lunedì 7 settembre 2020

Il Trentino e lo sfiancante inseguimento del virus

Dopo oltre sei mesi dall’arrivo della pandemia in Trentino il quadro che abbiamo davanti a noi presenta ancora numerose incertezze. Le informazioni disponibili  sono comunque già sufficienti per tentare di trarre un primo bilancio.  

Inutile ricordare gli errori, le sottovalutazioni e le incredibili gaffe fatte all’inizio dell’epidemia: allora nessuno aveva piena consapevolezza di ciò che poteva accadere e sarebbe troppo facile, con il senno di poi, attribuire colpe non sempre dimostrabili. Ma anche dopo la primissima fase emergenziale, il Trentino non si è certo distinto nelle scelte fatte per affrontare la crisi. Gli esempi sono numerosi e vanno dai ritardi che ci sono stati prima di riuscire a somministrare un numero adeguato di tamponi, alla confusione ed ai grossi pasticci che sono stati fatti nella rendicontazione  dei casi. Per non parlare di ciò che è accaduto nelle nostre RSA che hanno pagato un tributo in vite umane tra i più alti d’Italia. La Provincia non ha mai  reso noti i dati sul tempo medio passato tra la data di entrata nelle RSA e la data dei decessi degli ospiti che sono mancati nei critici mesi di marzo-aprile. Tali dati avrebbero potuto fornirci una stima dei mesi/anni persi a causa della morte prematura indotta dalla Covid-19, sfatando la leggenda che “tanto sarebbero morti poche  settimane dopo”. Su questo punto non si è mai voluto fare chiarezza, preferendo tergiversare in attesa che l’oblio cali su questa triste vicenda.

La grave carenza di tamponi registrata a marzo è stata temporaneamente risolta grazie al fondamentale contributo dell’Università e della Fondazione Mach.  Era chiaro fin da subito che questo approccio “tripolare” era l’unica soluzione possibile durante il picco emergenziale, ma che si sarebbe dovuto immediatamente programmare un intervento atto a garantire un adeguato flusso di tamponi soprattutto in vista della ripresa autunnale. Non mi risulta che sia stato fatto nulla di concreto: oggi l’Università ha ripreso le sue attività ed i laboratori temporaneamente adattati per analizzare i tamponi (con relativo personale) hanno ripreso a svolgere le loro attività ordinarie. Durante le ultime due settimane, pur in presenza di un significativo picco di nuovi contagi (304 complessivamente, con una media di quasi 22 nuovi contagi al giorno) sono stati fatti mediamente 1195 tamponi al giorno, troppo pochi soprattutto se consideriamo le esigenze che si prospettano davanti a noi con l’imminente apertura della Scuole. Ricordo che oltre alla verifica dei sintomatici e ad tracciamento dei loro contatti, i tamponi servono per verificare lo stato delle persone virologicamente positive.  Inoltre servono per testare le persone che vengono ricoverate negli ospedali  e per verificare periodicamente lo stato di salute del personale sanitario e delle RSA (ammesso e non concesso che tali programmi di verifica preventiva siano in atto).  I 30.000 test rapidi che, secondo notizie di stampa, sarebbero stati  acquistati dalla nostra Provincia sono ben poca cosa, soprattutto quando le Scuole funzioneranno a pieno regime.

I grandi focolai trovati recentemente in Trentino ci fanno riflettere sull’esigenza di attivare misure preventive e di non limitarci ad inseguire il virus quando si manifesta. Che i macelli e le aziende della logistica fossero luoghi di lavoro ad alto rischio era cosa ben nota e numerosi focolai si erano già manifestati durante i mesi scorsi sia in altre parti d’Italia che all’Estero. Eppure si è atteso che i focolai trentini esplodessero (molte decine di contagi rilevati contemporaneamente) nell'apparente indifferenza dei titolari delle imprese coinvolte, ma anche delle Autorità sanitarie che evidentemente non avevano ritenuto necessario alcun controllo preventivo. Solo oggi, dopo il caso Furlani, qualcuno in APSS si è reso conto della necessità di fare verifiche in tutte le aziende analoghe ed i contagi sono stati trovati.

A fronte delle critiche che si possono rivolgere ai responsabili tecnici, c’è l’assordante silenzio dei responsabili politici. Forse sono timorosi di suscitare le ire del loro “capitan no-mask” o forse erano anche loro convinti che il virus fosse “clinicamente morto”. È comunque palese la loro incapacità di fornire un indirizzo politico adeguato alla severità della crisi.

Come trentino, sia pure d’adozione, trovo molto triste ed avvilente che questa Terra non sia riuscita a fare del suo meglio in questa difficile sfida.

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