domenica 25 ottobre 2020

A proposito del nuovo DPCM

Si sono levate molte polemiche a proposito dell’ultimo decreto della Presidenza del Consiglio contenente le nuove disposizioni volte a limitare la circolazione del SARS-CoV-2. Provvedimenti di questo tipo sono fatalmente accompagnati da un alto livello di litigiosità perché vanno ad incidere su taluni interessi, salvaguardandone altri. È sempre difficile capire se tra le diverse opzioni che c’erano sul tavolo siano state scelte solo quelle che non toccavano poteri particolari. Un tipico esempio è quello di aver chiuso cinema e teatri, senza cambiare le regole che regolano l’accesso alle cerimonie religiose. Non voglio assolutamente cimentarmi in una discussione del tipo laicità vs religione, ma da un punto di vista rigorosamente scientifico non riesco a capire se esista un diverso livello di probabilità di contagio tra chi assiste ad una cerimonia religiosa o ad uno spettacolo teatrale. Dimensioni dei locali, densità di persone, tempi di permanenza e regole di distanziamento sono sostanzialmente identici.

Quanto al DPCM nel suo complesso, mi sembra più che altro una collezione di “pannicelli caldi”, ma temo che non sia risolutivo. Lasciamo pure perdere le stime dell’indice di trasmissione del contagio R calcolate a livello regionale che, soprattutto per le Regioni/PPAA più piccole, hanno una affidabilità statistica veramente scarsa, ma il dato nazionale è saldamente attestato intorno ad 1,5 con un raddoppio dei casi ogni circa 7 giorni. Dubito fortemente che con questo DPCM riusciremo a riportare il valore dell’indice R nazionale sotto la soglia critica che è pari ad uno.

Il rischio che i contagi ed i conseguenti ricoveri in ospedale continuino a crescere in modo sostenuto è estremamente elevato e con l’aumento dei ricoveri Covid si ridurrà fatalmente la capacità del Sistema Sanitario Nazionale di curare tutte le altre patologie. Questa è, a mio avviso, la vera criticità da affrontare. A meno di non decidere che i malati di Covid più anziani vengano lasciati nelle RSA o nelle loro abitazioni senza particolari cure, così come accedeva spesso durante il mese di marzo. E poi l’INPS farà il calcolo dei risparmi sulle pensioni e ci farà sapere quanti sono stati i decessi.

La mia impressione è che, nell’ambito del consueto scambio del cerino acceso tra Governo centrale e Governi regionali, si sia scelto di attivare un certo numero di azioni con l'unico scopo di preparare i cittadini a futuri provvedimenti ancora più severi. Prima o poi ci troveremo davanti a scelte dure sul tipo di quelle adottate recentemente da Israele e saremo costretti a prendere delle decisioni.

Guardando le cose secondo una logica di più lungo periodo, ammesso che si arrivi – in un modo o nell’altro – ad una sostanziale riduzione dei nuovi contagi, non potremmo comunque dirci fuori dalla pandemia. Ci troveremo più o meno nella stessa situazione di inizio settembre, con il rischio concreto che arrivi subito dopo una terza ondata, innescando un tragico yo-yo del contagio. L’unico modo per uscirne, in attesa che sia disponibile un vaccino o una cura efficace, è quello di disporre finalmente di un sistema di tracciamento dei contagi adeguato. Questo vuol dire disporre finalmente di una adeguata capacità di fare tamponi, una strategia coerente per la somministrazione dei tamponi, l’utilizzo di adeguati strumenti di intelligenza artificiale per la gestione di dati geo-referenziati perché l’approccio di tipo “call center” in cui al massimo si usa un foglio Excel non consente di fare contact tracing in modo efficace ed una dotazione adeguata di personale.

Tutte cose fattibili che si sarebbero dovute fare questa estate, ma non sono state fatte. Preso atto del loro fallimento, ieri i Governatori regionali hanno chiesto al Governo nazionale di abbandonare del tutto il contact tracing. Per fortuna la loro richiesta non è stata accolta nel DCPM.

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