Mentre ormai tutta Europa si sta ponendo la “marzulliana” domanda “abbiamo troppi contagi perché non riusciamo a tracciarli o non riusciamo a tracciarli perché ne abbiamo troppi?” ed in attesa che forme più o meno strette di lockdown vengano progressivamente introdotte (magari chiamandole con un nome diverso) vale la pena di vedere quali siano i limiti attuali delle politiche di tracciamento. Perché – come ho già scritto in vari post precedenti – in un modo o nell’altro anche questa seconda ondata si esaurirà e, a meno che nel frattempo non siano diventati disponibili su larga scala un vaccino o cure efficaci, dovremo comunque porci il problema di evitare che ne arrivi una terza (parliamo di inizio 2021 per intenderci).
Uno dei punti su cui vorrei soffermarmi in questo post è quello legato alla disponibilità di dati epidemiologici geo-localizzati. Al di fuori del gergo tecnico, significa conoscere in dettaglio non solo dove si trovano le persone attualmente positive (il Comune di residenza o per le Città più grandi il quartiere in cui abitano), ma avere ulteriori informazioni relative al luogo in cui passavano parti significative della loro giornata prima del contagio. Ad esempio, la Scuola frequentata se sono studenti o il luogo di lavoro per chi svolge un’attività lavorativa.
Se consideriamo il Comune di Trento (quasi il 20% degli abitanti di tutto il Trentino) oggi conosciamo solo quante sono le persone residenti attualmente positive ed il numero dei nuovi contagi giornalieri. Decisamente troppo poco per capire cosa stia effettivamente accadendo. Non sappiamo nulla rispetto ad dettaglio dei contagi, ad esempio se ci siano significative differenze tra le diverse Circoscrizioni cittadine. Senza contare che non abbiamo idea di quante siano le persone contagiate che risiedono in altri Comuni del Trentino, ma che a Trento passavano una parte consistente della loro giornata per motivi di studio o di lavoro. E non sappiamo nulla neppure dei viaggi che queste persone facevano abitualmente e quindi del possibile ruolo dei trasporti pubblici nel processo di diffusione del virus.
Ovviamente non possiamo pensare di raccogliere e analizzare questo tipo di dati manualmente usando un banale foglio Excel. I numeri di una città come Trento non sono tali da poter parlare rigorosamente di Big Data, ma ci siamo vicini. Elaborare i dati sui contagi e visualizzarli sotto forma di opportune mappe geografiche ci può permettere di capire meglio se esistano particolari criticità localizzate. Questa sarebbe un'informazione essenziale per decidere di applicare eventuali forme di lockdown più severo a limitate aree geografiche o a particolari settori di attività. Quando finalmente il livello dei nuovi contagi sarà riportato sotto controllo, le mappe dei contagi potranno continuare a servire in funzione preventiva se decidessimo di adottare tecniche di “pooling” per testare un gran numero di persone con un numero relativamente ridotto di analisi molecolari.
Vorrei sottolineare che la mia proposta non è per nulla innovativa. Non c’è nulla di straordinario rispetto a quello che correntemente si fa già in Paesi come la Cina, la Corea del Sud o il Giappone. Tra l’altro il Trentino ha all'interno della sua Università e dei suoi Centri di ricerca numerosi esperti che potrebbero aiutare a scegliere le soluzioni tecnologiche migliori sia in termini di effettiva disponibilità che di contenimento dei costi. Mi meraviglio che nessuno si sia mai preoccupato di muoversi in questa direzione.
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