lunedì 31 gennaio 2022

Ancora sulla relazione tra genetica e risposta alla Covid-19

Oggi Nature Immunology ha pubblicato i risultati di una ricerca sviluppata da numerosi gruppi italiani che, in collaborazione con alcuni gruppi di ricerca internazionali, hanno analizzato la cosiddetta "risposta umorale innata" che il sistema immunitario produce rispetto al virus SARS-CoV-2, prima ancora che intervengano gli specifici anticorpi. 

Lo studio ha evidenziato le capacità neutralizzanti di una delle molecole che contribuiscono alla risposta innata. Si tratta di una lectina (identificata - in inglese - con l'acronimo MBL) che si lega al mannosio. L'MBL è normalmente presente nel sangue di individui sani (fino alla concentrazione di 10 μg/ml), ma la sua concentrazione può variare da individuo a individuo in base a fattori di tipo genetico.

L'effetto della MBL è quello di fissarsi alla proteina spike del virus impedendo il contagio. Gli esperimenti fatti in vitro hanno dimostrato che l'MBL ha un potere neutralizzante che è più o meno lo stesso per tutte le principali VOC (variants of concern) da Alpha fino a Delta. Il lavoro non comprende l'analisi della variante Omicron che si è diffusa dopo che la ricerca era stata conclusa. Sulla base del meccanismo di interazione esistente tra la MBL e la proteina spike ci sono ragionevoli certezze sul fatto che MBL sia efficace anche con il ceppo virale Omicron.

La molecola MBL si lega in modo più o meno simile a tutte le principali varianti del SARS-CoV-2. Tratto da Nature Immunology
 

Al momento non è chiaro se la molecola dell'MBL possa essere utilizzata come farmaco per il trattamento precoce della Covid-19. Ci sono precedenti esempi d'uso della MBL come farmaco per il trattamento di altre patologie e quindi è possibile pensare ad una estensione anche alla Covid-19. Per il momento, sono solo considerazioni di carattere preliminare ed è troppo presto per valutare se la strada sarà effettivamente percorribile.

In conclusione, vorrei evidenziare come questo lavoro rappresenti un ulteriore passo verso la comprensione delle cause di natura genetica che sono alla base della diversa risposta al contagio mostrata da persone che condividono lo stesso livello di rischio (età, sesso e condizioni generali di salute). Fino ad oggi sono stati pubblicati numerosi lavori che hanno messo in evidenza aspetti diversi della risposta immunitaria e le possibili motivazioni di natura genetica che ne sono alla base. 

Si tratta di un problema molto complicato che, quasi sicuramente, non avrà una risposta univoca. Sembra ragionevole pensare che più geni concorrano a determinare aspetti diversi della risposta immunitaria e che le persone più "resistenti"  abbiano semplicemente la combinazione di geni che ottimizza la risposta immunitaria rispetto al SARS-CoV-2.

Aggiornamento sulla pandemia: uno sguardo a Gran Bretagna ed Israele

Vi presento il consueto aggiornamento settimanale sull'andamento della pandemia in Gran Bretagna e Israele. Per diversi motivi, i 2 Paesi sono oggetto di un particolare interesse: la Gran Bretagna è stato il primo Paese europeo ad essere investito dall'ondata legata alla diffusione della variante Omicron (con circa 2 settimane di anticipo rispetto all'Italia), mentre Israele è riuscito a rimandare di qualche settimana (ma non ad evitare) l'arrivo di Omicron. 

Attualmente Israele viaggia su un livello di contagi che è tra i più alti al mondo (ogni settimana vengono infettati circa il 5% degli abitanti). Israele è anche il Paese che ha sperimentato la somministrazione della quarta dose vaccinale e che, prima di tutti, sta utilizzando il nuovo antivirale Paxlovid (prodotto da Pfizer) per prevenire l'insorgenza di gravi complicanze nei soggetti più a rischio.

Partiamo dalla Gran Bretagna, che ormai da 3 settimane ha superato il massimo dell'ondata pandemica:

Nuovi contagi settimanali in Gran Bretagna, normalizzati rispetto ad un campione di 100 mila abitanti

Nuovi ricoveri settimanali nei reparti Covid degli ospedali britannici, normalizzati rispetto ad un campione di 100 mila abitanti. Il dato dell'ultima settimana (indicato con un asterisco) è una stima  basata su dati parziali

Nuovi decessi Covid settimanali normalizzati rispetto ad un campione di 100 mila abitanti. I dati comprendono soltanto i decessi avvenuti entro 4 settimane dalla data del primo tampone positivo

Notiamo che il numero dei contagi è sceso ad una valore pari a circa la metà rispetto al massimo osservato all'inizio di gennaio. Anche i nuovi ricoveri nei reparti Covid sono diminuiti, pur essendo ancora assestati su un livello che è pari a circa 2/3 del massimo. Non si vede ancora un calo significativo sul fronte dei decessi che, nel corso delle ultime 3 settimane, sono rimasti vicini al livello di 3 casi settimanali per ogni 100 mila abitanti.

La pandemia in Gran Bretagna sta seguendo un andamento perfettamente in linea con le aspettative: si nota il consueto ritardo temporale esistente tra contagi, ricoveri e decessi. L'onda "lunga" dei contagi si osserva sui decessi con un ritardo di almeno 2 settimane.

Passiamo ora a Israele che non ha ancora superato il punto di massimo del picco pandemico. Come ricordato precedentemente, la circolazione virale è attualmente molto elevata, tra le più alte a livello mondiale. La forte diffusione dei contagi tra bambini (non vaccinabili) o ragazzi (poco vaccinati) e una migliore capacità di tracciare il numero reale dei contagi potrebbero spiegare, almeno in parte, questo dato.

Andamento dei contagi in Israele (dato settimanale normalizzato rispetto ad un campione di 100 mila abitanti). Il dato relativo all'ultima settimana è una stima, basata su un numero limitato di dati

Il dato più preoccupante che arriva da Israele è quello relativo al numero di pazienti ricoverati nei reparti Covid in condizioni gravi. Il loro numero ha superato quota 1.100, un valore ormai prossimo al livello massimo che gli ospedali israeliani sono in grado di gestire

Il grafico seguente mostra l'incidenza dei ricoveri in condizioni gravi per i cittadini israeliani con almeno 60 anni di età (la grande maggioranza di coloro che vengono ricoverati in condizioni gravi) a seconda del loro stato vaccinale.

Incidenza dei ricoveri in condizioni gravi tra i cittadini israeliani con almeno 60 anni di età, in funzione dello stato vaccinale. Il grafico usa una scala semi-logaritmica

Alla fine dello scorso mese di dicembre, Israele aveva osservato una crescita dei ricoveri in condizioni gravi. Pur in presenza di una incidenza nettamente superiore per i non vaccinati (linea rossa nel grafico superiore), Israele aveva notato un aumento particolarmente rilevante per coloro che disponevano di un certificato di vaccinazione valido (ultima dose somministrata da non più di 6 mesi), rappresentati dalla linea verde. Questo fenomeno aveva portato ad un avvicinamento tra la linea rossa e la linea verde, ovvero ad un livello di protezione vaccinale minore rispetto a quello che era stato osservato fino alla fine dello scorso mese di dicembre.

I dati degli ultimi 10 giorni mostrano che le due curve si stanno allontanando. Non è ancora chiara la causa di questo andamento. Ci potrebbero essere effetti di diversa origine:

  1. Israele ha somministrato fino ad oggi poco più di 600 mila quarte dosi vaccinali a cittadini ultra-sessantenni, privilegiando in particolare quelli più fragili. I cittadini israeliani che hanno ricevuto 3 dosi vaccinali sono circa 4,4 milioni. La quarta dose ha dimostrato una limitata efficacia nel prevenire i contagi sintomatici, ma potrebbe avere aumentato le difese verso i contagi più gravi.
  2. Nel corso delle ultime 2 settimane, Israele ha iniziato ad utilizzare l'antivirale Paxlovid che ha una elevata efficacia per prevenire la comparsa di gravi complicanze nei pazienti a più alto rischio. Non sono noti i criteri con cui Israele distribuisce il nuovo antivirale e non abbiamo dati della sua efficacia su pazienti vaccinati e non vaccinati. In attesa di conoscere dati specifici, possiamo ipotizzare che, grazie anche all'uso dell'antivirale, Israele abbia limitato, almeno in parte, l'impatto dei contagi più gravi.
  3. Un terzo elemento da tenere presente riguarda la diffusione relativa delle varianti Delta e Omicron. Ci aspettiamo che, analogamente a quanto è successo negli altri Paesi, il mese di gennaio abbia visto - anche in Israele - una progressiva sostituzione della variante Delta con Omicron. L'aumento particolarmente rilevante dei casi gravi osservato tra i vaccinati alla fine del mese di dicembre poteva essere interpretato come una minore difesa dei vaccini nei confronti del ceppo virale Omicron, ma questa ipotesi è in palese contrasto con l’andamento dei dati britannici che - in occasione dell'arrivo di Omicron - hanno visto un forte aumento dei ricoveri, ma una sostanziale stabilità dei ricoveri in terapia intensiva.
In conclusione, il dato sui casi gravi registrati in Israele è incoraggiante perché mostra che i vaccini garantiscono comunque un rilevante effetto protettivo, ma - al momento - non è di facile interpretazione. 
 
La questione relativa alla probabilità che una persona vaccinata sviluppi gravi complicanze dopo un contagio con la variante Omicron non è ancora del tutto chiarita.



sabato 29 gennaio 2022

C'è una predisposizione genetica dietro ai casi più gravi di Covid-19

Fin dall'inizio della pandemia gli scienziati hanno discusso del possibile ruolo della genetica nella risposta che i singoli individui mostrano rispetto al contagio provocato dal SARS-CoV-2. Sappiamo che le persone più anziane e affette da altre patologie sono - in generale - quelle più colpite da gravi complicanze, ma - a parità dei tutti gli altri parametri - c'è una forte variabilità da individuo a individuo che, secondo l'opinione di molti, potrebbe essere legata a fattori di tipo genetico.

Ieri Nature ha pubblicato i risultati di un ampio studio che ha coinvolto numerosi gruppi di ricerca internazionali (tra cui anche alcuni gruppi italiani) che hanno cercato di capire quali siano i fattori genetici che possono predisporre verso le forme più gravi di Covid-19. Il lavoro evidenzia come, in circa il 15% dei casi più gravi, sia presente uno specifico fattore genetico legato ad una minore capacità di produrre interferone. In modi che possono dipendere dall'età e dal sesso, la minore produzione di interferone di tipo I da parte delle cellule epiteliali respiratorie e delle cellule dendritiche plasmacitoidi, può ridurre - durante i primi giorni di infezione - la risposta immunitaria del tratto respiratorio, portando a infiammazione polmonare e sistemica.

Aldilà degli annunci altisonanti di alcune fonti giornalistiche, il risultato è importante, ma non è certamente conclusivo. Innanzitutto il fattore evidenziato riguarda solo il 15% dei casi gravi studiati e potrebbe non essere l'unico elemento che spiega l'insorgenza dei casi più severi. Inoltre non è affatto detto che, partendo da questa osservazione, sia possibile arrivare ad un miglioramento delle cure per la Covid-19. Si tratta comunque di un passo in più verso una migliore comprensione della malattia.

Perché usiamo poco gli anticorpi monoclonali?

Ieri è stata annunciato l'arrivo della prima fornitura del farmaco antivirale Paxlovid, prodotto da Pfizer (11.200 trattamenti arriveranno in Italia durante la prima settimana di febbraio, come anticipo della fornitura di 600 mila trattamenti che il nostro Paese ha acquistato per l'intero 2022).

Contemporaneamente all'annuncio dell'imminente disponibilità del nuovo antivirale, AIFA ha comunicato i dati relativi all'utilizzo dei farmaci basati su anticorpi monoclonali. Questi farmaci sono disponibili da tempo, anche se solo uno degli anticorpi monoclonali approvato fino ad oggi (Sotrovimab) si è dimostrato efficace contro la variante Omicron. Si tratta, tra l'altro, di un farmaco che è prodotto anche in Italia e che è molto efficace - analogamente a quanto succede con il Paxlovid - per il trattamento precoce di pazienti con il rischio elevato di contrarre gravi complicanze (purché sia somministrato entro pochi giorni dopo la comparsa dei primi sintomi). Sia per il Paxlovid che per il Sotrovimab, l'efficacia dipende poco dalla particolare variante del SARS-CoV-2 che viene trattata.

Un utilizzo adeguato degli anticorpi monoclonali o del Paxlovid potrebbe limitare fortemente sia i ricoveri in ospedale che i decessi, riducendo significativamente i danni sanitari prodotti dalla Covid-19. Ma affinché questi farmaci funzionino è indispensabile - lo ricordo - che la somministrazione avvenga in tempi molto brevi, subito dopo la comparsa dei primi deboli sintomi.

A parte l'aspetto dei costi (che possono variare da circa 750 fino a 4.000 Euro per trattamento, a seconda del tipo di farmaco utilizzato), il vero problema è che oggi l'Italia non utilizza neppure tutte le dosi di anticorpi monoclonali che sono disponibili. Spesso la somministrazione avviene solo se c'è un intervento attivo da parte del paziente che "si deve dare da fare" per sollecitare chi di dovere al fine di essere sottoposto al trattamento. 

Si vedono tutti i limiti di quella che viene definita "medicina territoriale" e del collegamento talvolta inefficace tra la rete dei medici di famiglia e le strutture ospedaliere. A questo si aggiunge una burocrazia sanitaria elefantiaca (tipicamente italiana) che rischia di far perdere tempo prezioso nell'attesa che le Autorità centrali autorizzino la somministrazione del farmaco per ogni singolo paziente.

I dati relativi alla somministrazione degli anticorpi monoclonali sono sconfortanti: nella settimana che andava dal 20 al 26 gennaio, in Italia sono stati prescritti complessivamente solo 3.199 trattamenti con anticorpi monoclonali, una goccia nel mare delle persone contagiate, molte della quali ad alto rischio. 

Se consideriamo l'utilizzo complessivo di anticorpi monoclonali dal marzo 2021 (data della prima disponibilità) fino ad oggi, vediamo che, complessivamente, sono state effettuati 41.499 trattamenti, di cui 7.222 nel solo Veneto, che è la Regione/PA che ha fatto l'uso più estensivo di questo farmaco. La Lombardia ha utilizzato solo 3.180 dosi, meno di 1/4 rispetto al Veneto se normalizziamo il dato rispetto al numero di abitanti. Il Trentino, con solo 179 dosi utilizzate, si allinea ad un livello d'uso - normalizzato rispetto al numero di abitanti - simile a quello della Lombardia.

Con l'arrivo di Paxlovid (che si può assumere stando a casa e non richiede il trattamento in day hospital per la somministrazione del farmaco) è sperabile che il livello d'utilizzo aumenti. Restano comunque immutati alcuni problemi di fondo. In particolare, bisognerà attivare un sistema più rapido e meno burocratico per individuare sollecitamente i pazienti adatti per ricevere il trattamento. Ci riusciremo?

venerdì 28 gennaio 2022

Aggiornamento sulla pandemia in Italia: finalmente si scende!

Il picco pandemico legato alla diffusione della variante Omicron mostra un andamento in discesa che si consolida, confermando i segnali incoraggianti che avevamo visto 7 giorni fa:

Andamento dei contagi in Italia (linea grigia). La linea blu rappresenta la media dei contagi giornalieri, stimati su base settimanale. La linea rossa tratteggiata è un fit dei contagi registrati da metà ottobre a metà dicembre 2021, prima della diffusione della variante Omicron

La curva della variazione percentuale dei contagi misurata rispetto alla settimana precedente (in prima approssimazione, proporzionale alla derivata logaritmica della curva dei contagi) conferma la tendenza al ribasso:

Variazione percentuale dei contagi misurata rispetto alla settimana precedente. Il massimo era stato misurato a fine 2021. Il mese di gennaio è stato caratterizzato da una riduzione della variazione che, finalmente, durante le ultime 2 settimane, mostra un valore negativo

Il dato sul numero complessivo dei ricoveri (mediato sull'intera settimana) mostra ancora un lieve incremento, ma ormai c'è evidenza che - salvo brutte sorprese - la pressione sui reparti Covid degli ospedali italiani è destinata a ridursi (anche se il livello dei ricoveri è ancora vicino al valore massimo, pari a quasi 22 mila posti letto occupati):

Variazione percentuale del numero di posti letto Covid occupati negli ospedali italiani (somma di tutti i reparti). Dopo una lunga crescita, iniziata a fine ottobre con una ulteriore accelerazione a inizio gennaio, si osserva una forte riduzione del tasso di incremento del numero di posti letto occupati

Un segnale molto incoraggiante viene dal dato dei nuovi ricoveri in terapia intensiva, che sono calati in modo abbastanza significativo:

Nuovi ricoveri settimanali in terapia intensiva, normalizzati rispetto ad un campione di 100 mila abitanti (linea nera). La linea rossa tratteggiata è un fit esponenziale dei dati compresi tra l'inizio di ottobre e l'inizio di gennaio.

Per quanto riguarda il Trentino, vi mostro il dato relativo ai nuovi ricoveri settimanali (somma di tutti i reparti), normalizzato rispetto ad un campione di 100 mila abitanti:


Nuovi ricoveri settimanali nei reparti Covid del Trentino, normalizzati rispetto ad un campione di 100 mila abitanti. Durante le ultime 3 settimane il livello dei nuovi ricoveri è stato pressoché costante

Il dato sui decessi in Italia è cresciuto anche nel corso dell'ultima settimana, ma - sperabilmente - anche per questa curva dovremmo essere vicini al massimo. Va segnalato comunque che le informazioni relative ai decessi provenienti dalle Regioni/PPAA sono spesso soggette a ritardi e "ricalcoli" che possono deformare la curva dei dati ufficiali. 

In generale, ci aspettiamo che la curva dei decessi segua l'andamento dei contagi con circa 2 settimane di ritardo. Tuttavia la presenza di "conguagli" potrebbe spostare artificialmente la posizione del punto di massimo. Ci vorrà ancora qualche settimana per poter fare un'analisi affidabile sull'andamento dei decessi associati alla attuale ondata pandemica.

Andamento dei decessi Covid in Italia (linea grigia), normalizzati rispetto ad un campione di 100 mila abitanti. La linea rossa rappresenta il valore medio dei decessi giornalieri stimato su base settimanale. La linea blu tratteggiata rappresenta il fit esponenziale che ha descritto l'andamento dei decessi durante i mesi di novembre e dicembre 2021. L'ulteriore aumento registrato a gennaio è - molto probabilmente - correlato al forte incremento dei contagi associato alla diffusione della variante Omicron

mercoledì 26 gennaio 2022

La variante Omicron è più contagiosa perché sopravvive meglio quando è depositata su superfici esterne?

La stampa internazionale ha dato ampio risalto ai risultati di un recente lavoro presentato da un gruppo di ricerca giapponese (Kyoto Prefectural University of Medicine) che ha studiato i tempi di sopravvivenza di diverse varianti virali del SARS-CoV-2 quando sono depositate su superfici esterne (materiali plastici o pelle umana). Il lavoro attualmente è disponibile sotto forma di pre-print, non ancora sottoposto al giudizio di referee.

Alcuni commentatori hanno frettolosamente concluso che "i tempi di sopravvivenza di Omicron, più grandi rispetto alle altre precedenti varianti, spiegherebbero l'elevata contagiosità del nuovo ceppo dominante". 

In realtà, andando a leggere l'articolo, le cose non stanno esattamente così: i tempi di sopravvivenza di Omicron sono circa doppi rispetto al ceppo originale di Wuhan, ma sono molto simili a quelli di altre varianti come, ad esempio, Alpha e Beta, ambedue molto meno contagiose rispetto ad Omicron:

Valore mediano del tempo di sopravvivenza di diverse varianti del virus SARS-CoV-2 su una superficie di plastica (A) e su pelle umana (B). Tratto dal lavoro citato precedentemente

Si vede inoltre che il ceppo Delta (che durante la scorsa estate aveva sostituito Alpha) è caratterizzato da tempi di sopravvivenza significativamente inferiori rispetto ad Alpha. Questo risultato è in linea con l'osservazione che - in generale - il contagio attraverso fomiti (vettori passivi che il virus utilizza per trasferirsi da un organismo all'altro come, ad esempio, superfici di maniglie e corrimano, pulsantiere di citofoni e ascensori, biancheria ed altri oggetti d'uso personale) non è uno dei meccanismi principali attraverso cui si propaga l'infezione da SARS-CoV-2.

Ormai c'è un consenso abbastanza consolidato sul fatto che il meccanismo principale di propagazione del virus sia quello che utilizza gli aerosol emessi dalle persone positive quando parlano o anche semplicemente respirano, soprattutto se si trovano all'interno di locali al chiuso e non indossano correttamente la mascherina. Il lavoro del gruppo di ricerca giapponese non ha investigato questo meccanismo di trasferimento virale, ma il fatto che la sopravvivenza di Omicron su superfici solide non sia molto diversa rispetto a quella di alcune precedenti varianti ci fa propendere verso l'idea che andamenti simili si possano osservare anche per gli aerosol (si tratta - vorrei essere chiaro - solo di una mia congettura perché, fino ad oggi, non disponiamo ancora di dati sperimentali per questo specifico tema).

Un altro recente lavoro aveva mostrato che le mutazioni presenti in Omicron non sono tali da migliorare sensibilmente l'interazione tra la sua proteina spike ed i recettori ACE2 delle cellule umane, rendendo più facile il processo di infezione. 

Rimane quindi da chiarire perché Omicron abbia una contagiosità così alta rispetto a tutte le altre precedenti varianti: senz'altro la sua stabilità quando è depositata su superfici esterne non è tale da giustificare la differenza.

Un lavoro candidato per l'IGnobel 2022: il vino rosso protegge dalla Covid-19?

Per chi li sentisse nominare per la prima volta, ricordo che i cosiddetti premi IGnobel vengono assegnati annualmente alle ricerche più "stravaganti" che vengono pubblicate sulle riviste scientifiche internazionali. Oggi vi segnalo un lavoro curato da un gruppo di ricerca cinese che - secondo il mio modesto parere - potrebbe essere un buon candidato per la prossima edizione del premio.

Il lavoro, pubblicato su Frontiers in Nutrition, sostiene che i cittadini inglesi che bevono abitualmente vino rosso avrebbero una probabilità di contrarre la Covid-19 inferiore tra il 10 ed il 17% rispetto ai non bevitori. Viceversa, i loro concittadini che bevono birra o sidro avrebbero una maggiore probabilità di contagio rispetto agli astemi. L'aumento varia dal 7 fino al 28%  ed  è maggiore per chi beve più birra. Insomma - almeno per la Covid-19 - non varrebbe più il vecchio slogan pubblicitario italiano che sosteneva "chi beve birra campa cent'anni".

Forse vi domanderete come hanno fatto dei ricercatori cinesi ad indagare sulla correlazione tra consumo di bevande alcoliche e probabilità di contagio dei cittadini inglesi. I dati statistici su contagi ed abitudini alimentari dei cittadini inglesi sono raccolti, in forma rigorosamente anonima, in un registro pubblico curato dalle Autorità sanitarie inglesi. Chiunque può accedervi e, con l'ausilio di un computer di medie dimensioni, può realizzare analisi dettagliate.

Purtroppo questo tipo di analisi non dimostrano che esista una reale relazione di tipo causa-effetto tra i diversi fenomeni osservati, ma si limitano a mettere in evidenza situazioni che potrebbero essere state generate da pure coincidenze, oppure da altre cause che i ricercatori non hanno tenuto nel giusto conto.

Che il vino rosso, ed in particolare i polifenoli che sono in esso contenuti, possano svolgere un certo ruolo protettivo verso diversi tipi di malattie è un dato abbastanza consolidato. Il problema tipico di questo tipo di studi è che tendono a focalizzarsi solo su un aspetto del problema: forse bevendo il vino rosso si ottiene anche qualche effetto protettivo, ma - prima di suggerire di bere molto vino a scopi "preventivi" - bisognerebbe mettere nel conto anche i danni provocati dall'alcool.

Nel caso specifico, sembra che gli Autori abbiano dimenticato una cosa molto importante: il consumo di vino rosso non fa parte delle abitudini tradizionalmente diffuse tra la popolazione inglese. Il consumo di vino rosso - quando avviene su base regolare - è più diffuso in una certa fascia di cittadini inglesi benestanti, ma non è affatto comune per le classi popolari. Il grosso della popolazione inglese preferisce senz'altro andare al pub a bere birra e beve il vino rosso solo in occasioni speciali.

Credo che l'effetto osservato dai ricercatori cinesi sia solo un miraggio. Fin dall'inizio della pandemia è noto che i contagi sono più diffusi tra le classi popolari piuttosto che nelle fasce benestanti della popolazione. I più ricchi dispongono di case ampie e spesso svolgono attività lavorative che sono compatibili con la modalità di lavoro a distanza. Si spostano prevalentemente con l'auto privata e non usano quasi mai i mezzi pubblici.

L'opposto succede per i più poveri che abitano spesso in abitazioni sovraffollate (con maggiore probabilità di diffusione del contagio nell’ambiente familiare), usano i mezzi pubblici e spesso svolgono lavori che si possono fare solo in presenza (spesso a stretto contatto con il pubblico). Quando hanno finito la loro dura giornata, vanno al pub a bere birra. Chi passa più tempo al pub, in genere beve più birra ed ecco spiegata la correlazione tra maggiore consumo di birra e maggiore probabilità di contagio.

In conclusione, potrebbe anche essere vero che un modesto consumo di vino rosso contribuisca a fornire un certo grado di protezione contro il contagio, ma tale ipotesi non può essere confermata usando i dati inglesi, così come sostengono gli Autori di questo lavoro.

Forse il loro contributo non passerà alla storia tra quelli che hanno segnato una svolta nella battaglia contro la Covid-19, ma possono ancora sperare nell'IGnobel 2022.

martedì 25 gennaio 2022

Segnalazione da Ann. Intern. Med.: i casi di miocardite dopo la somministrazione dei vaccini Pfizer-BioNTech e CoronaVac

La rivista Annals of Internal Medicine ha pubblicato i risultati di una ricerca svolta ad Hong Kong nella quale sono stati analizzati alcuni casi di carditi (miocarditi e pericarditi) che si sono manifestati dopo la vaccinazione anti-Covid utilizzando un vaccino ad mRNA (Pfizer-BioNTech) oppure un vaccino a virus attenuato (il cinese CoronaVac).

L'incidenza cumulativa di carditi (principalmente miocarditi, 9 volte più frequenti delle pericarditi) dopo la vaccinazione è stata pari a 0,57 casi per 100.000 dosi di Pfizer_BioNTech e a 0,31 casi per 100.000 dosi di CoronaVac, dimostrando un rischio assoluto che è comunque molto basso. Il rischio maggiore si è verificato dopo la somministrazione della seconda dose vaccinale ed è stato più elevato per i maschi adolescenti.

La probabilità dell'insorgenza di carditi per coloro che sono stati vaccinati con Pfizer-BioNTech è stata mediamente pari a circa 3 volte rispetto a quella delle persone non vaccinate, mentre per chi aveva ricevuto il vaccino Coronavac si è trovato  un rischio decisamente meno marcato.

Questi risultati confermano - per la parte relativa al vaccino Pfizer-BioNTech - i risultati degli studi precedenti sviluppati negli Stati Uniti dai Centri CDC. Ricordo che il rischio di sviluppare carditi dopo la vaccinazione è comunque decisamente inferiore rispetto a quello che si corre in caso di contagio. Nel caso del vaccino CoronaVac il rischio di tali eventi avversi è decisamente inferiore, così come è più bassa l'efficacia vaccinale.


lunedì 24 gennaio 2022

Segnalazione da Nature: una analisi dettagliata - fatta a livello molecolare - della proteina spike di Omicron

La rivista Nature ha pubblicato la prima analisi dettagliata - fatta a livello molecolare - della proteina spike della variante Omicron. Lo studio ha consentito di evidenziare il ruolo di alcune mutazioni presenti nella proteina spike quando questa interagisce con i recettori ACE2 di una cellula umana (che sono - lo ricordiamo - la "porta d'entrata" attraverso cui il virus infetta le cellule). Gli Autori sono riusciti ad individuare quali sono le mutazioni che influenzano l'affinità di legame tra la proteina spike ed i recettori ACE2 (una maggiore affinità implica una maggiore capacità del virus di infettare le cellule).

Sulla base dei risultati di questo studio, sembra che non ci sia una grande differenza tra l'affinità di Omicron rispetto a quella misurata per la precedente variante Delta. Tre mutazioni tendono a stabilire legami chimici più stabili, mentre un'altra mutazione rende i legami più deboli. In altre parole, la grande contagiosità di Omicron non si spiegherebbe sulla base delle interazioni che avvengono - a livello molecolare - quando il virus attacca una cellula sana.

Struttura della proteina spike di Omicron connessa con i recettori ACE2 di una cellula umana. Tratto da Nature

La seconda parte dello studio ha riguardato l'interazione tra la proteina spike di Omicron con 6 diversi anticorpi monoclonali che erano stati sviluppati per neutralizzare le precedenti varianti virali. Lo studio - condotto a livello molecolare - ha messo in evidenza il ruolo delle mutazioni che hanno reso inefficaci ben 5 su 6 degli anticorpi analizzati.

Il risultato è stato ottenuto utilizzando la tecnica della microscopia crio-elettronica, una tecnica che ha permesso di rivoluzionare lo studio delle proteine. Nel 2017 il premio Nobel per la chimica è stato assegnato a Jacques Dubochet, Joachim Frank e Richard Henderson, i 3 scienziati che hanno contribuito allo sviluppo di tale tecnica.

L'OMS come Giano bifronte?

Antica moneta romana raffigurante Giano bifronte, il dio che guardava contemporaneamente al passato ed al futuro

L'Organizzazione Mondiale della Sanità è riuscita, nel giro di poche ore, a mandarci due messaggi completamente diversi sull'andamento della pandemia in Europa. Da una parte - guardando a quello che è successo nel corso dell'ultimo mese - ha evidenziato come la combinazione di estese vaccinazioni ed il grande numero di contagi dovuti alla variante Omicron (che si distingue rispetto a tutte le varianti precedenti a causa delle sue caratteristiche di elevata contagiosità e minore aggressività) stiano ponendo le basi per trasformare - almeno in Europa - la pandemia in endemia

Quasi contemporaneamente, l'OMS ha sottolineato l'elevata probabilità che in futuro appaiano nuove varianti virali in grado di superare le barriere immunitarie che la popolazione ha acquisito fino ad oggi. Anche perché pensare che la pandemia si trasformi in endemia solo in Europa, mentre continua ad imperversare nel resto del Mondo, non sembra un'idea molto realistica. Per i più pessimisti: fine pandemia, mai!

Si è subito scatenata la polemica tra i virologi da talk-show televisivo, pronti a dividersi tra ottimisti e pessimisti, ciascuno attento a soddisfare le attese del "suo" pubblico. In realtà, nessuno possiede la sfera di cristallo e - al momento - mancano solide basi scientifiche su cui fondare previsioni che abbiano un minimo di affidabilità. 

Tutti vorremmo che la soglia endemica fosse effettivamente raggiunta e che non si trattasse di una stabilità effimera, spazzata via entro pochi mesi da qualche nuova variante virale. Ma c'è una bella differenza tra le speranze (gli inglesi parlerebbero di "wishful thinking") e le previsioni scientifiche attendibili. 

Per il momento, non possiamo fare altro che tenere sotto stretto controllo l'andamento dei numeri della pandemia, augurandoci che - una volta tanto - i più pessimisti abbiano torto.

Israele e la quarta dose

Secondo notizie di stampa, i dati (non ancora pubblicati) raccolti dal Ministero della Salute israeliano dimostrerebbero che la somministrazione di una quarta dose vaccinale fatta a persone con almeno 60 anni di età avrebbe triplicato il loro livello di protezione per i contagi classificati come gravi, rispetto ai coetanei che avevano ricevuto solo 3 dosi. La protezione contro i contagi sintomatici generati dalla variante Omicron sarebbe raddoppiata, sempre rispetto a chi aveva ricevuto 3 dosi.

Per trarre conclusioni attendibili bisognerà aspettare che i dati siano pubblicati in forma dettagliata. Il risultato non è inaspettato, ma prima di vedere se la somministrazione della quarta dose sia raccomandabile su vasta scala, andranno valutati vari aspetti del problema, tenendo conto - in particolare - dell'andamento della pandemia e dell'effetto generato dalla vasta diffusione di Omicron.

Per il momento, i dati diffusi giornalmente da Israele mostrano soltanto che da circa 2 settimane sembra che si sia stabilizzato il differenziale esistente tra l'incidenza dei casi gravi tra chi ha almeno 60 anni e non è vaccinato rispetto ai coetanei che dispongono di un vaccino "valido". 

Ricordo che per vaccino "valido" Israele intende un vaccino per il quale l'ultima dose è stata somministrata da meno di 6 mesi. La grande maggioranza dei cittadini israeliani ultrasessantenni che dispongono di un  vaccino "valido" hanno ricevuto la terza dose vaccinale a partire dal mese di agosto 2021. Recentemente, poco più di mezzo milione di loro ha ricevuto anche la quarta dose, ma il Ministero della Salute israeliano non ha ancora fornito dati disaggregati per le due diverse categorie di vaccinati.

Non è chiaro se la tendenza in atto verso una stabilizzazione del grado di protezione garantito dal vaccino "valido" sia dovuta - almeno in parte - all'effetto delle quarte dosi vaccinali. I dati mostrati nel grafico seguente potrebbero risentire anche di un errore di natura sistematica legato alla forte diffusione dei contagi Omicron tra i non vaccinati che avrebbe indotto, anche in una parte di loro, un significativo grado di protezione verso i nuovi contagi.

Incidenza dei casi gravi tra i cittadini israeliani con almeno 60 anni di età, in base al loro stato vaccinale. Poiché il grafico utilizza una scala semi-logaritmica, la distanza tra le due curve è proporzionale al grado di protezione garantito dai vaccini. A fine dicembre, in coincidenza con l'arrivo di Omicron, si è osservata una tendenza delle 2 curve a convergere, segno di una possibile riduzione dell'efficacia vaccinale nella protezione rispetto ai contagi gravi. I dati delle ultime 2 settimane mostrano una tendenza verso una stabilizzazione della situazione (le 2 curve procedono pressoché parallele)

Nel frattempo Israele risulta essere il Paese con la più alta circolazione virale al mondo. Non è detto che sia effettivamente così: molti Paesi potrebbero non fare un numero sufficiente di tamponi. Comunque il ritmo attuale dei contagi settimanali in Israele copre circa il 5% dell'intera popolazione. Un ritmo "insostenibile" anche per il più contagioso dei virus ed infatti tutte le previsioni sono concordi nel sostenere che il picco dell'ondata pandemica sia stato raggiunto e che nelle prossime settimane si dovrebbe iniziare a registrare un significativo calo dei contagi.

Andamento dei contagi in Israele. L'ultimo dato è solo una stima provvisoria. Nell'arco di 5 settimane il numero dei contagi è aumentato di circa 100 volte

Segnalazione da Cell: la presenza di anticorpi dopo vaccinazioni e contagi

Un gruppo di ricerca dell'Università di Washington (Seattle), in collaborazione con Humabs Biomed SA, una società biotecnologica svizzera, ha affrontato il problema della risposta immunitaria delle persone dopo ripetute esposizioni alla proteina spike del virus SARS-CoV-2. In particolare, è stato studiata la risposta rispetto ad una combinazione di vaccinazioni ed infezioni con diverse varianti del virus. L'articolo è stato pubblicato su Cell.

I risultati sono illustrati sinteticamente nella figura seguente:

Rappresentazione schematica della protezione anticorpale indotta da una combinazione di vaccinazioni ed esposizioni a diverse varianti virali. Fonte Veesler Lab

Pur essendo limitato ad un numero relativamente piccolo di soggetti, lo studio conferma che l'aumento del numero di esposizioni agli antigeni del SARS-CoV-2, attraverso l'infezione e la vaccinazione o la tripla vaccinazione, migliora la qualità delle risposte anticorpali. In pratica, tutte le occasioni di "incontro" con il virus (nelle sue diverse varianti) o la semplice proteina spike (vaccinazioni) costituiscono un piccolo progresso verso l'immunizzazione della popolazione.


domenica 23 gennaio 2022

Segnalazione da Nature: perché l'infezione da SARS_CoV_2 nei bambini produce sintomi mediamente meno gravi rispetto agli adulti?

Fin dall'inizio della pandemia, è stato subito chiaro che le complicanze indotte dalla Covid-19 negli individui più giovani sono mediamente assai meno gravi rispetto a quanto accade negli adulti. Uno studio pubblicato su Nature ci spiega quali sono le ragioni di questo fenomeno.

Il lavoro è basato sull’analisi di campioni di cellule provenienti da naso, trachea, bronchi e sangue di individui di varie età, sani o malati di Covid-19. Gli Autori hanno osservato che le cellule delle vie aeree dei bambini sani sono molto attive nella produzione di interferoni e che, dopo l'infezione da SARS-CoV-2, la produzione di interferoni è stata ulteriormente stimolata soprattutto nelle cellule immunitarie delle vie aeree. Questo spiegherebbe perché - mediamente - i bambini sviluppano sintomi meno gravi rispetto agli adulti.

Rappresentazione schematica dei prelievi analizzati nel corso dello studio. Tratto da Nature
 

Sulla base delle osservazioni fatte, gli Autori sostengono che bambini e adulti reagiscano all'infezione attraverso meccanismi completamente diversi. Quello dei bambini sarebbe molto più efficiente nel contrasto al SARS-CoV-2 bloccando il virus nelle prime vie aeree, prima che vada ad infettare in polmoni o altri organi (parliamo ovviamente di un dato medio perché purtroppo anche nei bambini ci sono casi, sia pur rari, di gravi complicanze). 

La figura seguente rappresenta in modo sintetico i diversi meccanismi con cui bambini e adulti combattono il virus:

I diversi meccanismi di reazione al virus ipotizzati per bambini e adulti. Tratto da Nature


Il “lockdown di fatto” delle famiglie con bambini

Le 380 classi trentine che ieri risultavano ufficialmente in DAD sono solo la punta dell’iceberg di una situazione di estremo disagio che la pandemia sta provocando nelle Scuole. Il quadro è particolarmente grave nelle Scuole materne ed elementari: solo una piccola parte degli alunni è vaccinata e, per i più piccoli, il vaccino non è disponibile.

Con l’attuale livello di prevalenza virale (circa il 5% della popolazione trentina è ufficialmente positiva) non c’è classe nella quale non si contino uno o più contagi e le Scuole stanno affannosamente cercando di gestire le situazioni più critiche. L’Azienda sanitaria fa quello che può, ma è oberata di lavoro su più fronti. I tamponi molecolari salivari, che sarebbero dovuti diventare lo strumento fondamentale per la gestione della pandemia nelle Scuole, rimangono largamente inutilizzati e, alla fine, l’unica soluzione possibile è quella di lasciare a casa migliaia di alunni.

Questa situazione finisce fatalmente per scaricarsi sulle famiglie dei bambini, soprattutto quelli più piccoli che non possono essere lasciati a casa da soli. Anche chi ha la fortuna di avere nonni disponibili non può contare sul loro aiuto a causa del rischio di trasferire il contagio.

Per molte famiglie è iniziato un “lockdown di fatto” che costringe almeno uno dei genitori a rimanere a casa. In molti casi, oltre ai disagi, si somma la perdita dello stipendio o delle entrate legate alle attività professionali senza contare – per i dipendenti – i possibili contasti con il datore di lavoro, a sua volta messo sotto pressione dalle assenze di personale.

Le soluzioni proposte sono talvolta “fantasiose”. Alcuni suggeriscono di non fare più tamponi, a meno che non si manifestino sintomi significativi. Un modo come un altro per ignorare la pandemia, sperando che la grande maggioranza dei bambini si contagi al più presto, generando – almeno per i più piccoli – una sorta di immunità di gregge. Chi propone di fare i tamponi solo ai sintomatici dovrebbe avere il coraggio di dire chiaramente quale è l’idea che sta alla base della sua proposta. 

Far correre il contagio, lasciando i bambini positivi asintomatici liberi di stare assieme ai coetanei che non sono stati ancora infettati, non è una operazione indolore. In particolare, rischia di mettere sotto pressione i servizi pediatrici perché purtroppo anche i più giovani possono sviluppare, sia pure raramente, gravi complicanze e soffrire delle conseguenze a lungo termine della malattia. Quando il numero di contagi cresce a dismisura, gli eventi avversi – anche se rari – possono diventare numerosi.

Col senno di poi, si sarebbe potuto pensare di attrezzare le aule scolastiche con adeguati sistemi di monitoraggio e di circolazione/sanificazione dell’aria, separando in aule diverse i bambini positivi senza sintomi, rispetto a quelli negativi. In pratica si sarebbero lasciati a casa solo gli alunni positivi con sintomi, esattamente come succede per una normale influenza. Questo avrebbe consentito di ridurre la pressione sulle famiglie, ma avrebbe richiesto la disponibilità di spazi molto più ampi di quelli effettivamente disponibili e soprattutto di investimenti in personale e attrezzature che non sono mai stati fatti.

Chiudendo il “libro dei sogni” e tornando alla realtà, non ci resta che citare il mitico Eduardo: “Ha da passà 'a nuttata!”.

sabato 22 gennaio 2022

Commenti al bollettino settimanale dell'Istituto Superiore di Sanità

L'Istituto Superiore di Sanità ha rilasciato il consueto bollettino settimanale nel quale vengono riportati alcuni dati sull'andamento della pandemia in Italia. Aldilà dei limiti di impostazione e dei ritardi che caratterizzano il bollettino ISS, i dati di questa settimana sono più interessanti del solito perché si riferiscono ad una situazione in cui si incomincia a vedere una forte presenza della variante Omicron.

Il bollettino non fornisce informazioni di dettaglio sulla mappatura genica dei casi che sono stati individuati (neppure su quelli più gravi), ma questa è una mancanza dell'Istituto Superiore di Sanità piuttosto che degli estensori del bollettino. Purtroppo i dati genici proprio non ci sono perché nessuno si è preoccupato di fare le analisi. Sarebbero stati utilissimi per capire l'effettiva pericolosità della variante Omicron.

Prima di vedere i dati dei contagi, vi presento un grafico relativo al cambiamento della struttura vaccinale della popolazione italiana avvenuto durante lo scorso mese di dicembre. I dati si riferiscono ai cittadini con almeno 12 anni di età:

Numero di cittadini italiani con almeno 12 anni di età che hanno fatto 2 o 3 dosi vaccinali durante lo scorso mese di dicembre

Si nota una forte crescita di coloro che hanno ricevuto la terza dose vaccinale (booster), praticamente triplicati nel corso del mese di dicembre (linea rossa). Contemporaneamente si è osservata una forte discesa di coloro che avevano fatto una vaccinazione completa (2 dosi o un vaccino "monodose") da meno di 4 mesi (linea verde): con lo scorrere del tempo, coloro che avevano completato la vaccinazione durante lo scorso mese di agosto hanno progressivamente superato la soglia dei 120 giorni dalla somministrazione dell'ultima dose vaccinale e non sono stati sostituiti da un numero sufficientemente ampio di nuovi vaccinati.

Il numero di coloro che avevano fatto una vaccinazione completa da più di 4 mesi (linea nera) è rimasto pressoché costante per gran parte del mese di dicembre, ma ha mostrato una lieve discesa a fine mese.

Complessivamente, si può dire che il numero di coloro che avevano un vaccino più recente (2 dosi da meno di 120 giorni o 3 dosi) è cresciuto, passando da circa 20 milioni di persone a inizio dicembre fino a 23 milioni a fine anno.

Vediamo adesso l'effetto delle vaccinazioni su tutti contagi (qualsiasi tipo di contagio, anche asintomatico) e sui contagi più gravi (quelli che comportano un ricovero ospedaliero o addirittura un decesso). I dati sono normalizzati rispetto ad un campione di 100 mila abitanti (si considerano solo i cittadini con almeno 12 anni di età). 

Inizialmente vi presento i dati medi, non disaggregati in base all'età. Poiché i non vaccinati sono mediamente più giovani rispetto ai vaccinati (soprattutto rispetto a chi ricevuto la terza dose) questi dati ci danno solo un'idea parziale dell'effettiva protezione fornita dal vaccino. Al termine di questo post, analizzeremo questo punto con alcuni esempi specifici.

Un altro punto importante, che viene dimenticato nella raccolta dei dati ISS, è quello relativo alla presenza di eventuali infezioni precedenti. Considerata l'ampia circolazione virale che caratterizza questo particolare momento della pandemia, sappiamo che una parte non trascurabile di coloro che si contagiano sono al loro secondo (e in certi casi terzo) contagio.

La questione è particolarmente rilevante per i non vaccinati. Nelle analisi ISS tutti i non vaccinati sono considerati come "sensibili" al virus (si suppone che non possiedano alcun tipo di anticorpo per il SARS-CoV-2), ma molti di loro potrebbero avere acquisito un certo grado di protezione (soprattutto verso i contagi più gravi) grazie ad un precedente contagio. Infatti quando si contagiano, una volta guariti, ottengono il super green-pass esattamente come i vaccinati. 

Se l'ISS facesse le sue analisi con maggiore attenzione, dovrebbe tenere conto - almeno per i casi più gravi - anche di eventuali infezioni pregresse (l'informazione è certamente presente nelle cartelle cliniche dei ricoverati per Covid-19 e nei data-base del Ministero della Salute).

Il metodo attualmente utilizzato dall'ISS tende a "smorzare" le differenze tra non vaccinati e vaccinati. Paradossalmente, dopo che tutti i non vaccinati avessero contratto il virus, si potrebbe arrivare alla conclusione che, vaccino o non vaccino, il rischio di contrarre contagi gravi sia  più o meno lo stesso.

Passiamo ora ai dati. I periodi di riferimento per il computo dei contagi sono diversi a seconda del loro esito. La prima figura si riferisce a qualsiasi forma di contagio, da quelli asintomatici fino a quelli con gli esiti più gravi. I dati coprono un periodo di 30 giorni terminato lo scorso 16 gennaio. Almeno da un punto di vista qualitativo, possiamo dire che molti di questi contagi dovrebbero essere stati indotti dalla variante Omicron:

Incidenza dei contagi nel periodo 17 dicembre - 16 gennaio in funzione dello stato vaccinale dei contagiati. Mediamente la probabilità di contagio per un non vaccinato (barra nera) è stata 2,4 volte quella di chi ha ricevuto la terza dose (barre verdi). Come vedremo più avanti, la differenza varia notevolmente in base all'età dei contagiati

I dati relativi ai ricoveri nei reparti Covid ordinari e di terapia intensiva sono riferiti ad un periodo di tempo antecedente rispetto a quello considerato per il grafico dei contagi. Il ritardo è giustificato perché, dopo il primo tampone positivo. bisogna attendere alcuni giorni prima che si manifestino le complicanze più gravi che possono portare ad un eventuale ricovero ospedaliero.

 

 

Incidenza dei ricoveri ordinari (figura superiore) ed in terapia intensiva (figura inferiore) nel periodo 3 dicembre - 2 gennaio. Il rapporto tra non vaccinati e vaccinati è pari a 12 per i ricoveri ordinari e 39 per i ricoveri in terapia intensiva

Vediamo il dato dei decessi, che è riferito a contagi avvenuti in un periodo ancora più distante. In pratica, l'ISS raccoglie i dati dei decessi avvenuti entro 3 settimane dal primo tampone positivo. Certamente questa scelta "taglia" alcuni eventi che possono avvenire in un tempo successivo (probabilmente un 10-20% dei decessi complessivi). Si tratta di una scelta necessaria, se si vogliono fornire dati - sia pure incompleti - entro tempi ragionevoli.

Incidenza dei decessi Covid in funzione dello stato vaccinale. Il rapporto tra non vaccinati e vaccinati con terza dose è pari a 33. Le diagnosi di questi casi risalgono al periodo che andava dal 26 novembre fino al 26 dicembre 2021 e sono state influenzate solo marginalmente dall'arrivo della variante Omicron

Fino a qui abbiamo visto i dati aggregati, senza considerare l'età dei contagiati. Come ricordato prima, l'età media dei non vaccinati è largamente inferiore  rispetto a quella dei vaccinati. Un aumento dell'età comporta una crescente probabilità che le persone soffrano di altre patologie ed è comunque un fattore aggravante rispetto alla possibilità di sviluppare gravi complicanze. Qui di seguito vediamo alcuni esempi che ci mostrano come cambiano in base all'età dei pazienti alcuni dei dati di incidenza che abbiamo mostrato sopra:

Incidenza dei contagi, in funzione dello stato vaccinale, per due diverse classi d'età: 12-39 anni (barre blu) e almeno 80 anni (barre rosse)
 

Notiamo che c'è una significativa dipendenza dell'incidenza dei contagi in funzione dell'età dei contagiati. Non sorprendentemente, le persone più giovani  - che hanno maggiori relazioni sociali - mostrano un livello di contagi decisamente superiore rispetto a quello delle persone anziane (che oltre ad avere meno contatti con gli altri, forse rispettano con più attenzione le regole per ridurre il rischio di contagio). Il rapporto dell'incidenza dei contagi tra non vaccinati e vaccinati con terza dove va da 1,9 per i più giovani fino a 4,6 per gli anziani (il valore medio - calcolato per tutte le età - è pari a 2,4).

Un andamento un po' diverso si vede per le ospedalizzazioni dove il fattore età è assolutamente determinante, aldilà dello stato vaccinale:

Incidenza dei ricoveri, in funzione dello stato vaccinale, per due diverse classi d'età: 12-39 anni (barre blu) e almeno 80 anni (barre rosse). Anche se il grafico è molto compresso, si nota che per i giovani di età compresa tra 12 e 39 anni (barre blu) c'è una incidenza di ricoverati con terza dose superiore rispetto a quella dei vaccinati con 2 dosi (indipendentemente dal tempo passato rispetto all'ultima vaccinazione). Questo si spiega tenendo conto del fatto che la terza dose è stata somministrata solo ad una piccola parte dei più giovani, dando la priorità a coloro che soffrivano di altre patologie

Nel grafico non disaggregato in base all'età (mostrato sopra) si osservava una incidenza media dei ricoveri pari a circa 250 casi per ogni 100 mila abitanti non vaccinati, ma se consideriamo solo i non vaccinati con almeno 80 anni di età l'incidenza sale a ben 1.000 casi. Nel giro di 1 mese, l'1% degli anziani 80+ non vaccinati è finito in ospedale. Se andiamo a vedere l'incidenza dei ricoveri per i loro coetanei che avevano ricevuto la terza dose, il dato scende a circa 40 casi per ogni 100 mila persone, 25 volte meno rispetto ai non vaccinati.

Quando penso a quei fanatici no-vax che hanno plagiato i loro familiari più anziani convincendoli a non vaccinarsi, non riesco a trattenere la mia indignazione.

venerdì 21 gennaio 2022

Aggiornamento sulla pandemia in Italia: numerosi indicatori in leggero miglioramento

I dati della settimana che si conclude oggi confermano un piccolo (quasi insignificante dal punto di vista statistico) calo dei nuovi contagi. Il dato non è dovuto ad un calo occasionale, ma è confermato dall'andamento delle variazioni registrate giornalmente rispetto allo stesso giorno della settimana precedente (grossolanamente proporzionale alla derivata logaritmica della curva dei contagi). La maggior parte dei punti di questa settimana (5 su 7) è - sia pure di poco - negativa. Questa è una chiara conferma che - almeno per il momento - la curva dei contagi ha smesso di crescere. Ovviamente non possiamo fare previsioni serie sull'andamento futuro: se la curva italiana dovesse seguire un andamento simile a quello della Gran Bretagna, nel corso delle prossime settimane dovremmo attenderci un significativo calo dei contagi e - soprattutto - dei ricoveri in ospedale.

Nuovi contagi settimanali registrati in Italia (linea grigia). La linea blu rappresenta il valore medio dei contagi giornalieri, stimato su base settimanale. Per la prima volta da oltre 3 mesi si è registrato un sia pur minimo calo rispetto alla settimana precedente. Il valore attuale dei contagi si attesta intorno ai 2 mila contagi settimanali per ogni 100 mila abitanti

Variazione percentuale del numero dei contagi giornalieri rispetto allo stesso giorno della settimana precedente

Il dato relativo al numero complessivo dei ricoveri è ancora in aumento rispetto alla settimana precedente, ma la crescita dei ricoveri è stata decisamente meno sostenuta rispetto a quella osservata durante le 3 settimane precedenti:

Variazione percentuale del numero complessivo di posti letto occupati nei reparti Covid degli ospedali italiani calcolato rispetto al dato della settimana precedente
 

Ma l'indicatore più incoraggiante è quello relativo ai nuovi ricoveri in terapia intensiva che, per la prima volta da oltre 3 mesi, sono leggermente calati rispetto al valore della settimana precedente. Il dato assoluto è sempre molto alto, ma ha smesso di crescere:

Nuovi ricoveri settimanali nei reparti Covid di terapia intensiva degli ospedali italiani, normalizzato rispetto ad un campione di 100 mila abitanti. La linea nera tratteggiata è un fit esponenziale (la scala è semi-logaritmica) che descrive l'andamento recente dei ricoveri in terapia intensiva


Prima di rimarcare con gioia gli evidenti miglioramenti, bisognerebbe essere sicuri che il calo riscontrato nei ricoveri non sia solo il frutto della fantasia di qualche burocrate della Sanità italiana che ha tolto dal numero dei ricoverati con Covid i cosiddetti "pazienti asintomatici" (pazienti ricoverati per altre patologie, scoperti positivi al SARS-CoV-2 durante i controlli di routine fatti al momento dell'ammissione in ospedale). Se così fosse, i dati di questa settimana sarebbero semplicemente "non confrontabili" con quelli delle settimane precedenti e quindi i cali evidenziati non avrebbero alcun significato statistico.

L'unico indicatore che continua a peggiorare (sempre più marcatamente) è quello dei decessi. Purtroppo stiamo contando le vittime delle riunioni di famiglia fatte in occasione delle festività natalizie. Il contatore dei lutti legati alla pandemia continua la sua inesorabile salita:

Decessi giornalieri normalizzati rispetto ad un campione di 100 mila abitanti (linea grigia). La linea rossa rappresenta il valore medio dei decessi giornalieri, stimato su base settimanale. La linea blu tratteggiata è un fit esponenziale (il grafico è di tipo semi-logaritmico) che descrive l'andamento dei decessi negli scorsi mesi di novembre e dicembre

Vediamo ora alcuni dati relativi al Trentino. Partiamo dal dato dei nuovi ricoveri in ospedale che sono più o meno in linea con quelli della settimana precedente:

Nuovi ricoveri nei reparti Covid degli ospedali del Trentino, normalizzato rispetto ad un campione di 100 mila abitanti (linea rossa). La linea nera tratteggiata è un fit lineare dei dati

Il numero dei posti letto occupati nei reparti Covid del Trentino (somma di tutti i reparti) mostra una tendenza al rialzo abbastanza simile a quella delle settimane precedenti:

Posti letto occupati nei reparti Covid degli ospedali del Trentino (il dato non comprende i ricoverati nelle cliniche private)

Durante l'ultima settimana, il Trentino è stato ad un passo dal superamento della soglia di ricoveri che l'avrebbe portato in zona arancione. Il passaggio non è avvenuto probabilmente grazie al trasferimento di un certo numero di pazienti verso le cliniche private, ma su queste operazioni la Provincia mantiene un rigido blackout informativo.

Il dato dei contagi in Trentino è rimasto pressoché stabile intorno a 3 mila contagi settimanali per ogni 100 mila abitanti, circa il 50% in più rispetto alla media nazionale. Circa il 5% della popolazione trentina si trova attualmente in isolamento (valore medio, con forti oscillazioni a livello territoriale). Tenuto conto del grande numero di falsi negativi legato al diffuso utilizzo dei tamponi antigenici per l'individuazione dei nuovi positivi e alla forte presenza di asintomatici tra i contagiati dalla variante Omicron, è presumibile che almeno un altro 5% dei cittadini trentini giri liberamente pur essendo inconsapevolmente positivo. Questo certamente non aiuta a riportare la pandemia sotto controllo.

Un ultimo commento lo riservo allo stato delle RSA trentine che hanno visto un ulteriore aumento del numero di ospiti positivi al virus:

Numero di persone positive tra gli ospiti delle RSA trentine

Il livello attuale della circolazione virale tra gli ospiti delle RSA trentine è di poco inferiore rispetto a quello della popolazione generale del Trentino. In termini relativi, la situazione era decisamente peggiore alla fine dello scorso mese di ottobre quando ben il 10% delle persone allora positive si registrava tra gli ospiti delle RSA. Non abbiamo informazioni sulla gravità dei contagi, ma considerando che la maggior parte degli ospiti delle RSA hanno fatto la terza dose vaccinale recentemente (dopo il picco di contagi registrato a fine ottobre) è presumibile che la maggior parte di loro sia asintomatica o presenti sintomi lievi.