Qui potete trovare il documento datato 3 agosto in cui vengono presentati i primi risultatti di sieroprevalenza sul SARS-CoV-2 effettuato a livello nazionale dal Ministero della Salute in collaborazione con l'ISTAT. Si è molto discusso di questa indagine, soprattutto per la difficoltà riscontrata a convincere le persone selezionate dall'ISTAT a sottoporsi al test. Dopo una lunga serie di rifiuti, l'indagine è stata limitata a solo 65.000 persone, meno della metà del campione previsto inizialmente. Nel rapporto è stato scritto in modo un po' contorto: "la rilevazione si è inizialmente rivolta a una platea più ampia di cittadini residenti in Italia, ma la conduzione in condizioni emergenziali non ha permesso di raggiungere completamente la numerosità originariamente programmata"
Più che di problemi di natura emergenziale, a mio avviso si dovrebbe parlare di grossi errori di comunicazione. Non si è tenuto conto del fatto che, finito il lockdown e passata la grande paura, molte persone volevano mettersi la storia della Covid-19 alle spalle il più rapidamente possibile. Inoltre non è un mistero che molte delle persone contattate si sono rifiutate
di partecipare al test perché, in caso di positività dell'esame
sierologico, temevano di essere messe in quarantena in attesa di
dimostrare di avere un tampone negativo. Di fronte a tale rischio, c'è chi ha rifiutato il test anche sulla base di valutazioni
di carattere economico.
Molto probabilmente il rifiuto selettivo che ha non solo ridotto, ma anche profondamente modificato il campione statistico su cui sono stati fatti i test di sieroprevalenza ha avuto un effetto importante sui risultati. Si tratta di un bias significativo su cui l'ISTAT non ha potuto fare molto. Alla fine del rapporto è stata aggiunta una sezione dedicata alla correzione dei dati per tener conto della "mancata risposta". Francamente non sono molto convinto della robustezza dei dati così corretti, ma questa è solo la mia opinione personale. Se volessimo commentare il tutto si potrebbe comunque dire: "poco è meglio di nulla!".
Le conclusioni dello studio confermano, più o meno, quanto già si sapeva. La prevalenza massima è stata registrata in Lombardia e, in particolare, nelle province di Bergamo e di Cremona. Tra le diverse categorie di lavoratori, il personale sanitario è quello che ha pagato il prezzo più alto. La grande rilevanza dei contagi avvenuti in ambiente familiare è stata messa chiaramente in evidenza. Rispetto alle circa 250.000 persone che sono state diagnosticate tramite tampone, il test sierologico ha permesso di stimare che il numero di persone effettivamente esposte al virus sia stato pari a circa 1,5 milioni, di cui circa il 30% completamente asintomatiche. In altre parole, i tamponi hanno permesso di individuare solo un infettato su sei.
A mio parere, non ci sono molti commenti da fare sui risultati dello studio. Più che altro una occasione perduta. Speriamo che almeno ci sia nei prossimi mesi una qualche azione di follow-up per valutare l'andamento nel tempo della presenza di anticorpi nei volontari che sono stati trovati positivi al test sierologico, in particolare per i positivi che non hanno mostrato sintomi. Sarebbe comunque un dato interessante per capire qualcosa di più a proposito del virus.
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