giovedì 15 ottobre 2020

Lockdown si, no, forse! Vediamo i numeri

Si rincorrono sui mezzi di informazione le dichiarazioni rispetto all’attivazione di un possibile nuovo lockdown, sulla falsariga di quanto già avvenuto in Israele e di quanto potrebbe avvenire a breve in Paesi vicini a noi. Molti dei discorsi che ho sentito partono da visioni che mettono a fuoco solo una parte del problema (sia per invocare il lockdown che per negarne la necessità). Scegliere di effettuare un nuovo lockdown generalizzato (simile a quello fatto a partire dal 10 marzo) è una scelta estrema. Facendo il paragone con un incendio, dopo che falliscono tutti i tentativi di spegnere i singoli focolai, si chiamano i Canadair che spargono acqua ovunque, anche dove non sarebbe strettamente necessaria.

Ma prima di chiamare i Canadair, si cerca appunto di spegnere i focolai che è esattamente il punto debole delle attuali pratiche di contenimento della circolazione dei virus. Troppo spesso i focolai vengono individuati solo dopo che hanno raggiunto notevoli dimensioni e si fa poco o nulla per contenere la diffusione del virus a livello familiare. Aldilà della retorica patriottarda che si innesca appena esce sulla stampa estera qualche articolo che loda la gestione della pandemia in Italia, ci sarebbero molte cose da dire a proposito delle cose non fatte durante l’estate e degli errori che fatalmente stiamo ripetendo (ad esempio, aver attenuato le difese intorno ai punti più critici come le RSA).

In questo post vorrei soffermarmi sui numeri attuali cercando di capire cosa ci dicono a proposito della necessità di futuri lockdown. Partiamo appunto dai numeri che arrotondo per fare i conti semplici: 7.000 nuovi contagi giornalieri e 70.000 persone attualmente positive (parlo ovviamente del dato complessivo nazionale). Cosa significa in termini di nuovi tamponi da fare? Supponiamo che gli attualmente positivi siano sottoposti a tampone con cadenza settimanale per verificare se siano tornati virologicamente negativi. Sono, solo per questo tipo di controllo, circa 10.000 tamponi da fare mediamente ogni giorno. Ma il carico di lavoro maggiore deriva dall’opera di controllo dei contatti stretti delle persone riconosciute come positive, attività fondamentale per interrompere la catena dei contagi. Quante sono le persone da verificare per ogni nuovo contagio? Diciamo mediamente 10, anche se il numero può subire ampie fluttuazioni. Il nonno che è stato contagiato dal nipote, non ha probabilmente molti contatti sociali e, al massimo, può infettare la badante. Una persona giovane che frequenta luoghi affollati (aule scolastiche, alcuni ambienti di lavoro, bar, ristoranti, palestre, mezzi di trasporto pubblico, ecc.) di contatti stretti ne potrà avere anche molti più di 10. Diciamo che 10 è una stima del valore medio. Da qui segue che ogni giorno, ammesso di riuscire a ricostruire tutti i contatti dei nuovi contagiati, ci troveremmo davanti una lista di 70.000 persone da mettere immediatamente in isolamento e da controllare successivamente (tipicamente dopo 4-5 giorni) con il tampone. Vedete che tra controllo delle persone virologicamente positive e tracciatura dei nuovi contagiati ci vorrebbero già 80.000 tamponi al giorno. E poi ce ne vogliono molti altri ancora per verificare lo stato di salute dei viaggiatori che rientrano da Paesi ad alta circolazione del virus, per verificare le condizioni dei pazienti che vengono ricoverati negli ospedali, degli alunni che rientrano a Scuola dopo una semplice influenza, per effettuare controlli preventivi sui lavoratori a rischio, ecc., ecc.. Capite che con una capacità di fare tamponi che corrisponde ad una media giornaliera (calcolata su tutto l’arco della settimana) di poco più di 100.000 tamponi i margini di manovra sono piuttosto esigui. La coperta è corta e in alcune Regioni cortissima. Il rischio è quello di tornare alle condizioni di marzo quando si facevano i tamponi solo alle persone che si presentavano negli ospedali con sintomi seri (tra il 5 ed il 10% dei contagiati) e lasciare che tutti gli altri circolino liberamente. A questo punto, complice anche il ritorno della stagione fredda, il numero dei contagi crescerà inesorabilmente.

Se la pandemia dilaga non bastano le mascherine per fermarla. Le mascherine sono molto utili, ma quando troppe persone potenzialmente contagiose sono libere di circolare, appena abbassi la mascherina ti ritrovi con il virus nelle vicinanze. In tali condizioni, per riportare l’indice di trasmissione del contagio a valori accettabili (minori di uno) l’unica cosa da fare è quella di tenere le persone il più possibile distanti le une dalle altre. Ed ecco che il lockdown diventa l’unica soluzione praticabile. L’alternativa (su cui esistono comunque molti e qualificati dubbi) è quella di lasciare che la Natura faccia il suo corso, ma dobbiamo essere pronti a pagare un enorme carico di lutti e di danni sanitari che, come sappiamo, possono colpire a lungo termine anche le persone tornate virologicamente negative.

I provvedimenti che il Governo nazionale ha adottato recentemente cercano di incidere sui processi in atto riducendo la circolazione del virus. Non sono – a mio avviso – sufficienti anche se mi rendo conto della difficoltà politica di imporre misure più restrittive. Qualcuno sostiene che l’unica vera utilità sia quella di predisporre psicologicamente i cittadini all’arrivo di misure più severe aiutando tutti a comprendere quanto fossero fallaci le promesse di inizio estate di chi dichiarava che il virus avesse fatto harakiri.

Sento anche parlare spesso di lockdown localizzati ovvero limitati ad alcuni territori circoscritti. In varie parti d’Italia sono stati fatti con risultati più o meno positivi. Se si fanno tardivi e finti lockdown come è successo recentemente in Trentino servono a poco. E comunque i lockdown "chirurgici" sono veramente utili solo quando la pandemia ha ancora una struttura granulare ed è concentrata in pochi focolai. Purtroppo oggi siamo in uno stato di circolazione diffusa ed è difficile che si possano trarre sostanziali benefici da provvedimenti che non coprano almeno la dimensione provinciale. Inoltre, qualsiasi sia la dimensione territoriale, il tempo non è una variabile indipendente. Se il lockdown arriva troppo tardi gli effetti benefici saranno minori e ci metteranno più tempo per manifestarsi.

In conclusione: siamo ormai discendendo fatalmente verso severe forme di lockdown che – prima o poi – arriveranno anche in Italia? Probabilmente si, anche se – a mio parere - c’è ancora un margine sia pure esiguo di manovra. Non credo che risolveremo il problema con la tracciatura dei contagi (non ci siamo riusciti fino ad oggi e non vedo come potremmo riuscirci nelle prossime settimane), ma se di fronte al fallimento delle politiche pubbliche ci fosse una forte presa di coscienza da parte dei cittadini forse avremmo ancora delle carte da giocare. Mi riferisco in particolare alla maggiore attenzione che tutti noi dovremmo porre non solo all’uso corretto della mascherina, ma anche alla necessità di mantenere le distanze. Senza che lo vieti lo Stato con norme tanto dettagliate quanto inefficaci, dovremmo ridurre al minimo indispensabile le occasioni di incontro con le altre persone, salvaguardando solo quelle veramente essenziali (la Scuola, ad esempio). Un sacrificio relativamente piccolo fatto oggi potrebbe evitarci (o ridurre in modo sostanziale) i forti sacrifici che potremmo essere costretti a fare domani.

Riusciremo tutti noi a capirlo e a comportarci di conseguenza? Ah saperlo! 

Per approfondimenti:
 
C.R. MacIntyre "Case isolation, contact tracing, and physical distancing are pillars of COVID-19 pandemic control, not optional choices", Lancet Infect Dis, Vol. 20, P1105-1106, October 01, 2020; DOI:https://doi.org/10.1016/S1473-3099(20)30512-0

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