L'antico motto popolare mi sembra adatto per descrivere il momento che stiamo attraversando. Ormai è evidente a tutti che è in atto una rapida ripresa della circolazione del virus e che - in assenza di azioni incisive - c'è il rischio di tornare a situazioni di forte criticità. Qualsiasi azione di tipo sanitario va comunque inquadrata anche dal punto di vista sociale ed economico e non è facile trovare il migliore punto di equilibrio.
Pur tenendo conto delle oggettive difficoltà che devono affrontare i decisori politici, rimango sempre stupefatto rispetto alla leggerezza con la quale molti sembrano essere pronti a rinviare le decisioni, illusi che qualche giorno di riflessione in più non possa nuocere. Già lo scorso marzo avevo scritto un post nel quale discutevo di come "il tempo non fosse una variabile indipendente". Mi illudevo che questo fosse un concetto ormai condiviso, ma evidentemente mi sbagliavo.
Qui provo a riprendere alcuni dei concetti anticipati nel vecchio post di marzo, integrandoli con alcune informazioni che sono riferite al momento attuale. Procedendo con ordine, vediamo quali sono i parametri temporali principali che governano la progressione della pandemia:
- Attualmente il tempo di raddoppio dei nuovi contagi in Italia è pari a circa una settimana (circa il doppio di quanto avveniva a inizio marzo). C'è stata una forte accelerazione a partire da inizio ottobre, anche se al momento non sappiamo con precisione quali siano le cause scatenanti (apertura delle Scuole, ritorno della stagione fredda?).
- Il tasso di positività dei tamponi (dato medio nazionale) oscilla attualmente intorno al 7% (con fortissime differenze a livello regionale). Se l'andamento del numero di nuovi contagi dovesse continuare secondo l'attuale tendenza, in meno di un mese arriveremmo ad un livello di nuovi contagi giornalieri pari a 10 volte quelli attuali. Da un punto di vista pratico, significa che saremmo costretti a sottoporre a tampone solo i pazienti che manifestano i sintomi più gravi, esattamente come succedeva nel mese di marzo.
- Il tempo che passa tra il contagio e la comparsa degli (eventuali) sintomi (tempo di incubazione) può variare da due fino a 14 giorni, con un valore mediano (tempo entro cui si manifesta il 50% dei casi) pari a poco più di 5 giorni.
- Il tempo durante il quale una persona virologicamente positiva è fortemente contagiosa per le persone suscettibili (che non hanno difese immunitarie specifiche per il SARS-CoV-2) varia fortemente a seconda dello stato del paziente e delle sue condizioni. Secondo quanto si legge in numerosi articoli scientifici, il picco della contagiosità potrebbe manifestarsi a partire da un paio di giorni prima della comparsa di sintomi (un discorso a parte andrebbe fatto per gli asintomatici che sono comunque un potenziale veicolo di contagio). Un paziente virologicamente positivo messo in rigido isolamento con adeguate protezioni con le
poche persone che gli sono vicine è, dal punto di vista pratico, un paziente a
ridotta contagiosità. Il fatto che il contagio possa avvenire durante un arco di tempo più o meno ampio porta come diretta conseguenza ad una dilatazione dei tempi di trasferimento del contagio che si aggiunge al tempo di incubazione necessario per riconoscere i nuovi contagiati.
- Qualsiasi azione intrapresa oggi, farà vedere i suoi effetti dopo circa due settimane proprio a causa dell'esistenza dell'intervallo di contagiosità e del tempo di incubazione. Forse ricorderete le discussioni che avvenivano a marzo quanto attendevamo con ansia di vedere il "picco" dei contagi dopo che venne introdotto il lockdown generalizzato. Solo a metà aprile, analizzando i dati giornalieri e mediandoli per le inevitabili fluttuazioni statistiche è stato possibile confermare che il famoso "picco" era avvenuto intorno al 25 marzo, ovvero circa due settimane dopo l'inizio del lockdown.
- Una volta che viene raggiunto il massimo dei contagi, non è affatto detto che la successiva discesa sia veloce quanto la salita che l'ha preceduta. Paradossalmente se le azioni correttive intraprese portassero l'indice di trasmissione del contagio R ad un valore prossimo ad uno, il livello dei contagi si manterrebbe stabile nel tempo (che è comunque sempre meglio rispetto ad una situazione di rapida crescita).
- Nei casi più gravi, il tempo che passa tra la comparsa dei sintomi ed il decesso è pari (valore mediano) a 12 giorni. Questo dato è stato elaborato dall'Istituto Superiore di Sanità analizzando i decessi avvenuti durante l'intero arco dell' epidemia. Non è disponibile una analisi degli eventi avvenuti dall'inizio di settembre in poi. Il miglioramento dei protocolli di cura potrebbe aver allungato questo tempo, ma questa è solo una mia ipotesi tutta da verifcare.
- Il numero assoluto dei decessi non dipende dal numero complessivo dei nuovi contagi (sia pure con i 12 giorni mediani di ritardo), ma soprattutto dalla distribuzione per età dei contagiati. I contagi estivi riguardavano principalmente soggetti giovani ed in buona salute. Con un ritardo di circa due settimane tali contagi sono stati estesi alle persone di mezza età (tipicamente i genitori dei giovani vacanzieri) e con altre due settimane di ritardo (valore grossolanamente indicativo, naturalmente) il contagio è arrivato alle generazioni più anziane (nonni). Quando è arrivato nelle RSA il costo in vite umane è salito vertiginosamente. Comunque, nell'arco di un paio di mesi, abbiamo visto come i comportamenti estivi da "liberi tutti" abbiano prodotto il loro effetto di lungo periodo sui decessi delle persone più fragili.
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