mercoledì 21 ottobre 2020

La fisica del contagio: il ruolo delle mascherine

Prima dell'arrivo della pandemia di Covid-19 la rivista Physics of Fluids era nota solo ad una ristretta cerchia di addetti ai lavori. Ma poi molti hanno incominciato a interessarsi di droplets e aerosol ed al lavoro dei numerosi gruppi di ricerca che studiano il meccanismi di propagazione del virus per via aerea. Ed ecco che temi che prima interessavano solo i fisici e gli ingegneri, improvvisamente sono diventati di interesse generale e non è infrequente leggere sui quotidiani rilanci dei numerosi articoli dedicati alla fisica del contagio che appaiono su Physics of Fluids ed altre riviste similari.

Qui riporto i collegamento a due articoli recenti che mi sembrano particolarmente interessanti. Il primo articolo: 

A. Agrawal and R. Bhardwaj "Reducing chances of COVID-19 infection by a cough cloud in a closed space", Physics of Fluids, 32, 101704, (2020), DOI: 10.1063/5.0029186

è stato appena pubblicato e descrive uno studio dove si dimostra come le mascherine (se correttamente indossate) possano ridurre sensibilmente la dispersione di particelle virali in caso di tosse. Questo lo sapevamo già, ma ora sono disponibili anche informazioni quantitative. In particolare, le mascherine N95 (quelle che in Europa vengono chiamate FFP2) riducono l'emissione del virus di oltre un fattore 20 rispetto a chi non indossa la mascherina. La riduzione si ha anche indossando una semplice mascherina chirurgica, ma in questo caso l'effetto è più limitato (riduzione di un fattore pari a circa 7).

Ma l'articolo che personalmente ho trovato più interessante risponde ad una domanda che molti ci siamo posti: "perché le mascherine FFP2 non si possono lavare e riutilizzare?":

E. Hossain et al., "Recharging and rejuvenation of decontaminated N95 masks", Physics of Fluids, 32, 093304, {2020}, DOI: 10.1063/5.0023940

La risposta è molto semplice: il livello di filtraggio elevato delle mascherine FFP2 (95%) è garantito non solo da fattori di tipo meccanico, ma - soprattutto per le particelle più piccole - dalle proprietà elettrostatiche di uno degli strati interni della mascherina. In pratica le particelle più piccole vengono attratte grazie ad un campo elettrico locale che è legato al particolare tipo di materiale utilizzato. Più o meno è lo stesso effetto che usano i bambini quando si divertono a sollevare piccoli pezzi di carta dopo aver fregato l'involucro di plastica di una penna sulla manica. L'uso continuato della mascherina in ambienti particolarmente umidi o addirittura il lavaggio in lavatrice disperdono la carica elettrostatica presente nello strato intermedio della mascherina, riducendo drasticamente le sue proprietà filtranti. A questo punto bisogna buttare la mascherina e sostituirla con una nuova, con i conseguenti problemi di smaltimento. 

C'è comunque una strada alternativa. Sottoponendo la mascherina lavata ad un campo elettrico elevato si può ricostruire la carica elettrostatica originale riportando la capacità filtrante della mascherina ai valori iniziali. Non è una pratica consigliabile per chi si diletta di fai-da-te perché servono differenze di potenziale elevate (confrontabili con quelle che si usavano una volta all'interno dei tubi catodici dei televisori, prima dell'avvento degli schermi piatti). Ma si può fare ed in linea di principio è anche possibile pensare ad una nuova generazione di mascherine "intelligenti" che possano rigenerare la carica elettrostatica interna grazie ad un circuito dedicato e sicuro per l'utilizzatore. In termini ambientali sarebbe un progresso enorme e ridurrebbe anche i costi per l'uso delle mascherine.












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