Spesso sentiamo i politici usare l’espressione “convivere con in
virus” anche se, ascoltando con attenzione i loro ragionamenti, sembra che
dietro allo slogan non ci siano sempre idee chiare rispetto al costo
sanitario, sociale ed economico che dovremmo essere pronti a pagare per
raggiungere tale obiettivo.
Ci sono vari modi di “convivere con il virus”, differenti per
impostazione di fondo e fortemente legati a quello che potremmo definire il “comune sentire”
delle diverse popolazioni. Molto schematicamente, possiamo descrivere 3 tipi di
approccio:
- Secondo il pragmatico punto di vista britannico, una volta che lo Stato ha messo a disposizione di tutti un efficace sistema di somministrazione dei vaccini, ciascuno può essere libero di adottare le misure che riterrà più opportune, senza alcuna imposizione da parte dello Stato. Questo ha consentito di abolire tutte le restrizioni. I britannici hanno deciso di “non pensare più alla Covid-19”, ma sono partiti speditamente con la somministrazione della terza dose vaccinale. L’effetto delle vaccinazioni e dell’assenza di restrizioni è stato quello di “congelare” la situazione sanitaria che – da luglio fino ad oggi – è rimasta sostanzialmente stabile, sia pure in presenza di forti oscillazioni. Questo comporta un elevato livello di decessi (mediamente, 150 al giorno) e di ricoveri nei reparti Covid (mediamente 10 nuovi ricoveri settimanali per ogni 100 mila abitanti). Numeri che per i cittadini d’Oltremanica sono considerati “accettabili”, mentre dati simili hanno fatto scattare l’allarme rosso in Germania.
- L’approccio seguito da molti Paesi dell’Europa dell’Est (specialmente quelli che in passato soggiacevano all’influenza dell’Unione Sovietica) potrebbe essere definito come una forma di convivenza "ad alto rischio". Tutto dipende da una sostanziale diffidenza nei confronti dei vaccini, visti come una espressione del potere dello Stato. Tale sentimento è talvolta esasperato da credenze di carattere politico o religioso. Le mancate vaccinazioni, combinate con una sostanziale assenza di misure non sanitarie per la prevenzione del contagi, hanno provocato un'esplosione di contagi e decessi. In pratica, si attende che la Natura faccia il suo corso, in attesa che – prima o poi – il picco pandemico si esaurisca. Se qualcuno avesse ancora dubbi sull’efficacia dei vaccini, dovrebbe farsi un giro da quelle parti, visitando un po’ di ospedali.
- C’è infine un terzo approccio di cui l’Italia è senz’altro un buon esempio. Accanto ad una efficace campagna vaccinale, sono rimaste in vigore alcune norme per il contenimento dei contagi (green-pass). Anche se in questi giorni stanno crescendo le preoccupazioni, non dobbiamo dimenticare che la situazione italiana è ancora decisamente migliore rispetto a quella della Gran Bretagna che non applica restrizioni e dei Paesi dove le campagne vaccinali sono state meno efficaci.
Aldilà delle diverse strategie che si possono adottare – a mio
avviso - “convivere con il virus” vuol dire essenzialmente una cosa:
“evitare che i contagi possano portare ad un sovraccarico delle strutture
ospedaliere, che non devono essere
intasate dai pazienti Covid”. Facile a dirsi, ma non semplice da realizzare. Vediamo alcuni numeri che ci possono aiutare ad inquadrare meglio il problema.
Attualmente abbiamo a che fare con un ceppo virale la cui contagiosità è circa doppia rispetto a quella del virus che girava in Italia nel mese di gennaio 2021 (allora la variante Alpha non si era ancora diffusa in Italia). I numeri attuali (ordine di grandezza) parlano di circa 10.000 contagi medi giornalieri, con 5.000 persone ricoverate, di cui il 10% circa ricoverato in terapia intensiva. Confrontando i recenti dati italiani con quelli britannici, possiamo dedurre che l'utilizzo del green-pass e l'obbligo delle mascherine al chiuso ha consentito di dimezzare i ricoveri rispetto ai valori che sarebbero stati raggiunti se tali restrizioni fossero state abolite.
Notiamo un evidente effetto dei vaccini: a gennaio i ricoveri erano circa il doppio rispetto ai contagi giornalieri, oggi siamo circa alla metà. Il significato è chiaro: anche se i vaccini non proteggono completamente dal contagio, forniscono comunque una eccellente protezione rispetto ai contagi più gravi, quelli che comportano un ricovero ospedaliero.
Se andiamo ad analizzare lo stato vaccinale delle persone attualmente ricoverate nei reparti Covid degli ospedali italiani scopriamo che – grossolanamente – il numero dei no-vax è più o meno simile a quello delle persone completamente vaccinate, anche se i no-vax costituiscono una platea di dimensioni decisamente inferiori rispetto a coloro che sono stati vaccinati.
Quindi se vogliamo effettivamente “convivere con il virus” ovvero vogliamo svuotare i reparti Covid degli ospedali italiani, la prima cosa da fare è quella di continuare a premere l’acceleratore della campagna vaccinale. Se idealmente riuscissimo a convincere tutti gli attuali no-vax a rinsavire, otterremmo un sostanziale dimezzamento dei ricoveri. Un miglioramento significativo si può ottenere diffondendo rapidamente la terza dose.
Comunque, anche se tutti fossimo vaccinati, rimane il problema che – per alcune persone – i vaccini funzionano meno bene. Questo – in generale – può accadere soprattutto con le persone molto anziane o indebolite da altre patologie. Per costoro, in caso di contagio, si può pensare a cure specifiche, da praticare sollecitamente prima dell’insorgenza di eventuali complicanze. In particolare, sia gli anticorpi monoclonali che la nuova generazione di farmaci antivirali di imminente arrivo possono ridurre considerevolmente il rischio di ricovero ospedaliero. Purché siano somministrati subito e non si perda tempo con cure tanto “miracolose” quanto inefficaci.
Riassumendo, se oggi il rapporto tra il numero di persone ricoverate e quello dei nuovi contagi giornalieri è già sceso da 2 fino a circa 0,5, non è irrealistico pensare che una opportuna combinazione di vaccinazioni e trattamenti precoci dei contagiati a più elevato rischio di ricovero, possa abbattere il valore del rapporto sotto la soglia di 0,1. Applicato ai numeri odierni, significherebbe scendere da 5.000 ricoverati a meno di 1.000.
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