuova stima di efficacia del vaccino AstraZeneca perché sarebbe stata fatta includendo anche dati obsoleti e richiedono una revisione dei dati (associata ad una possibile nuova stima dell'efficacia del vaccino) nel più breve tempo possibile. Dal punto di vista scientifico una vera e propria "bastonata" perché  mette in dubbio la bontà dei dati sottoposti da AstraZeneca per ottenere l'autorizzazione alla commercializzazione del vaccino negli Stati Uniti.

AstraZeneca ha annunciato che fornirà una risposta al comitato DSMB entro 48 ore.

L'entusiasmo di chi sperava in una ormai imminente approvazione del vaccino AstraZeneca anche da parte della FDA americana è stato immediatamente smorzato.

Al più presto arriverà la prossima puntata.

Perché è difficile confrontare i dati sull’efficacia dei vaccini

Quando parliamo dei diversi tipi di vaccino oggi disponibili, facciamo sovente riferimento alla loro efficacia. I dati relativi a tale parametro variano considerevolmente a seconda del tipo di vaccino considerato e hanno generato molta confusione nell’opinione pubblica.

Per capire meglio questo punto, partiamo dalla procedura standard che viene adottata per la stima dell’efficacia. Parliamo, in particolare, di quanto viene fatto nella cosiddetta fase 3, ovvero quando il vaccino viene somministrato ad un gruppo di volontari costituito da alcune decine di migliaia di persone, a metà delle quali viene somministrato un placebo. Trascorso un certo periodo di tempo (tipicamente 6 mesi), si analizzano i casi di contagio riscontrati tra coloro che hanno ricevuto il placebo confrontandoli con i casi riscontrati tra i volontari che hanno ricevuto effettivamente il vaccino. Chiamando x la percentuale di infettati trovata tra coloro che hanno ricevuto il placebo ed y la percentuale di contagiati riscontrata tra i vaccinati, l’efficacia del vaccino η si stima utilizzando la formula:

η = (x - y)/x

Quando y tende a 0, l’efficacia del vaccino η tende al valore unitario (o se preferite al 100%). Notiamo che i valori delle percentuali x ed y non tengono conto della gravità dei casi di contagio: un contagio che produce sintomi blandi viene contato esattamente come un contagio che produce una forma grave di malattia che può portare alla ospedalizzazione o addirittura alla morte. Questo ci fa capire che la stima dell'efficacia di un vaccino è un parametro importante, ma non è sufficiente per comprendere l'impatto complessivo che il vaccino stesso produrrà sulla popolazione vaccinata.

Esempio di una possibile relazione tra l'efficacia di un vaccino e la percentuale di contagi riscontrata nel gruppo di persone vaccinate. Si è ipotizzato che il 2% di coloro che hanno ricevuto il placebo abbiano contratto la Covid-19

Fin qui la teoria. Dal punto di vista pratico ci sono molte variabili di cui dobbiamo tenere conto. Ne cito solo alcune, risparmiandovi alcuni dettagli statistici troppo tecnici:
  1. Affinché la sperimentazione produca risultati significativi è necessario che il virus circoli abbastanza diffusamente tra la popolazione a cui appartengono i volontari. Altrimenti i tempi necessari per raccogliere dati statisticamente significativi si allungano a dismisura o, a parità di tempo, si allarga l’intervallo di confidenza della stima.
  2. In linea di principio la scelta del campione dei volontari dovrebbe essere statisticamente rappresentativa dell’intera popolazione. Non è quindi detto che una sperimentazione condotta, ad esempio, negli Stati Uniti soddisfi pienamente tale requisito anche in altri continenti. Questo è un problema noto per molti farmaci che non sempre sono ottimizzati rispetto alle caratteristiche genetiche delle popolazioni di diverse parti del mondo.
  3. Quando sono già disponibili vaccini di comprovata efficacia diventa eticamente discutibile arruolare per la sperimentazione di un nuovo vaccino persone ad alto rischio di gravi complicanze (ad esempio persone di età superiore ai 65 anni o affette da altre patologie) che, soprattutto nel caso in cui ricevano il placebo, correranno seri rischi che avrebbero potuto evitare facendosi somministrare uno dei vaccini già approvati. Questo limite etico può incidere negativamente sulla possibilità di sperimentare nuovi vaccini per i quali non sia ancora disponibile una stima - almeno grossolana - dell'efficacia.
  4. Non tutte le sperimentazioni di fase 3 selezionano i volontari escludendo quelli che hanno già anticorpi specifici per il SARS-CoV-2 (ad esempio persone che hanno già contratto la Covid-19 in forma asintomatica). La presenza di tali persone può significativamente alterare la stima dell’efficacia del vaccino.
  5. Dopo la somministrazione del vaccino (o del placebo) i volontari sono seguiti per verificare la presenza di eventuali effetti collaterali o di casi di contagio. In generale vengono evidenziati solo i casi di contagio sintomatico, ma gli eventuali contagi asintomatici non vengono cercati e quindi non concorrono al calcolo delle percentuali dei contagiati (x ed y). Questo è il motivo per il quale anche quando si parla di vaccini con efficacia molto elevata (superiore al 90-95%), non si esclude che i vaccinati possano comunque contrarre forme completamente asintomatiche e possano quindi trasmettere il virus ad altri (in altre parole, finché il virus circola, anche i vaccinati devono indossare le mascherine e rispettare le distanze di sicurezza).
  6. Come discusso in precedenza, le informazioni sulla protezione da forme gravi (tali da poter portare anche al decesso) non sono disponibili se ci limitiamo a guardare solo l’efficacia del vaccino. Oltre al fatto che, ai fini del calcolo dell'efficacia, i contagi vengono contati indipendentemente dal livello della loro gravità, c'è da considerare che i casi più gravi sono percentualmente pochi e  sono proporzionali alla dimensionalità della coorte di volontari. Supponiamo, ad esempio, di sviluppare la sperimentazione di fase 3 di un vaccino su 30.000 volontari, metà sottoposti al vaccino vero e l’altra metà al placebo. Supponiamo che la circolazione virale sia alta il che equivale a dire che nel periodo di sperimentazione (6 mesi) il 2% dei volontari contragga una qualche forma di Covid-19. Complessivamente parliamo di 300 persone sui 15.000 volontari che hanno ricevuto il placebo. Supponendo che la letalità della Covid-19 sia pari all’1%, ci attendiamo mediamente 3 decessi nell’arco di un semestre tra i volontari che hanno ricevuto il placebo. Si tratta di numeri assoluti troppo piccoli per fare confronti statisticamente significati con simili eventi che siano eventualmente accaduti nel gruppo di volontari che hanno ricevuto il vaccino. Per questo motivo leggiamo spesso espressioni del tipo “copertura pressoché totale” che - tradotto nel linguaggio corrente - significa 1 o 2 decessi tra chi ha ricevuto il placebo contro 0 decessi tra chi ha ricevuto il vaccino. Per avere dati statisticamente più affidabili bisognerebbe aumentare di almeno un ordine di grandezza la dimensione del gruppo di volontari, ma la cosa è tecnicamente quasi impossibile sia per le difficoltà di reclutamento, sia per l'enorme mole di lavoro che sarebbe necessaria per monitorare centinaia di migliaia di persone nel corso della sperimentazione di fase 3.
  7. Informazioni più accurate sul livello di protezione dalle forme più gravi di Covid-19 (che è in generale più alto rispetto al livello di efficacia attribuito al vaccino negli studi di fase 3) si possono ottenere solo quando il vaccino è somministrato su vasta scala. Tuttavia, man mano che cresce la percentuale di popolazione vaccinata diventa sempre più difficile disporre di gruppi di controllo formati da persone non vaccinate che abbiano caratteristiche statisticamente simili a quelle dei vaccinati. Potremmo paradossalmente notare che anche i no-vax giocano - loro malgrado - un ruolo importante per lo studio delle proprietà dei vaccini perché quando la campagna di vaccinazione ha successo i no-vax rappresentano una sorta di "riserva statistica" da utilizzare per il confronto con il resto della popolazione che è stata vaccinata.
  8. La continua insorgenza di nuove varianti virali caratterizzate da forti differenze a livello di contagiosità e di letalità rende le stime dell’efficacia vaccinale fortemente dipendenti dal luogo e dal periodo di tempo in cui la sperimentazione è stata fatta.
Come vedete, ci sono vari fattori che influenzano i risultati delle sperimentazioni di fase 3 e questo spiega anche le differenze che talvolta troviamo in letteratura rispetto ai dati di efficacia vaccinale.

Rimane poi un’altra grande incognita che prima o poi diventerà la domanda dominante: “quanto dura la copertura degli attuali vaccini?”. Passata l’estate e completata – auspicabilmente – la somministrazione di massa iniziale dovremo capire se e come il virus SARS-CoV-2 continuerà a condizionare le nostre esistenze. Sarà necessario ricorrere a vaccinazioni periodiche, così come facciamo con l’influenza, oppure potremo contare su una protezione di più lungo periodo?

Al momento non abbiamo una risposta, così come non sappiamo ancora bene quale sia la protezione acquisita da coloro che hanno già contratto la Covid-19.

lunedì 22 marzo 2021

Anche la Svizzera autorizza il vaccino Johnson & Johnson

Le Autorità sanitarie svizzere hanno concesso l'autorizzazione alla somministrazione del vaccino Johnson & Johnson che si aggiunge ai vaccini ad mRNA autorizzati nei mesi scorsi (Pfizer BioNTech e Moderna). 

Il vaccino Johnson & Johnson non risulta tra quelli che - ufficialmente -  il Governo federale svizzero ha ordinato per la somministrazione alla popolazione elvetica. La Svizzera attualmente è più avanti rispetto al resto dell'Europa continentale nella somministrazione del vaccino ai cittadini di età superiore ai 70 anni (con evidenti ricadute in termini di riduzione dei ricoveri negli ospedali) e l'acquisto del vaccino Johnson & Johnson non è stato considerato particolarmente utile per accelerare la campagna vaccinale.

 

Andamento delle vaccinazioni e dei ricoveri in Svizzera per classi d'età. Si noti il crollo dei ricoveri dei pazienti Covid over 70. Tratto da RSI News

Chi conosce bene i canali di rifornimento di medicinali attivi in Svizzera ipotizza però che, a breve, il vaccino Johnson & Johnson potrebbe diventare disponibile presso le farmacie. Chissà se, invece di andare a comprare benzina e sigarette come facevano una volta, i cittadini lombardi non organizzeranno veloci gite a Lugano per farsi somministrare il vaccino Johnson & Johnson.

Ancora vietato in Svizzera il vaccino AstraZeneca, mai autorizzato, in sintonia con la presa di posizione dell'Americana FDA. Anche su questo fronte potrebbero esserci novità a breve se i rumors di stampa sul completamento della nuova fase 3 di AstraZeneca condotta negli USA fossero confermati.

Prime anticipazioni sui risultati della nuova sperimentazione di fase 3 del vaccino AstraZeneca fatta negli Stati Uniti

Oggi sono state divulgate le prime anticipazioni sui risultati della sperimentazione di fase 3 del vaccino AstraZeneca condotta in USA ed in altri due Stati sud-americani (Cile e Perù).

Questa sperimentazione è stata fatta per fornire all'Autorità USA (FDA) le informazioni sull'efficacia del vaccino nelle persone di età superiore che mancavano nella sperimentazione fatta originariamente da AstraZeneca e che tanti problemi hanno generato in fase autorizzativa. Paesi come gli Stati Uniti e la Svizzera hanno fin qui negato l'autorizzazione alla somministrazione del vaccino AstraZeneca, ma è presumibile che quando i dati di questo studio saranno resi noti, anche in questi Paesi si potrà superare l'attuale situazione di blocco.

Anche se i dati non sono stati ancora pubblicati ufficialmente, sembra che il vaccino abbia dimostrato una buona efficacia (dell'ordine dell'80%) anche per i volontari di età superiore ai 65 anni, garantendo una copertura pressoché totale per le forme più gravi della malattia. I dati si riferiscono a coloro che hanno ricevuto due dosi vaccinali, alla distanza di 28 giorni l'una dall'altra.

Per quanto riguarda i possibili effetti collaterali ed, in particolare, le forme di trombosi che tanto hanno preoccupato l'opinione pubblica europea, non sono stati segnalati casi di rilievo. Va tuttavia sottolineato che il numero di volontari a cui è stato somministrato il vaccino era pari a circa 30.000 persone, un numero largamente insufficiente per vedere fenomeni avversi molto rari o rarissimi come quelli relativi alle trombosi che statisticamente hanno un'incidenza non superiore a pochi casi per ogni milione di persone vaccinate.

Scuole aperte o chiuse?

 

Prima DAD della storia. Chicago (1937) le lezioni vengono diffuse via radio in occasione di una epidemia di poliomelite che aveva colpito l'Illinois. Tratto da Sapere Scienza

A differenza di quanto avviene in altri Paesi dove le Scuole sono state chiuse solo in casi estremi, in Italia abbiamo spesso assistito ad una certa tendenza a chiudere le Scuole con eccessiva facilità.

Quando si chiudono le Scuole, non scattano le richieste di "ristori" e i disagi vengono scaricati in maniera diffusa sulle famiglie, invece che su categorie organizzate ed in grado di esercitare forti pressioni politiche. 

Anzi per un certo modo di vedere le cose "all'italiana" non si può neanche parlare di veri e propri disagi perché rimane nel sottofondo culturale del Paese la perversa idea della madre "angelo del focolare" che non avrà particolari problemi a tenersi i figli a casa. Se poi la madre è occupata in una delle numerose attività che sono aperte regolarmente, oppure se, anche stando a casa, è a sua volta impegnata come lavoratrice a distanza, si potrà sempre contare sul ruolo sostitutivo dei nonni che, anche se non sono stati ancora vaccinati, dovranno rapidamente trasformarsi in tutor per gli adorati nipoti impegnati nella DAD. Questa pandemia ha messo in luce i difetti e le debolezze strutturali del Paese, fatalmente ancorato ad una idea di famiglia "tradizionale" superata dai tempi, ma che continua a condizionare le nostre scelte politiche e sociali.

A fronte di questa situazione, crescono le proteste dei genitori che non sono in grado di gestire questa situazione di emergenza e si trovano davanti al bivio: assistere i figli lasciati a casa da Scuola o rispettare gli impegni lavorativi? 

In tale contesto, la stampa nazionale ha dato ampio risalto ad uno studio che dimostrerebbe il ruolo del tutto marginale della Scuola come luogo di contagio. In particolare la mia attenzione è stata attirata dal titolo del Corriere della Sera. "L’analisi su 7,3 milioni di studenti. Lo studio sulla scuola: non c’è correlazione significativa tra contagi e lezioni in presenza". 

In realtà, se uno va a ben vedere questo documento, più che di un vero e proprio studio statistico dovremmo parlare di una raccolta selettiva di alcuni dati volta a sostenere una ipotesi pre-costituita. Benché io sia sempre stato un sostenitore della massima apertura delle Scuole, non credo che si faccia un buon servizio alla causa se si cerca di sostenerla con argomentazioni statisticamente discutibili e facilmente smontabili.

Il documento presentato dal Corriere della Sera presenta - a mio avviso - molte debolezze. Ne elenco alcune tra le più significative:

  1. In realtà in Italia non è mai stato fatto uno studio sistematico e statisticamente affidabile sulla diffusione dei contagi nelle Scuole. Stendiamo un velo pietoso sull'analisi fatta a suo tempo in Trentino basata su dati dei contagi largamente incompleti e su una analisi statistica clamorosamente sbagliata. Anche le altre Regioni/PPAA (che non avevano nascosto buona parte dei contagi), non hanno mai fatto una analisi seria dei contagi avvenuti all'interno delle Scuole. Alcune Regioni si sono precipitate a chiudere le Scuole al primo segnale di aumento dei contagi. Altre hanno preferito guardare da un'altra parte senza approfondire la questione. Gli unici dati di cui disponiamo sono quelli della percentuale dei contagi suddivisi per classi d'età, ma sono dati incompleti soprattutto per i più giovani dove sono maggiori i casi di portatori asintomatici. Si sarebbero dovute fare analisi a tappeto in alcune Scuole "campione" in modo da seguire l'evoluzione della pandemia in modo accurato, ricostruendo le eventuali catene di contagio. Il ritardo con il quale sono diventati disponibili i test salivari ha rappresentato certamente una forte limitazione, ma non basta ripetere fino alla sfinimento  il mantra "La Scuola è sicura", sperando che le cose prima o poi si aggiustino.
  2. La seconda ondata pandemica è partita in Italia in concomitanza con la riapertura delle Scuole. I possibili sfasamenti che ci sono stati tra diverse Regioni (messi in evidenza dal documento pubblicato dal Corriere della Sera) possono essere spiegati tenuto conto del diverso andamento territoriale della pandemia (forse i lettori ricorderanno che a inizio settembre sembrava che la seconda ondata fosse arrivata in Campania e avesse lasciato indenne la Lombardia). Complessivamente, guardando al dato nazionale, la ripresa delle Scuole ha anticipato di un paio di settimane la salita della seconda ondata pandemica, ma ha coinciso anche con il ritorno della brutta stagione e con la ripresa di molte attività commerciali ed industriali dopo la pausa estiva (per non parlare delle elezioni amministrative che hanno interessato gran parte del Paese). In un sistema complesso non è facile discriminare una causa rispetto all'altra e siccome il sistema non è lineare (cosa che spesso molti dimenticano) l'effetto di una causa (ad esempio l'apertura e la chiusura delle Scuole) potrebbe variare a seconda dello stato di altri fattori (ad esempio il clima o gli spostamenti di lavoratori che si sovrappongano agli spostamenti degli studenti).
  3. I dati analizzati nello studio citato si riferiscono agli ultimi mesi del 2020, prima dell'arrivo della variante inglese. Il nuovo ceppo virale ha drasticamente cambiato le carte in tavola. In particolare, la maggiore contagiosità ha determinato una modifica delle regole relative alle distanze minime e quindi alla capienza ottimale delle aule che era stata stimata la scorsa estate avendo come riferimento un solo metro di distanza. Il forte aumento dei contagi tra i giovani in età scolare registrato in Trentino prima dell'introduzione della zona rossa è una forte indicazione del ruolo giocato dalla nuova variante ed è ragionevolmente ascrivibile alla sua maggiore contagiosità (essendo tutti gli altri parametri abbastanza stabili).

In conclusione, chi vuole dare alla Scuola il ruolo prioritario che si merita, piuttosto che affidarsi ad analisi di dubbia consistenza, dovrebbe puntare ad alcune misure che potrebbero giocare un ruolo fondamentale per garantire il suo funzionamento. In particolare:

  1. Attivare un programma di monitoraggio regolare ed approfondito dello stato epidemiologico delle Scuole, basato sull'uso dei tamponi salivari (più semplici da gestire) con successiva indagine molecolare (abbandonando i meno sensibili e poco affidabili tamponi antigenici).
  2. Tracciare accuratamente i casi di contagio ricostruendo la catena di contatti che li hanno prodotti.
  3. Verificare con un numero adeguato di sequenziamenti genici l'eventuale diffusione di nuovi ceppi virali, soprattutto nei casi in cui si dovesse verificare un inconsueto aumento dei contagi.
  4. Completare al più presto possibile la campagna di vaccinazione degli insegnanti e dell'altro personale scolastico.
  5. Utilizzare "robusti" criteri di messa in quarantena delle classi, evitando approcci naiv, basati su ipotesi non dimostrate.
In questo modo, la riapertura delle Scuole (da realizzare al più presto possibile) potrebbe essere accompagnata da un monitoraggio accurato della situazione e consentirebbe di soddisfare al meglio l'esigenza di educare i nostri giovani, garantendo al tempo stesso che le Scuole non diventino un involontario amplificatore del contagio.

 

sabato 20 marzo 2021

Notizie dalla Germania sui casi di forme rare di trombosi associati al vaccino AstraZeneca

Secondo notizie diffuse dall'emittente tedesca NDR  il prof. Andreas Greinacher dell'Ospedale universitario di Greifswald in collaborazione con altri ricercatori tedeschi ed austriaci, avrebbe scoperto che le rare forme di trombosi celebrale (meno di 10 casi complessivamente) associate alla somministrazione del vaccino AstraZeneca, osservate recentemente in Austria e Germania, si possono molto probabilmente considerare come un effetto avverso (sia pure molto raro) del vaccino stesso.

Il condizionale è d'obbligo perché le informazioni non sono state ancora divulgate attraverso un lavoro scientifico e non c'è stata, almeno fino ad ora, una presa di posizione ufficiale da parte dell'Istituto Paul Ehrlich che è l'Autorità tedesca deputata a valutare le informazioni relative alla sicurezza dei vaccini.

La buona notizia è che, in caso di manifestazione dei sintomi associati a questo rarissimo effetto collaterale, la situazione potrebbe essere risolta abbastanza facilmente somministrando un farmaco di uso comune.

Se la notizia fosse confermata, potrebbe costituire un notevole passo in avanti verso una migliore accettazione del vaccino AstraZeneca da parte dell'opinione pubblica europea.