giovedì 31 dicembre 2020
Moderna ha pubblicato i risultati dei test di Fase 3 del suo vaccino basato su mRNA
La rivista New England Journal of Medicine ha pubblicato i risultati dei test di Fase 3 del suo vaccino denominato mRNA-1273, sviluppato in collaborazione con National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID) che fa parte del National Institutes of Health (NIH). Il lavoro lo potete trovare qui:
LR Baden, et al. Efficacy and Safety of the mRNA-1273 SARS-CoV-2 Vaccine. The New England Journal of Medicine. DOI: 10.1056/NEJMoa2035389
In un comunicato del NIAID (Istituto diretto dal prof. Anthony Fauci) vengono riassunti i risultati principali della sperimentazione. Il vaccino ha dato buoni risultati anche sui volontari di età superiore ai 65 anni anche se per loro l'efficacia del vaccino sembra essere un po' più bassa (valore medio 86% contro il 95% della media dei volontari di età compresa tra 18 e 65 anni).
Non si può dire ancora nulla rispetto al possibile effetto sterilizzante (prevenzione da forme asintomatiche del contagio che possano rendere il vaccinato potenzialmente contagioso per altre persone). A questo proposito il comunicato del NIAID afferma: "Although mRNA-1273 is highly efficacious in preventing symptomatic COVID-19, there is not yet enough available data to draw conclusions as to whether the vaccine can impact SARS-CoV-2 transmission. Preliminary trial data suggests there may be some degree of prevention of asymptomatic infection after a single dose. Additional analyses are underway of the incidence of asymptomatic infection and viral shedding post-infection to understand the vaccine’s impact on infectiousness".
Il vaccino è già in distribuzione sia negli Stati Uniti che in Gran Bretagna con una autorizzazione provvisoria per uso in condizioni di emergenza. L'approvazione da parte dell'EMA dovrebbe arrivare durante la prima settimana di gennaio e l'Italia ne ha già ordinato 10 milioni di dosi (utili per vaccinare 5 milioni di persone). Rispetto al vaccino Pfizer, il vaccino Moderna richiede prescrizioni meno stringenti per quanto riguarda la temperatura di conservazione e questo potrebbe rendere più agevoli le operazioni di distribuzione e di somministrazione su larga scala.
L'ultima presa in giro (per il 2020 naturalmente!)
Questo post è stato aggiornato dopo che il rapporto ISS è stato pubblicato in rete
Oggi l'Istituto Superiore di Sanità ha anticipato il rilascio del suo rapporto settimanale sull'andamento della pandemia in Italia. Il documento lo potete trovare qui.
Il Trentino appare, come al solito, "un'isola felice appena sfiorata dalla pandemia". Nella settimana che andava dal 21 al 27 dicembre il Trentino ha segnalato all'Istituto Superiore di Sanità solo 646 nuovi contagi, corrispondenti ad una incidenza settimanale di circa 119 nuovi contagi per ogni 100.000 abitanti. Per confronto il dato medio nazionale ammontava a circa 135 casi per ogni 100.000 abitanti.
Tutte le Regioni/PPAA hanno sistematicamente calato l'esecuzione di tamponi diagnostici durante le recenti festività natalizie, ma il dato del Trentino è davvero sorprendente. Nei comunicati rilasciati quotidianamente, la Provincia Autonoma di Trento ha registrato nella settimana 21-27 dicembre 954 nuovi contagi verificati con il tampone molecolare e ben 1.912 nuovi contagi considerando la somma di positivi al tampone molecolare (954) ed al tampone antigenico (1319), sottraendo coloro che sono risultati positivi al tampone molecolare dopo essere stati trovati positivi con il tampone antigenico (361).
Il paradosso è che nei dati ISS del Trentino non sono rientrati neppure tutti coloro che erano risultati positivi al tampone molecolare. Probabilmente gran parte dei 361 positivi antigenici confermati con il tampone molecolare sono stati segnalati come casi delle settimane precedenti e sono spariti dal conteggio. Leggendo il rapporto completo, ho notato anche che il tempo mediano tra comparsa dei sintomi e data del tampone è improvvisamente calato dai 12 giorni della settimana precedente a soli 3 giorni. Cambiamento del tutto inspiegabile a mio avviso. Ma confido sempre che la Provincia o l'ISS ci spieghi cosa è successo.
Chissà cosa dirà il Presidente Zaia quando scoprirà che il Veneto, con i suoi 444 nuovi contagi settimanali per ogni 100.000 abitanti, ha un livello di contagi che - secondo l'ISS - è quasi 4 volte quello del Trentino!
Da quasi un mese all'ISS dicono che cambieranno le regole per tenere conto anche dei tamponi antigenici. La decisione slitta di settimana in settimana e francamente non si capisce perché esitino ad attuarla.
Intanto le terapie intensive del Trentino sono ancora sature e i decessi Covid sono altissimi. Senza contare quello che ci ha detto ieri l'ISTAT a proposito dell'eccesso di mortalità registrato in Trentino durante gli scorsi mesi di ottobre e novembre, quasi doppio rispetto ai dati ufficiali dei decessi per Covid-19.
mercoledì 30 dicembre 2020
Il rapporto ISTAT-ISS sulla mortalità legata alla Covid-19 in Italia, aggiornato a fine novembre
Qui potete trovare il rapporto ISTAT-ISS relativo alla mortalità registrata in Italia durante l'anno corrente. I dati sono aggiornati a fine novembre 2020. Solo nei primi mesi del 2021 si potrà avere la versione definitiva del documento che comprenderà anche i dati consolidati di dicembre. Le variazioni (in peggio) potranno essere purtroppo significative perché gran parte del Paese è ancora alle prese con la seconda ondata pandemica, ma alcuni risultati sono già conclusivi.
Confrontando l'andamento del 2020 con la media del periodo 2015/2019, l'ISTAT ha rilevato che nel corso del periodo febbraio - novembre 2020 in Italia c'è stato un eccesso di mortalità pari a circa 84.000 casi. Per confronto, negli anni pre-Covid il numero medio dei decessi in Italia era dell'ordine di 650.000 casi all'anno. Tra febbraio e novembre 2020 sono stati segnalati all'ISS poco meno di 58.000 casi di decessi classificati come Covid-19. I decessi in più possono essere dovuti a casi Covid non segnalati all'ISS (ce ne sono stati moltissimi specialmente durante la prima ondata pandemica) o a morti "indirette", come ad esempio i decessi legati ad altre patologie che non sono state curate adeguatamente a causa della situazione emergenziale in cui si sono venute a trovare molte strutture ospedaliere italiane. Va anche detto che, specialmente durante la prima ondata pandemica, le severe misure di lockdown hanno portato ad un crollo dei decessi legati a talune cause di morte come, ad esempio, gli incidenti stradali.
Da notare che l'eccesso di mortalità registrato dall'ISTAT non tiene conto di coloro che "sarebbero morti comunque indipendentemente dalla Covid-19". Si tratta di un "cavallo di battaglia" dei negazionisti che spesso ci hanno raccontato che le statistiche dell'ISS erano gonfiate da casi impropriamente attribuiti alla pandemia. L'ISTAT ha semplicemente contato i decessi in più rispetto alla media dei decessi che erano avvenuti durante gli anni precedenti, quindi "chi sarebbe morto comunque" non ha contribuito all'eccesso di mortalità.
L'analisi dell'ISTAT è molto ben fatta e contiene informazioni dettagliate sulla distribuzione territoriale del'ecceso di lutti collegato alle due ondate pandemiche. Ci sono anche informazioni specifiche relative al genere ed all'età delle persone che ci hanno prematuramente lasciato.
Nello specifico, il dato dell'eccesso di mortalità in Trentino si conferma tra i più alti d'Italia, sia durante la prima che durante la seconda ondata pandemica. Qui di seguito vi mostro una tabella che riassume alcune delle informazioni disponibili nel rapporto ISTAT-ISS. In particolare, la tabella riporta l'incremento percentuale di mortalità registrato in alcune Regioni/PPAA durante i mesi più critici della prima e della seconda ondata pandemica (manca ancora dicembre 2020):
marzo | aprile | ottobre | novembre | |
Piemonte | +53,3 | +77,2 | +18,2 | +98,2 |
Valle D’Aosta | +52,8 | +71,1 | +26,6 | +139,9 |
Lombardia | +192,2 | +118,2 | +13,6 | +66,4 |
PA Bolzano | +65,5 | +56,8 | +7,1 | +63,6 |
PA Trento | +60,0 | +87,7 | +23,8 | +78,5 |
Veneto | +21,9 | +30,8 | +11,5 | +42,8 |
Friuli V.G. | +12,6 | +21,1 | +5,4 | +46,8 |
Liguria | +54,4 | +63,0 | +17,5 | +54,8 |
Emilia-Romagna | +69,4 | +53,3 | +9,3 | +34,5 |
Media Nord | +94,5 | +75,0 | +13,4 | +61,4 |
Media nazionale | +48,0 | +40,1 | +13,3 | +48,2 |
Notiamo che solo in tre casi si è registrato un eccesso di mortalità superiore al 100% (che corrisponde al raddoppio della mortalità): Lombardia durante i mesi di marzo e aprile e Valle D'Aosta durante lo scorso mese di novembre.
Il Trentino si è sempre collocato tra i livelli percentualmente più alti per eccesso di mortalità, sia durante la prima che durante la seconda ondata. Il valore del Trentino è sempre stato molto superiore rispetto alla media nazionale e, a parte il mese di marzo, ha sempre superato anche la media del Nord Italia. Nell'analisi ISTAT mancano ancora i dati di dicembre, ma considerati i numeri dei decessi fin qui segnalati come dovuti a Covid-19 è presumibile che anche per dicembre il Trentino abbia registrato un significativo incremento di mortalità.
Ricordo, tra l'altro, che il Trentino tra ottobre e novembre ha segnalato ufficialmente all'ISS 239 decessi Covid contro i 276 segnalati dall'Alto Adige. Se osserviamo i dati ISTAT, l'eccesso di mortalità registrato in Trentino nel periodo ottobre - novembre è stato + 50%, contro il valore del +34,9% dell'Alto Adige (tabella 4c del rapporto ISTAT). In termini assoluti, nei due mesi considerati, il Trentino ha registrato complessivamente 1.251 decessi, contro i 997 casi registrati in Alto Adige. Come vedete, c'è una forte discrepanza che potrebbe essere spiegata assumendo che, anche in autunno, molti decessi Covid avvenuti in Trentino siano "sfuggiti" alle statistiche dell'Istituto Superiore di Sanità.
Per completezza di informazione, nel corso dei due mesi considerati, il Trentino ha comunicato alla Protezione Civile Nazionale (che ha un sistema di raccolta dati diverso rispetto all'ISS) 248 decessi Covid, un dato leggermente superiore rispetto al dato ISS, ma sempre molto distante dall'eccesso di decessi rilevato dall'ISTAT.
Per vedere se il caso del Trentino rappresenti o meno una singolarità rispetto alle altre Regioni, ho provato ad estendere il confronto a tutte le altre regioni del Nord. I dati sono riassunti nella tabella che riporto qui di seguito. La colonna "incremento %" corrisponde all'eccesso percentuale di mortalità che l'ISTAT ha rilevato come media durante i mesi di ottobre e novembre. La terza e la quarta colonna riportano, rispettivamente, il valore assoluto dell'eccesso di decessi registrato dall'ISTAT ed i casi segnalati all'Istituto Superiore di Sanità come casi Covid-19. L'ultima colonna rappresenta la differenza percentuale tra i due dati.
Incremento % | Casi totali | Eccesso | Covid ISS | Differenza % | |
Piemonte | +57,6% | 13665 | 4994 | 1502 | -69,9% |
Valle D’Aosta | +80,6% | 431 | 192 | 171 | -11,1% |
Lombardia | +39,7% | 22667 | 6442 | 5641 | -12,4% |
PA Bolzano | +34,9% | 997 | 258 | 276 | +7,0% |
PA Trento | +50,7% | 1251 | 421 | 239 | -43,2% |
Veneto | +27,1% | 10371 | 2211 | 1827 | -17,4% |
Friuli V.G. | +25,5% | 2954 | 600 | 516 | -14,0% |
Liguria | +36,0% | 4832 | 1279 | 804 | -37,1% |
Emilia Romagna | +21,7% | 10127 | 1806 | 1595 | -11,7% |
Nord | +37,1% | 67295 | 18210 | 12571 | -31,0% |
Centro | +26,2% | 26548 | 5512 | 3331 | -39,6% |
Sud | +24,3% | 40924 | 8000 | 5260 | -34,3% |
Italia | +30,8% | 134767 | 31734 | 21162 | -33,3% |
Notiamo che, come media nazionale, circa un terzo dell'eccesso di decessi segnalati dall'ISTAT in coincidenza con il secondo picco pandemico non sono stati registrati all'ISS come casi Covid. Si tratta di valori medi, ma ci sono forti differenze tra regione e regione. A parte l'Alto Adige che ha avuto un eccesso di decessi ISTAT inferiore ai decessi Covid segnalati all'ISS, per tutte le altre Regioni/PPAA del Nord ci sono differenze variabili tra circa un -10% ed un massimo del Piemonte che sfiora il -70%. Valle D'Aosta, Lombardia, Veneto, Friuli V. G. ed Emilia-Romagna presentano scostamenti compresi tra il 10 ed il 20%. Nel caso del Trentino i decessi segnalati all'ISS sono poco più della metà dell'eccesso di decessi registrato dall'ISTAT. A mio avviso, la questione merita un approfondimento.
Lo studio effettuato dall'ISTAT potrebbe essere superficialmente considerato solo come un esercizio di fredda contabilità. In realtà è uno strumento prezioso perché ci dice come sono andate veramente le cose, aldilà delle cortine fumogene che le Autorità politiche e sanitarie possono aver cercato di sollevare.
All'inizio della pandemia in Trentino qualcuno sosteneva che "tanto muoiono solo le persone che sono comunque in fin di vita", aggiungendo "i conti si faranno a fine anno quando la situazione sarà più chiara".
La fine dell'anno è arrivata. I numeri sono chiari in tutta la loro drammaticità. Anche in Trentino bisognerebbe incominciare a fare i conti.
Il vaccino AstraZeneca approvato per "utilizzo in condizioni di emergenza" in Gran Bretagna
Con un comunicato rilasciato poco fa AstraZeneca annuncia di avere ottenuto dalle Autorità sanitarie britanniche (MHRA) l'autorizzazione per la fornitura "in condizioni di emergenza" del suo vaccino denominato AZD1222. Si tratta di una autorizzazione provvisoria, valida solo in Gran Bretagna, che è stata data sulla base delle informazioni attualmente disponibili. La vaccinazione sarà costituita da una prima dose, seguita da un richiamo dopo 4-12 settimane.
Per il momento è stata approvata la somministrazione di due dosi intere, anche se è quella che garantisce una efficacia più bassa (62%). L'eventuale somministrazione iniziale di mezza dose, seguita da una dose intera per il richiamo potrà eventualmente essere approvata in seguito quando saranno noti i risultati dei test che AstraZeneca sta ancora svolgendo. Questa seconda configurazione era stata somministrata per errore ad un piccolo gruppo di volontari delle Fase 3 e sembrava produrre una efficacia molto più alta (90%), ma i casi analizzati sono ancora troppo pochi per poter portare ad una autorizzazione per la somministrazione su larga scala.
Il comunicato di AstraZeneca non specifica se alle Autorità Sanitarie britanniche siano state fornite ulteriori informazioni, con particolare riferimento ai test avviati per valutare con maggiore accuratezza l'efficacia reale del vaccino. Il comunicato è piuttosto vago limitandosi ad affermare che " (il vaccino ha dimostrato di) ... to be safe and effective at preventing symptomatic COVID-19, with no severe cases and no hospitalisations more than 14 days after the second dose ...". In altre parole, il vaccino garantirebbe di raggiungere almeno l'obiettivo minimo che è quello di prevenire infezioni sintomatiche con gravi complicanze che richiedano l'ospedalizzazione dei pazienti. Nulla viene detto sul fatto che la vaccinazione possa essere anche sterilizzante, ma su questo aspetto dei vaccini anti Covid è ancora troppo presto per poter trarre conclusioni, sia per AstraZeneca che per i vaccini concorrenti.
I vantaggi del vaccino AstraZeneca sono quelli del basso costo (nettamente inferiore rispetto alla concorrenza) e della facile conservazione (basta un normale frigorifero). La somministrazione in Gran Bretagna inizierà subito dopo il 1° gennaio. Ci vorrà ancora almeno un mese prima che le Autorità Sanitarie americane ed europee concedano le loro autorizzazioni. Ci sono ancora molte incognite aperte e la scelta delle Autorità britanniche di procedere senza indugi alle vaccinazioni potrebbe essere maliziosamente interpretata con una frase del tipo "male non fa!".
Prevenire le forme di infezione sintomatiche è comunque un obiettivo molto importante e inciderebbe sulle conseguenze più gravi della pandemia. Per il momento Europa e Stati Uniti procederanno con la somministrazione dei vaccini basati su mRNA. Probabilmente, entro la fine del prossimo mese di gennaio AstraZeneca potrà disporre dei risultati dei test attualmente in corso ed è sperabile che si possa arrivare all'approvazione del vaccino anche al di fuori della Gran Bretagna.
martedì 29 dicembre 2020
Perché così tanti morti di Covid-19 in Trentino?
Nota aggiunta il 31 dicembre:
In un post successivo mostro i dati ISTAT relativi all'eccesso di decessi registrati in Italia in occasione della pandemia. Sia per la prima che per la seconda ondata (i dati ISTAT non coprono, per il momento, il mese di dicembre) si osserva che i dati dei decessi Covid del Trentino sono nettamente inferiori rispetto all'eccesso di decessi registrati dall'ISTAT in corrispondenza delle due ondate pandemiche
I dati sui decessi del Trentino sono stati particolarmente alti sia durante la prima che durante la seconda ondata pandemica. Il quadro complessivo è ben rappresentato dal grafico che ho tratto da covid19trentino.fbk.eu
Purtroppo i decessi collegati al secondo picco pandemico non mostrano ancora segni di rallentamento e ormai la quota "psicologica" dei 1.000 decessi complessivi è stata quasi raggiunta.
I decessi rilevati in Trentino durante la seconda ondata (ad oggi 521) sono già superiori rispetto a quelli della prima ondata (470).
Parliamo ovviamente di cifre ufficiali, con tutti i limiti del caso. In realtà i decessi contati durante la prima ondata hanno tenuto conto solo di una parte dei lutti che hanno colpito le RSA trentine. Inoltre, se confrontiamo i dati che appaiono nelle tabelle della Protezione Civile Nazionale con quelli diffusi localmente dalla Provincia di Trento, notiamo che i dati nazionali sono leggermente inferiori. La differenza è legata ad alcuni casi avvenuti a marzo che, a suo tempo, non furono verificati con il tampone molecolare, pur presentando evidenti sintomi delle complicanze da Covid-19.
Insomma i dati contengono sempre un certo margine di incertezza, ma non è tale da cambiare la sostanza del problema: se confrontiamo la mortalità del Trentino con quella delle altre Regioni/PPAA troviamo che il Trentino si trova stabilmente ai livelli più alti. Come possiamo spiegare questo fatto?
Non è semplice rispondere a questa domanda. Probabilmente le spiegazioni sono diverse per la prima e per la seconda ondata e ci potrebbero essere cause diverse che hanno concorso a generare questo risultato.
Procediamo con ordine: a fine maggio, quando la prima ondata si stava esaurendo, la situazione era la seguente:
Andamento dei contagi e dei decessi, aggiornato al 29 maggio, nelle diverse parti del Trentino |
Numero di decessi complessivi registrati fino al 29 maggio. Il dato è normalizzato rispetto a 10.000 abitanti |
La prima ondata in Trentino è stata caratterizzata da una distribuzione molto disomogenea sia dei contagi che dei decessi. Molte Valli trentine mostravano livelli confrontabili con le medie lombarde. Altre zone del Trentino presentavano dati in linea con quelli del Veneto che, durante la prima ondata, si era distinto per la capacità di limitare i danni indotti dall'ondata pandemica.
La storia della prima ondata in Trentino è stata pesantemente condizionata da fattori esogeni, a cominciare dai contagi diffusi dai turisti lombardi che erano venuti in vacanza in Trentino proprio nei giorni durante i quali venivano identificati i primi focolai lombardi. La mancata chiusura degli impianti sciistici è costata molto ad alcune Valli del Trentino, sia in termini di contagi che di lutti. Va notato inoltre che l'alto livello di decessi registrato in Trentino durante la prima ondata è strettamente collegato a quanto accaduto nelle RSA.
I dati della seconda ondata pandemica sono ancora incompleti e sono affetti da significative distorsioni a causa del mancato computo nei conteggi ufficiali di un gran numero di contagi rilevati solo con tamponi antigenici. Non disponendo del dato completo dei contagi è difficile capire se, anche per la seconda ondata, ci siano state all'interno del Trentino forti differenze della prevalenza simili a quelle osservate durante la prima ondata. Sulla base delle poche informazioni disponibili sembrerebbe che, a parte alcuni focolai particolarmente intensi segnalati nel Pinetano ed in Bassa Valsugana, la circolazione del virus sia stata abbastanza omogenea su tutto il territorio provinciale.
Mancano dati specifici relativi all'incidenza della seconda ondata nelle RSA. Giornalmente la Provincia comunica i decessi avvenuti nelle RSA, ma mancano i dati di sintesi e non viene specificato come vengano conteggiati gli eventuali decessi di ospiti delle RSA avvenuti in ospedale. Il numero (ufficiale) degli attualmente positivi tra gli ospiti delle RSA è salito fino ad un valore massimo intorno alle 400 unità (circa il 10% degli ospiti) ed attualmente si trova poco sopra la metà del valore di picco. Stando alle cifre ufficiali gli attualmente positivi delle RSA sono poco più del 10% di tutti gli attualmente positivi presenti in Trentino, ma sappiamo che, almeno per quanto riguarda il dato complessivo, il numero degli attualmente positivi è largamente sottostimato.
Insomma, i dati sono pochi, talvolta scarsamente affidabili e non ci permettono di avere una visione sistematica di quanto stia accadendo. Possiamo cercare di procedere per esclusione:
- Non sono mancate le criticità anche durante la seconda ondata, ma il ruolo delle RSA potrebbe essere stato meno rilevante rispetto a quanto osservato a primavera. Ciò dipende da una molteplicità di fattori: parziale immunità di gregge nelle RSA già duramente colpite dalla prima ondata, numero di ospiti inferiore rispetto a primavera, ampia disponibilità di mascherine ed altri dispositivi di protezione individuale, migliori pratiche di screening per individuare eventuali positivi tra il personale e protocolli più efficaci per isolare i positivi.
- Se osserviamo l'andamento dei contagi, la prevalenza tra gli ultra settantenni (che costituiscono circa il 20% dei contagiati trentini) non è così diversa rispetto alla media nazionale (18%). La differenza non è tale da giustificare l'alto livello dei decessi Covid osservato in Trentino durante l'ultima parte del 2020.
lunedì 28 dicembre 2020
Trento, abbiamo un problema ...
Il direttore Alberto Faustini in un editoriale apparso ieri sull'Adige mette il dito nella piaga e segnala l'enorme rischio che il Trentino potrebbe correre se non ci sarà al più presto un cambio di attitudine nei confronti dei vaccini. In particolare, la campagna vaccinale anti Covid-19 appena partita rischia di trasformarsi in un enorme flop, con gravi conseguenze sia sulla salute dei trentini che sulle loro finanze.
Secondo i dati attualmente disponibili solo il 60% del personale che opera negli ospedali e nelle RSA del Trentino sarebbe disposto a vaccinarsi, contro valori superiori al 90-95% che sono stati riscontrati in gran parte delle altre Regioni italiane.
Per non parlare delle vere e proprie balle che sono state messe in giro anche da taluni miei ex colleghi universitari del tipo "i vaccini ci trasformano in OGM" ed altre fesserie similari.
Ci vorrebbe un bravo psicologo per capire le ragioni di questo atteggiamento. Il vaccino è l'unico strumento che abbiamo, non solo per evitare tante sofferenze e salvare vite umane, ma anche per tornare ad una esistenza "normale". Non possiamo pensare di andare avanti ancora per mesi (o peggio ancora anni) a colpi di lockdown, nè possiamo illuderci di vivere come se il virus non ci fosse perché questo implica che, ad ogni ondata pandemica, gli ospedali si saturino e non riescano più a curare tutte le altre malattie.
L'unico modo per uscire da questa situazione è quello di vaccinarci al più presto possibile. Tenuto conto che per alcune categorie di persone (donne in gravidanza, minori di 16 anni, pazienti fortemente immunodepressi) il vaccino non è raccomandato, bisogna che tutti gli altri facciano la loro parte. Non sarà facile perché le resistenze sono molte e non si può imporre la vaccinazione come atto dovuto. Nel frattempo, altri Paesi stanno procedendo senza indugi alla vaccinazione di massa delle loro popolazioni:
In questa primissima fase di somministrazione del vaccino anti Covid-19,
Israele è già riuscito a vaccinare (solo la prima dose naturalmente) oltre
il 4% della sua popolazione. Seguono il Bahrain, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti. Il grafico aggiornato lo trovate qui. |
Abbiamo davanti a noi una grande sfida che è, prima di tutto, culturale e bisogna che i responsabili politici forniscano messaggi chiari. Capisco che anche i no-vax votano, ma non si possono accettare espressioni ambigue del tipo "vedrò, chiederò al mio medico" che - a mio avviso - sono solo meschine furbate per non scontentare nessuno e raccattare qualche voto in più.
Negli Stati Uniti, il presidente eletto Joe Biden è stato tra i primi ad essere sottoposto alla vaccinazione. Un messaggio chiaro ed esplicito rivolto a tutti gli americani. Mi aspetto che, anche nel nostro piccolo Trentino, gli esponenti della politica (maggioranza e opposizione) dimostrino analogo senso di responsabilità e che il messaggio pro-vax sia chiaro e sia accompagnato da comportamenti coerenti.
Un analogo comportamento lo aspetto da parte degli esponenti del mondo economico, soprattutto da parte di coloro che hanno più sofferto a causa della pandemia. Per territori a forte vocazione turistica come il Trentino, potrebbe essere ragionevole considerare tra le priorità nella somministrazione dei vaccini anche una sollecita e vasta copertura del personale che lavora a stretto contatto con i turisti. Oltre a ridurre il rischio di importazione del virus, questa operazione potrebbe costituire una valida forma di attrazione per i turisti che scelgono il Trentino per le loro vacanze. E sarebbe anche il modo migliore per preparare il Trentino alla gestione del futuro "passaporto sanitario" di cui ormai si discute come possibile strumento per riattivare i flussi turistici.
Sarebbe un approccio senz'altro migliore rispetto al tentativo di nascondere la vera circolazione del virus facendo sparire buona parte dei contagi dalle statistiche ufficiali.
domenica 27 dicembre 2020
Aggiornamento di fine anno
Raccolgo in questo post l'aggiornamento di alcuni grafici che ci forniscono un'idea dell'andamento della pandemia sia a livello nazionale che locale. Partiamo dal dato dei contagi che, nel corso degli ultimi due giorni, ha mostrato un chiaro effetto "Natale". I nuovi casi trovati sono drasticamente calati rispetto ai giorni immediatamente precedenti. Probabilmente si sono combinati due diversi fattori: la riduzione delle attività di screening e di tracciamento ed i consueti ritardi nella comunicazione dei dati che avvengono durante i giorni festivi.
Partendo dai dati dei contagi, usando il mio solito modellino empirico ho stimato l'andamento dell'indice di trasmissione del contagio:
I punti rossi corrispondono alle stime rilasciate dall'Istituto Superiore di Sanità. I punti e la linea blu (ed i valori numerici) sono il risultato del mio modellino empirico. La proiezione per il prossimo 30 dicembre (punto interrogativo rosso) probabilmente è sottostimata a causa dell'effetto "Natale" discusso precedentemente |
Fino ad oggi l'andamento dei contagi, almeno a livello nazionale, non mostra la temuta risalita dovuta al possibile arrivo del ceppo virale "inglese". Numerosi casi sono stati identificati su tutto il territorio nazionale, generalmente su persone in arrivo dall'Inghilterra, ma - al momento - non c'è alcuna evidenza di una circolazione autoctona della variante inglese.
Il quadro dei decessi mostra, a livello nazionale, un lento rallentamento:
Andamento dei decessi registrato a livello nazionale |
Il quadro regionale dei decessi mostra valori particolarmente preoccupanti per la parte Nord-Est del Paese, con il Trentino in terza posizione subito dopo Veneto e Friuli V. G.. Non sono riuscito a trovare i dati dell'Emilia disaggregati rispetto a quelli delle Romagna per vedere se ci fosse una qualche differenza che faccia pensare a specifici problemi localizzati nella parte più ad Est del Paese.
Il caso Irlanda: variante "inglese" o troppi giri al pub?
Fino all'inizio di dicembre ho spesso citato l'Irlanda come un esempio virtuoso nella gestione della seconda ondata pandemica. L'Irlanda decise di attuare un lockdown rigido circa due mesi fa, primo tra i Paesi dell'Unione Europea. In Italia a quel tempo ci illudevamo che la seconda ondata pandemica ci avrebbe appena sfiorato.
In Irlanda, l'effetto del lockdown d'autunno fu significativo e relativamente rapido. A inizio dicembre, la circolazione del virus in Irlanda era nettamente inferiore rispetto all'Italia. Per non parlare dei decessi che erano stati relativamente pochi, anche grazie al fatto che l'Irlanda ha un indice di vecchiaia nettamente minore rispetto a quello italiano: statisticamente parlando, ci aspettiamo che la popolazione irlandese sia meno vulnerabile alle complicanze più gravi della Covid-19 rispetto alla popolazione italiana.
A inizio dicembre, l'Irlanda ha sospeso le limitazioni alle attività ed alla circolazione dei cittadini che erano state introdotte durante le settimane precedenti e gli irlandesi hanno ricominciato a frequentare in massa i loro amati pub. L'effetto sui contagi è stato quasi immediato come si vede dalla figura seguente:
Vaccinare prima i vecchi o i giovani?
Oggi 27 dicembre è il “V-day”, giorno simbolico d’inizio delle vaccinazioni anti-Covid in Europa. Un giorno lungamente atteso, con la speranza che possa rappresentare un punto di svolta nella storia della pandemia. A partire dalle prossime settimane inizieranno ad arrivare dosi crescenti del vaccino ed inizieranno le somministrazioni su larga scala.
Al momento sarà disponibile solo il vaccino Pfizer-BioNTech a cui, tra breve, si aggiungerà quello prodotto da Moderna. Ambedue i vaccini utilizzano l’innovativa tecnica mRNA (RNA messaggero). I vaccini che utilizzano tecniche più tradizionali arriveranno in seguito, ma si spera che già all'inizio del 2021 diventi disponibile anche il vaccino AstraZeneca.
Non sappiamo esattamente quante saranno le dosi disponibili e poiché tutti i vaccini dovranno richiedere un richiamo fatto a circa un mese di distanza rispetto alla prima somministrazione, è presumibile pensare che non sarà affatto semplice recuperare entro la prossima estate tutte le dosi che sarebbero necessarie per effettuare una vaccinazione su larga scala.
Sarà quindi necessario stabilire delle priorità per scegliere le persone a cui offrire la possibilità di ricevere il vaccino (qui trovate il documento attualmente adottato per stabilire le priorità). Questo non vale solo per l’Italia. Anche la Svizzera, che si è rifornita dei vaccini in modo indipendente, si trova in una situazione simile e a metà dicembre ha elaborato le linee guida per stabilire le priorità di vaccinazione. Il documento svizzero lo potete trovare qui.
In attesa che i vaccini siano disponibili su vasta scala – secondo la migliore tradizione italica – già circolano due ipotesi contrapposte. La questione è “vaccinare prima le persone più esposte alle complicanze della Covid-19 oppure dare la precedenza ai giovani nella speranza di incidere più rapidamente sulla circolazione del virus?”.
In realtà, dietro a queste due ipotesi contrapposte, ci sono alcune questioni scientifiche che non sono state ancora completamente chiarite:
- Quale è l’effettivo grado di protezione offerto dai vaccini? Impediranno solo l’insorgenza di complicanze oppure ci forniranno una immunità sterilizzante? In altre parole, è possibile che chi è vaccinato possa comunque contrarre l’infezione e diventare potenzialmente contagioso per gli altri, pur non manifestando sintomi di rilievo? Le prime indicazioni per i vaccini ad mRNA sembrano andare nella direzione dell’immunità sterilizzante, ma non ne siamo ancora veramente certi.
- Quale è il grado di protezione che i vaccini produrranno nelle persone più a rischio ed in particolare in coloro che hanno un sistema immunitario molto indebolito? Dobbiamo ricordare infatti che il vaccino “istruisce” il sistema immunitario a riconoscere ed eliminare il virus. Se il sistema immunitario è particolarmente indebolito, non è detto che la risposta indotta dal vaccino sia efficace. Gli studi fatti fino ad oggi hanno riguardato alcune decine di migliaia di volontari, comprendendo anche persone anziane (massimo 85 anni) e/o affette da altre patologie. Si tratta di un numero di soggetti ancora troppo piccolo per poter trarre informazioni affidabili circa la protezione indotta dai vaccini nei soggetti particolarmente “fragili”.
- Quanto dura la protezione fornita dagli anticorpi nelle persone che hanno già contratto la Covid-19? Quanto dura la protezione indotta dal vaccino?
A seconda delle risposte che saranno date alle domande precedenti, potrebbe cambiare la strategia da adottare nella somministrazione dei vaccini.
Una priorità su cui tutti sembrano essere d’accordo è quella di proteggere con il vaccino le categorie professionali più esposte al rischio di contagio come, ad esempio, medici, infermieri, altro personale sanitario e delle RSA. Si tratta di categorie professionali che hanno fin qui pagato un duro prezzo in termini di contagi (e anche di decessi) e che sono a diretto contatto con persone particolarmente fragili. Non è detto che vaccinando queste categorie professionali si riesca a “schermare” dal virus ospedali e residenze per anziani. Se il vaccino fornisse una immunità sterilizzante avremmo fatto un enorme passo in avanti, ma al momento non ci sono certezze acquisite.
L’altra categoria che è stata considerata ad elevata priorità è quella delle persone più a rischio rispetto alle possibili complicanze generate dalla Covid-19. In generale si tratta delle persone di età superiore ai 65 anni o persone più giovani affette da specifiche patologie. Si tratta di quelle persone che, oltre a rischiare la vita, hanno una maggiore probabilità di finire negli ospedali, con i ben noti problemi di saturazione delle strutture sanitarie indotti dalle ondate pandemiche. Rimangono dei dubbi sull’efficacia del vaccino per coloro che abbiano un sistema immunitario particolarmente indebolito, ma almeno per la maggior parte delle persone over-65 il vaccino dovrebbe funzionare egregiamente.
Il terzo punto riguarda la questione se sia utile vaccinare chi ha già contratto la Covid-19. Ci sono numerose indicazioni che gli anticorpi generati dalla malattia (quelli che si misurano con i cosiddetti esami sierologici) tendano a calare nell’arco di alcuni mesi. Al momento non sappiamo esattamente quale sia il tempo medio di decadimento degli anticorpi. Sappiamo che i casi di reinfezione sono stati – almeno fino ad oggi – abbastanza contenuti, ma per poter trarre conclusioni affidabili bisognerà attendere ancora almeno 6 mesi. Se ci fosse una forte carenza di vaccini, si potrebbe pensare di somministrare il vaccino a persone che appartengano alle categorie ad elevata priorità e che abbiano già contratto la Covid-19 solo nel caso in cui il loro livello di anticorpi sia sceso sotto ad una determinata soglia.
Come ricordato all’inizio di questo post, taluni suggeriscono una strategia alternativa basata sull’idea di vaccinare con priorità le persone più giovani (che sono quelle poco o nulla esposte alle complicanze della Covid-19, ma che spesso contagiano i più anziani). Queste persone hanno una vita sociale molto intensa e sono spesso i migliori alleati del virus perché, più o meno inconsapevolmente, ne aiutano la circolazione. Questa strategia avrebbe senso solo se ci fosse la certezza che il vaccino dia una immunità sterilizzante, senza dimenticare che poiché la somministrazione del vaccino avverrà solo su base volontaria non è affatto detto che molti giovani accettino di farsi vaccinare. Senza la certezza che il vaccino produca una immunità sterilizzante vaccinare prima i giovani, costituirebbe un inutile spreco dei vaccini.
Rimangono altri problemi come, ad esempio, se sia il caso di programmare eventuali richiami vaccinali dopo la somministrazione delle prime due dosi. Al momento, non abbiamo ancora dati sufficienti per ipotizzare tempi realistici sulla durata della copertura indotta dal vaccino. Alcuni esperti parlano di tempi variabili tra 6 mesi ed 1 anno, ma si tratta di valutazioni che – ovviamente – non hanno ancora potuto essere verificate sulla base di evidenze sperimentali. Senza contare che eventuali significative mutazioni del virus potrebbero comunque richiedere la somministrazione di un richiamo che sia specificamente ottimizzato rispetto al nuovo ceppo virale.
In conclusione, le incognite aperte sono ancora molte. Non possiamo escludere che le attuali priorità di vaccinazione possano cambiare sulla base delle ulteriori conoscenze che saranno acquisite nel corso dei prossimi mesi. Nella speranza che entro l’autunno 2021 possano arrivare dosi di vaccino sufficienti per coprire tutte le effettive necessità.
Che fine ha fatto il vaccino AstraZeneca?
Con l’avvio anche in Europa della somministrazione del vaccino Pfizer-BioNTech e l’imminente arrivo dell’analogo vaccino di tipo mRNA prodotto da Moderna, molti si domandano che fine abbia fatto il vaccino AstraZeneca, sviluppato dall’Università di Oxford in collaborazione con l’italiana IRBM.
I risultati preliminari di Fase III del vaccino AstraZeneca, pubblicati recentemente, mostrano una efficacia decisamente minore rispetto a quella dei vaccini mRNA. Si parla di un valore pari al 70% rispetto al 90-95% dei vaccini mRNA. Ma il vero problema è che il 70% è solo un valore medio. In realtà il grosso dei volontari che hanno ricevuto le due dosi canoniche di vaccino mostrano una efficacia pari a circa il 62%. Una piccola parte dei volontari mostra una efficacia pari al 90%.
Dietro questa storia c’è in realtà un incredibile errore fatto dall’Università di Oxford durante la fase di test iniziale del vaccino.
Il vaccino era stato prodotto in Italia da IRBM che ne aveva controllato le caratteristiche di purezza e densità. Quando il lotto di vaccino è arrivato ad Oxford sono state rifatte le misure di caratterizzazione, ma gli scienziati inglesi hanno utilizzato male la tecnica a spettroscopia UV impiegata per misurare la concentrazione del vaccino. In realtà non hanno considerato che una parte del segnale non era dovuto alla componente attiva del vaccino, ma ad uno dei componenti chimici che erano stati usati per diluirlo. Convinti che IRBM avesse sbagliato mandando un vaccino con concentrazione doppia rispetto al dovuto hanno diluito il prodotto prima di somministrarlo ai volontari. Tutti i dettagli della storia li potete trovare qui.
In pratica il primo gruppo di volontari (1367 persone) è stata vaccinato utilizzando metà dose e solo la vaccinazione di richiamo è stata fatta con la dose giusta (nel frattempo gli scienziati inglesi si erano accorti del loro errore). La maggiore efficacia vaccinale osservata per questi primi volontari potrebbe essere legata ad una migliore risposta del sistema immunitario che, ricevendo inizialmente una dose minore, verrebbe in qualche modo “predisposto” per reagire meglio alla seconda dose. Ma potrebbe trattarsi anche di una banale fluttuazione statistica, senza contare che i volontari del primo gruppo avevano tutti un’età inferiore ai 55 anni. Per capire quale sia la situazione reale e prima di ottenere le autorizzazioni per la commercializzazione AstraZeneca dovrà ripetere gran parte della sperimentazione di Fase 3. Non è una cosa semplice, perché i dati dovranno riguardare tre coorti di volontari: chi riceverà solo il placebo, chi riceverà due dosi intere e chi riceverà prima mezza dose e poi una dose intera. Questo determinerà un ritardo non facilmente quantificabile. L’approvazione in Gran Bretagna potrebbe arrivare entro fine 2020, ma l’americana FDA potrebbe prendersi più tempo.
Insomma un gran pasticcio. Come ha ammesso Sir Menelaos Pangalos, vice presidente esecutivo di AstraZeneca "... I think there is no doubt that we would've run the study a little bit differently if we'd been doing it from scratch ...".
Da molti punti di vista (ad esempio costi e modalità di conservazione) il vaccino AstraZeneca potrebbe risultare una alternativa interessante rispetto ai vaccini a mRNA. Quanto all’efficacia, se gli studi attualmente in corso confermassero i valori di fascia bassa (poco sopra il 60%) il vaccino AstraZeneca risulterebbe poco competitivo. Tra le tante ipotesi di cui si sta discutendo c’è anche la possibilità di un accordo con i produttori russi del vaccino Sputnik V che, secondo i dati di Fase 3, avrebbe un'efficacia intorno al 90% e che usa una tecnica simile a quella del vaccino AstraZeneca.
Questa è la situazione attuale, ma ci vorrà ancora molto tempo per capire come finirà questa storia. In particolare, sappiamo ancora molto poco sulla possibilità di somministrare gli attuali vaccini ad alcune categorie come, ad esempio, i bambini e le donne in stato di gravidanza e non abbiamo idea di quale sia la durata effettiva dell’immunità indotta dai diversi tipi di vaccino. Anche i valori di efficacia attualmente noti sono basati solo sulla limitata sperimentazione di Fase 3 e potrebbero cambiare dopo che saranno noti i dati legati alle somministrazioni su vasta scala.
Sul tavolo c’è anche un problema etico di non secondaria importanza. Considerato che AstraZeneca dovrebbe essere il principale fornitore dei vaccini che arriveranno in Italia, se i test attualmente in corso confermassero che il vaccino AstraZeneca ha una efficacia molto minore rispetto ai vaccini a mRNA (pur superando la soglia minima richiesta per l’approvazione che è pari al 50%) con quale criterio si dovrebbero scegliere le persone a cui somministrare i vaccini più efficaci?