I provvedimenti di contenimento della circolazione del virus che sono stati adottati ieri per Cembra Lisignago trasformano il piccolo Comune trentino in una sorta di "zona rosé". Si tratta - a mio parere - di un classico esempio di quello che potrebbe essere definito "chiudere la stalla a buoi scappati".
A circa un mese dall'innesco del focolaio, dopo che il contagio è ormai diventato sostanzialmente un "affare di famiglia" intervenire con una serie di misure non particolarmente severe e limitate sostanzialmente alla vita pubblica del piccolo Comune può produrre un qualche beneficio, ma ormai il grosso del danno è fatto e non è più rimediabile. Rimane alto il rischio di esportazione del contagio ad altri Comuni del Trentino perché comunque gli abitanti di Cembra Lisignago sono liberi di muoversi, sia pure con qualche limitazione, senza essere stati sottoposti ad uno screening abbastanza esteso per fornirci la dimensione reale del contagio (asintomatici inclusi).
Che dire poi della indicazione data agli ultra-settantenni di limitare al minimo indispensabile le interazioni con le altre persone. Visto che continueranno ad avere contatti con i familiari e che il grosso dei contagi avviene a livello familiare, mi sembra che la prescrizione non sia particolarmente utile. C'è solo da sperare che, considerato il tempo passato rispetto al momento di innesco del focolaio, il virus abbia ormai fatto il suo lavoro, arrivando fin dove poteva arrivare e che non ci siano ulteriori contagi, specialmente tra le persone più fragili.
L'unico effetto pratico dello stato di "allerta rosé" è quello di evitare che nel Comune si svolgano altre feste di laurea simili a quella che è stata all'origine del focolaio. Ma credo che questo l'avessero ben capito tutti a Cembra Lisignago, senza attendere le prescrizioni delle Autorità sanitarie provinciali.
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