La domanda è quantomai attuale alla luce delle discussioni e delle proteste che hanno accompagnato l’introduzione di nuove limitazioni alla libera circolazione delle persone in diversi Paesi europei tra cui l’Italia. In questo momento di grande circolazione del virus, i sistemi di tracciamento dei contagi sono in affanno (anche se c’è da dire che in talune Regioni/PPAA sono in affanno da sempre!) e mancano dati oggettivi su cui basare le valutazioni relative alle probabilità di contagio. Succede così che qualsiasi provvedimento venga accolto con valutazioni del tipo: “perché proprio a me, guarda piuttosto altre situazioni che sono molto più pericolose”. In mancanza di riscontri scientifici affidabili, le risposte sono talvolta basate su valutazioni “spannometriche” facilmente contestabili.
Vediamo allora di fare un po’ di chiarezza sull’argomento cercando di ricordare alcuni punti base. Concluderò con una proposta operativa che – secondo il mio parere – potrebbe essere di grande aiuto in questo particolare momento:
- Inconsapevolmente tendiamo a illuderci che parenti ed amici non siano mai infettivi. Ovviamente quando il virus circola in modo diffuso, la probabilità di trovare un infettivo nella cerchia dei nostri contatti più stretti non è diversa rispetto a qualsiasi altra persona. Pensare che parenti e amici non possano essere contagiosi è un pregiudizio che ci potrebbe costare molto caro.
- Il fatto che l’Istituto Superiore di Sanità dichiari che attualmente la grandissima maggioranza dei contagi avvenga in ambito familiare è solo un pezzo di verità. Andrebbe specificato “dei contagi che riusciamo a tracciare”. Non ci vuole una grande organizzazione per tracciare i contagi che avvengono in ambito familiare (basta collegarsi ai dati dell’Anagrafe comunale). Il vero problema è che oggi ci sfuggono le cause che innescano i focolai familiari che sono soltanto l’ultimo anello di una catena di cui sappiamo molto poco.
- La maggioranza dei contagi fortuiti avviene a causa della trasmissione del virus per via aerea e dipende sostanzialmente da fattori bio-medici (carica virale della persona infetta, presenza di sintomi come la tosse, ecc.) e da fattori fisici (distanza tra le persone, presenza di impianti di trattamento dell’aria e areazione dei locali chiusi, uso corretto della mascherina, ecc.).
- I contagi diretti (ad esempio, baci, uso comune di bicchieri o posate, bere a collo dalla stessa bottiglia) sono tipici della sfera familiare o degli amici più cari. Mentre le Scuole Superiori passano alla didattica a distanza e si limitano gli orari dei bar, vediamo ragazzi che si ritrovano al parco bevendo a collo dalla stessa bottiglia. Mi sembra un tipico esempio dell’incoerenza (o se preferite dell’incompletezza) di talune norme.
- I contagi indiretti (portare le mani alla bocca o toccarsi gli occhi dopo aver toccato una superficie contaminata da una persona infettiva) sono possibili, ma sono meno probabili rispetto ai casi riportati nei punti precedenti. Igienizzare o lavare frequentemente le mani è sufficiente per ridurre drasticamente le probabilità di contagio. Molti articoli scientifici apparsi sull'argomento non tengono conto del fatto che le tecniche analitiche più frequentemente utilizzate non distinguono virus integri (capaci di infettare) da frammenti di virus (non pericolosi). Il fatto che analizzando una superficie contaminata si trovi un segnale positivo non dimostra necessariamente che toccando quella stessa superficie ci sia una significativa probabilità di essere infettati. Tutto dipende dal tempo che è trascorso dal momento della contaminazione e dalle condizioni ambientali (temperatura, presenza di luce solare, umidità, ecc.). E comunque è sempre bene lavarsi le mani.
- Riassumendo, la probabilità di contagio è massima quando stiamo molto vicini a tante persone (parenti e amici compresi) per lungo tempo, in ambienti chiusi poco aerati e non indossiamo la mascherina. Bar e ristoranti sono fortemente indiziati come centri di diffusione del contagio perché ovviamente non si può mangiare e bere con la mascherina addosso. Le norme di distanziamento introdotte (il famoso metro, frutto di un compromesso politico piutosto che di una seria valutazione scientifica) possono forse bastare all'aperto sotto il sole estivo, ma dubito fortemente che al chiuso forniscano effettive garanzie di limitazione del contagio. Quanto ai mezzi pubblici, spesso si vedono foto di code alle fermate dove i passeggeri si accalcano in attesa dell'arrivo dei mezzi. Oviamente, una attesa in coda di 10 minuti è molto più pericolosa della attesa di poche decine di secondi. Semplici azioni come quella di attivare fermate separate per le diverse linee, eviterebbero inutili assembramenti. Quanto poi al viaggio, bisognerebbe limitare uteriormente i posti a disposizione (e controllare che il limite sia rigorosamente rispettato). Sarebbe anche utile dotare tutti i mezzi di trasporto pubblico di efficaci sistemi di sanificazione dell'aria, soprattutto considerando che in inverno - almeno in Trentino - non è raccomandabile viaggiare con i finestrini aperti.
- Se volessimo avere informazioni più precise sull'origine dei contagi dovremmo affidarci alle analisi del cosiddetto "tracciamento". Purtroppo non sfruttiamo abbastanza (anzi non le usiamo quasi mai) le tecnologie basate sull’Intelligenza Artificiale e sui cosiddetti Big Data che potrebbero essere di grande aiuto in questo tipo di ricerca. Purtroppo siamo fermi ad un sistema “analogico” del tutto simile come struttura ad un “call center”. Molte azioni ripetive (incluso anche il monitoraggio delle condizioni delle persone messe in isolamento o quarantena) potrebbero essere parzialmente automatizzate utilizzando semplici dispositivi ed un adeguato supporto informatico.
- Altrettanto importante è l’utilizzo delle analisi geo-referenziate, senza le quali anche il discorso dei famosi lockdown “chirurgici” perde di significato. In Cina queste informazioni sono disponibili a livello di blocco di edifici. Non ho mai visto, ad esempio, una analisi della diffusione dei contagi nei diversi quartieri di Trento o Rovereto, mentre conosciamo i dettagli dei mini Comuni con poche centinaia di abitanti.
- Le carenze delle operazioni di tracciamento non dipendono solo dalla mancanza di personale (che è un problema oggettivo), ma soprattutto dalla mancanza di tecnologie adeguate e dai ritardi nella esecuzione delle analisi di positività. C’è un problema - a livello di dirigenza sanitaria – di scarsa consapevolezza delle opportunità offerte dalle nuove tecnologie. Anche se non siamo la Corea del Sud potremmo fare molto meglio rispetto a quanto siamo riusciti a fare fino ad oggi.
- Parliamo infine di IMMUNI, un tentativo sostanzialmente fallito di utilizzare strumenti semplici e di uso comune (smartphone) per rendere più agevoli le operazioni di tracciamento. Dopo un’estate in cui alcuni politici ed “esperti” di varia estrazione sparavano a palle incatenate contro IMMUNI accusandola di inesistenti violazioni della nostra privacy, oggi sembra che ci sia un approccio un po’ più confidente da parte di un maggior numero di persone. Indipendentemente dal fatto che il numero dei contagi identificati tramite IMMUNI sia più o meno grande, il vantaggio di IMMUNI è quello di identificare gli eventi indipendentemente dal luogo in cui avvengono e senza che le persone coinvolte necessariamente si conoscano. IMMUNI vede anche eventi che difficilmente possono essere identificati con i metodi "analogici" del tracciamento tradizionale (pensate, ad esempio, ai contagi che avvengono sui mezzi di trasporto). Oltre nove milioni di italiani hanno scaricato IMMUNI, ma non è detto che tutti l’abbiano attivata. Supponiamo – solo per fare i calcoli nel modo più semplice possibile – che il numero di cellulari in circolazione con IMMUNI attiva sia pari a 6 milioni, il 10% della popolazione italiana. La probabilità che un contagio coinvolga due persone, ambedue con IMMUNI attiva è piuttosto bassa: solo l’uno per cento dei casi, troppo pochi per aiutare il contact tracing, ma abbastanza per capire come sono avvenuti i contagi. Supponiamo che ogni giorno si identifichino 20.000 nuovi contagi. Di questi l’1%, ovvero 200 casi dovrebbero statisticamente riguardare coppie di persone (infetto/contagiato) che avevano IMMUNI attiva. Parliamo ovviamente di un numero medio basato sull'ipotesi che le Autorità sanitarie territoriali non buttino i dati di IMMUNI nel cestino. Nell’arco di una decina di giorni questo equivale ad avere circa 2.000 casi caratterizzabili tramite IMMUNI. Basterebbe intervistare queste persone (diciamo almeno la metà di loro) integrando le scarne informazioni prodotte da IMMUNI per ricostruire luogo e modalità del contagio (bar, ristorante, mezzo di trasporto, scuola, funzione religiosa, riunione familiare, ecc. ecc.). Come dicevo prima, pochi casi per aiutarci a spegnere la progressione del virus, ma abbastanza per capire come è avvenuto il contagio. La mia proposta è semplicissima, si può realizzare immediatamente, fornirebbe risposte celeri e non ha neppure un costo particolarmente elevato. L'ISTAT, ad esempio, saprebbe fare questo lavoro molto bene, ammesso che qualcuno glielo chieda. Finché il livello dei contagi non scenderà e auspicando che sempre più persone attivino IMMUNI sul loro cellulare, potremmo avere un monitoraggio statisticamente significativo. E finalmente, invece di discutere a vuoto e di assistere al rimpallo di responsabilità di tutti contro tutti, avremmo un minimo di base scientifica su cui fare le nostre valutazioni.
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