Tra i vari commenti che stanno accompagnando la crescita della circolazione del virus post-ferragostana ce n'è uno che ha colpito la mia attenzione. Non ricordo la fonte e me ne scuso. L’idea è che l’attuale circolazione del virus in Italia sia simile a quella che avveniva durante lo scorso mese di gennaio – prima metà di febbraio. Con la differenza che allora non si facevano i tamponi e quindi i casi di contagio, in maggior parte anche allora asintomatici, sfuggivano completamente al controllo. Il fatto che attualmente si trovino stabilmente oltre mille nuovi contagi al giorno non dovrebbe trarci in inganno. Anche oggi, se non facessimo tamponi potremmo far finta che il problema non esista, anche perché i dati relativi ai ricoveri ed ai decessi oggi non raggiungono livelli tali da destare una immediata preoccupazione. A gennaio – inizio febbraio tutti pensavano (anche molti esperti) che il virus non fosse ancora arrivato, mentre come è stato dimostrato da numerose analisi fatte ex-post il virus girava già abbondantemente, portato in Lombardia anche grazie al via-vai da e per la Cina di imprenditori nostrani. Le cose sarebbero precipitate da lì a breve. Solo con le rigide misure di lockdown introdotte intorno al 10 marzo e con enormi sacrifici dal punto di vista socio-economico siamo riusciti a riportare la situazione sotto controllo.
Fin qui le possibili analogie/differenze tra ciò che sta accadendo oggi e la situazione di inizio anno. Ma la vera domanda è: dobbiamo aspettarci che, come accadde a fine febbraio, la situazione precipiti e dobbiamo quindi prepararci al peggio? Non ho la sfera di cristallo e credo che chiunque pretenda di fornire certezze granitiche su un tema tanto complesso non faccia un buon lavoro. Cerchiamo quindi di analizzare i diversi elementi che possono determinare la futura evoluzione della pandemia in Italia, senza pretendere di fornire previsioni assolute.
Fin qui le possibili analogie/differenze tra ciò che sta accadendo oggi e la situazione di inizio anno. Ma la vera domanda è: dobbiamo aspettarci che, come accadde a fine febbraio, la situazione precipiti e dobbiamo quindi prepararci al peggio? Non ho la sfera di cristallo e credo che chiunque pretenda di fornire certezze granitiche su un tema tanto complesso non faccia un buon lavoro. Cerchiamo quindi di analizzare i diversi elementi che possono determinare la futura evoluzione della pandemia in Italia, senza pretendere di fornire previsioni assolute.
- Una prima grande differenza tra questo mese di settembre e lo scorso gennaio è legata al fatto che, anche se in forma attenuta, una parte significativa della popolazione attua ancora misure di prevenzione atte a limitare la circolazione del virus. Con l’imminente apertura delle Scuole ci possiamo aspettare un aggravamento della situazione, ma quello che accade oggi non è neppure lontanamente paragonabile a quanto succedeva a gennaio. Oggi se una persona incomincia a tossire viene guardata in malo modo ed isolata (a meno che non stia partecipando ad un raduno di negazionisti). Certo i giovani non rinunciano alla loro vita notturna ed i vacanzieri hanno fatto talvolta follie contribuendo all’impennata dei nuovi contagi. Ma c’è comunque un livello di attenzione generale e soprattutto un livello di protezione per le persone più fragili che a gennaio non era neppure immaginabile.
- Anche se non fosse disponibile un vaccino efficace in tempi ravvicinati, sono comunque molto migliorati i protocolli per il trattamento dei malati di Covid-19. Nulla di risolutivo, ma non dobbiamo dimenticare che quando a fine febbraio ci fu l’evidenzia della presenza della pandemia i medici avevano una limitatissima conoscenza della nuova malattia e non sapevano come trattare i pazienti. In quei giorni frenetici, tutto il personale sanitario ha dato il massimo per aiutare i malati ed ha anche pagato un pesante tributo in termini di vite umane. Ricordiamo che in Lombardia, in almeno due casi, sono stati gli stessi ospedali a svolgere la funzione di super-diffusore del virus. In quelle difficili settimane non si sapeva cosa fare, mancavano i tamponi ed i dispositivi di protezione individuale e si sperimentavano terapie che talvolta si sono rilevate inutili, se non addirittura controproducenti. Questo è lo scotto che si paga fatalmente quando si presenta una malattia sconosciuta. I medici non dispongono di “libri sacri” da cui attingere la verità: lavorano in scienza e coscienza e fanno del loro meglio a seconda delle circostanze in cui si trovano ad operare. Oggi non abbiamo cure risolutive, ma la situazione è sostanzialmente migliorata rispetto ad inizio anno.
A mio parere, serve comunque prudenza, ma solo un momento di follia collettiva potrebbe riportarci nelle tremende condizioni che abbiamo sperimentato prima dell’estate.
"Tutti questi numeri – spiega il Presidente Nino Cartabellotta – non possono essere confrontati con quelli dei primi mesi dell’epidemia perché le dinamiche epidemiologiche sono completamente diverse.
RispondiEliminaDello tsunami che si è abbattuto sul nostro Paese non abbiamo MAI conosciuto la fase iniziale: il Coronavirus circolava insidiosamente SOTTOTRACCIA con migliaia di asintomatici che infettavano senza saperlo parenti, amici e colleghi di lavoro.
Il lockdown rigoroso e prolungato ha ridotto la mortalità, gli accessi in ospedale e il numero dei nuovi casi, ma dal 3 giugno siamo di fatto “ripartiti DAL VIA”».
«Se è legittimo chiedersi se i numeri attuali sono i segnali di una nuova ondata, – conclude Cartabellotta – è ragionevolmente certo che non rivedremo le drammatiche scene di marzo/aprile perché oggi la situazione epidemiologica è attentamente monitorata, il servizio sanitario è ben organizzato e, dunque, non potrà esserci alcun effetto sorpresa.
Ma non bisogna concedere ulteriori vantaggi al Coronavirus, tanto più che i numeri riflettono sempre comportamenti di 3-4 settimane fa».
Fondazione Gimbe, 24 agosto 2020