lunedì 28 febbraio 2022

Le strane alleanze

I tragici avvenimenti ucraini sono caratterizzati dal ruolo sempre più dominante della rete dove si sta svolgendo un confronto serrato tra informazioni e fake news. Stiamo assistendo ad una sorta di guerra parallela che si affianca alla guerra vera, quella che c'è nel mondo reale, con il suo tragico fardello di distruzioni e morti.

 

Le notizie di queste ore riportano delle iniziative prese dai servizi di sicurezza italiani per isolare e bloccare alcuni canali di informazione russi che diffondono in Italia la propaganda dell'autocrate moscovita (quella secondo cui Putin sarebbe il nuovo J.F. Kennedy desideroso solo di "liberare" l'Ucraina). Informazioni che poi sono riprese e rilanciate da vari siti italiani, pronti a diffondere fake news.

La cosa interessante è che molti di questi canali sono già stati ampiamente collaudati ed hanno lavorato intensamente durante la pandemia per diffondere propaganda negazionista nel 2020 e per sostenere le prese di posizione no-vax dopo l'avvento dei vaccini. Sono gli stessi canali da cui sono arrivate molte delle fake-news che poi sono entrate nel repertorio dei no-vax nostrani a cominciare dalle invenzioni sui danni provocati dai vaccini, amplificati oltre ad ogni ragionevole limite, specialmente per quanto riguarda i bambini. 

Con il curioso risultato che il vero dittatore russo utilizzava i suoi canali propagandistici per spingere qualche minus habens italiano a protestare contro una presunta "dittatura sanitaria".

Si trattava di un maldestro tentativo fatto per alimentare posizioni di protesta antigovernativa in Italia. Un'azione certamente non amichevole, ma comunque utile per seminare zizzania in casa altrui ed anche per sminuire il fallimento registrato nella gestione della pandemia in terra russa (lasciate correre liberamente mentre - lo ricordo - Putin fissava anche il numero massimo di decessi che si potevano comunicare giornalmente). Nulla di sorprendente per chi conosce un po' la Russia di Putin con le sue malcelate nostalgie per la vecchia Unione Sovietica. 

Numero "ufficiale" di decessi Covid registrati in Russia durante gli ultimi 6 mesi. Si noti l'andamento della curva che, aldilà delle oscillazioni, staziona da mesi tra 500 e 1.200 casi giornalieri. Si stima che l'eccesso di mortalità, dall'inizio della pandemia fino ad oggi, registrato a livello dell'intera popolazione sia stato pari a circa 1 milione di morti in più rispetto alla media degli anni precedenti alla pandemia (per confronto, ricordo che l'eccesso di decessi registrato in Italia è stato pari a 178 mila casi). La popolazione russa ammonta a circa 144 milioni di persone, circa 2,4 volte la popolazione italiana. L’eccesso di mortalità registrato in Russia è pari a circa 3 volte il numero "ufficiale" dei decessi Covid, traccia indelebile del fatto che il numero dei decessi "ufficiali" comunicati giornalmente è stato largamente inferiore rispetto al dato reale.
 

Curiosamente le posizioni alimentate dalla propaganda putiniana, oltre ad eccitare i no-vax nostrani, hanno trovavano vasta eco nelle posizioni di alcuni leader politici "sovranisti" che vedevano in Putin un amico, un alleato in chiave anti-europea ed un difensore di valori comuni.

Si trattava di una strana alleanza che rimane come una macchia indelebile anche se adesso c'è una corsa a cancellare foto e frasi imbarazzanti. 

Quello che Putin sta facendo in Ucraina e che presto potrebbe cercare di ripetere anche in altri Paesi europei ci dovrebbe far capire quanto sia pericoloso l'uomo. E chi ha abboccato alla propaganda putiniana durante la pandemia dovrebbe almeno riconoscere di essere caduto nel tranello di chi non voleva il bene dell'Italia.

domenica 27 febbraio 2022

Aggiornamento sulla pandemia in Italia: a fine febbraio la situazione continua a migliorare

 A partire dal prossimo mese di marzo, l'aggiornamento sui dati della pandemia avverrà con cadenza quindicinale

In Italia e nei Paesi vicini, la situazione pandemica continua a migliorare. I dati relativi al numero di nuovi contagi sono ancora alti, ma  - anche grazie alla minore aggressività della variante Omicron - assistiamo ad un deciso miglioramento della situazione ospedaliera.  I contagi scendono, anche se meno velocemente rispetto a quanto accadeva 2-3 settimane fa. L'importante è che continuino a scendere e che non si stabilizzino su un livello tale da generare un flusso significativo di nuovi ricoveri.

Il dato settimanale sui nuovi ricoveri in terapia intensiva mostra un valore molto simile a quello della settimana precedente, ma potrebbe trattarsi di una semplice fluttuazione statistica e - almeno per il momento - è troppo presto per interpretare questo segnale come l'indicazione di una possibile inversione di tendenza.

Complessivamente possiamo quindi parlare di una situazione sotto controllo che sta tornando verso la normalità. Non ci sono più diffusi segnali di criticità a livello ospedaliero e finalmente si possono riassegnare le giuste priorità alla cura delle altre malattie. Ricordo tuttavia che attualmente l'occupazione dei reparti Covid è pari a poco più della metà rispetto al massimo raggiunto durante lo scorso mese di gennaio. Non ci sono più motivi di grave  allarme, ma non possiamo neppure pensare che la Covid-19 non ci sia più.  

Passiamo ora alla presentazione dei dati, partendo da quelli relativi ai nuovi contagi:

Nuovi contagi giornalieri (linea grigia) e loro media stimata su base settimanale (linea blu)


Variazione percentuale dei contagi rispetto al valore registrato una settimana prima.

La zona evidenziata in blu nella figura precedente mostra l'andamento della variazione percentuale dei contagi misurata su base settimanale che, fino a qualche giorno fa, ci aveva fatto temere che il livello dei nuovi contagi tendesse a stabilizzarsi su livelli prossimi a quelli attuali. I dati degli ultimi giorni mostrano che la discesa sta riprendendo vigore.

Un dato apparentemente allarmante riguarda - come giù anticipato - i nuovi ricoveri in terapia intensiva che sono rimasti più o meno allineati su quelli della settimana precedente. Tuttavia, se guardiamo il grafico nel suo complesso, risulta abbastanza evidente che i dati delle ultime 2 settimane potrebbero essere stati affetti da semplici fluttuazioni statistiche che si sono in qualche modo compensate (la discesa registrata una settimana fa era stata molto più ampia rispetto a quanto potevamo attenderci dall'andamento delle settimane precedenti):

Nuovi ricoveri settimanali nei reparti Covid di terapia intensiva normalizzati rispetto ad un campione di 100 mila abitanti

Per quanto riguarda l'occupazione complessiva dei reparti Covid degli ospedali italiani assistiamo ad una stabile discesa:

Variazione percentuale del numero di posti letto occupati nei reparti Covid degli ospedali italiani

Numero complessivo dei posti letto occupati nei reparti Covid degli ospedali italiani. Il dato attuale è simile a quello di fine dicembre, di poco superiore alla metà del valore massimo registrato nella seconda metà di gennaio

Per quanto riguarda i decessi, assistiamo ad un calo confortante, anche se il livello è ancora decisamente elevato:

Decessi Covid giornalieri (linea grigia) e loro valore medio stimato su base settimanale (linea rossa). Il massimo è stato osservato nella settimana che si concludeva il 4 febbraio, 3 settimane dopo che era stato osservato il massimo dei contagi

Concludo con un breve cenno alla situazione del Trentino. I dati relativi a contagi e ricoveri mostrano un calo significativo, in linea con quanto sta accadendo a livello nazionale. Risulta ancora piuttosto alta la percentuale di persone attualmente positive presenti tra gli ospiti delle RSA (circa il 3% rispetto all'intera popolazione del Trentino).

Avevo segnalato questa anomalia in un precedente post. Il dato complessivo mostra una lenta tendenza al calo del numero di ospiti di RSA positivi, decisamente non allineata con il forte calo registrato a livello della popolazione generale del Trentino. In pratica, è come se l'ondata pandemica associata alla variante Omicron fosse arrivata nelle RSA con circa 1 mese di ritardo rispetto all'andamento registrato in Trentino. Purtroppo, non sono in grado di fornirvi una spiegazione per questo tipo di andamento.

Numero di ospiti delle RSA trentine virologicamente positivi (linea blu, scala a sinistra). Loro percentuale rispetto al numero complessivo di positivi presenti nella popolazione del Trentino. Ricordo che gli ospiti delle RSA corrispondono a circa lo 0,8% dell'intera popolazione


giovedì 24 febbraio 2022

Il rompicapo della vitamina D

La vitamina D gioca un ruolo fondamentale per la salute delle ossa e per lo sviluppo dei muscoli. Oltre a questo effetto ben noto, molti studi suggeriscono che la vitamina D possa giocare un ruolo positivo per potenziare le difese immunitarie, aumentando la protezione intrinseca verso virus e batteri. 

La pandemia di Covid-19 ha stimolato lo sviluppo di nuovi studi ed una recente indagine fatta in Israele ha fornito alcune indicazioni precise su un possibile ruolo protettivo della vitamina D anche nei confronti delle infezioni da SARS-CoV-2.

Un nuovo studio apparso recentemente in letteratura scompiglia le carte in tavola, sostenendo che la protezione immunitaria indotta dalla vitamina D dipenda dal tipo di vitamina D che viene somministrato. 

In realtà il termine vitamina D individua una classe di molecole che comprende 2 componenti principali: la vitamina D2 (ergocalciferolo) e la vitamina D3 (colecalciferolo). La conclusione - per la verità non definitiva - a cui arrivano gli Autori è che solo la vitamina D3 migliori le difese immunitarie, mentre esprimono forti dubbi sul possibile effetto protettivo indotto dalla vitamina D2.

Come riconoscono gli stessi Autori, la loro analisi è stata basata su un numero limitato di casi e gli effetti da loro individuati potrebbero essere influenzati dall'andamento stagionale del livello di vitamina D presente nel sangue (direttamente legato all'insolazione) e da fattori etnici (con particolare riferimento al caso di persone dotate di pelle scura che vivono in località meno solatie rispetto ai Paesi di origine). 

Prima di poter confermare i risultati di questo lavoro sarà necessario estendere l'indagine ad un campione numericamente più vasto, in modo da restringere i margini di incertezza. Se il risultato fosse confermato, risulterebbe del tutto inutile rimpinzarsi di funghi, lieviti ed alghe (alimenti che contengono la vitamina D2) sperando di migliorare la risposta del proprio sistema immunitario.

Deliri no-vax: "La Cina ha creato il Covid per indebolire l'Occidente e preparare il terreno all'avanzata di Putin”

Sul fatto che i no-vax avessero le idee molto confuse non ho mai avuto dubbi. Ma le tragiche notizie di questa mattina hanno scatenato in alcuni siti web cari ai no-vax una serie di reazioni che vanno aldilà di ogni limite immaginabile.

Siamo ormai al complottismo allo stato puro: qualsiasi notizia viene inserita all'interno di uno scenario delirante. C'è chi si è spinto a ipotizzare l'esistenza di un fil rouge che legherebbe la pandemia (ma i no-vax non sostenevano che il virus non esiste?) con le mire espansionistiche di Putin. Quello stesso Putin che molti no-vax di estrema destra avevano eletto a loro modello, affascinati dalla sua figura di uomo solo al comando (a proposito, quella dell'autocrate Putin è la vera dittatura, altro che le baggianate sulla "dittatura sanitaria").

Purtroppo, in questa "valle di lacrime", epidemie e guerre hanno afflitto da sempre l'Umanità. Forse ce ne eravamo scordati, ma dopo 2 anni di pandemia e con la guerra alle porte dell'Europa, forse è giunto il momento di prendere atto del fatto che talvolta la realtà può essere molto dura.

I danni causati dalle epidemie e dalle guerre si possono mitigare soltanto cercando di sostenere e valorizzare - a tutti i livelli - quei principi di convivenza civile e solidarietà che troppo spesso rimangono lettera morta. Evocare complotti e dare la colpa a qualche strana "entità malvagia" forse aiuta ad esorcizzare la paura, ma non serve a nulla.

Sanofi annuncia di aver chiesto l'autorizzazione per la distribuzione del suo nuovo vaccino sviluppato in collaborazione con GSK

Dopo aver rinunciato allo sviluppo di un suo candidato vaccino basato sulla tecnica mRNA, la multinazionale del farmaco Sanofi ha annunciato di aver chiesto l'autorizzazione per la distribuzione di un nuovo tipo di vaccino anti-Covid sviluppato in collaborazione con GlaxoSmithKline (GSK).

Il nuovo vaccino usa una tecnica tradizionale, correntemente impiegata per alcuni vaccini antinfluenzali. In pratica, vengono prodotte in laboratorio le proteine spike del virus SARS-CoV-2 che, dopo opportuna purificazione, vengono iniettate assieme ad un prodotto coadiuvante che aumenta il livello della risposta immunitaria.

Sanofi ha sviluppato il suo vaccino utilizzando il ceppo virale originale di Wuhan, ma ha già provato anche una versione ottimizzata rispetto alla proteina spike contenuta nel ceppo virale Delta. La sperimentazione del candidato vaccino proposto da Sanofi-GSK è stata completata prima dell'avvento della variante Omicron, ma è stata provata con tutte le varianti precedenti. 

Gli studi di Fase 3 hanno riguardato sia il trattamento "canonico" con 2 dosi vaccinali somministrate a 3-4 settimane di distanza l'una dall'altra, sia la somministrazione di una terza dose (booster). Gli studi relativi all'efficacia della dose booster hanno considerato sia chi aveva già ricevuto le 2 dosi Sanofi-GSK, sia chi era stato sottoposto a vaccinazione con gli altri prodotti fin qui autorizzati in Europa (sia ad mRNA che a vettore virale).

I risultati di Fase 3 (prima dell'arrivo di Omicron) mostrano un livello di protezione pari a quasi il 60% se si considerano tutti i casi di contagio sintomatico, anche di lieve entità. Il grado di protezione cresce man mano che si restringono i casi di contagio, considerando solo quelli caratterizzati da sintomi di maggiore gravità. La protezione media sale al 100% per i casi più gravi che comportano il ricovero o addirittura un decesso, anche se - in quest'ultimo caso - non dobbiamo dimenticare l'ampio intervallo di incertezza legato al numero limitato di casi che vengono analizzati negli studi di Fase 3.

Per quanto riguarda la dose booster, il vaccino Sanofi-GSK ha dimostrato di generare un aumento medio della densità di anticorpi neutralizzanti che varia da circa 20 fino a 30 volte.

Salvo sorprese dell'ultima ora, l'autorizzazione dell'EMA dovrebbe arrivare a breve. 

In caso di approvazione della richiesta fatta da Sanofi-GSK, l'Europa avrebbe a disposizione un vaccino basato su tecniche "tradizionali", già ampiamente provato per le vaccinazioni antinfluenzali che si fanno annualmente. Se, come molti ritengono, dovessimo programmare richiami annuali anche per la Covid-19, il vaccino Sanofi-GSK potrebbe rivelarsi molto utile, specialmente se - come si fa per l’influenza - ne venisse sviluppata una versione ottimizzata per coprire diversi ceppi virali.

mercoledì 23 febbraio 2022

La Covid-19 nei maschietti

Fin dall'inizio della pandemia è stato notato che, nei maschi, i contagi indotti dal SARS-CoV-2 possono provocare (a parità di altri fattori di rischio) complicanze mediamente più gravi rispetto alle femmine. Aldilà della gravità media dei contagi, l'attenzione dei ricercatori è stata attirata anche dai danni specifici che la Covid-19 può indurre negli organi riproduttivi maschili.

Ci sono in letteratura numerosi lavori che analizzano questo fenomeno, ma si tratta in generale di studi limitati ad un numero ristretto di casi. Studi anatomici post-mortem hanno evidenziato che - oltre ai ben noti danni riscontrati a livello polmonare - l'infezione da Covid-19 può provocare anche danni a livello degli organi riproduttivi maschili. Anche per chi contrae forme non particolarmente gravi di Covid-19 ci possono essere conseguenze a livello degli organi riproduttivi maschili, annoverabili tra gli effetti del cosiddetto "long Covid".

Per cercare di comprendere meglio questi aspetti, un gruppo di ricerca di Hong Kong ha realizzato uno studio sui criceti dorati (Mesocricetus auratus, cavie animali ampiamente utilizzate per gli studi sulla Covid-19). Il contagio è stato indotto utilizzando diverse cariche virali, diversi tipi di virus (ceppo originale di Wuhan, Delta ed Omicron) e diverse metodologie di somministrazione del virus.

Il lavoro che descrive i risultati di questa ricerca è stato accettato per la pubblicazione e apparirà tra breve sulla rivista Clinical Infectious Diseases.

Lo studio ha consentito di verificare l'esistenza di una ampia serie di danni provocati dalla Covid-19 negli organi riproduttivi degli animali infettati. Tali danni sono stati rilevati anche in presenza di un impatto relativamente modesto a livello polmonare ed erano tali da poter incidere sensibilmente sulla capacità riproduttiva dei soggetti analizzati.

Nelle cavie che avevano ricevuto preventivamente il vaccino non è stata osservata la presenza di danneggiamenti a livello degli organi riproduttivi. Nessun danno è stato riscontrato anche nel gruppo di controllo, costituito da cavie che erano state infettate con il virus influenzale H1N1, invece che con SARS-CoV-2.

Ricordo che i risultati ottenuti su cavie animali non possono essere traslati automaticamente all'uomo, ma quello che è stato messo in evidenza da questo studio dimostra che l'argomento potrebbe avere una certa rilevanza. Soprattutto ricordando la reticenza con cui noi maschietti tendiamo ad affrontare certi temi.

martedì 22 febbraio 2022

Segnalazione dalla Danimarca: i casi di reinfezione Omicron su Omicron

La Danimarca è stata particolarmente colpita dalla variante Omicron. Durante lo scorso mese di dicembre la maggior parte dei contagi erano dovuti alla sotto-variante Omicron BA.1, ma nel successivo mese di gennaio 2022 Omicron BA.2 era diventato il ceppo virale dominante.

Un gruppo di ricerca danese ha analizzato i casi di reinfezione registrati recentemente, considerando - in particolare - quelli per i quali era disponibile la mappatura genetica del virus per ambedue i contagi. Il lavoro, disponibile come preprint, non è stato ancora sottoposto al giudizio dei referee.

Sono stati analizzati complessivamente 263 casi, nei quali l'intervallo di tempo trascorso tra un contagio e l'altro era compreso tra 20 e 60 giorni. La grande maggioranza di questi casi riguardava persone non vaccinate, a dimostrazione del fatto che, in assenza di vaccinazione, il semplice contagio fornisce una protezione immunitaria limitata.

La maggior parte dei casi di reinfezione riguardava un primo contagio con la variante Delta, seguito da un secondo contagio con Omicron. Ma ci sono stati anche 47 casi con un primo contagio Omicron BA.1 seguito da un secondo contagio Omicron BA.2.

Poiché i casi considerati sono solo quelli per i quali era disponibile la mappatura genica di entrambi i contagi, il numero assoluto dei casi non è particolarmente significativo. Possiamo comunque dire che si tratta di eventi abbastanza rari, ma è difficile fornire informazioni di tipo quantitativo.

Il dato importante è che chi si contagia con Omicron BA.1 può contagiarsi anche con Omicron BA.2. Al momento non è chiaro se questi eventi abbiano coinvolto persone che non avevano sviluppato adeguate protezioni immunitarie dopo il primo contagio, oppure se le differenze esistenti - a livello molecolare - tra Omicron BA.1 e BA.2 siano tali da permettere a BA.2 di superare le difese immunitarie generate dopo un recente contagio con BA.1.

Quarta dose per (quasi) tutti? Gli inglesi incominciano dagli over-75

Dal prossimo 1 marzo l'Italia autorizzerà la somministrazione della quarta dose vaccinale per la categoria dei cosiddetti "immunodepressi". Si tratta di persone che hanno un sistema immunitario particolarmente indebolito e mostrano una risposta limitata ai vaccini. A causa delle patologie preesistenti, queste persone hanno un elevato rischio di sviluppare gravi complicanze in caso di contagio. 

La somministrazione di dosi vaccinali addizionali ad intervalli ravvicinati (circa 4 mesi) non è certamente una strategia ottimale (soprattutto non è detto che funzioni veramente per tutti), ma finché la circolazione virale rimarrà elevata i rischi per queste persone sono talmente alti da non lasciare altra scelta.

Israele è stato il primo Paese al Mondo ad autorizzare la somministrazione della quarta dose vaccinale, sia per gli immunodepressi che per le persone sopra i 60 anni. Fino ad oggi Israele ha somministrato circa 720 mila quarte dosi, coprendo con il richiamo addizionale circa il 16% dei circa 4,5 milioni di cittadini che avevano già ricevuto la terza dose. L'iniziativa israeliana sta andando avanti abbastanza a rilento dopo che le analisi sul campo hanno dimostrato che la quarta dose probabilmente aumenta il livello di protezione contro i contagi più gravi (soprattutto per gli anziani che erano stati vaccinati già a fine 2020 e avevano ricevuto la terza dose nel mese di agosto 2021), ma non aumenta la protezione contro qualsiasi forma di contagio (inclusi i cosiddetti contagi paucisintomatici).

L'Inghilterra ha appena annunciato il completo "ritorno alla normalità" che prevede l'imminente abolizione di tutte le restrizioni, incluso l’obbligo di quarantena  per i contagiati. Contemporaneamente ha autorizzato la somministrazione della quarta dose vaccinale non solo alle persone immunodepresse, ma anche ai cittadini di età superiore ai 75 anni.

Per capire meglio il quadro in cui si inseriscono le recenti decisioni inglesi può essere utile vedere l'andamento dei principali indicatori relativi alla pandemia relativi alla cosiddetta "grande Londra" (circa 9 milioni di abitanti) i cui dati anticipano di circa una settimana quelli dell'intera Inghilterra.

Nuovi ricoveri giornalieri nei reparti Covid degli ospedali della Grande Londra

Nuovi ricoveri settimanali nei reparti Covid della Grande Londra, disaggregati per classi d'età

Numero complessivo delle persone ricoverate nei reparti Covid degli ospedali della Grande Londra


Numero di pazienti ricoverati nei reparti Covid di terapia intensiva (solo pazienti intubati) degli ospedali della Grande Londra

Decessi Covid registrati nella Grande Londra in occasione delle 3 ultime ondate pandemiche. Ricordo che in Inghilterra vengono considerati solo i decessi che intervengono entro 4 settimane dalla data del primo tampone positivo. Questo criterio introduce una seria distorsione statistica perché esclude tutta la "coda" dei decessi che avvengono dopo lunghi ricoveri. L'effetto è particolarmente rilevante durante questo mese di febbraio 2022, caratterizzato dalla presenza della fase calante del picco pandemico associato alla variante Omicron

Come si vede dai grafici, l'occupazione complessiva dei reparti Covid è ancora quasi doppia rispetto al livello che si registrava prima dell'arrivo di Omicron, ma il numero dei nuovi ricoveri giornalieri è ormai tornato al livello pre-Omicron. Si osserva un calo significativo dei pazienti intubati, a conferma di una minore gravità media dei contagi indotti da Omicron.

I decessi legati all'arrivo di Omicron sono stati significativamente elevati, anche se decisamente inferiori rispetto a quelli dovuti alla variante Alpha (allora la campagna vaccinale era appena iniziata). Il grosso dei decessi ha riguardato persone sopra i 70 anni d'età. Anche in Inghilterra c'è stata una incidenza dei decessi decisamente più alta tra le persone non vaccinate. 

Alla luce di questi dati si capisce il ragionamento che sta dietro alla linea adottata dalle Autorità inglesi. Non si attuerà più alcuna forma di limitazione dei contagi, contando sul fatto che l'immunità acquisita tramite le vaccinazioni ed i numerosi contagi indotti da Omicron sia sufficiente per mantenere la circolazione virale entro livelli accettabili. Il vaccino è disponibile per tutti: chi lo fa (inclusa la quarta dose per gli over-75, quelli più a rischio di morte) eviterà almeno i contagi più gravi. Chi si ostina a non vaccinarsi, si assumerà i rischi conseguenti.

Gli altri Paesi europei stanno procedendo in ordine sparso, anche se ormai c'è un consenso diffuso sull’opportunità di somministrare la quarta dose agli immunodepressi.

Fino ad oggi, i risultati della sperimentazione sulla quarta dose fatta in Israele non hanno spinto molti altri Paesi ad adottarla su vasta scala (a parte il caso particolare dei pazienti immunodepressi). L'Inghilterra partirà presto con la somministrazione consigliata a tutti gli ultra 75-enni, indipendentemente dalle loro condizioni di salute. La decisione delle Autorità inglesi è strettamente collegata con l'eliminazione dell'obbligo di isolamento per i positivi. In assenza di qualsiasi forma di limitazione della circolazione virale, la quarta dose verrà somministrata ai più anziani nel tentativo di limitare i danni tra le persone a più elevato livello di rischio. 

La decisione di cancellare l'obbligo di isolamento è stata pubblicamente criticata da un folto gruppo di scienziati che la ritengono avventata. Vedremo quali saranno i risultati pratici di questa decisione. Gli inglesi - loro malgrado - si apprestano a diventare le cavie di un grande esperimento sanitario e sociale.

lunedì 21 febbraio 2022

Nella fase calante del picco pandemico le RSA del Trentino stanno diventando un punto ad alta densità di contagi

Durante lo scorso mese di gennaio, quando la circolazione virale raggiungeva i suoi valori di picco, le RSA erano riuscite a mantenere un livello di contagi relativamente basso. L'effetto combinato delle vaccinazioni (terza dose) e delle norme prudenziali adottate per limitare i contagi indotti dai visitatori esterni aveva garantito un livello di contagi tutto sommato basso.

A partire dall'inizio del mese di gennaio, proprio nel momento in cui la circolazione virale mostrava di aver raggiunto il suo valore massimo, si è osservata una impennata dei contagi nelle RSA. 

Il numero di ospiti virologicamente positivi all'interno delle RSA trentine si è portato rapidamente sopra quota 150 casi e lì staziona da molte settimane senza dare alcuna indicazione di un calo imminente. Nel frattempo, a livello della popolazione generale, abbiamo assistito ad un forte calo della circolazione virale e questo ha determinato una forte crescita della percentuale di trentini virologicamente positivi che si annoverano tra gli ospiti delle RSA:

Ospiti delle RSA trentine che sono virologicamente positivi (linea blu, scala verticale a sinistra). Rapporto tra i positivi registrati tra gli ospiti delle RSA ed il numero complessivo di positivi del Trentino (linea rossa, scala verticale a destra)

Ricordo che gli ospiti delle RSA trentine sono circa 4.500 (meno dell'1% della popolazione complessiva). Si tratta di persone con età avanzata, categoria che vede normalmente una incidenza dei contagi nettamente inferiore rispetto al resto della popolazione.

L'attuale livello dei contagi all'interno delle RSA trentine è decisamente superiore rispetto al livello che ci potremmo attendere considerando i numeri attuali della circolazione virale. Non ci sono chiare spiegazioni per giustificare questo andamento. Va comunque ricordato che, grazie ai vaccini, il numero di decessi Covid è stato molto contenuto.

Segnalazione: la proteina spike (e non il virus completo) potrebbe essere responsabile delle complicanze cardiache che si osservano nei malati gravi di Covid-19

Vi segnalo uno studio inglese (ma come si vede dalla lista degli Autori, con un forte contributo di ricercatori italiani all'estero) che investiga i danni che avvengono a livello cardiaco nei malati che hanno contratto forme gravi di Covid-19. 

Si stima che poco più del 10% dei pazienti Covid finiti in terapia intensiva soffra di gravi complicanze a livello cardiaco. Il dato è stato ricavato prima dell'arrivo della variante Omicron. Non è chiaro se l'alta incidenza delle complicanze cardiache valga anche per coloro che siano stati infettati dalla variante attualmente dominante: il grande numero di mutazioni presenti nella proteina spike di Omicron potrebbe aver cambiato la situazione.

Lo studio descritto nel lavoro citato ha cercato di capire quali siano i meccanismi che provocano le complicanze cardiache. In particolare, è stato messo in evidenza che i danni a livello cardiaco non sembrano essere dovuti al virus stesso (che ha una scarsa capacità di infettare le cellule cardiache), ma sembrano essere legati alle proteine spike isolate che circolano nel sangue delle persone contagiate.

Una rappresentazione grafica dei meccanismi di interazione della proteina spike a livello cardiaco che sono stati valutati nel lavoro citato

Lo studio sembra dimostrare che agendo su un particolare recettore della proteina spike presente in alcune cellule cardiache si possono ridurre drasticamente i danni indotti dalle proteine spike

Al momento si tratta solo di un lavoro fatto in laboratorio e non c'è ancora alcuna evidenza che possa essere traslato a livello terapeutico, ma si tratta comunque di un interessante passo in avanti verso la comprensione di uno degli aspetti più rilevanti della Covid-19.

sabato 19 febbraio 2022

Una trappola statistica: è sempre più difficile persone che siano "sensibili" al virus

Due anni fa, all'inizio della pandemia, eravamo tutti "sensibili" al virus SARS-CoV-2. In pratica, nessuno possedeva anticorpi in grado di contrastarlo. Con il progredire dei contagi e, successivamente, con la distribuzione dei vaccini è cresciuta la frazione della popolazione che ha acquisito un grado più o meno elevato di protezione.

Attualmente l'89% della popolazione italiana con almeno 12 anni di età ha completato il ciclo vaccinale. Un ulteriore 2,2% di italiani over-12 ha ricevuto almeno una dose di vaccino. A loro si aggiungono quasi 1,5 milioni di italiani over-12 (circa il 2,7% della popolazione) che non hanno mai fatto neppure una dose di vaccino, ma hanno contratto la Covid-19 da meno di 6 mesi e quindi possiedono un livello apprezzabile di anticorpi. Nel solo mese di gennaio 2022 ci sono stati poco più di 800 mila contagi tra i non vaccinati, dato da confrontare con meno di 700 mila contagi riscontrati tra il numero, molto più grande, di cittadini vaccinati che avevano ricevuto anche la dose booster.

Anche togliendo dal conto i contagi falsi che taluni no-vax hanno fatto apparire per acquisire in modo fraudolento il green-pass, l’incidenza dei contagi tra i non vaccinati è stata ragguardevole. Secondo gli ultimi dati disponibili (aggiornati allo scorso 29 gennaio) gli italiani over-12 non vaccinati sono poco meno di 5,5 milioni, di cui 1,1 milioni di età maggiore o uguale a 60 anni. 

Il numero relativamente basso di vaccini somministrato durante questa prima parte del mese di febbraio ci fa presumere che il numero attuale di over-12 non vaccinati non sia molto diverso rispetto a quello della fine di gennaio. Tenuto conto del numero dei non vaccinati che sono stati contagiati da meno di 6 mesi (circa 1,5 milioni), possiamo stimare che oggi il numero residuo dei non vaccinati che non possiedono anticorpi contro il virus SARS-CoV-2 sia pari a circa 4 milioni (qui ho trascurato coloro che hanno contratto eventualmente il virus più di 6 mesi fa, ma si tratta di un effetto trascurabile rispetto al gran numero di contagi recenti dovuti ad Omicron).

Dal punto di vista statistico, la forte presenza di non vaccinati che hanno contratto recentemente la Covid-19 rischia di introdurre una forte perturbazione nelle stime di efficacia dei vaccini. Infatti queste stime sono fatte analizzando la densità di casi (contagi, ricoveri e decessi) per le diverse popolazioni (in pratica, per ciascuna categoria vaccinale, si divide il numero dei casi per il numero delle persone potenzialmente contagiabili).

Se confrontiamo i non vaccinati con i vaccinati che hanno ricevuto anche la dose booster, abbiamo a che fare con popolazioni di dimensioni molto diverse. Il numero di vaccinati con booster è passato da circa 20 milioni a metà gennaio a circa 26 milioni a fine gennaio, valori sempre molto più alti rispetto al numero dei non vaccinati. Eppure i ricoveri in terapia intensiva registrati durante il mese di gennaio sono stati più di 1.500 tra i non vaccinati e poco meno di 500 tra i vaccinati con booster

Il ruolo dei vaccini è stato determinante per ridurre il carico dei reparti di terapia intensiva anche se i no-vax ripetono il loro solito mantra "si può finire in terapia intensiva anche se si è vaccinati", rifiutando di prendere atto dell'evidenza dei numeri.

I dati che si elaborano attualmente sono affetti da un errore sistematico che riduce la stima dell'efficacia vaccinale. Infatti per effettuare la stima si ipotizza che tutte le persone non vaccinate siano sensibili al virus. In realtà circa 1/4 di loro ha contratto la Covid-19 nel corso dell'ultimo semestre e quindi dispone di un certo grado di immunità, pur non avendo mai ricevuto neppure una dose vaccinale. Se non teniamo conto di questo fatto, sovrastimiamo il numero delle persone sensibili al virus, producendo una sottostima del livello di protezione offerto dai vaccini.

Per effettuare una stima più accurata, bisognerebbe togliere dal gruppo dei non vaccinati coloro che hanno già contratto la Covid-19 e considerare solo i contagi che riguardano le persone realmente sensibili al virus (mai vaccinate e mai contagiate in precedenza). Dal punto di vista tecnico i dati sarebbero disponibili perché tutti i soggetti considerati sono identificabili tramite il loro codice sanitario. Purtroppo l'ISS non ha mai considerato l’opportunità di disaggregare i dati. Prima dell'arrivo di Omicron la scelta dell'ISS poteva avere senso, ma dopo la recente forte ondata di contagi le cose sono profondamente cambiate e l'effetto dei contagi precedenti non può più essere trascurato.
 
Anche i no-vax - man mano che vengono contagiati - contribuiscono, loro malgrado, all'immunità complessiva della popolazione. Il grande numero di contagi legato ad Omicron ha ridotto sensibilmente il numero delle persone effettivamente sensibili al virus. 
 
Questo fatto - da una parte - alimenta la nostra speranza che la pandemia si possa avviare verso una fase di irreversibile declino, ma rende sempre più complicato effettuare stime accurate sull'efficacia dei vaccini.

Le reinfezioni con la variante Omicron

L'avvento della variante Omicron, oltre ad un grande aumento del numero assoluto dei contagi, ha determinato anche un consistente incremento della percentuale dei casi di reinfezione. Molte persone hanno contratto la Covid-19 per la seconda volta (e in taluni casi anche per la terza). Il fenomeno era già presente quando circolavano le varianti pre-Omicron, ma con l'arrivo di Omicron il dato è cresciuto in maniera molto significativa:

Si nota come la diffusione della variante Omicron abbia determinato un aumento dall'1% al 3% della frazione di contagi corrispondenti a casi di reinfezione. Tratto dal Bollettino ISS del 16 febbraio

Il dato non è sorprendente perché sappiamo che le mutazioni presenti in Omicron rendono il virus meno sensibile rispetto agli anticorpi sviluppati dalle precedenti varianti virali.

L'Istituto Superiore di Sanità ha condotto un'interessante analisi che ha considerato il rischio relativo (RR) di reinfezione in base ad una serie di parametri (tempo trascorso dal primo contagio, stato vaccinale, età, genere). Il rischio relativo è la probabilità che un soggetto, appartenente ad un gruppo esposto a determinati fattori, sviluppi la malattia, rispetto alla probabilità che un soggetto appartenente ad un gruppo non esposto sviluppi la stessa malattia. Il risultato è mostrato qui di seguito:

Rischio relativo di reinfezione in funzione di diversi parametri (tempo trascorso dal primo contagio, stato vaccinale, genere, età). Viene anche mostrato il rischio relativo per coloro che lavorano nel sistema sanitario. Si noti che la scala orizzontale (rischio relativo) è di tipo logaritmico. Tratto dal Bollettino ISS del 16 febbraio

Analogamente a quanto succede con i vaccini, chi ha contratto una prima volta la Covid-19 vede aumentare il rischio di reinfezione con Omicron dopo che sono passati più di 120 giorni dopo il primo contagio.

Il rischio di reinfezione è decisamente più alto per coloro che non hanno ricevuto neppure una dose di vaccino. In altre parole, la protezione offerta dal contagio con una variante diversa da Omicron non garantisce un livello di protezione apprezzabile. La situazione migliora decisamente se i guariti ricevono almeno una dose di vaccino.

Il rischio di reinfezione è decisamente maggiore per i giovani, mentre tende a ridursi drasticamente sopra i 60 anni. Il dato dipende - molto probabilmente - dal fatto che, statisticamente, le persone giovani tendono a contrarre forme di Covid-19 con sintomi molto blandi. C'è una chiara evidenza sperimentale che i contagi più gravi (decisamente più frequenti tra gli anziani) tendono a lasciare un più alto livello di anticorpi. Questo potrebbe spiegare perché mediamente gli anziani sono meno soggetti a nuove forme di reinfezione.

Vediamo infine che il rischio di reinfezione è più elevato per coloro che svolgono professioni legate alla sanità. Si tratta di un effetto chiaramente legato alla maggiore probabilità di esposizione al virus.

Aggiornamento sulla pandemia in Italia: il calo dei contagi continua, ma è meno forte rispetto a prima

L'ultima settimana è stata caratterizzata da un generale miglioramento di tutti i parametri pandemici, anche se il livello della circolazione virale è ancora piuttosto alto. Calano i ricoveri, con il numero di pazienti ospitati in terapia intensiva che scende sotto soglia 1.000. Si conferma, per la seconda settimana consecutiva, anche un calo dei decessi. 

L'auspicio è di assistere ad una ulteriore rapida fase di calo del picco pandemico, anche se  - nel corso degli ultimi giorni - sono emersi segnali che ci fanno temere che il calo potrebbe essere meno rapido rispetto a quanto molti si attendono.

In particolare, mi riferisco all'andamento della variazione percentuale dei contagi rispetto allo stesso giorno della settimana precedente, un indicatore che - in prima  approssimazione - è proporzionale alla derivata logaritmica della curva dei contagi e che abbiamo utilizzato con successo durante la fase ascendente del picco pandemico per individuare il raggiungimento del punto di massimo. 

Nel grafico sottostante, il cerchio blu evidenzia l'andamento degli ultimi giorni e mostra una chiara risalita dell'indicatore. Il valore è ancora negativo (i contagi sono calati), ma sono calati un po' meno rapidamente di quanto è avvenuto nel corso della settimana precedente. Se questa tendenza alla risalita dell'indicatore dovesse essere confermata nel corso dei prossimi giorni, dovremo aspettarci che il calo dei contagi si arresti e che si raggiunga una sorta di plateau.

Variazione percentuale del numero di contagi rispetto allo stesso giorno della settimana precedente. Il cerchio blu evidenzia i dati degli ultimi giorni che mostrano una possibile inversione di tendenza

Al momento è troppo presto per trarre conclusioni e per capire quali siano le possibili motivazioni di questo andamento. Potrebbe essere il segnale di un progressivo avanzamento della sotto-variante BA.2, più contagiosa rispetto ad Omicron BA.1, ma ci potrebbe essere stato anche un cambio dei comportamenti individuali.

Sappiamo che - aldilà delle regole imposte a livello normativo - le aspettative dei singoli giocano un ruolo fondamentale perché possono spingere le persone ad atteggiamenti più o meno prudenti. 

Il messaggio che ci bombarda quotidianamente è quello del "liberi tutti", ma abbiamo una media di circa 600 nuovi contagi settimanali per ogni 100 mila abitanti e quindi la probabilità di essere esposti al virus è ancora molto elevata.

Vediamo ora il dato relativo al numero assoluto di contagi. Si nota - come discusso prima - il calo avvenuto nel corso dell'ultima settimana, ma anche l'occhio più esperto non riesce a cogliere il possibile calo di tendenza evidenziato dal grafico mostrato precedentemente (eppure sono esattamente gli stessi dati, anche se elaborati in modo diverso).

Contagi Covid giornalieri in Italia (linea grigia). La linea blu è una media stimata su base settimanale

Passiamo ora al dato dei ricoveri ospedalieri che mostrano un calo consistente:

Variazione percentuale del numero di posti letto occupati nei reparti Covid degli ospedali italiani misurata rispetto alla settimana precedente

Nuovi ricoveri nei reparti Covid di terapia intensiva, normalizzati rispetto ad un campione di 100 mila abitanti

Per quanto riguarda i decessi, si conferma - come anticipato precedentemente - un calo significativo. Il valore assoluto è ancora molto alto. Purtroppo i decessi di queste settimane di febbraio sono il tragico conto che paghiamo a causa dell’elevato numero dei contagi registrati a gennaio.

Decessi Covid giornalieri registrati in Italia, normalizzati rispetto ad un campione di 100 mila abitanti (linea grigia). La linea rossa è la media dei decessi giornalieri mediata su base settimanale.

Tra l'altro - in questa fase del picco pandemico - stiamo contando anche numerosi decessi che hanno posto fine a lunghe degenze in ospedale e sono legati a contagi avvenuti molte settimane fa. 

In Inghilterra hanno "risolto" il problema togliendo dalle statistiche ufficiali il numero dei decessi che avvengono oltre la quarta settimana dalla data del primo tampone positivo. Si tratta di una "furbizia statistica" che mostra una situazione decisamente meno drammatica rispetto a quella reale. Un modo come un altro per convincere i cittadini che la pandemia non c'è più. Se adottassimo lo stesso criterio anche in Italia, i nostri numeri settimanali attuali calerebbero di circa il 30% e la curva dei decessi scenderebbe più rapidamente rispetto a quanto viene mostrato in figura. Si tratterebbe - lo ripeto - un un puro maquillage statistico che non cambia la sostanza delle cose.

venerdì 18 febbraio 2022

Segnalazione: la sotto-variante Omicron BA.2 potrebbe essere più contagiosa e più pericolosa di Omicron BA.1

Un corposo studio giapponese (disponibile come preprint non ancora sottoposto a referee) confronta le caratteristiche delle due sotto-varianti Omicron BA.1 e BA.2, concludendo che Omicron BA.2 sia più contagiosa e più virulenta rispetto ad Omicron BA.1 (il ceppo virale individuato inizialmente in Sudafrica e attualmente dominante in molti Paesi europei, Italia inclusa).

Nella figura tratta dal lavoro citato vengono mostrati a) l'evoluzione dei diversi sottotipi della variante Omicron apparsi fino ad oggi e b) il numero di differenze esistenti, a livello di proteina spike e di altre proteine, tra il ceppo virale di Wuhan ed alcune delle varianti apparse in seguito.

Lo studio è stato sviluppato combinando una serie di osservazioni sperimentali che comprendono sia prove di neutralizzazione fatte con plasma di persone vaccinate e/o guarite, sia prove su colture cellulari e su cavie animali. Per quanto riguarda la contagiosità di Omicron BA.2 è stato stimato un valore superiore del 40% rispetto a quella - già elevatissima - di Omicron BA.1.

Omicron BA.2 è caratterizzata da un numero elevatissimo di mutazioni che le permettono di sfuggire agli anticorpi sviluppati a seguito del contatto con precedenti varianti virali. Analogamente a quanto visto con BA.1, il maggiore livello di protezione è garantito dalla somministrazione di 3 dosi vaccinali.

Gli esperimenti fatti su cavie animali hanno evidenziato che i danni polmonari indotti da Omicron BA.2 sono mediamente più gravi rispetto a quelli causati da Omicron BA.1.

Questi risultati sono in contrasto con quelli di alcuni studi preliminari che non avevano rilevato una forte differenza tra le due sotto-varianti. 

Al momento, non è ancora chiaro se le differenze tra BA.1 e BA.2 evidenziate dallo studio giapponese potranno produrre un effetto significativo sulla futura evoluzione della pandemia, ma è comunque importante ricordare quanto sia necessario assicurare una adeguata mappatura delle varianti virali in circolazione, anche a livello delle diverse sotto-varianti. 

In questo momento di picco pandemico calante tendiamo a pensare (per la terza o quarta volta nel corso degli ultimi 2 anni) che la pandemia si stia esaurendo. Speriamo tutti che sia veramente così, ma - se vogliamo evitare future brutte sorprese - sarà bene tenere alta la guardia e continuare a fare le indispensabili indagini geniche.

La produzione di vaccini ad mRNA in Africa

La pandemia di Covid-19 ha confermato l'esistenza di un enorme problema legato ai limiti dell'assistenza sanitaria nel continente africano. La questione va ben oltre lo specifico caso della Covid-19 e sconta un generale stato di arretratezza delle strutture sanitarie e della capacità di produzione dei farmaci. 

Oggi arriva una buona notizia che potrebbe generare una inversione di tendenza rispetto al consueto andazzo che vede l'Africa dipendere dalle donazioni di Stati Uniti, Europa, Cina od altri Paesi, incapace di intraprendere una via autonoma che le garantisca una autosufficienza nella produzione dei farmaci essenziali. Egitto, Kenya, Nigeria, Senegal, Sudafrica e Tunisia sono stati scelti come i Paesi destinati ad ospitare i primi stabilimenti per la produzione di vaccini ad mRNA, con l'intento di avviare una produzione in grado di soddisfare le richieste provenienti da tutti i Paesi africani. Un primo risultato importante è stato raggiunto dal Sudafrica che è riuscito a produrre in un suo stabilimento il vaccino anti-Covid di Moderna.

Il progetto è coordinato con il programma Covax e prevede il trasferimento del know-how per la produzione dei vaccini, oltre all’addestramento del personale ed al trasferimento delle licenze di produzione. Una volta tanto, lo slogan "aiutiamoli a casa loro" potrebbe essersi trasformato in realtà invece di limitarsi ad una cinica affermazione retorica.

La capacità di produrre vaccini ad mRNA, oltre a combattere la pandemia di Covid-19, potrebbe rivelarsi fondamentale per affrontare molte altre malattie come malaria, tubercolosi ed AIDS.

giovedì 17 febbraio 2022

L'Influenza Russa come la Covid-19?

Negli ultimi 20 anni abbiamo assistito a 3 fenomeni di spill-over (passaggio di Coronavirus da animali all'uomo) che hanno dato origine a fenomeni epidemici. I primi 2 episodi, legati ai virus SARS-CoV-1 e Mers-CoV hanno avuto un impatto circoscritto a livello geografico, mentre il SARS-CoV-2 ha provocato l'attuale pandemia che dura ormai da più di 2 anni.

Tutti gli esperti hanno avanzato l'ipotesi che la pandemia si trasformerà progressivamente in una endemia, associata ad una progressiva riduzione dell'aggressività del virus SARS-CoV-2. In questo momento molti pensano che Omicron possa rappresentare il punto di svolta verso l'endemizzazione e che tra breve anche SARS-CoV-2 possa essere ridotto al livello di tanti Coronavirus simili, noti come causa di comuni raffreddori.

La domanda che molti studiosi si sono posti è se esistano precedenti storici simili alla pandemia di Covid-19 che stiamo attraversando. La questione non è facilmente affrontabile perché gli archeo-virologici raramente possono accedere ad alcuni dati essenziali come, ad esempio, la presenza di particolari anticorpi presenti nei resti di coloro che hanno contratto i virus del passato.

Nel caso della pandemia che solitamente chiamiamo "Spagnola" sappiamo, ad esempio, che la causa scatenante era un virus influenzale del tipo H1N1 che non ha alcun grado di parentela con i Coronavirus. C'è però un  episodio di fine Ottocento che - almeno secondo alcuni studiosi - potrebbe essere stato originato da un Coronavirus che oggi ritroviamo endemico. Si tratta della cosiddetta "Influenza Russa", originariamente apparsa a Bukhara nel 1889 e propagatasi a livello mondiale negli anni successivi. Le varie ondate provocarono più di 1 milione di vittime (allora la popolazione mondiale ammontava solo ad 1,5 miliardi di persone e la percentuale di persone anziane - colpite molto più severamente rispetto ai giovani - era decisamente inferiore rispetto a quella attuale). 

Le cronache del tempo descrivono una pandemia che aveva caratteristiche molto simili a quelle della Covid-19. Trascorsi 6 anni dalla prima comparsa del virus, il contagio si trasformò in endemia. Il virus responsabile della pandemia di oltre 130 anni fa è ancora presente fra noi e, secondo l'opinione prevalente, si tratterebbe dell'HCoV-OC43.

Per una storia completa sull'Influenza Russa vi rimando ad un bell'articolo apparso sul Corriere della Sera, scritto da Sandro Modeo.

Arriva anche in Italia Evusheld, la combinazione di anticorpi monoclonali usata per prevenire il contagio in soggetti immunodepressi

Nei prossimi giorni saranno distribuite alle Regioni/PPAA le prime dosi del nuovo farmaco Evusheld prodotto da AstraZeneca. La fornitura fa parte di un lotto di 20 mila dosi che l'Italia ha acquistato recentemente. 

Il farmaco è una combinazione di 2 anticorpi monoclonali (tixagevimab e cilgavimab) e può essere somministrato a pazienti con almeno 12 anni di età e 40 kg di peso.

Foto AstraZeneca

Evusheld si differenzia rispetto a tutti gli altri farmaci fin qui sviluppati perché non viene somministrato dopo il contagio, ma viene utilizzato a scopo preventivo, proprio per evitare il contagio o per ridurne le conseguenze. I destinatari sono pazienti immunodepressi che non abbiano sviluppato l'attesa risposta anticorpale dopo la somministrazione del vaccino. Fino ad oggi, l'unica strategia seguita per cercare di proteggere questi pazienti era quella di somministrare dosi vaccinali addizionali (ravvicinate nel tempo), ma solo in alcuni casi questo approccio ha fornito risultati apprezzabili.

Con l'arrivo di Evusheld la strategia cambia radicalmente. I 2 anticorpi di cui è costituito il farmaco sono stati scelti per la loro caratteristica di durare a lungo nel sangue del paziente (fino a 12 mesi). Invece di stimolare il sistema immunitario con il vaccino per indurlo a produrre gli anticorpi anti-Covid, l'idea è quella di somministrare al paziente direttamente gli anticorpi di cui ha bisogno per proteggersi dal virus.

Secondo alcune stime, fino al 2% della popolazione mondiale soffre di forme più o meno gravi di immunodepressione e potrebbe non ricevere una adeguata protezione dopo la somministrazione del vaccino (senza contare i casi, molto limitati, di coloro che non possono essere vaccinati). Per costoro, farmaci come Evusheld potrebbero offrire un meccanismo di protezione alternativo ai vaccini. 

Tenuto conto che in Italia il numero di persone potenzialmente interessate al trattamento potrebbe superare il milione, le 20 mila dosi di Evusheld disponibili sono largamente insufficienti per poter pensare ad un trattamento su vasta scala. Non è chiaro se il numero di dosi acquistate sia stato limitato da problemi di disponibilità del fornitore oppure se sia il risultato di una scelta tutta italiana, legata ad eventuali problemi di natura burocratico-finanziaria. Un'altra possibilità è che abbia prevalso la prudenza in attesa di verificare sul campo quale sia la reale efficacia dell'Evusheld. 

Comunque le prime dosi sono finalmente in distribuzione ed è sperabile che la burocrazia italica non intervenga introducendo inutili complicazioni ed ulteriori ritardi. Anche perché i pazienti immunodepressi, in caso di contagio, tendono a rimanere virologicamente positivi per tempi molto lunghi, trasformandosi involontariamente in vere e proprie "fabbriche" di nuove varianti virali. Avere meno contagi tra le persone immunodepresse comporta una significativa riduzione della probabilità di vedere apparire nuovi ceppi virali.

Un ultimo commento riguarda il funzionamento di Evusheld rispetto alla variante Omicron. Molti esperti avevano espresso dei dubbi sulla reale efficacia del farmaco il cui test iniziale è stato fatto prima della comparsa di Omicron. 

Sappiamo che la maggior parte degli anticorpi monoclonali che sono stati utilizzati fino allo scorso mese di novembre sono stati dismessi perché non erano in grado di riconoscere le proteina spike di Omicron. Alcuni dati recenti sembrano però confermare che Evusheld abbia una elevata efficacia anche rispetto ad Omicron e quindi il suo uso è raccomandato, anche in presenza del nuovo ceppo virale dominante.

mercoledì 16 febbraio 2022

Quanti sono davvero i "contagiati inconsapevoli"?

All'inizio della pandemia, quando i tamponi molecolari erano merce rara, i casi che venivano inclusi nelle statistiche ufficiali riguardavano solo una minoranza di coloro che erano stati infettati dal SARS-CoV-2. In pratica, venivano riconosciuti come positivi solo coloro che erano così gravi da finire in ospedale, mentre venivano individuati pochissimi positivi asintomatici. Nei mesi seguenti, con l'aumento della disponibilità di tamponi molecolari e soprattutto con l'avvento dei tamponi rapidi antigenici, i test per la ricerca dei positivi sono diventati una pratica comune.

Malgrado l'alto numero di test che vengono eseguiti giornalmente, molti nutrono seri dubbi sui dati ufficiali relativi ai casi di Covid-19, arrivando a ipotizzare che il numero vero dei contagi possa essere da 2 o 3 volte più grande rispetto a quello ufficiale. C'è senz'altro il problema dei falsi negativi che riguarda i tamponi antigenici, ma c'è anche il dubbio che esistano molti "contagiati inconsapevoli" ovvero persone asintomatiche che - non manifestando alcun tipo di sintomo - non hanno fatto il tampone al momento del contagio e quindi non si sono resi conto di aver contratto la Covid-19.

Uno studio fatto in Israele sembra sfatare l'idea che il numero di "contagiati inconsapevoli" sia molto elevato. L'indagine è stata fatta analizzando l'esistenza di anticorpi attivi contro la proteina N del SARS-CoV-2 in persone che - ufficialmente - non avevano mai contratto la Covid-19. 

Gli anticorpi per la proteina N non vengono generati dai vaccini che utilizzano la proteina spike del virus SARS-CoV-2 e quindi sono presenti solo nel sangue di coloro che - in precedenza - hanno contratto la Covid-19, anche se in forma asintomatica. La distinzione non vale per coloro che hanno ricevuto il vaccino cinese a virus attenuato, ma questo vaccino non è mai stato usato né in Israele né in Europa (Ungheria esclusa).

Lo studio ha dimostrato che solo il 2,8% delle persone analizzate avevano contratto la Covid-19 senza rendersene conto. La percentuale è decisamente bassa e non si spiega solo grazie all'efficienza del sistema di tracciamento dei contagi adottato da Israele. Infatti bisogna ricordare che le persone sottoposte a test sono state scelte tra medici ed infermieri che, per esigenze professionali, erano stati sottoposti a screening periodici per valutare la presenza di eventuali contagi, anche in assenza di sintomi particolari.  

Il risultato va quindi legato al particolare contesto lavorativo e non può essere generalizzato al resto della popolazione. Lo studio sarà in futuro esteso ad un campione significativo dell'intera popolazione, per valutare quanti siano effettivamente i casi di contagio sfuggiti alle statistiche.

Se anche voi avete il sospetto di appartenere alla  categoria dei "contagiati inconsapevoli", cercate un laboratorio di analisi affidabile e fatevi misurare il livello di anticorpi per la proteina N del virus.

martedì 15 febbraio 2022

La pandemia salverà i conti dell'INPS?

Oggi è stato presentato il Nono Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale Italiano, un corposo documento che analizza lo stato del sistema pensionistico in Italia.  La situazione è ben nota: con una popolazione in progressivo invecchiamento ed un rapporto sempre più piccolo tra persone che ricevono una pensione e le persone attive (che lavorano e versano contributi), il sistema si sta spostando verso una situazione di progressiva difficoltà. I Governi desiderosi di accaparrarsi i voti degli elettori sono stati spesso "generosi" con la concessione delle pensioni, dimenticando che i disequilibri finanziari ricadranno fatalmente sulle generazioni più giovani, destinate a versare molto e ad incassare poco e tardi.

In questo contesto di debolezza finanziaria strutturale, la pandemia di Covid ha rappresentato un inaspettato sollievo per le casse dell'INPS. I dati relativi ai pagamenti pensionistici relativi al 2020 e soprattutto le stime fatte per gli anni successivi sono un crudele indicatore delle tante vite che la pandemia si è portata via anzitempo. 

Forse ricorderete quando, all'inizio della pandemia, alcuni sostenevano che i decessi legati alla Covid-19 fossero in realtà decessi "con Covid" ovvero riguardassero quasi esclusivamente persone molto avanti negli anni che comunque sarebbero decedute da lì a poco a causa di altre patologie. 

Non c'è dubbio che le persone molto fragili siano state frequentemente vittime della pandemia (basta ricordare quello che è successo nelle RSA prima dell'arrivo dei vaccini), ma se i decessi Covid avessero anticipato di poche settimane (o mesi) lutti che sarebbero comunque avvenuti a causa di altre patologie preesistenti, il loro impatto sui conti INPS sarebbe stato  trascurabile.

Dal punto di vista strettamente ragionieristico (e senza mancare di rispetto alla memoria dei defunti) il parametro chiave che determina l'impatto della pandemia sui conti INPS è l'aspettativa di vita media (stimata in assenza della pandemia) dei pensionati che sono morti di Covid-19.

Le stime fatte nel Rapporto sul Sistema Previdenziale Italiano (da pag.155 in poi) ci forniscono i seguenti risultati:

Nel corso del 2020 l'INPS ha registrato - rispetto alla media degli anni precedenti - un incremento di quasi 100 mila cessazioni di pensione dovute al decesso del titolare. Il loro effetto finanziario si allunga nel tempo. Notiamo che il massimo effetto viene raggiunto nel 2021 e cala molto lentamente negli anni successivi: la stima per il 2027 è circa uguale alla riduzione dei costi registrata nel 2020. A dimostrazione che - mediamente - chi ha perso la vita a causa della pandemia nel 2020 avrebbe avuto ancora un congruo numero di anni davanti a sé.

Complessivamente nel decennio 2020-2029 la riduzione di spesa per le casse dell'INPS viene stimata pari a circa 11,9 miliardi di Euro. Una cifra imponente, ma si tratta comunque di una goccia nel mare rispetto alla spesa INPS annuale per le pensioni che - dato 2020 - ammonta a circa 235 miliardi (importo che sale a circa 275 miliardi se si tiene conto anche dei cosiddetti interventi assistenziali).

I dati per il 2021 non sono ancora noti, ma l'effetto dei vaccini ha certamente ridotto drasticamente gli ulteriori "risparmi" sulle pensioni INPS legati alla pandemia.

Il contagio con Omicron funziona come una specie di "richiamo vaccinale"?

Un gruppo di ricerca sudafricano ha analizzato la risposta immunitaria indotta dal contagio con la variante Omicron, confrontando i risultati che riguardavano pazienti non vaccinati e pazienti vaccinati (con 2 dosi del vaccino Pfizer-BioNTech o con il monodose Johnson & Johnson). Lo studio riguarda un numero limitato di soggetti ed è disponibile solo come preprint, non ancora sottoposto al giudizio dei referee.

Pur con tutti i limiti legati alla dimensionalità del campione considerato, questo studio è interessante perché ci permette di dare una prima risposta ad alcune domande. In particolare:

  1. I non vaccinati che contraggono Omicron acquisiscono anche un certo livello di protezione nei confronti degli altri ceppi virali? Ovviamente non possiamo dire nulla di certo su eventuali futuri ceppi virali che potrebbero apparire in futuro, ma possiamo fare un confronto utilizzando i ceppi virali che sono circolati in precedenza.
  2. La seconda domanda è strettamente legata alla prima: cosa succede a chi si contagia con Omicron pur avendo fatto il vaccino? C'è una differenza tra la risposta anticorpale di queste persone e quella dei non vaccinati?
Non è scontato che il contagio con Omicron fornisca anticorpi validi anche contro i ceppi virali precedenti. Ricordo che la sua struttura è molto diversa rispetto ai ceppi virali che hanno circolato fino al mese di novembre 2021 e gli anticorpi generati dal contagio potrebbero funzionare solo con Omicron o ceppi virali simili.

La risposta a queste domande gioca un ruolo fondamentale per capire quale potrebbe essere l'andamento futuro della pandemia. Infatti se l'immunità acquisita dopo il contagio con Omicron fosse "ad ampio spettro" potremmo sperare che protegga anche contro eventuali nuove varianti virali che potrebbero apparire nel prossimo futuro. Ricordo che nel 2021 abbiamo contato 3 varianti principali: Alpha, Delta e Omicron. Non è affatto detto, ma se ipotizzassimo che compaia una nuova variante dominante ogni 4-6 mesi, a breve ne potrebbe apparire una nuova.
 
Il grafico seguente è tratto dall'articolo citato e mostra il potere neutralizzante del siero di convalescenti da Omicron, suddivisi a seconda del loro stato vaccinale. La misura è stata fatta utilizzando alcuni ceppi virali che sono circolati in Sudafrica prima della diffusione di Omicron:

Potere neutralizzante del plasma di convalescenti dal contagio con Omicron per diversi ceppi virali. A sinistra (figura A) si vede la distribuzione dei dati per i soggetti non vaccinati, mentre al centro (figura B) c’è la distribuzione per i vaccinati. A destra (figura C) i valori medi per i vaccinati (barre nere) ed i non vaccinati (barre bianche). Si noti che le scale verticali sono logaritmiche. Tratto dal lavoro citato precedentemente

Quello che appare abbastanza evidente è che le persone vaccinate, dopo aver contratto l’infezione dalla variante Omicron, mostrano di possedere un potere neutralizzante elevato non solo per Omicron, ma anche per tutti gli altri ceppi virali considerati. Partendo da questa osservazione, possiamo ragionevolmente dedurre che se si diffondesse un nuovo ceppo virale, diverso rispetto a tutti quelli che lo hanno preceduto, queste persone potrebbero comunque disporre di un certo livello di protezione. In pratica l'infezione con Omicron (che per i vaccinati comporta un rischio decisamente basso di contrarre gravi complicanze) funziona come una sorta di "richiamo vaccinale".

Viceversa, per i non vaccinati che hanno contratto Omicron, vediamo che le difese sono buone rispetto ad Omicron, ma scendono moltissimo quando abbiamo a che fare con i ceppi virali precedenti. In altre parole, l'infezione non è sufficiente per dare una protezione ad "ampio spettro" ed i non vaccinati sono decisamente più esposti al rischio di contagio nel caso in cui Omicron fosse sostituito - come ceppo dominante - da una nuova variante simile a quelle precedenti.

Concludendo, i no-vax che pur di sfuggire all'inoculazione cercano di contagiarsi, oltre a correre rischi decisamente maggiori di contrarre gravi complicanze (anche a lungo termine), acquisiscono comunque una copertura che offre scarse difese rispetto ai ceppi virali diversi da Omicron.