martedì 30 novembre 2021

I vaccini funzionano anche con la variante Omicron?

In queste ore, si susseguono - concitate - le prese di posizione rispetto al grado di copertura offerto dagli attuali vaccini rispetto alla nuova variante Omicron. Hanno fatto scalpore, con immediato crollo dei mercati azionari mondiali, le affermazioni del CEO di Moderna, Stéphane Bancel secondo il quale l'efficacia degli attuali vaccini sarebbe molto ridotta rispetto alle varianti precedenti. 

Qualcuno maliziosamente potrebbe osservare che la quotazione del titolo Moderna, che valeva circa 270 US$ fino a qualche giorno fa, è balzata a circa 350 US$ solo grazie all'annuncio della comparsa della variante Omicron. Se effettivamente fossimo costretti a sviluppare un vaccino completamente nuovo, si verrebbe a creare per i produttori dei vaccini un mercato nuovamente "vergine" che potrebbe aumentare considerevolmente i loro profitti. 

Secondo altri, gli attuali vaccini, grazie alla terza dose già programmata, potrebbero comunque garantire un buon livello di protezione anche rispetto alla variante Omicron, soprattutto per i casi più gravi. I dati che provengono dal Sud Africa non ci aiutano a capire cosa stia effettivamente accadendo. Infatti la maggior parte dei contagi associati alla nuova variante sono stati trovati tra persone giovani, a basso rischio di gravi complicanze. Notizie confortanti sull'efficacia della terza dose sono giunte oggi dal Ministero della Salute israeliano, ma sono state messe in discussione da altre fonti israeliane.

In realtà, tutte le prese di posizione che appaiono in queste ore sono semplici congetture, non basate su osservazioni sperimentali consolidate. Le dichiarazioni che sentiamo in queste ore servono, tuttalpiù, per fare qualche bella speculazione in borsa.

Per poter avere risposte che abbiano un minimo di affidabilità dovremo aspettare almeno un paio di settimane. Sarà necessario fare prove di laboratorio per misurare la capacità neutralizzante del siero delle persone vaccinate. Sappiamo che questo tipo di esperimenti non fornisce risposte esaustive, ma, almeno da un punto di vista semi-quantativo, sarebbero comunque dati importanti. Per avere una risposta più esaustiva bisognerà attendere i risultati dal "mondo reale", ma per avere qualche informazione attendibile ci vorranno almeno 2 o 3 mesi.

Il paradosso del Trentino: i ventenni sono più vaccinati dei loro genitori

Osservando la  distribuzione per classi d'età delle vaccinazioni fatte in Trentino, balza agli occhi un fatto significativo: la percentuale di non vaccinati tra i giovani trentini di età compresa tra 20 e 29 anni è decisamente bassa (2,35%), superiore soltanto a quella dei trentini che hanno almeno 80 anni (0,5%). Decisamente più alta la presenza di no-vax nelle generazioni intermedie, tra le quali ci sono i genitori di quei ventenni così disponibili a farsi vaccinare. Tra 40 e 49 anni la percentuale dei non vaccinati sale al 13,78% e, nella decade successiva (50-59 anni) si attesta all'11,57%.

Sembra di capire che i ventenni trentini si siano fatti vaccinare in massa, mentre una parte significativa dei loro genitori - pur correndo un rischio decisamente più elevato di gravi complicanze - si trastulli ancora con le idee no-vax.

Stato attuale delle vaccinazioni in Trentino, suddiviso per classi d'età. Tratto da Lab24

Notiamo anche che il tasso di vaccinazione scende decisamente per la classe d'età 12-19 anni, formata - in gran parte - da minorenni che devono ottenere l'autorizzazione dei genitori per vaccinarsi.

In tutta Italia si osserva una maggiore propensione dei ventenni a farsi vaccinare, ma il dato del Trentino è decisamente quello più significativo. Questo fatto ci conferma una forte differenza - riscontrata a livello generazionale - rispetto al tema dei vaccini. 

Quando si parla genericamente di no-vax si tende a fare di tutte le erbe un fascio. In realtà, si tratta di un fenomeno complesso, concentrato soprattutto in alcune fasce d'età, che andrebbe analizzato e spiegato su basi sociologiche piuttosto che sanitarie. 

I giovani ventenni non soffrono per questo tipo di pregiudizi e ci fanno ben sperare per il futuro del Trentino.


L'Alto Adige diventa zona gialla. Quanto rischia il Trentino?

A partire dalla prossima settimana, l'Alto Adige sarà ufficialmente classificato come "zona gialla", avendo abbondantemente superato tutte le 3 soglie di allarme previste dall'attuale normativa. È servito a poco il trasferimento massiccio di degenti "post-acuti" che sono stati portati dagli ospedali pubblici alle cliniche private, facendoli uscire dalle statistiche ufficiali. 

L'Alto Adige si aggiunge al Friuli V. G. che, già a partire da questa settimana, aveva fatto il salto di colore. Ricordo che ambedue i territori sono classificati da ECDC come zone "rosso scuro" (anche se i criteri adottati da ECDC per evidenziare il livello di gravità della pandemia sono completamente diversi rispetto a quelli del nostro Ministro della Salute).

La situazione del Trentino è meno critica rispetto a quella del vicino Alto Adige, grazie soprattutto alla maggiore presenza di cittadini vaccinati.  Per il momento, il livello dei ricoveri in terapia intensiva del Trentino è appena sotto alla soglia di allarme (9 ricoveri). Le cose vanno un po' meglio per i ricoveri nei reparti Covid ordinari, anche se - a differenza di quanto fa la Provincia autonoma di Bolzano - il Trentino non comunica nulla rispetto all'eventuale trasferimento di pazienti dagli ospedali pubblici alle cliniche private. In altre parole, non sappiamo se ci sia ancora una adeguata disponibilità del sistema sanitario trentino privato per accogliere ricoverati Covid non critici, riducendo la pressione esercitata nei confronti degli ospedali pubblici. Purtroppo, considerato l'attuale livello dei contagi del Trentino, è ragionevole attenderci un ulteriore aumento dei ricoveri e quindi il rischio del passaggio a "zona gialla" non è così remoto.

Va detto che la "zona gialla" non sarebbe un dramma perché non prevede l'adozione di misure particolarmente impegnative (a parte un uso più estensivo della mascherina). Il vero problema è che, dopo la"zona gialla", si può finire in "zona arancione" e allora incomincerebbero i veri guai per la stagione turistica invernale.

Speriamo che la ormai imminente "maratona vaccinale" abbia pieno successo  e possa dare un sostanziale contributo al contenimento sia dei contagi che dei ricoveri ospedalieri.

lunedì 29 novembre 2021

Omicron: Paese che vai, reazione che trovi

L'antico detto "Paese che vai, usanza che trovi" si applica molto bene quando andiamo ad osservare i diversi approcci con cui le Autorità sanitarie dei diversi Paesi hanno reagito all'annuncio della scoperta del nuovo ceppo virale Omicron.

Alcuni Paesi si sono auto-isolati, riducendo al minimo indispensabile il flusso di passeggeri in arrivo dall'Estero. Israele, Giappone e Nuova Zelanda (non a caso, due isole ed un Paese che non è un isola dal punto di vista geografico, ma di fatto lo è dal punto di vista delle relazioni internazionali) sono 3 esempi di questo approccio: si chiudono le frontiere a doppia mandata e poi si vedrà.

Altri Paesi - tra cui l'Italia - si sono limitati ai "pannicelli caldi" bloccando i voli diretti dal Sud Africa. Più o meno quello che fu fatto con la Cina all'inizio della pandemia e sappiamo tutti come andò a finire. In Europa, Lufthansa e Swiss continuano a volare con il Sud Africa e c'è il rischio concreto che i passeggeri in arrivo con questi voli poi si spostino verso tutti gli altri Paesi.

La pragmatica Gran Bretagna ha colto al volo l'occasione dell'arrivo della variante Omicron per giustificare nei confronti dell'opinione pubblica la reintroduzione di alcune misure di contenimento virale che - un po' troppo precipitosamente - erano state completamente abbandonate durante lo scorso mese di luglio. Aldilà del nuovo obbligo di uso del mascherine al chiuso, la misura più drastica adottata dalla Gran Bretagna è senz'altro quella di rendere possibile la somministrazione della terza dose vaccinale per tutti i cittadini maggiorenni, dopo almeno 3 mesi dalla somministrazione della seconda dose. Si tratta di un provvedimento che, nelle intenzioni delle Autorità sanitarie britanniche, dovrebbe servire ad ergere una vera e propria barriera vaccinale contro Omicron, anche se, francamente, non riesco a capire come si possa pensare di gestire la campagna vaccinale con tempi di somministrazione così ravvicinati. 

Possiamo comunque dire che questa somministrazione massiccia di terze dosi, se non servirà per contrastare la variante Omicron, sarà comunque utilissima per abbattere il livello dei contagi dovuti alla variante Delta (circa 300 mila nuovi casi alla settimana) che affligge la Gran Bretagna ormai da molti mesi.

L'esempio della Gran Bretagna è stato seguito da molti altri Paesi che, dopo aver allentato o abbandonato del tutto le restrizioni anti-Covid, stanno rapidamente tornando sui loro passi e, in alcuni casi, si apprestano ad adottare anche rigide misure di lockdown

L'Italia ha di fatto annullato la procedura che prevedeva il passaggio alla DAD solo dopo la comparsa di almeno 3 contagi nella stessa classe. Il picco di contagi in età scolastica, che osserviamo ormai da alcune settimane, ha convinto il Ministero dell'istruzione a tornare a procedure più prudenti. Ufficialmente per prevenire la diffusione della nuova variante Omicron, ma in realtà perché la norma in vigore dallo scorso settembre si era rivelata troppo blanda e di difficile attuazione (prevedeva l'uso massiccio di tamponi molecolari che le Aziende sanitarie spesso non sono in grado di garantire). 

Nel pomeriggio di oggi (30 nov.) la circolare ministeriale è stata ritirata, portando a 2 il numero di casi necessari per far scattare la DAD. Evidentemente le idee al Ministero dell'istruzione sono un po' confuse.

Durante la scorsa estate, quando arrivò in Europa la variante Delta, la situazione era tutto sommato "tranquilla", con pochi contagi e con gli ospedali sostanzialmente vuoti. Anche grazie alla stagione estiva, la prima ondata pandemica associata alla variante Delta fu gestita senza troppi affanni. 

Oggi la situazione è completamente diversa perché, complice l'ormai imminente stagione invernale, l'Europa sta affrontando una recrudescenza dei contagi da variante Delta molto significativa. Se la variante Omicron si dovesse diffondere rapidamente e non fosse - come molti sperano - meno aggressiva della Delta, il vero rischio sarebbe quello di aggravare una situazione sanitaria che - per molti Paesi europei - è già piuttosto critica.

L'esperienza di questi due anni ci insegna che qualsiasi tentativo di tenere il virus fuori dai "confini della Patria" è fatalmente destinato al fallimento. Se va bene, si ottiene un rallentamento del processo, ma se il nuovo ceppo virale è molto contagioso, bastano pochi casi per innescare focolai autoctoni che prenderanno rapidamente il sopravvento. 

Vaccini, mascherine e distanziamento sono gli unici strumenti che abbiamo a disposizione per gestire questa nuova difficile fase della pandemia. Se vogliamo ridurre al minimo i danni di natura socio-economica, il distanziamento (ed i lockdown) dovrebbero essere considerati  come una sorta di extrema ratio. No-vax permettendo, se riusciremo ad aumentare la copertura vaccinale, se procederemo velocemente con le terze dosi e se ricorderemo di usare le mascherine, possiamo ragionevolmente sperare di riuscire a gestire anche questa nuova sfida, perché - a differenza di tanti altri Paesi europei - l'Italia parte comunque da una situazione sanitaria che non è ancora compromessa.

Sperando ovviamente che si realizzino le ipotesi formulate dai più ottimisti e che questo nuovo ceppo virale si riveli molto meno aggressivo rispetto ai suoi predecessori, contribuendo a riportare la pandemia su binari più gestibili.

domenica 28 novembre 2021

Gli svizzeri confermano, con un referendum popolare, il sì al green-pass

La situazione sanitaria della Svizzera non è molto diversa rispetto a quella della Germania e dell'Austria. Il livello dei contagi è molto alto (più di 400 contagi settimanali per ogni 100 mila abitanti, soprattutto a causa del basso tasso di vaccinazione causato dalla presenza di no-vax che sono particolarmente numerosi nei cantoni di lingua tedesca). I cittadini svizzeri di età superiore ai 12 anni completamente vaccinati sono il 76,5%, ma in molti Cantoni di lingua tedesca la percentuale è inferiore al 70% (chissà se qualcuno in Svizzera ha provato a dare la colpa dell'esistenza di così tanti no-vax a Guglielmo Tell?).

In Svizzera, le decisioni relative alle misure di contenimento dei contagi sono generalmente affidate ai singoli Cantoni, mentre lo Stato federale si limita ad alcune prescrizioni di carattere generale. La Svizzera è abituata a sottoporre a referendum popolare molti provvedimenti o proposte di natura legislativa e nessuno si è sorpreso quando anche il cosiddetto green-pass è diventato oggetto di uno specifico referendum. Oggi, a larga maggioranza (63%), gli Svizzeri hanno approvato l'utilizzo del green-pass che quindi continuerà ad essere utilizzato per regolare l'accesso ai luoghi chiusi o particolarmente affollati. Qui potete trovare una breve sintesi dei commenti al risultato referendario, apparsi sulla stampa svizzera ed internazionale.

Gli Svizzeri hanno approvato anche un altro referendum che richiedeva di assegnare più risorse per le formazione e la remunerazione degli infermieri. Il Governo federale aveva espresso parere negativo perché riteneva che il provvedimento fosse troppo oneroso dal punto di vista finanziario, ma i cittadini svizzeri hanno deciso di approvare la proposta.

La nuova variante Omicron: è il momento del panico?

Certamente no, anche se alcuni media internazionali si sono lasciati andare a previsioni catastrofiche. Di sicuro sappiamo che è comparsa una nuova variante virale, caratterizzata dalla presenza di ben 32 mutazioni della proteina spike, che in questi giorni sta diventando la variabile dominante in molti Paesi dell'Africa australe. I primi casi sono stati segnalati in moltissimi altri Paesi ed è presumibile che, nel corso delle prossime settimane, il numero di segnalazioni crescerà ovunque. 

Va - prima di tutto - ricordato che questo non è il primo allarme che proviene dal Sud Africa, Paese che, per le sue particolari caratteristiche, è una sorgente sempre attiva di nuove varianti virali.

Ciò premesso, va ribadito che ci vorranno almeno un paio di settimane prima di capire cosa stia effettivamente accadendo e - in particolare - per capire quale sia la contagiosità e soprattutto la gravità dei sintomi associati a questa nuova variante. I primi dati disponibili (non ancora confermati) sembrano indicare che la variante Omicron sia più contagiosa della Delta e quindi potrebbe diventare la prossima variante dominante a livello mondiale.

Sul fronte della gravità dei contagi va detto - prima di tutto - che un ceppo virale con più varianti non è necessariamente un virus più pericoloso. I danni prodotti dal contagio sono il risultato di una complessa interazione che avviene  - a livello molecolare - tra il virus e la cellula che lo ospita ed è difficilissimo prevedere quale possa essere il ruolo giocato dalle singole mutazioni.

Secondo alcune osservazioni preliminari che - se confermate - potrebbero essere confortanti, sembra che i sintomi dei contagi originati dalla variante Omicron siano mediamente meno gravi rispetto a quelli dovuti alle varianti precedenti. Il dato potrebbe essere condizionato dalle particolari caratteristiche dei casi che sono stati analizzati per effettuare la stima. Fino ad oggi, il Sudafrica ha segnalato pochi casi gravi dovuti al ceppo Omicron sia perché la maggior parte dei contagi sono stati registrati tra persone molto giovani (e quindi poco esposte al rischio di gravi complicanze), sia perché - come vedremo più avanti - la circolazione virale nel Paese è ancora  abbastanza bassa. Finché il numero dei casi gravi sarà - in assoluto - piccolo, le stime della pericolosità della nuova variante potrebbero essere affette da una grande indeterminazione statistica. Per il momento - molto prudentemente - l'Istituto Superiore di Sanità italiano si è limitato ad affermare che "non c'è evidenza che la variante Omicron provochi una forma più grave della malattia".

L'unico dato "certo" su cui possiamo ragionare è - al momento - quello della diffusione dei contagi in Sud Africa:

Andamento dei contagi giornalieri in Sud Africa dall'inizio del mese di settembre fino ad oggi. I dati sono normalizzati su un campione di 1 milione di abitanti. La comparsa della variante Omicron è associata alla crescita osservata all'inizio di novembre. Tratto da Our World in Data

Notiamo che, fino ad ottobre, il Sud Africa stava uscendo - anche grazie all'ormai imminente arrivo della stagione estiva - dal picco di contagi dovuto alla variante Delta. Alla fine di ottobre i contagi si erano quasi azzerati, ma - nel corso degli ultimi giorni - si sta osservando una rapida risalita associata alla comparsa della nuova variante Omicron. Il livello dei contagi è ancora relativamente basso, ma preoccupa la loro accelerazione.

sabato 27 novembre 2021

L'Inghilterra introduce nuovamente l'uso della mascherina

L'arrivo della variante Omicron ha fatto cambiare idea anche a Boris Johnson che - fino ad oggi - aveva resistito a tutte le richieste di reintrodurre almeno alcune delle misure non sanitarie per il contenimento della circolazione virale che erano state abolite durante lo scorso mese di luglio.

Dopo che, da oltre 4 mesi, il livello dei contagi si era stabilizzato - sia pure con ampie fluttuazioni - intorno ad un valor medio decisamente alto, BoJo - da buon politico - ha colto la palla al balzo, imponendo l'uso delle mascherine nei locali al chiuso e nei mezzi di trasporto pubblico. Sono stati introdotti anche maggiori controlli sui viaggiatori in arrivo dall'estero. 

Andamento dei contagi in Gran Bretagna da giugno fino ad oggi. Tratto da https://coronavirus.data.gov.uk/


Parliamo dei bambini

L'autorizzazione del vaccino per età pediatriche (5-11 anni), rilasciata recentemente da EMA, ha aperto - anche in Italia - il dibattito sull'opportunità di estendere ai più piccoli la vaccinazione Covid. Si tratta di un argomento particolarmente delicato, come succede quando si discute della salute dei bambini. Qualche forza politica ha già cercato di dare una colorazione partitica alla discussione e questo certamente non giova alla serenità del dibattito.

Io non sono in grado di dare consigli di sorta e - per i miei 6 nipoti che hanno meno di 12 anni - credo che sarà bene che i loro genitori chiedano il parere di un pediatra di cui si fidano. Qui mi limito a riportare alcune informazioni che ci possono aiutare ad inquadrare il problema, augurandomi che il dibattito possa rimane focalizzato sui dati di fatto, lasciando perdere i preconcetti ideologici di qualsiasi tipo.

Partiamo da un dato che riguarda l'impatto della Covid-19 sui bambini. Secondo quanto riportato dall'Istituto Superiore di Sanità, nel periodo dall'8 al 21 novembre 2021, nei bambini di età inferiore ai 12 anni sono stati segnalati complessivamente 31.365 nuovi casi, di cui 153 ospedalizzati e 3 ricoverati in terapia intensiva.

Variazione dell'incidenza misurata nel corso dell'ultima settimana, suddivisa in base alle classi d'età. Si noti il forte contributo ai contagi dovuto alle generazioni più giovani. Tratto dal Bollettino ISS

In particolare, nella fascia d'età 6-11 anni (attualmente completamente non vaccinata) è stato riscontrato il 51% di tutti i contagi trovati tra i giovani di età scolare (asili inclusi), percentuale che scende al 32% per la fascia d'età 12-19 anni. Gli altri contagi sono stati trovati nei bambini degli asili. Questi numeri ci confermano che:

  1. Non è vero che "i bambini non si ammalano e se anche si contagiano sono comunque asintomatici". Fortunatamente i ricoveri sono decisamente meno frequenti rispetto alle persone anziane, ma il loro numero non è affatto trascurabile. Per non parlare delle conseguenze a lungo termine della Covid-19 che si registrano anche tra i bambini e che sono attualmente oggetto di studi approfonditi.
  2. I vaccini riducono sensibilmente i contagi tra gli studenti di almeno 12 anni d'età rispetto agli studenti più piccoli: la probabilità di contagio per chi ha tra 6 ed 11 anni è mediamente più che doppia rispetto a coloro che hanno tra 12 e 19 anni (che sono - sia pure parzialmente - vaccinati). Questo ha una diretta incidenza sulla possibilità di mantenere le Scuole in presenza senza ricorrere alla didattica a distanza, soprattutto nei momenti di elevata circolazione virale. Tra l'altro, gli studenti più giovani fanno un uso molto meno intenso dei mezzi di trasporto pubblico per raggiungere le Scuole e questo dovrebbe far riflettere chi afferma: "i contagi non avvengono a Scuola, ma durante gli spostamenti sui mezzi pubblici".

La vaccinazione dei bambini ha, potenzialmente, un effetto rilevante sulla circolazione virale complessiva. I più giovani - completamente non vaccinati - sono un "serbatoio" virale perfetto e alimentano la circolazione virale. Anche se si contagiano principalmente tra di loro, alla fine i bambini finiscono per portare il virus in famiglia, contagiando genitori e nonni. Questo problema esiste specialmente in alcuni Paesi, come ad esempio Israele o Irlanda, dove c'è un'ampia fascia di giovani generazioni che, fino ad oggi, non sono state vaccinate. 

Paradossalmente, per una paese "vecchio" come l'Italia il problema è molto meno grave. L'effetto "culle vuote" che ha generato il ben noto calo demografico, riduce sensibilmente anche il ruolo dei più giovani nella circolazione virale. Se volete, è una ben magra consolazione, ma almeno da questo punto di vista, l'Italia si trova in una posizione "avvantaggiata" rispetto ad altri Paesi.

Quindi - almeno per quanto riguarda l'Italia - l'argomento "vacciniamo i più piccoli per proteggere tutti gli altri" non mi sembra prioritario. Dal punto di vista dell'immunità collettiva, sarebbe molto più importante riuscire a convincere a vaccinarsi quei milioni di adulti che ancora si oppongono al vaccino.

Vediamo adesso un altro punto importante ovvero "quanto è efficace e sicuro il vaccino per i più piccoli?". Le agenzie FDA ed EMA hanno autorizzato la somministrazione dei vaccini pediatrici sulla base di uno studio che ha riguardato un numero limitato di volontari. In pratica, la domanda chiave che si poneva questo studio era: "quale è l'efficacia del vaccino pediatrico considerato che la dose di questo vaccino è stata ridotta al valore di 1/3 rispetto al vaccino standard?". Il numero dei volontari è stato fissato per avere una base statistica sufficiente per determinare l'efficacia e la risposta è stata ampiamente positiva. Pur avendo ridotto considerevolmente il dosaggio, si è visto che l'efficacia è paragonabile a quella che si riscontra per gli adulti a cui viene somministrato il prodotto standard. La cosa non è sorprendente, considerato che i più piccoli hanno generalmente un sistema immunitario in ottime condizioni e quindi reagiscono meglio degli adulti alle vaccinazioni. 

La sperimentazione non ha evidenziato l’insorgenza di effetti avversi rilevanti (cosa non sorprendente perché, a parte il dosaggio ridotto, la formulazione è la stessa del vaccino usato per chi ha più di 12 anni). Tuttavia - poiché sono stati studiati solo un numero limitato di casi - non è stato possibile mettere in luce, ammesso e non concesso che esistano, eventuali rari eventi avversi che si potrebbero manifestare solo nei più piccoli. 

D'altra parte, un problema simile si era manifestato anche per lo sviluppo dei vaccini per gli adulti. I rari casi di trombosi registrati con il vaccino AstraZeneca (1 caso ogni circa 100 mila dosi somministrate) sono stati visti solo dopo che il vaccino è stato somministrato su vasta scala. Vi faccio notare che - per capire cosa succedeva - non ci sono voluti anni: è bastato somministrare qualche milione di dosi ed anche gli eventi avversi rari sono diventati evidenti. 

Ricordo anche che la probabilità di questi eventi avversi rari è di gran lunga inferiore rispetto a quella di patire conseguenze altrettanto - se non più - gravi a causa del contagio. Di conseguenza, la vaccinazione diventa senz'altro preferibile rispetto ad un contagio che non sempre si risolve con sintomi leggeri.

Per il vaccino pediatrico, la somministrazione su larga scala è appena iniziata e ci vorrà ancora un paio di mesi prima che il numero di dosi somministrate (soprattutto negli Stati Uniti ed in Israele) ci consenta di verificare sul campo quegli aspetti di sicurezza che ancora non sono ben chiariti. Tenuto conto che i vaccini pediatrici non saranno effettivamente disponibili in Italia prima della fine di dicembre, c'è tutto il tempo per approfondire la questione, dando ai pediatri le informazioni necessarie affinché possano consigliare le famiglie nel modo migliore. 

Purché si lasci la questione in mano agli esperti e la politica non butti tutto in "caciara", sollevando un polverone che - alla fine - rischia di danneggiare proprio quei bambini che tutti dichiarano di voler proteggere.

venerdì 26 novembre 2021

Aggiornamento sulla pandemia: per il momento, è una crescita esponenziale

Nel linguaggio corrente il termine "crescita esponenziale" viene spesso utilizzato come sinonimo di una crescita dilagante. In realtà, dal punto di vista matematico, il termine esponenziale non ha necessariamente questo significato. In modo molto semplificato, possiamo dire che una crescita esponenziale si verifica quando una grandezza raddoppia ogni volta che sono passati un certo numero di giorni. Ad esempio, all'inizio della pandemia, i contagi raddoppiavano ogni 5 giorni. 

Attualmente siamo nuovamente in una fase di incremento dei contagi di tipo esponenziale, ma  - per fortuna - per osservare un raddoppio dei contagi ci vogliono quasi 3 settimane. In altre parole, i contagi stanno salendo, ma - se non ci sarà una ulteriore accelerazione - prima  di arrivare ai livelli che attualmente si osservano in altri Paesi come, ad esempio, Gran Bretagna o Germania, ci vorranno ancora 4-6 settimane.

Cosa ci aspettiamo da ora in poi? Anche se la crescita dei contagi è meno ripida rispetto a precedenti fasi della pandemia, non c'è dubbio che - se si dovesse continuare su questa strada - la situazione diventerà comunque critica. Bisogna quindi agire subito per "piegare la curva".

Ben vengano dunque le misure del super green-pass, soprattutto se riusciranno a convincere un po' di ni-vax a farsi finalmente vaccinare. Molto più importante - come ho ribadito in precedenti post - sarà una significativa accelerazione nella somministrazione delle terze dosi.

Vediamo un po' di numeri. Partiamo dal dato dei contagi:

Andamento dei contagi registrati in Italia, mostrato su scala semi logaritmica. La linea grigia corrisponde ai contagi comunicati giornalmente, mentre la linea blu rappresenta la media dei contagi giornalieri, stimata su base settimanale. La retta tratteggiata rappresenta un fit di tipo esponenziale (il grafico, lo ricordo, è di tipo semi logaritmico) e rappresenta abbastanza bene la crescita dei contagi registrata nel corso delle ultime 6 settimane. Il tempo di raddoppio è dell'ordine di 3 settimane

A conferma dell'andamento esponenziale dei contagi, mostro la variazione percentuale dei contagi giornalieri comunicati nel corso delle ultime 2 settimane, misurata rispetto alla settimana precedente. Si osserva che - aldilà di piccole fluttuazioni statistiche - l'incremento dei contagi è sostanzialmente costante:

Variazione percentuale dei contagi giornalieri registrati durante le ultime 2 settimane, calcolata rispetto alla settimana precedente. La linea tratteggiata è un fit lineare.

Anche per i ricoveri nei reparti Covid degli ospedali italiani osserviamo una variazione percentuale pressoché stabile nell'arco dell'ultimo mese:

Variazione percentuale dei ricoveri calcolata rispetto alla settimana precedente. Si nota che, nel corso delle ultime 4 settimane, l'incremento è rimasto pressoché costante e pari a circa il 15%

La crescita c'è, ma è inferiore rispetto a quella registrata in numerosi altri Paesi:

Numero di pazienti ricoverati nei reparti Covid di alcuni Paesi, tra cui l'Italia. I dati sono normalizzati rispetto ad un campione di 1 milione di abitanti.  Tratto da Our World in Data

Continuano a crescere i nuovi ricoveri in terapia intensiva che, nel corso dell'ultima settimana, sono arrivati ad un livello pari a circa 0,6 casi settimanali per ogni 100 mila abitanti superando il valore di picco registrato alla fine dello scorso mese di giugno. 

Nuovi ricoveri settimanali nei reparti Covid di terapia intensiva, normalizzati rispetto ad un campione di 100 mila abitanti

Il grafico mostrato sopra non distingue i ricoveri in base allo stato vaccinale dei pazienti. Questo tipo di informazione lo possiamo trovare sul sito di Lab24 dedicato alla campagna vaccinale:

Nuovi ricoveri mensili nei reparti Covid di terapia intensiva, normalizzati rispetto ad un campione di 1 milione di abitanti. La curva rossa corrisponde ai pazienti non vaccinati, mentre quella verde è quella dei pazienti completamente vaccinati. Queste curve - da sole - ci fanno capire quanto siano importanti i vaccini per tenere sotto controllo la situazione sanitaria. Tratto da Lab24

Ipotizzando che i ricoveri in terapia intensiva corrispondano a circa il 10% dei ricoveri totali, in Italia dovremmo aver avuto circa 6 nuovi ricoveri complessivi (somma di tutti i reparti Covid) per ogni 100 mila abitanti. In Trentino, nel corso dell'ultima settimana, i nuovi ricoveri complessivamente registrati nei reparti Covid sono stati 7,8 per ogni 100 mila abitanti, in aumento del 28% rispetto al dato della settimana precedente (6,1).

Il dato dei decessi mostra un incremento, superando - per la prima volta - il valore di picco registrato all'inizio dello scorso mese di luglio:

La linea grigia indica il numero dei decessi giornalieri normalizzati rispetto ad un campione di 100 mila abitanti. La linea rossa rappresenta la media stimata su base settimanale

Concludiamo con una rapida occhiata alla mappa pandemica elaborata da ECDC. In tutta Europa sono ormai sparite le zone "verdi", anche se la situazione di Spagna, Portogallo, Francia e - in particolare - Italia è migliore rispetto a quella di gran parte degli altri Paesi. 

In Italia, Friuli e V. G. e Provincia autonoma di Bolzano sono le uniche zone "rosso scuro". Oggi, applicando le regole italiane, il Friuli V. G. diventa "zona gialla", mentre l'Alto Adige si salva dal declassamento solo grazie ad un escamotage statistico. Tutti le altre Regioni/PPAA peggiorano, ma si tratta - almeno per il momento - di una situazione ancora sotto controllo.

Mappa ECDC sullo stato della pandemia in Europa


Il nuovo antivirale Merck è meno efficace di quanto stimato inizialmente

Merck ha annunciato i risultati finali della sua sperimentazione di fase 3 relativa all'antivirale Molnupiravir che sono inferiori rispetto ai risultati preliminari annunciati alcune settimane fa. Oggi si parla di una riduzione dei ricoveri e dei decessi del 30%, rispetto al 50% annunciato ad ottobre.

Considerato il numero relativamente piccolo di pazienti trattati (1.433, mentre i risultati parziali anticipati ad ottobre riguardavano solo 775 pazienti) la differenza tra quanto comunicato un mese fa ed i risultati finali rientra nelle fluttuazioni che possiamo aspettarci su base statistica. 

Per confronto, il concorrente Pfizer, dopo aver analizzato 1.200 pazienti, ha dichiarato che il suo nuovo antivirale avrebbe un'efficacia dell'89% nel prevenire ospedalizzazioni e decessi. Ricordo che ambedue le case farmaceutiche hanno condotto le loro sperimentazioni in doppio cieco, reclutando pazienti nella fase iniziale della malattia, considerati ad alto rischio di complicanze. Non è chiaro se i criteri adottati da Merck e Pfizer per scegliere i volontari siano stati esattamente gli stessi e comunque le due sperimentazioni hanno riguardato un numero di volontari decisamente inferiore rispetto alle sperimentazioni condotte un anno fa per lo sviluppo dei vaccini (allora si lavorava su gruppi di 20-30 mila persone).

Probabilmente, una stima più realistica dell'efficacia dei nuovi antivirali potrà essere ottenuta solo con una sperimentazione nel mondo reale. Ad esempio, la Gran Bretagna ha già avviato la somministrazione dell'antivirale Merck con una procedura di emergenza e - tra qualche settimana - potrebbero essere disponibili le prime stime di efficacia.

Considerati i numeri piccoli fin qui analizzati, sono ancora tutte da definire le controindicazioni che ci potrebbero essere per alcune specifiche categorie di pazienti come, ad esempio, le donne in stato di gravidanza.

Se l'ultimo dato sull'efficacia del Molnupiravir fosse confermato, non è detto che il farmaco possa raggiungere l'ampia diffusione che era stata inizialmente ipotizzata. Un 30% di riduzione dei ricoveri e dei decessi non è certamente da disprezzare, ma si tratta di un valore certamente inferiore rispetto a quello che si ha per alcuni anticorpi monoclonali (più costosi e più complicati da somministrare) e - se confermato - dell'antivirale concorrente prodotto da Pfizer.

La variante Omicron (inizialmente chiamata Nu) fa crollare le borse mondiali

L'annuncio fatto ieri - da parte delle Autorità sanitarie sudafricane - di una nuova variante considerata potenzialmente molto pericolosa ha scatenato il panico nelle borse mondiali, con forti discese registrate in tutti i principali mercati. Il nuovo ceppo virale è stato individuato con la sigla 1.1.529. L'OMS ha annunciato che il nome ufficiale di questa nuova variant of concern sarà Omicron, anche se inizialmente le era stato il nome assegnato fosse Nu

L'OMS fa fatto informalmente sapere che la lettera Nu è stata esclusa perché la sua pronuncia si può confondere con "new" (nuovo), mentre la successiva lettera Xi è stata scartata perché corrisponde ad un cognome molto diffuso in Cina (premier cinese incluso). Non è rimasto che passare alla successiva lettera dell'alfabeto greco disponibile: Omicron.

Al momento, non siamo ancora certi del fatto che la variante Omicron sia effettivamente più contagiosa della Delta e, soprattutto, che sia più resistente ai vaccini. Moderna ha già annunciato che è pronta a sperimentare 3 nuove versioni del suo vaccino che potrebbero essere più efficaci nei confronti della nuova variante.

Un'immagine elaborata dal dott. Matteo Villa dell'ISPI mostra la velocità con cui si è diffusa la variante Omicron in Sud Africa, molto più elevata rispetto alle precedenti varianti. Ma - come sottolineato  dal dott. Villa - il dato relativo alla variante Omicron potrebbe essere affetto da un problema legato alle procedure adottate per il campionamento genetico. Se confermato, il dato indicherebbe una contagiosità della variante Omicron decisamente superiore rispetto alla variante Delta

Nel frattempo i "bravi ragazzi di Wall Street" non hanno perso l'occasione per scatenare l'ennesimo "venerdì nero" e dare una bella scrollata ai mercati finanziari che, nel corso delle ultime settimane, avevano festeggiato - forse con troppo anticipo - la fine della pandemia.

Ogni giorno compaiono nuove varianti virali e la stragrande maggioranza di loro non ha alcun impatto pratico sulla evoluzione della pandemia. Quello che preoccupa della nuova variante Omicron è la presenza  di numerose mutazioni, in gran parte già presenti in altri ceppi virali, ma qui tutte presenti nello stesso ceppo. 

Non è un caso che la variante Omicron sia emersa in una zona del continente africano che - a causa della preesistente epidemia di AIDS - è caratterizzata da una forte presenza di persone immunodepresse. Se un immunodepresso si ammala di Covid-19, tende a rimanere virologicamente positivo per tempi molto lunghi, durante i quali può risultare esposto a diversi ceppi virali. In questo modo gli immunodepressi diventano una sorta di laboratorio vivente per la produzione di nuove varianti virali.

Per precauzione, molti Paesi (tra cui anche l'Italia) hanno bloccato i voli dal Sud Africa e dai Paesi vicini e stanno monitorando i viaggiatori arrivati nel corso delle ultime settimane alla ricerca di eventuali contagi. 

Ancora non sappiamo - lo ribadisco - se la variante Omicron sia effettivamente più pericolosa della variante Delta, ma è giusto tenere la guardia alta e soprattutto continuare a mappare, con grande attenzione, la struttura genetica del virus in circolazione.

giovedì 25 novembre 2021

L'accerchiamento dei no-vax sudtirolesi

La pandemia ha inciso profondamente su diversi aspetti sanitari, economici, politici e sociali delle nostre società. L’impatto è stato enorme e molti degli effetti di lungo periodo devono ancora essere compresi. Questo è avvenuto ovunque, ma il caso del piccolo Südtirol merita – a mio avviso – una certa attenzione, non fosse altro per la vicinanza geografica ed i legami storici che esistono con il Trentino.

Durante questo secondo anno di pandemia, la comunità di lingua tedesca si è distinta per un significativo rifiuto del vaccino, cosa che ha provocato un evidente e pesante impatto in termini di contagi, ricoveri e decessi. Malgrado l’evidenza dei dati, molti sudtirolesi rimangono fermi nelle loro idee, considerando il rifiuto del vaccino come parte integrante del loro patrimonio identitario. E qui incominciano i problemi.

In questo momento, ad esempio, oltre 4.000 insegnanti e altri dipendenti delle Scuole di lingua tedesca devono scegliere se rispettare l’obbligo vaccinale recentemente imposto da Roma o rinunciare – sia pure temporaneamente – a lavoro e stipendio. 
 
Tradizionalmente, quando i cittadini sudtirolesi sono messi in difficoltà dalle decisioni dello Stato italiano, invocano la protezione dell’Austria, loro Paese protettore. Purtroppo per loro, se i no-vax sudtirolesi decidessero di chiedere aiuto oltre Brennero rischierebbero di avere a che fare con un infermiere (rigorosamente di lingua tedesca) pronto ad iniettargli il vaccino (che dal prossimo 1 febbraio in Austria sarà obbligatorio per tutti, transfughi sudtirolesi inclusi).

I poveretti avrebbero qualche difficoltà anche a chiedere la solidarietà dei movimenti no-vax di lingua italiana che, notoriamente, sono egemonizzati dai neofascisti con i quali non corre buon sangue. D’altra parte, provate a mettervi nei panni di un esponente della estrema destra bolzanina il quale – piuttosto di dimostrare solidarietà ai non amati sudtirolesi – probabilmente preferirebbe abiurare le idee no-vax, sognando di poter girare con le bandiere italiane nelle valli sudtirolesi gridando a tutti “Vaccinatevi!”.

La verità - prima o poi - viene a galla

Finalmente, dopo un anno di reticenze e mezze verità, la Provincia autonoma di Trento ha pubblicato i dati veri relativi ai contagi di un anno fa. Parliamo dell'autunno 2020, quando il Trentino - forse illudendosi di poter salvare una stagione invernale ormai ampiamente compromessa - nascose il vero livello dei contagi ricorrendo ad un escamotage nella verifica dei positivi ai tamponi antigenici (che - per legge - avrebbero dovuto essere subito confermati con un tampone molecolare, ma che - di fatto - venivano fatti attendere almeno una settimana, in attesa che la maggior parte di loro tornasse virologicamente negativa).

Malgrado le numerose proteste di coloro che, in Piazza Dante, qualcuno definì "sciacalli", la Provincia autonoma di Trento andò avanti imperterrita per la sua strada, anche quando la saturazione dei reparti Covid degli ospedali trentini mostrò con grande evidenza che i contagi erano molto più numerosi rispetto ai valori comunicati. Per non parlare dell'eccesso di mortalità che il Trentino registrò nel successivo mese di dicembre.

Nel mare di reticenze e vere e proprie omertà che caratterizzò quel periodo, un primo pezzo di verità fu reso noto grazie al contributo del Comune di Trento che pubblicò alcuni dati ricevuti dalla Provincia (dati relativi al vero numero di persone messe in quarantena che - per legge - la Provincia doveva comunicare a tutti i Comuni, ma che solo pochi Sindaci resero pubblici).

A un anno di distanza, è apparso il grafico con il vero numero dei contagi, sia pure disperso in un documento di oltre 100 pagine elaborato dall'Azienda sanitaria provinciale. Sono dati che  - almeno come ordine di grandezza - erano già noti (pari da 2 a 4 volte i contagi "ufficiali"), ma questa è la prima volta che appaiono in un documento provinciale.

Le barre verticali viola mostrano i contagi (veri) registrati in Trentino nell'ultimo trimestre 2020. Tratto dal Bilancio di missione 2020 di APSS Trento (pag. 18). La linea rossa indica il livello di contagi comunicati ufficialmente dalla Provincia Autonoma di Trento (la linea rossa è stata aggiunta al grafico originale pubblicato da APSS). Si nota chiaramente la scomparsa del secondo picco pandemico che ha colpito il Trentino durante l'autunno scorso
 

Ma qualcuno in Piazza Dante non crede che sarebbe ora di chiedere scusa ai trentini per aver nascosto la verità sui contagi?

mercoledì 24 novembre 2021

Non c'è pace per nessuno, neppure per Israele

Le autorità sanitarie israeliane hanno dichiarato di essere pronte ad innalzare il livello di restrizioni anti-Covid se, nel corso delle prossime settimane, si dovesse verificare una crescita dei contagi, superando la soglia di 1.000 nuovi contagi medi giornalieri. 

Attualmente il livello dei contagi sfiora il livello di 600 casi giornalieri, in lieve crescita rispetto ai circa 450 casi giornalieri che erano stati registrati nel corso delle due settimane precedenti. La soglia di allarme fissata dalle Autorità israeliane (1.000 casi giornalieri) corrisponde a circa 75 casi settimanali per ogni 100 mila abitanti, molto al di sotto rispetto alla attuale circolazione del virus in Italia.

Quello osservato recentemente è il primo incremento registrato in Israele a partire dallo scorso mese di settembre quando, grazie alla somministrazione delle terze dosi vaccinali, era stata messa sotto controllo la quarta ondata pandemica (che a settembre aveva raggiunto gli 11.000 casi giornalieri). Al momento, non possiamo sapere se si tratti di una vera e propria inversione di tendenza oppure di un rimbalzo poco significativo (legato ad una eccessivo allentamento delle misure non sanitarie di contenimento del contagio che erano state precipitosamente reintrodotte in Israele subito dopo l'arrivo del quarto picco pandemico). Qualcuno in Israele ha già iniziato a discutere di una possibile quarta dose vaccinale: per il momento con c'è ancora nulla di preciso, ma meglio non farsi cogliere impreparati.

Nel frattempo, Israele ha iniziato a somministrare i primi vaccini ai bambini di età compresa tra 5 ed 11 anni. Considerando la composizione demografica di Israele, con una forte presenza delle generazioni più giovani, l'estensione fino a 5 anni dell'età vaccinabile potrebbe avere un impatto particolarmente significativo sulla circolazione virale. Ovviamente parliamo solo di ipotesi, perché al momento non è chiaro quale potrà essere l'adesione alla campagna vaccinale per i più piccoli.


Come si fa a convivere con il virus?

Spesso sentiamo i politici usare l’espressione “convivere con in virus” anche se, ascoltando con attenzione i loro ragionamenti, sembra che dietro allo slogan non ci siano sempre idee chiare rispetto al costo sanitario, sociale ed economico che dovremmo essere pronti a pagare per raggiungere tale obiettivo.

Ci sono vari modi di “convivere con il virus”, differenti per impostazione di fondo e fortemente legati a quello che potremmo definire il “comune sentire” delle diverse popolazioni. Molto schematicamente, possiamo descrivere 3 tipi di approccio:

  1. Secondo il pragmatico punto di vista britannico, una volta che lo Stato ha messo a disposizione di tutti un efficace sistema di somministrazione dei vaccini, ciascuno può essere libero di adottare le misure che riterrà più opportune, senza alcuna imposizione da parte dello Stato. Questo ha consentito di abolire tutte le restrizioni. I britannici hanno deciso di “non pensare più alla Covid-19”, ma sono partiti speditamente con la somministrazione della terza dose vaccinale. L’effetto delle vaccinazioni e dell’assenza di restrizioni è stato quello di “congelare” la situazione sanitaria che – da luglio fino ad oggi – è rimasta sostanzialmente stabile, sia pure in presenza di forti oscillazioni. Questo comporta un elevato livello di decessi (mediamente, 150 al giorno) e di ricoveri nei reparti Covid (mediamente 10 nuovi ricoveri settimanali per ogni 100 mila abitanti). Numeri che per i cittadini d’Oltremanica sono considerati “accettabili”, mentre dati simili hanno fatto scattare l’allarme rosso in Germania.
  2. L’approccio seguito da molti Paesi dell’Europa dell’Est (specialmente quelli che in passato soggiacevano all’influenza dell’Unione Sovietica) potrebbe essere definito come una forma di convivenza "ad alto rischio". Tutto dipende da una sostanziale diffidenza nei confronti dei vaccini, visti come una espressione del potere dello Stato. Tale sentimento è talvolta esasperato da credenze di carattere politico o religioso. Le mancate vaccinazioni, combinate con una sostanziale assenza di misure non sanitarie per la prevenzione del contagi, hanno provocato un'esplosione di contagi e decessi. In pratica, si attende che la Natura faccia il suo corso, in attesa che – prima o poi – il picco pandemico si esaurisca. Se qualcuno avesse ancora dubbi sull’efficacia dei vaccini, dovrebbe farsi un giro da quelle parti, visitando un po’ di ospedali.
  3. C’è infine un terzo approccio di cui l’Italia è senz’altro un buon esempio. Accanto ad una efficace campagna vaccinale, sono rimaste in vigore alcune norme per il contenimento dei contagi (green-pass). Anche se in questi giorni stanno crescendo le preoccupazioni, non dobbiamo dimenticare che la situazione italiana è ancora decisamente migliore rispetto a quella della Gran Bretagna che non applica restrizioni e dei Paesi dove le campagne vaccinali sono state meno efficaci.

Aldilà delle diverse strategie che si possono adottare – a mio avviso - “convivere con il virus” vuol dire essenzialmente una cosa: “evitare che i contagi possano portare ad un sovraccarico delle strutture ospedaliere, che non devono essere intasate dai pazienti Covid”. Facile a dirsi, ma non semplice da realizzare. Vediamo alcuni numeri che ci possono aiutare ad inquadrare meglio il problema.

Partiamo ricordando quale era la situazione italiana all’inizio del 2021, quando la campagna vaccinale era solo agli inizi. Alla fine del mese di gennaio, l’Italia registrava mediamente 12.500 contagi giornalieri, un numero non molto distante dal livello attuale. Le persone ricoverate nei reparti Covid degli ospedali italiani erano circa 24.000, di cui circa il 10% ricoverate nei reparti di terapia intensiva. Più o meno, il numero delle persone ricoverate era pari a quasi due volte il numero dei contagi medi giornalieri. Si tratta di una stima molto grossolana, comunque utile per fare alcune considerazioni di tipo semi-quantitativo.

Attualmente abbiamo a che fare con un ceppo virale la cui contagiosità è circa doppia rispetto a quella del virus che girava in Italia nel mese di gennaio 2021 (allora la variante Alpha non si era ancora diffusa in Italia). I numeri attuali (ordine di grandezza) parlano di circa 10.000 contagi medi giornalieri, con 5.000 persone ricoverate, di cui il 10% circa ricoverato in terapia intensiva. Confrontando i recenti dati italiani con quelli britannici, possiamo dedurre che l'utilizzo del green-pass e l'obbligo delle mascherine al chiuso ha consentito di dimezzare i ricoveri rispetto ai valori che sarebbero stati raggiunti se tali restrizioni fossero state abolite.

Notiamo un evidente effetto dei vaccini: a gennaio i ricoveri erano circa il doppio rispetto ai contagi giornalieri, oggi siamo circa alla metà. Il significato è chiaro: anche se i vaccini non proteggono completamente dal contagio, forniscono comunque una eccellente protezione rispetto ai contagi più gravi, quelli che comportano un ricovero ospedaliero.

Se andiamo ad analizzare lo stato vaccinale delle persone attualmente ricoverate nei reparti Covid degli ospedali italiani scopriamo che – grossolanamente – il numero dei no-vax è più o meno simile a quello delle persone completamente vaccinate, anche se i no-vax costituiscono una platea di dimensioni decisamente inferiori rispetto a coloro che sono stati vaccinati.

Quindi se vogliamo effettivamente “convivere con il virus” ovvero vogliamo svuotare i reparti Covid degli ospedali italiani, la prima cosa da fare è quella di continuare a premere l’acceleratore della campagna vaccinale. Se idealmente riuscissimo a convincere tutti gli attuali no-vax a rinsavire, otterremmo un sostanziale dimezzamento dei ricoveri. Un miglioramento significativo si può ottenere diffondendo rapidamente la terza dose
 
Vorrei ricordare che la terza dose, oltre a proteggere dai contagi gravi, migliora la protezione rispetto a qualsiasi tipo di contagio e quindi incide direttamente sulla circolazione virale. I ricoveri – in generale – dipendono dal grado di protezione garantito dai vaccini, ma anche dalla circolazione virale: più contagi ci sono, maggiore è la probabilità che le persone meno protette dai vaccini (o non vaccinate) siano esposte al virus e – in determinate condizioni – contraggano una forma grave della malattia, tale da comportare un ricovero ospedaliero.

Comunque, anche se tutti fossimo vaccinati, rimane il problema che – per alcune persone – i vaccini funzionano meno bene. Questo – in generale – può accadere soprattutto con le persone molto anziane o indebolite da altre patologie. Per costoro, in caso di contagio, si può pensare a cure specifiche, da praticare sollecitamente prima dell’insorgenza di eventuali complicanze. In particolare, sia gli anticorpi monoclonali che la nuova generazione di farmaci antivirali di imminente arrivo possono ridurre considerevolmente il rischio di ricovero ospedaliero. Purché siano somministrati subito e non si perda tempo con cure tanto “miracolose” quanto inefficaci.

Riassumendo, se oggi il rapporto tra il numero di persone ricoverate e quello dei nuovi contagi giornalieri è già sceso da 2 fino a circa 0,5, non è irrealistico pensare che una opportuna combinazione di vaccinazioni e trattamenti precoci dei contagiati a più elevato rischio di ricovero, possa abbattere il valore del rapporto sotto la soglia di 0,1. Applicato ai numeri odierni, significherebbe scendere da 5.000 ricoverati a meno di 1.000. 
 
Forse - solo allora - potremmo veramente dire di “convivere con il virus”. In attesa che, finalmente, il livello dei contagi scenda stabilmente, risolvendo il problema alla radice.

martedì 23 novembre 2021

Efficacia dei vaccini in Trentino

Oggi l'Azienda sanitaria di Trento ha reso noto un breve documento nel quale vengono riportati alcuni dati sull'efficacia dei vaccini stimata in Trentino. I dati non hanno un grande significato statistico a causa delle ridotte dimensioni del campione, ma sono comunque interessanti perché sono i primi che riguardano specificamente la nostra Provincia.

Tra i cittadini trentini vaccinabili (con almeno 12 anni di età), nel periodo compreso tra il 4 ottobre e lo scorso 14 novembre, sono state registrate 1.547 nuove positività. Di queste, 710 persone erano completamente vaccinate, mentre le rimanenti 837 non erano vaccinate (in  minima parte, erano vaccinate solo con la prima dose). Il grafico seguente mostra l'andamento del grado di copertura dei vaccini, in funzione della classe d'età (il grado di copertura è definito come il rapporto dell'incidenza dei contagi misurato tra i non vaccinati ed i vaccinati).

Grado di protezione dei vaccini rispetto al contagio, stimato in Trentino nel periodo compreso tra il 4 ottobre ed il 14 novembre, in funzione della classe d'età. La linea tratteggiata è solo una guida per gli occhi. Elaborato su dati APSS Trento

A prima vista sembrerebbe che ci sia una sensibile discesa dell'efficacia dei vaccini all'aumentare dell'età, con una significativa risalita oltre gli 80 anni. In realtà, andrebbero fatte alcune precisazioni:

  1. Poiché il numero di contagi considerati è abbastanza ridotto, tutti i dati sono affetti da una ampia indeterminazione statistica. Per una analisi più accurata bisognerebbe tenere conto anche della ampiezza dell'intervallo di confidenza.
  2. Ammesso e non concesso che la tendenza ad una riduzione dell'efficacia all'aumentare dell'età sia reale, una possibile spiegazione potrebbe essere legata al momento differente di somministrazione dei vaccini che sono stati fatti - per primi - alle persone più anziane (a parte la piccola quota somministrata al personale sanitario). In altre parole, il calo osservato non sarebbe altro che la naturale discesa dell'efficacia vaccinale che si verifica con il passare del tempo. La risalita che si osserva per i cittadini con più di 80 anni potrebbe essere un primo effetto delle terze dosi che, anche se siamo ancora nella fase iniziale della somministrazione, sono già state fatte ad una parte dei trentini più anziani.

Se ci limitiamo ai contagi più gravi (quelli che comportano il ricovero ospedaliero), oggi 23 novembre i reparti Covid degli ospedali trentini contano 53 ricoverati, di cui 5 in terapia intensiva.  I ricoverati completamente vaccinati sono 24 e nessuno di loro si trova in terapia intensiva. I non vaccinati sono 29, tra cui si contano i 5 ricoverati in terapia intensiva. Benché i trentini non vaccinati con età superiore ai 40-50 anni (quelli con un rischio significativo di finire in ospedale) siano una ridotta minoranza rispetto ai loro coetanei completamente vaccinati, metà  dei posti nei reparti ordinari e tutti i posti di terapia intensiva sono occupati da loro. I numeri assoluti sono - fortunatamente - piccoli e non sono tali da poter sviluppare una analisi statisticamente accurata. Comunque, almeno da un punto di vista semi-quantitivo, possiamo dire che se non ci fossero i no-vax la pressione sui reparti ospedalieri sarebbe almeno dimezzata.

Per una migliore comprensione del problema, sarebbe essenziale conoscere il tipo e la data di somministrazione dei vaccini fatti ai ricoverati completamente vaccinati ed, in particolare, quanti dei ricoverati completamente vaccinati avevano fatto il vaccino più di 5-6 mesi fa.


Salvini e la difficile quadratura del cerchio no-vax

L'Agenzia ANSA riferisce dell'ennesima riunione tra Salvini e i presidenti leghisti di Regioni/PPAA per concordare la linea da adottare nel contrasto della pandemia. Il comunicato stampa finale è un esempio da manuale di prosa "sotto vuoto spinto": "Si lavora insieme con il Governo con buonsenso per evitare chiusure, eccessive complicazioni per gli italiani e messaggi allarmistici. Grande cautela anche a tutela dei bambini (secco no al Green Pass per gli under-12). L'obiettivo, oltre alla massima attenzione per la tutela della salute, è salvaguardare la stagione turistica invernale". Incredibilmente, neppure una parola sulla necessità di spingere sull'acceleratore in tema di vaccinazioni.

Il virus continua implacabile a fare il suo lavoro e non si preoccupa certo delle prese di posizione del "capitano" e dei contrasti con alcune delle sue truppe che - schierate in prima linea sul fronte della pandemia - forse non hanno del tutto apprezzato le sue giravolte sui temi no-vax e no-pass. Più che proposte, dalla riunione è emersa una vera e propria invocazione: "Evitare le chiusure e non complicare la vita degli italiani. Guai ai messaggi allarmistici (che poi i turisti scappano!)". Ma i contagi ed i ricoveri in crescita come pensano di fermarli?

Ora la linea estrema di difesa è quella di non chiedere il green-pass ai minori di 12 anni. Ultimo residuo dell'insensato "giù le mani sui bambini" che spesso abbiamo sentito gridare dai palchi leghisti e nei raduni no-vax. Dimenticando che i vaccini sono uno strumento fondamentale per tutelare la salute dei bambini e chi strizza l'occhio ai no-vax su questo tema, rischia di fare grandi danni, magari solo per raccattare una manciata di voti.

lunedì 22 novembre 2021

Perché il "2G" non basterà per salvare la prossima stagione turistica invernale

Il presidente pro-tempore del Trentino - durante le ultime settimane - ha tenuto un profilo particolarmente "basso". Forse timoroso di irritare il suo "capitano" padano, ha esitato a lungo prima di allinearsi alle richieste che sono state formulate dai suoi colleghi leghisti, presidenti di Veneto e Friuli V. G.

Fino a qualche giorno fa sosteneva che la situazione del Trentino non destasse alcuna preoccupazione. Oggi qualcuno deve avergli spiegato che - nel corso dell'ultima settimana - il Trentino ha registrato 55 nuovi ricoveri nei reparti ospedalieri Covid, in pratica 10 nuovi ricoveri settimanali per ogni 100 mila abitanti. Se fossimo in Germania, avremmo superato il livello di massima allerta (quello corrispondente alla soglia di 9 nuovi ricoveri settimanali per ogni 100 mila abitanti).

Comuque - sia pure con grande  ritardo - anche il Trentino si è allineato con la richiesta del Nord-Est di attivare il modello "2G", argomentando che - in sua assenza - si metterebbe a rischio l'ormai imminente stagione turistica.

Purtroppo, come dimostrano i dati dei nuovi ricoveri, la situazione del Trentino oggi non è più tranquillizzante e difficilmente potrà essere affrontata ricorrendo solo al "2G" (od anche a forme più estreme di segregazione dei non vaccinati). Anche perché - a differenza del vicino Alto Adige - la presenza di non vaccinati in Trentino non è particolarmente elevata (se consideriamo solo la popolazione over-12, ovvero quella attualmente vaccinabile).

La Provincia autonoma di Trento è sempre stata piuttosto restia a fornire informazioni dettagliate sulla pandemia. Sappiamo solo che i 6 pazienti attualmenti ricoverati in terapia intensiva non sono vaccinati, ma non sappiamo nulla sullo stato vaccinale degli altri ricoverati. Per capire qualcosa di più, sarebbe importante conoscere lo stato vaccinale di tutti i ricoverati e capire, ad esempio, quanti di loro hanno completato la vaccinazione più di 6 mesi fa. Questo è il parametro da tenere sott'occhio perché la lentezza con cui il Trentino procede nella somministrazione della terza dose, espone una parte della popolazione ad un rischio crescente di contagio e questo può portare anche ad un incremento dei ricoveri. 

Pensare di risolvere tutti i problemi impedendo l'accesso a bar e ristoranti ai non vaccinati, rischia di rivelarsi una pia illusione. L'esempio di Israele ci dimostra l'importanza della terza dose per arrivare ad una drastica riduzione del carico di lavoro degli ospedali. Ricordando che salvare la stagione turistica significa - tra l'altro - garantire ai turisti in arrivo un sistema sanitario efficace e funzionale. Per non parlare dell'esempio austriaco dove - di fronte all'ondata dei contagi - alla fine il Governo è stato costretto a tornare al più classico dei lockdown.

In conclusione, ben vengano le regole "2G" (purché poi ci siano i controlli e multe severe per chi non le rispetta), ma senza una rapida somministrazione delle terze dosi rischiamo comunque di mettere a rischio la prossima stagione invernale.

Il problema dei no-vax lo risolverà Madre Natura?

Le agenzie di stampa di tutto il Mondo hanno dato ampio risalto alle dichiarazioni del Ministro della salute tedesco, Jens Spahn che - con brutale realismo - ha dichiarato: "Wahrscheinlich wird am Ende dieses Winters jeder geimpft, genesen oder gestorben sein" (entro la fine di questo inverno, è probabile che tutti - i cittadini tedeschi - saranno vaccinati, guariti o morti).

Il Ministro della salute tedesco Jens Spahn (Foto: Bernd von Jutrczenka/dpa)

Altri, più diplomatici, avrebbero detto che - considerata l'attuale circolazione del virus - coloro che non hanno difese immunitarie (perché non si sono vaccinati o non si sono già ammalati di Covid-19) hanno una elevatissima probabilità di contagio, inclusa quella di contrarre forme gravi o addirittura letali della malattia. In fondo è quello che succede nei Coronaparty che vengono organizzati in Sud Tirolo, dove i più irriducibili no-vax di lingua tedesca si raggruppano per scambiarsi birra e virus, con il rischio di ritrovarsi - qualche giorno dopo - ad intasare le corsie degli ospedali. 

Ma siamo davvero sicuri che il problema dei no-vax possa trovare - per così dire - una "soluzione naturale"? La risposta è probabilmente no.

Non c'è dubbio infatti che chi si contagia acquisisca una certa immunità. Ma è anche vero che - mediamente - questo livello di protezione è inferiore rispetto a quello di una persona vaccinata e svanisce nel giro di alcuni mesi. Tanto è vero che - anche per chi ha contratto la malattia - è raccomandata la somministrazione di almeno una dose vaccinale, una sorta di richiamo da fare prima che sia passato troppo tempo dal momento della guarigione.  

Nei Paesi come la Germania, dove c'è una forte presenza di no-vax, il rischio è quello che - anche assumendo che le previsioni del Ministro Spahn si realizzino - durante il prossimo autunno 2022 ci sia ancora una forte presenza di persone non vaccinate che, nel frattempo, hanno perso la limitata immunità acquisita con la malattia. Questa situazione potrebbe favorire l'insorgenza di una nuova ondata pandemica, prolungando oltre ogni ragionevole limite l'impatto sanitario, economico e sociale della pandemia.

Se vogliamo veramente uscire dalla pandemia è necessario che si espanda al massimo la campagna vaccinale, raggiungendo il maggior numero possibile di persone e praticando su vasta scala i necessari richiami. 

Al momento, non possiamo ancora sapere quale sarà la durata temporale della copertura garantita dalla terza dose. Si fanno delle ipotesi, ma sono tutte un po' campate in aria. Nell'autunno 2022 potrebbe essere necessario fare una ulteriore dose di richiamo, esattamente come si fa ogni anno per l'influenza. Non sarebbe un dramma e soprattutto ci permetterebbe di affrontare l'inverno 2022-23 senza le ansie che stiamo sperimentando attualmente. Soprattutto se, tra di noi, ci saranno pochi no-vax che, con il loro atteggiamento antiscientifico, sono i migliori alleati del virus.



domenica 21 novembre 2021

Trentino: (ri)vaccinatevi tutti. Si, ma dove e quando?

A fronte della forte crescita di contagi e di ricoveri, l'Azienda Sanitaria del Trentino ci ripete: “Rilanciamo l’appello alla vaccinazione: ricordiamo che da domani sarà possibile prenotare la terza dose per chi ha più di 40 anni”.

Purtroppo se un residente a Trento oppure a Rovereto cerca di fissare un appuntamento per la somministrazione della terza dose è costretto ad una sorta di turismo vaccinale in giro per il Trentino, perché a Trento e Rovereto non c'è più alcuna disponibilità, almeno per le prossime settimane. Non riesco ad immaginare cosa succederebbe se - come ipotizzato - si dovesse ridurre da 6 a 5 mesi la distanza minima rispetto alla seconda dose, con il conseguente aumento di persone "vaccinabili". A quanto pare non ci sono abbastanza medici vaccinatori.

Forse - invece di fare appelli alla vaccinazione - sarebbe bene che in Azienda si preoccupassero di risolvere i problemi di natura organizzativa che limitano la somministrazione della terza dose.

sabato 20 novembre 2021

Il nuovo bollettino ISS fotografa la risalita della pandemia

Ieri l'Istituto Superiore di Sanità ha emesso il consueto bollettino che ci aggiorna sull'andamento della pandemia, fornendo una serie di informazioni dettagliate che riguardano la distribuzione dei contagi e l'efficacia dei vaccini.

Il dato relativo alla distribuzione dei contagi in base alle classi d'età conferma la presenza sempre più significativa di contagiati giovani e non vaccinati. Possiamo notare anche che i giovani di età compresa tra 20 e 29 anni - notoriamente più vaccinati rispetto agli adulti con età compresa tra 30 e 49 anni, presentano una incidenza dei contagi più bassa rispetto a loro. 

L'incidenza più bassa si osserva tra coloro che hanno più di 70 anni di età. Certamente questo è dovuto alla vita sociale meno intensa che viene fatta dagli anziani, ma c'è anche un forte contributo dei vaccini, ampiamente diffusi per questa classe d'età.

Variazione avvenuta nel corso dell'ultima settimana per l'incidenza dei contagi, normalizzata rispetto ad un campione di 100 mila abitanti, suddivisa per classi d'età. Si nota un forte aumento soprattutto per le classi d'età meno coperte dai vaccini. Tratto dal bollettino ISS

Il bollettino ISS contiene numerose informazioni sull'efficacia dei vaccini e - soprattutto - sul calo di efficacia che si registra dopo circa 6 mesi. Purtroppo nel bollettino ISS manca ancora un'analisi con dati disaggregati in base al tipo di vaccino somministrato. Questo è un grosso limite perché i diversi vaccini hanno valori di efficacia molto diversi tra loro. Il dato aggregato può quindi fornire una sbagliata sensazione di sicurezza soprattutto per coloro che hanno ricevuto i vaccini meno efficaci.

Qui di seguito vi mostro uno dei dati elaborati dall'Istituto superiore di Sanità:

Efficacia media dei vaccini rispetto ai contagi (pannello di sinistra) e rispetto alla possibilità di contrarre una forma grave della Covid-19 (pannello di destra), suddivisa in base alle diverse classi d'età. I punti azzurri sono i valori stimati per coloro che avevano completato la vaccinazione da meno di 6 mesi. I punti blu sono i valori stimati per coloro che avevano completato la vaccinazione da più di 6 mesi. Tratto dal bollettino ISS

Il grafico conferma quanto già visto in precedenti studi: dopo 6 mesi l’efficacia dei vaccini cala sensibilmente, soprattutto rispetto alla possibilità di contagio. Tuttavia, se si considerano solo i casi più gravi, il calo di efficacia è molto più limitato.

venerdì 19 novembre 2021

Aggiornamento sulla pandemia: il Nord-Est ad alto rischio di contagio

Mentre l'Austria decide - primo Paese europeo - di rompere il tabù della vaccinazione obbligatoria e la Baviera avvia un rigoroso piano di restrizioni (che prevede anche la cancellazione dei tradizionali mercatini di Natale), il Nord-Est italiano si scopre molto esposto all'ondata pandemica e incomincia a temere future restrizioni che potrebbero impattare sulla ormai imminente stagione turistica invernale.

I Presidenti delle Regioni/PPAA del Nord-Est, che si erano illusi di esorcizzare il pericolo di chiusure impedendo l'accesso a bar e ristoranti ai non vaccinati, forse hanno incominciato a realizzare che si tratterebbe comunque di una misura tardiva, utile, ma con uno scarso impatto sul breve periodo.

Sarebbe decisamente meglio procedere molto sollecitamente con la somministrazione delle terze dosi vaccinali, ma - ad oggi - tutte le Regioni/PPAA del Nord-Est sono decisamente in ritardo e sotto la media nazionale per quanto riguarda la percentuale di cittadini over-60 che sono già stati messi in sicurezza. Questi ritardi potremmo pagarli con ricoveri e decessi che si sarebbero potuti evitare.

Il Trentino, che fino a una settimana fa aveva mostrato un andamento decisamente migliore rispetto alle altre Regioni/PPAA del Nord-Est, ha registrato nel corso degli ultimi giorni una preoccupante crescita dei ricoveri, che hanno raggiunto il livello più alto a partire dalla fine dello scorso mese di maggio. I ricoveri in Trentino sono aumentati di quasi il 50% rispetto alla settimana precedente, mostrando un incremento che è stato molto più rapido rispetto a quello medio nazionale. Il numero di nuovi ricoveri ospedalieri registrato durante l'ultima settimana in Trentino è stato pari a 6,1 ricoveri per ogni 100.000 abitanti, in pratica la seconda soglia di allarme recentemente introdotta in Germania.

 

Occupazione dei posti letto nei reparti Covid degli ospedali del Trentino (somma di tutti i reparti)

Speriamo che si tratti solo di un episodio isolato e soprattutto bisognerebbe capire se il forte incremento registrato durante l'ultima settimana sia dovuto a pazienti non vaccinati, oppure se ci siano anche pazienti vaccinati che non avevano ricevuto in tempo utile la terza dose vaccinale. Per il momento è solo un campanello d'allarme, ma quanto successo ci fa capire che - con il Nord-Est molto esposto al contagio - anche il Trentino diventa fatalmente una zona ad alto rischio.

Vediamo ora i dati nazionali, partendo dai contagi:

Andamento dei contagi registrati a livello nazionale (linea grigia) e loro media fatta su base settimanale (linea blu)

C'è stato un aumento dei contagi che - mediato su base settimanale - è stato pari a circa il 25% dei contagi registrati durante la settimana precedente. Il livello dei contagi è ormai troppo alto per tentare di fare una efficace opera di tracciamento (ammesso e non concesso che il tracciamento si facesse quando il livello dei contagi era decisamente più basso). Parliamo comunque di un numero medio di contagi dell'ordine di 100 nuovi casi settimanali per ogni 100 mila abitanti, decisamente inferiore rispetto a quello registrato attualmente in molti Paesi dell'Europa centro-orientale. Come ricordato precedentemente, non mancano Regioni/PPAA dove la prevalenza virale è decisamente superiore rispetto alla media nazionale (ad esempio Alto Adige (400 contagi settimanali x 100 mila abitanti) e Friuli V.G. (290 contagi settimanali x 100 mila abitanti) con un picco di quasi 700 contagi settimanali x 100 mila abitanti nella Provincia di Trieste).

Per quanto riguarda l'occupazione dei posti letto dei reparti Covid degli ospedali italiani, durante l'ultima settimana è stato registrato un aumento dell'ordine del 15%, in linea con quanto osservato durante le due settimane precedenti. La situazione non migliora, ma non mostra neppure una accelerazione. Segno che il sistema - almeno per il momento - mostra ancora una sostanziale resistenza:

Variazione percentuale dell'occupazione dei posti letto nei reparti Covid degli ospedali italiani (somma di tutti i reparti)

Se guardiamo al dato dei nuovi ricoveri, non sono riuscito a trovare quello di tutti i ricoveri, mentre viene giornalmente comunicato quello relativo ai ricoveri in terapia intensiva. Nel corso dell'ultima settimana siamo arrivati a quasi 0,5 nuovi ricoveri settimanali per ogni 100 mila abitanti:

Nuovi ricoveri settimanali nei reparti Covid di terapia intensiva, normalizzati rispetto ad un campione di 100 mila abitanti

Ipotizzando (molto grossolanamente) che il numero dei nuovi ricoveri complessivi sia pari a 10 volte quello delle terapie intensive, otterremmo una stima di circa 5 nuovi ricoveri settimanali per ogni 100 mila abitanti, non molto distante rispetto al valore che ha fatto scattare l'allarme in Germania.

Anche per i decessi si registra un incremento:

Decessi Covid normalizzati per un campione di 100 mila abitanti (linea grigia) e loro media stimata su base settimanale (linea rossa)

In conclusione, i dati medi stimati  a livello nazionale mostrano una situazione in peggioramento, ma ancora decisamente migliore rispetto a quella della gran parte dei Paesi europei. Tuttavia, non mancano gli elementi di preoccupazione, soprattutto per le Regioni/PPAA del Nord-Est.