sabato 17 ottobre 2020

Perché il tracciamento dei contagi non funziona?

La recente impennata di contagi ha messo in evidenza la scarsa efficacia del sistema di tracciamento innescando una sorta di corto circuito da cui è difficile uscire: non riusciamo più o tracciare i contagi perché i nuovi contagi sono troppi oppure i contagi crescono troppo perché il sistema di tracciamento non funziona? Mi rendo conto di aver posto una domanda in stile “marzulliano”, ma cercherò comunque di darvi un qualche tipo di risposta.

Come in tutti i sistemi complessi (e la pandemia è senz’altro un sistema complesso) non c’è mai una relazione lineare tra cause ed effetti ed il sistema può subire evoluzioni rapidissime e totalmente impreviste anche a seguito di eventi che – a prima vista – potrebbero sembrarci non particolarmente significativi. Se ci fermassimo a questa considerazione potremmo concludere che cercare di descrivere la pandemia con i nostri modellini matematici (sostanzialmente lineari) è una perdita di tempo e decidere che l’unica cosa da fare sia quella di lasciare che la Natura faccia il suo corso. In realtà, anche senza ricorrere all’arma estrema del lockdown generalizzato, è sempre possibile individuare delle azioni utili per limitare la circolazione del virus, anche se non è facile prevedere a priori quale sarà il loro effettivo impatto sull’evoluzione della pandemia.

Tra le diverse armi a nostra disposizione, la tracciatura dei nuovi contagi è senz’altro uno degli strumenti che possono risultare più efficaci, anche se non si tratta di una operazione semplice. Il termine “tracciatura” comprende in realtà una serie di azioni coordinate tra loro: bisogna – prima di tutto - individuare le persone con cui il nuovo contagiato ha avuto contatti stretti nel periodo in cui era potenzialmente già contagioso. Tutte queste persone devono essere messe immediatamente in isolamento e successivamente devono essere sottoposte a tampone. Poiché il tempo di incubazione può arrivare fino a due settimane, con un valore mediano di circa cinque giorni se si facesse loro il tampone troppo presto rischieremmo di avere molti falsi negativi. Le regole che sono state fissate dalle Autorità sanitarie cercano di stabilire un ragionevole compromesso tra la necessità di limitare i disagi delle persone sottoposte ad isolamento preventivo e l’individuazione del maggior numero possibile di nuovi positivi.

Qui nasce il primo problema pratico: una persona anziana è probabilmente più disposta a subire i disagi dell’isolamento dopo un possibile (ma non certo) contagio perché rischia di più dal punto di vista sanitario ed è cosciente del fatto che una rapida diagnosi di positività potrebbe essere fondamentale per il decorso futuro della malattia. Viceversa una persona giovane ed in buone condizioni generali di salute potrebbe valutare come preponderanti i disagi dell’isolamento rispetto ad un rischio sanitario trascurabile e cercare di eludere l’isolamento anche se questo comporta un serio rischio di trasferire l’eventuale contagio ad altri. Questa potrebbe essere una delle ragioni che spiega la scarsa adesione al sia pur blando programma di tracciamento basato sull’app IMMUNI. In regimi come quello cinese i cittadini sono costretti ad aderire a rigidi controlli e – a quanto pare – i sistemi di tracciamento funzionano molto meglio che da noi.

Aldilà di IMMUNI che da sola comunque serve a poco (soprattutto se i dati non vengono elaborati come succedeva in Veneto fino a pochi giorni fa) un secondo elemento da considerare è legato alle tecnologie utilizzate per le operazioni di tracciamento. Spesso ci si affidata a pratiche sostanzialmente manuali, supportate al massimo da qualche foglio Excel. In realtà si potrebbe raggiungere una maggiore capacità di tracciamento facendo affidamento su sistemi informativi adeguati che sfruttino le potenzialità dell’intelligenza artificiale e che siano efficacemente connessi a tutti le basi dati da cui può essere necessario attingere informazioni. Una analisi dei dati geo-referenziata sarebbe molto utile per monitorare in tempo reale l’evoluzione della pandemia su base territoriale, evidenziando eventuali criticità prima che diventino troppo grandi. Per fare queste cose ci vogliono competenze tecniche, investimenti e tempo. Si sarebbe potuto fare approfittando della tregua estiva, ma non mi pare che sia stato fatto.

Un ulteriore problema pratico deriva dalla limitata capacità di fare tamponi e di fornire le risposte in tempi brevi rispetto al momento in cui se ne manifesta la necessità, ovvero quando una persona presenta i possibili sintomi da Covid-19 oppure dopo un numero prefissato di giorni di isolamento preventivo. In piena estate quando i reparti Covid erano quasi vuoti e non c’erano i falsi allarmi legati alle malattie stagionali, il carico del sistema era esiguo e non ci sono stati grossi problemi. L’arrivo dell’autunno, anche se non abbiamo ancora visto gli effetti dell’epidemia influenzale, ha comunque fatto crescere fortemente il numero di coloro che manifestano sintomi simil-Covid. Basta vedere cosa sta succedendo con gli studenti. Una breve assenza e qualche linea di febbre sono sufficienti per far scattare l’allarme (spesso falso) con lunghe liste d’attesa prima di poter fare il tampone. Nel frattempo, nei casi in cui si tratti effettivamente di Covid-19 tutta la famiglia rischia il contagio e siccome gli altri familiari continuano le loro normali attività fino a che non arriva il risultato del tampone, il rischio di portare il contagio anche al di fuori della famiglia è elevatissimo. Che ci fosse questo problema legato alla stagione era noto da sempre. Che sia stato fatto qualcosa per prevenirlo, non mi risulta.

In conclusione, i limiti delle operazioni di tracciatura possono essere legati a diversi fattori: a) la tendenza di molti ad eludere l’isolamento preventivo, b) la mancanza di strumenti tecnologici adeguati e di di personale in grado di gestirli c) l’inadeguatezza del sistema di analisi dei tamponi che non è in grado di fornire le risposte rapide di cui avremmo bisogno. Non è un caso che attualmente l’ottanta per cento dei focolai scoperti sia localizzato a livello familiare. Si tratta infatti dei focolai che sono più facili da individuare anche senza disporre di un sistema di tracciamento particolarmente efficace. I contagi familiari fanno certamente da amplificatore del virus, ma gli inneschi di questi contagi sono largamente sconosciuti.

Arrivati a questo punto, non ci rimane che stare il più possibile distanti gli uni dagli altri.




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