Un gruppo di scienziati italiani tra cui il prof. Alessandro Quattrone dell'Università di Trento ha sottoscritto un appello in cui si sollecitano le Autorità sanitarie ad attivare da subito un efficace sistema di sorveglianza basato sui nuovi test rapidi, dedicato particolarmente a Scuole e Università (ma lo stesso si potrebbe estendere ad altre strutture o luoghi di lavoro). Nel loro appello i firmatari ricordano i limiti di sensibilità dei test rapidi a cui possono sfuggire i casi di positivi con bassa carica virale (che sono comunque potenzialmente meno contagiosi), A fronte di un costo limitato e della semplicità d'uso, i test rapidi forniscono il risultato in tempi molto stretti (da un quarto d'ora a mezz'ora a seconda del modello), ma hanno una sensibilità ridotta, che si stima essere pari a circa un decimo rispetto a quella dei tamponi tradizionali. Questi ultimi tuttavia richiedono un lungo trattamento di laboratorio e nella pratica possono passare da uno a due giorni prima che siano resi noti i risultati.
La lettera/appello è - a mio avviso - molto chiara e pienamente condivisibile. Se vogliamo convivere con il virus dobbiamo utilizzare tutti gli strumenti di difesa disponibili ed i test rapidi, anche se non risolutivi, possono essere utili soprattutto se sono integrati nell'ambito di una strategia integrata che affronti i diversi aspetti relativi alla identificazione dei contagi ed al loro tracciamento. Credo che proprio la mancanza di una strategia ben definita e condivisa sia l'elemento che ci espone ai rischi più seri in questo particolare momento. Ciascuna Regione/PPAA procede in ordine sparso, con grande soddisfazione dei rivenditori di test rapidi che possono contrattare tante forniture separate, senza alcuna economia di scala. Qualche Regione ne ha ordinati moltissimi, altri come il Trentino si sono limitati a quello che potremmo definire il "minimo sindacale".
A inizio epidemia la Lombardia ed altre Regioni/PPAA si erano illuse di poter affrontare i problemi sanitari accogliendo negli ospedali i pazienti giù gravi, lasciando a domicilio senza cure molti pazienti che non sempre se la sono cavata con qualche settimana di quarantena. I tamponi erano riservati ai gravemente sintomatici e i pochi asintomatici identificati si contavano solo all'interno di alcune ristrette categorie di privilegiati. Allora i test rapidi non esistevano ancora ed, in generale, non era ancora chiara la necessità di seguire da subito i malati, anche a domicilio, per prevenire le complicanze più gravi. Oggi la situazione è molto cambiata. Gli asintomatici rappresentano la maggioranza dei casi rilevati a dimostrazione che ora i tamponi si fanno davvero. Attualmente siamo al livello di circa 100.000 tamponi giornalieri (dato nazionale) e si sta programmando di portare tale livello a valori circa tripli. Ma i tamponi tradizionali hanno comunque dei tempi di risposta che sono difficilmente comprimibili. Riuscire ad identificare "in tempo reale" coloro che hanno una carica virale elevata e che presumibilmente sono anche più contagiosi potrebbe fare la differenza.
Speriamo che l'appello degli scienziati non cada nel vuoto, anche in Trentino!
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