martedì 17 agosto 2021

Un primo possibile segnale sull'effetto della terza dose in Israele

Israele ha iniziato la somministrazione di massa della terza dose vaccinale alla fine dello scorso mese di luglio. Inizialmente prevista sopra la soglia dei 60 anni, la terza dose è state recentemente resa accessibile anche ai cinquantenni. Attualmente, oltre la metà dei cittadini israeliani con almeno 60 anni ha già ricevuto la terza dose.

Le statistiche diffuse quotidianamente dal Ministero della salute israeliano (purtroppo le statistiche ufficiali del Governo israeliano sono disponibili solo in lingua ebraica e non c'è una versione inglese, ma usando un traduttore automatico - ad esempio, quello di Google - è facile tradurre i documenti in italiano) non forniscono ancora informazioni specifiche sui contagi di chi ha ricevuto le tre dosi vaccinali. Tutti i dati fin qui disponibili sono suddivisi in tre categorie: non vaccinati, coloro che hanno ricevuto solo la prima dose vaccinale e coloro che hanno ricevuto (almeno) due dosi vaccinali. 

Tuttavia, sapendo che oltre la metà di coloro con 60 o più anni che erano stati completamente vaccinati hanno già ricevuto il terzo richiamo, possiamo ottenere una prima grossolana informazione sull'efficacia della terza dose  osservando cosa sta succedendo ai cittadini israeliani di età 60+. 

A tal fine ho provato a rappresentare su un grafico l'andamento del rapporto tra il numero di pazienti 60+ non vaccinati e quelli completamente vaccinati (almeno due dosi) che si trovano ricoverati in condizioni classificate come "gravi" nei reparti Covid degli ospedali israeliani. Ricordo che la definizione di casi "gravi", secondo lo standard israeliano, copre circa la metà dei ricoveri ospedalieri Covid e comprende casi che in Italia sarebbero classificati come "terapia intensiva, "alta intensità" ed, in parte, "media gravità". Prima di calcolare il rapporto, i due dati sono stati normalizzati rispetto alla dimensione delle rispettive popolazioni:

Rapporto tra non vaccinati e vaccinati di età maggiore o uguale a 60 anni che si trovano ricoverati in condizioni "gravi" nei reparti Covid degli ospedali israeliani. Prima di calcolare il rapporto, i dati sono stati normalizzati rispetto al numero di abitanti che si trovano nelle due diverse condizioni vaccinali. La linea rossa è un fit parabolico senza alcuna pretesa di carattere predittivo

L'ultimo dato disponibile (17 agosto) ci dice che i pazienti gravi non vaccinati sono 174 per ogni 100 mila israeliani di età uguale o superiore a 60 anni. Per coloro che hanno ricevuto due (o tre) dosi vaccinali, si contano 21,3 ricoverati "gravi " per ogni 100 mila abitanti. Il rapporto tra questi due dati corrisponde al valore 8,2 mostrato in figura (ultimo punto rosso in alto a destra). 

Per confronto, può essere utile ricordare che alla fine dello scorso mese di maggio (prima dell'arrivo della variante Delta e in un momento più vicino rispetto alla vaccinazione) il valore di tale rapporto era pari a circa 100, ovvero i ricoverati gravi erano praticamente solo non vaccinati. Qui di seguito riporto l'andamento del rapporto mediato su base settimanale da fine maggio fino ad oggi:

La figura mostra - su scala semi-logaritmica - l'andamento dei casi di ricovero classificati come "gravi" (linea verde) che hanno riguardato cittadini israeliani con almeno 60 anni d'età, da fine maggio fino ad oggi. La linea rossa rappresenta il rapporto tra la densità di ricoveri "gravi" che hanno riguardato persone 60+ non vaccinate e lo stesso valore misurato per le persone che avevano ricevuto almeno due dosi vaccinali.

Si nota che il rapporto tra non vaccinati e completamente vaccinati scendeva già a giugno quando i casi gravi erano complessivamente poco più di una decina e la variante Delta non circolava ancora in Israele come ceppo virale dominante. Questo ha fatto propendere le Autorità sanitarie israeliane verso l'ipotesi che il vaccino stesse perdendo di efficacia, anche prima dell'arrivo della variante Delta. 

Ricordo che in Israele la vaccinazione delle persone più anziane era iniziata nel dicembre 2021 e quindi, a giugno, per molti anziani erano già passati almeno 6 mesi dalla somministrazione del vaccino. Ricordo anche che questa scelta delle Autorità sanitarie israeliane è stata contestata da molti scienziati. A mio avviso, poiché la frazione di cittadini israeliani non vaccinati è meno del 10% in tutte le classi d'età superiori ai 60 anni, si sarebbe dovuto separare nel dato dei non vaccinati coloro che avevano già contratto la Covid rispetto a coloro che non avevano ancora acquisito alcun livello di immunità. Purtroppo, anche l'eccellente sistema informativo della Sanità israeliana non ci fornisce questo tipo di informazioni.

Ciò premesso, va detto che nel corso dell'ultima settimana si è osservato un significativo aumento del rapporto non vaccinati/vaccinati. Siamo ancora lontanissimi dai valori di fine maggio, ma comunque l'ultimo dato disponibile si assesta ad un livello pari a circa il doppio del valore di fine luglio, quando il rapporto aveva toccato un minimo pari a circa 4. Tra il 12 ed il 17 agosto, i ricoveri di vaccinati in condizioni "gravi" sono passati da 19,1 a 21,3 casi per ogni 100 mila abitanti. Viceversa i ricoveri "gravi" di non vaccinati sono passati da 108,3 a 174 per ogni 100 mila abitanti, un incremento molto più rilevante rispetto a quello dei cittadini vaccinati (parliamo ovviamente solo di cittadini che abbiano almeno 60 anni di età). 

Si tratta di un dato assolutamente preliminare che ci fa sperare in un maggiore effetto protettivo - sia pure ancora largamente incompleto - legato alla somministrazione della terza dose vaccinale ad almeno la metà dei cittadini israeliani over 60. Tuttavia, prima di trarre conclusioni definitive bisognerà disporre di dati disaggregati tra coloro che sono stati vaccinati con due dosi rispetto a coloro che hanno fatto anche il terzo richiamo. Nel frattempo, mi limito a farvi notare questo primo segnale incoraggiante.

Nota aggiunta il 18 Agosto:

Oggi sono usciti i primi dati analizzati in Israele relativi al livello di protezione offerto dalla terza dose vaccinale nei cittadini con almeno 60 anni. Uno studio preliminare, non ancora oggetto di una pubblicazione scientifica, parla di un livello di protezione dal contagio pari all'86%. Da quello che sembra di capire sulla base delle poche informazioni disponibili, lo studio avrebbe analizzato tutti i tipi di contagio sintomatico, indipendentemente dalla loro gravità. Il campione di riferimento era rappresentato da persone, con una analoga distribuzione di età e condizioni generali di salute, che avevano ricevuto solo due dosi vaccinali entro lo scorso mese di febbraio.

domenica 15 agosto 2021

Confronto tra i casi critici in Israele e in Italia: cosa ci aspettiamo dalla terza dose vaccinale?

Israele ha recentemente avviato la somministrazione della terza dose vaccinale per tutta la popolazione di età superiore ai 50 anni. Si tratta complessivamente di circa 2,25 milioni di cittadini su una popolazione complessiva pari a circa 9 milioni di abitanti. Israele è un Paese molto giovane. Una situazione opposta rispetto a quella italiana dove i cittadini che hanno almeno 50 anni sono ben 25,8 milioni, quasi la metà dell'intera popolazione.

La somministrazione della terza dose sta procedendo abbastanza speditamente. Qui di seguito vi mostro lo stato aggiornato sulla vaccinazione per i diversi gruppi d'età, fornito oggi dal Ministero della salute israeliano:

Stato d'avanzamento della campagna vaccinale in Israele, aggiornato al 15 agosto

Stato d'avanzamento della campagna vaccinale in Italia, aggiornato al 15 agosto. Rispetto al dato israeliano, terze dosi a parte, si nota una minore copertura per tutte le classi d'età sotto gli 80 anni. Per le persone che hanno almeno 90 anni il dato italiano è migliore rispetto a quello israeliano

Nel corso delle prossime settimane vedremo se la terza dose sarà effettivamente risolutiva. Nel frattempo, i dati dei ricoveri ospedalieri continuano a peggiorare. 

Qui di seguito riporto l'andamento dei cosiddetti ricoveri "gravi" che corrispondono a circa il 50% dei ricoveri complessivi. In realtà, se andiamo a vedere quanti sono i casi "critici" (più o meno quelli che secondo i criteri italiani vengono classificati come terapie intensive) vediamo che questi sono circa 1/5 dei ricoveri "gravi", ovvero circa 1/10 dei ricoveri complessivi (più o meno lo stesso rapporto osservato in Italia tra i ricoveri in terapia intensiva e i ricoveri complessivi).

Nel grafico seguente, oltre ai dati israeliani relativi a ricoveri in condizioni "gravi" (punti rossi) e "critiche" (punti azzurri), riporto anche il dato dei ricoveri italiani in terapia intensiva diviso per 11,5 (punti verdi) ovvero il rapporto tra i cittadini di almeno 50 anni presenti in Italia e in Israele. Scegliere il livello dei 50 anni per normalizzare i dati è una scelta arbitraria, ma è comunque meno sbagliata rispetto alla consueta normalizzazione che tiene conto del numero complessivo degli abitanti perché i due Paesi hanno una composizione demografica diametralmente opposta.
 
Andamento dei casi di ricovero in Israele e in Italia (vedere il testo per i dettagli). I dati israeliani sono quelli forniti dal Ministero della salute

Il grafico usa una scala di tipo semi-logaritmico che permette di cogliere la differenza tra le diverse velocità di crescita dei ricoveri.  

Si nota che in Israele i casi "gravi" (punti rossi) ed i casi "critici" (punti azzurri) sono cresciuti seguendo lo stesso andamento (le due  curve sono sostanzialmente parallele). Questo significa che, nell'arco di tempo considerato, non c'è stata una sostanziale variazione della percentuale dei casi "critici" rispetto a quelli complessivamente classificati come "gravi".

I punti verdi (Italia) ed i punti azzurri (Israele) sono quelli più direttamente confrontabili, pur con tutti i limiti della normalizzazione discussa in precedenza (che comunque non cambia la pendenza dei dati mostrati in figura). Il confronto tra i dati israeliani e quelli italiani mostra che, nel corso dell'ultimo mese, la crescita dei casi critici in Israele è stata decisamente più rapida rispetto a quella dei ricoveri in terapia intensiva avvenuti in Italia.
 
Anche in Israele c'è una frazione di persone con almeno 60 anni di età che non ha fatto neppure una dose vaccinale. Costoro finiscono negli ospedali in condizioni "gravi" con una probabilità che è circa 7 volte quella dei loro concittadini completamente vaccinati: il dato odierno parla di 143 pazienti ricoverati in condizioni "gravi" per ogni 100 mila non vaccinati, contro poco meno di 21 ricoverati "gravi" per ogni 100 mila completamente vaccinati. Tuttavia, poiché sopra i 60 anni di età la grande maggioranza della popolazione israeliana (circa il 90%) è completamente vaccinata, fatalmente una parte consistente dei ricoveri "gravi" riguarda anche questa categoria di cittadini. I 538 casi "gravi" riportati oggi comprendono 212 cittadini non vaccinati, di cui 138 sopra i 60 anni. I pazienti completamente vaccinati sono 315 di cui 262 sopra i 60 anni. I rimanenti 11 casi riguardano persone parzialmente vaccinate. Per loro l'incidenza dei casi "gravi" è pari a circa 40 eventi per ogni 100 mila persone.
 
I casi "gravi" che riguardano persone completamente vaccinate è stato spiegato ipotizzando che le vaccinazioni fatte in Israele (già a dicembre specialmente per le persone più anziane) incomincino a perdere di efficacia e ciò ha spinto il Ministero della salute israeliano ad attivare la somministrazione della terza dose vaccinale ai cittadini sopra i 60 anni, limite poi abbassato a 50.  Se la terza dose vaccinale funzionerà, ci aspettiamo di vedere un rapido calo dei casi "gravi" over 60 che hanno ricevuto 3 dosi, mentre dovrebbe cambiare poco la dinamica dei contagi per i non vaccinati. Non dovremo aspettare molto (diciamo fine Agosto) per vedere se c'è un effetto consistente perché ormai oltre il 50% dei cittadini israeliani over 60 ha già ricevuto la terza dose. 
 
Per quanto riguarda l'Italia, la minore velocità di crescita dei ricoveri in terapia intensiva rispetto ai casi classificati come "critici" in Israele potrebbe essere legata al fatto che la campagna vaccinale in Italia è partita molto dopo quella israeliana. Quando Israele vaccinava rapidamente i suoi (relativamente) pochi anziani, in Italia non c'erano i vaccini e le nostre Autorità perdevamo tempo a progettare eleganti (e costosissimi) gazebo vaccinali a forma di primula
 
Se il calo di efficacia del vaccino fosse reale, nel prossimo autunno anche l'Italia potrebbe vedere qualcosa di simile a quanto sta accadendo oggi in Israele. Questo ci offre un prezioso margine di tempo per pianificare l'eventuale somministrazione della terza dose vaccinale, augurandoci che la nostra macchina vaccinale si dimostri all'altezza del compito (ricordando che in Italia ci sono, in proporzione, molti più anziani da immunizzare rispetto ad Israele).
 

venerdì 13 agosto 2021

Aggiornamento sull'effetto dei vaccini In Italia

Nell'ambito della consueta conferenza stampa del venerdì, oggi è stato presentato il dato aggiornato allo scorso 8 Agosto relativo all'andamento di contagi, ricoveri e decessi che hanno riguardato i cittadini italiani, suddivisi in base al loro stato vaccinale. 

I dati sono presentati in forma aggregata e non forniscono stime accurate sull'efficacia dei vaccini (anche se l'ISS, in una tabella successiva, azzarda dei numeri su cui si potrebbe discutere a lungo), ma ci fanno comunque capire quanto sia importante vaccinare le persone, a tutte le età. Ecco la tabella ISS tratta dalla presentazione fatta oggi 13 agosto:

Tabella tratta dalla presentazione ISS del 13 agosto

Notiamo subito che i dati si riferiscono a periodi temporali di uguale durata, ma leggermente sfasati tra loro. Questo dipende dal fatto che i diversi tipi di dati richiedono tempi diversi per essere acquisiti e verificati. Comunque i tempi considerati sono più o meno quelli durante i quali la variante Delta è diventata dominante in Italia. Questo ha portato anche ad una crescita del numero medio dei contagi che, nel periodo considerato, hanno raggiunto mediamente il livello di circa 50 contagi settimanali per ogni 100 mila abitanti.

Partendo dal dato dei contagi, osserviamo che - a parità di altre condizioni - la probabilità di contrarre il contagio per una persona completamente vaccinata è pari a circa 1/3 rispetto al valore che si osserva per una persona non vaccinata. I contagi dipendono fortemente dalla classe d'età: si vede chiaramente che i più giovani sono più esposti al contagio a causa delle loro relazioni sociali più intense.

Contagi per ogni 100 mila abitanti nel periodo 9 luglio - 8 agosto 2021

Ma la vera differenza, come più volte ricordato anche in questo blog, riguarda la gravità dei contagi. Se andiamo a vedere quante delle persone trovate positive al tampone finiscono in ospedale osserviamo la tipica crescita legata all'età dei contagiati. Tuttavia per i vaccinati il tasso di ricovero è senz'altro più basso rispetto ai non vaccinati. Ciò avviene anche per le persone di 80 e più anni per le quali è plausibile che, considerato il livello di rischio associato all'età o alla presenza di altre patologie, sia più frequente il caso di ricoveri cautelativi, anche in presenza di sintomi non particolarmente gravi. 

Notiamo inoltre che la probabilità di ricovero di un contagiato sotto i 40 anni non vaccinato è più alta rispetto a quella di un contagiato vaccinato di età compresa tra 40 e 59 anni. Analogamente, per un non vaccinato di età 40-59 anni si ha una probabilità di ricovero più alta rispetto ad un vaccinato di età compresa tra 60 e 79 anni. Credo che questa sia la migliore risposta per certi filosofi della pandemia che vaneggiano suggerendo di vaccinare solo i "vecchi".

Ricoveri ospedalieri per ogni 1.000 casi di contagio, in funzione della classe d'età

Se andiamo a vedere i ricoveri in terapia intensiva, il quadro diventa ancora più netto:

Ricoveri nei reparti Covid di terapia intensiva per ogni 1.000 casi di contagio, in funzione della classe d'età
 
Qui vediamo che la differenza tra un non vaccinato ed un vaccinato è molto significativa a tutte le classi d'età. Una persona non vaccinata di età compresa tra 40 e 59 anni, in caso di contagio, ha più o meno la stessa probabilità di finire in terapia intensiva rispetto ad una persona vaccinata di 80 anni o più.
 
Si nota che, sia per i vaccinati che per i non vaccinati, non si registra un aumento significativo della probabilità di ricovero in terapia intensiva quando si passa dalla classe d'età 60-79 anni a quella 80+. Questo andamento è dovuto al fatto che, per i pazienti più anziani, non sempre sussistono le condizioni sanitarie generali tali da rendere possibile il ricovero in terapia intensiva. Le procedure di ventilazione assistita con dispositivi meccanici sono piuttosto pesanti e per pazienti in precarie condizioni generali di salute potrebbero essere difficilmente sopportabili.
 
A conferma di quanto osservato a proposito dei ricoveri in terapia intensiva, vediamo che per i pazienti 80+ la probabilità di decesso, in caso di contagio, è più alta rispetto a quella di essere ricoverati in un reparto di terapia intensiva. Come ben noto, tale probabilità cresce fortemente con l'età ed è nettamente più alta - a tutte le età - per le persone non vaccinate:
 
Decessi per ogni 1.000 casi di contagio in funzione della classe d'età. Si noti che per le persone 80+ completamente vaccinate la letalità è di poco superiore allo 0,1%

Riassumendo, il vaccino riduce sensibilmente la probabilità di contagio e, anche in caso di contagio, produce comunque una malattia mediamente meno grave, minimizzando il rischio di finire in terapia intensiva o di morire. Ecco alcuni numeri che ci permettono di "fotografare" l'attuale situazione:
  •  Ogni persona di età compresa tra 60 e 79 anni che, pur essendo completamente vaccinata, si contagia e finisce in terapia intensiva, troverà mediamente nello stesso reparto 18 suoi coetanei non vaccinati.
  • Per ogni persona di età compresa tra 60 e 79 anni completamente vaccinata che muore a causa della Covid-19, ci saranno circa 30 suoi coetanei non vaccinati che perdono la vita.
  • Durante il periodo considerato dall'analisi ISS, nei circa 7 milioni di cittadini completamente vaccinati, di età compresa tra 40 e 59 anni,  non si è verificato alcun decesso dovuto alla Covid-19. Tra i circa 7 milioni di cittadini della stessa classe d'età, non vaccinati, sono stati contati 24 decessi causa Covid. Pochi, considerato il numero molto grande del campione statistico considerato, ma sono sempre 24 vite umane che si sarebbero potute salvare se le persone avessero ricevuto il vaccino.
Dalle figure mostrate sopra vediamo che se vogliamo ridurre drasticamente i decessi e non intasare le terapie intensive (che servono per tutti gli altri pazienti non Covid) è necessario:
  1. Vaccinare tutte le persone sopra i 40 anni perché, se non vaccinate, in caso di contagio hanno una probabilità significativa di contrarre forme gravi di Covid-19.
  2. Vaccinare il più possibile le persone sotto i 40 anni perché una vaccinazione di massa può ridurre a circa 1/3 la circolazione del virus (e quindi anche la probabilità di contagio delle persone sopra i 40 anni). 
  3. Ricordare che abbiamo a che fare con una variante virale particolarmente aggressiva contro cui i vaccini, da soli, non bastano. Solo se si usano correttamente le mascherine e se si evitano inutili assembramenti, la circolazione del virus potrà essere azzerata senza bisogno di imporre rigidi lockdown, chiudendo tutti in casa.
Per concludere, il vaccino è uno strumento potente per contrastare la pandemia. Affinché funzioni al meglio è necessario il contributo di tutti. Ni-vax e Ni-pass non fanno il bene del Paese.



Aggiornamento sulla pandemia in Italia: un caldo Ferragosto, anche dal punto di vista epidemiologico

I dati della pandemia in Italia mostrano un nuovo incremento di tutti i parametri, anche se il numero dei contagi è cresciuto meno rapidamente rispetto alle settimane precedenti. Nessuno è in grado di dire quanti siano i contagi sfuggiti ai controlli, specialmente tra coloro che schivano i tamponi, timorosi di essere costretti ad una quarantena ferragostana.

Continua a crescere con un ritmo sostenuto il dato dei ricoveri, mentre le nuove entrate nei reparti Covid di terapia intensiva sono più che quadruplicate rispetto al minimo osservato all'inizio di luglio. Anche il dato dei decessi (più che raddoppiato rispetto al minimo di metà luglio) sta crescendo ad un ritmo abbastanza sostenuto, anche se talvolta i dati sono parzialmente alterati da conguagli relativi a settimane o mesi precedenti.

Pur in presenza dell'effetto mitigatore prodotto dalle vaccinazioni, la situazione complessiva è decisamente peggiore rispetto a quella del Ferragosto di un anno fa. A dimostrazione che l'idea che il virus sparisse grazie alle alte temperature estive altro non era che una fake news.

Per motivi facilmente comprensibili le Autorità politiche e sanitarie nazionali hanno scelto di adottare parametri molto laschi, tali da mantenere tutto il Paese in zona bianca. Almeno fino a Ferragosto!

Andamento dei contagi in Italia (linea grigia). La linea blu rappresenta il livello medio dei contagi settimanali

Variazione percentuale dei posti letto occupati nei reparti Covid degli ospedali italiani. Nel corso delle ultime 3 settimane l'aumento settimanale è stato dell'ordine del 30%

Nuovi ricoveri settimanali nei reparti Covid di terapia intensiva, normalizzati rispetto ad un campione di 100 mila abitanti. Il livello dell'ultima settimana è stato pari ad oltre 4 volte il minimo di inizio luglio


Decessi Covid settimanali normalizzati rispetto ad un campione di 100 mila abitanti. Il dato dell'ultima settimana è più che raddoppiato rispetto al minimo registrato a metà luglio

A livello provinciale, il dato dei contagi mostra forti fluttuazioni, ma si trova quasi sempre sotto la media nazionale. Il valore settimanale aggiornato ad oggi 13 agosto si è fermato appena un pelo sotto la fatidica quota di 50 contagi settimanali per ogni 100 mila abitanti. I ricoveri, che si erano praticamente azzerati a metà luglio, sono triplicati da fine luglio ad oggi E stanno crescendo molto più rapidamente di quanto non facciano i contagi:

Nuovi contagi settimanali (linee continue) e media dei ricoveri fatta su base settimanale (linee tratteggiate), normalizzati rispetto ad un campione di 100 mila abitanti. Le linee verdi corrispondono ai dati nazionali, mentre le linee rosse sono quelle dei dati trentini

Concludiamo con uno sguardo alla situazione europea, così come evidenziata dalla consueta mappa elaborata da ECDC. Non si notano differenze di rilievo rispetto alla settimana precedente, con Germania e Est Europa che apparentemente non sono ancora state attaccate in modo sensibile dall'ondata pandemica associata alla diffusione del ceppo virale Delta.

Mappa di rischio pandemico elaborata da ECDC aggiornata al 12 agosto



Sanificare gli ambienti chiusi con la radiazione FAR-UV a 222 nm o tenere le finestre aperte?

La pandemia di Covid-19 ha attirato l'attenzione sul problema della sanificazione dell'aria in ambienti chiusi tramite l'utilizzo di radiazione ultravioletta. Questa tecnica è ben nota ed è già ampiamente utilizzata specialmente in alcuni ambienti ad alto rischio come ospedali, laboratori di ricerca o nell'aviazione civile. Tuttavia la pandemia in corso ha aumentato l'interesse per un utilizzo diffuso interessando potenzialmente locali come sale di attesa, classi scolastiche, ristoranti ed altri ambienti aperti al pubblico.

Mentre l'Italia si accinge ad affrontare il prossimo anno scolastico emanando una direttiva che suggerisce di tenere sempre aperte - anche in caso di maltempo - le finestre delle aule scolastiche (scritta probabilmente da un burocrate ministeriale originario di una calda Regione del Sud), sul mercato stanno apparendo nuove attrezzature che utilizzano tecnologie sempre più raffinate per abbattere virus e batteri presenti nell'aria. Integrando tali attrezzature con i sistemi di ricircolo dell'aria, è possibile garantire un elevato livello di sicurezza anche nei locali chiusi. Tra l'altro, parliamo di sicurezza non solo rispetto al SARS-CoV-2, ma anche rispetto a tutti gli altri agenti patogeni che si trasferiscono per via aerea.

Gran parte dei sistemi attualmente in commercio utilizza radiazione UV-C a lunghezza d'onda pari a circa 260 - 270 nm che è dannosa - in caso di esposizione diretta - sia per gli occhi che per la pelle. Questo comporta l'adozione di strutture abbastanza complesse che garantiscano la schermatura continua dalla radiazione ed evitino qualsiasi tipo di esposizione accidentale. 

Recentemente sono apparsi sul mercato nuovi sistemi che funzionano a 222 nm. A questa lunghezza d'onda, i raggi UV non sono pericolosi nè per gli occhi, nè per la pelle, anche se è comunque raccomandabile evitare una esposizione continua a tale sorgente di radiazione. Grazie a queste caratteristiche, la radiazione a 222 nm consente di costruire sistemi di sanificazione strutturalmente più semplici rispetto ai sistemi tradizionali.

Attualmente la radiazione UV a 222 nm viene prodotta con lampade dette ad "eccimeri" (miscele gassose contenenti dimeri eccitati di gas nobili o di gas nobili e alogeni). Per installazioni che richiedono minori potenze si possono utilizzare sorgenti LED basate tipicamente su un semiconduttore costituito da una lega di nitruro di gallio e nitruro di alluminio. Il settore è attualmente in rapida evoluzione con un continuo aumento delle opzioni tecnologiche a disposizione dei progettisti.

Riassumendo, anche se in Italia siamo fermi all'idea di tenere le finestre sempre aperte, sarebbe prioritario - a mio avviso - pensare a sistemi di ricircolo e sanificazione dell'aria che - aldilà dell'emergenza Covid - avrebbero comunque una utilità di carattere generale. 

Da questo punto di vista, la Provincia Autonoma di Trento avrebbe potuto pensare ad avviare almeno qualche progetto pilota volto a verificare l'applicabilità di tali sistemi in determinati ambienti, a cominciare da quello scolastico. Non sarebbe stato necessario fare grossi investimenti e certamente in Trentino ci sono tutte le competenze tecnologiche necessarie per sostenere lo sviluppo di eventuali progetti. Ma - a quanto pare - anche in Trentino affronteremo il nuovo inverno con le finestre delle aule scolastiche spalancate.

giovedì 12 agosto 2021

Non succede solo in Italia: vogliamo reclutare più medici e infermieri, ma dove li troviamo?

Spesso in Italia sentiamo parlare di posti letto "attivabili", un eufemismo per dire che si potrebbe anche trovare una stanza d'ospedale con letti ed attrezzature, ma poi il vero problema è quello di trovare medici, infermieri e tutto il personale ausiliario necessario per assistere i pazienti 24 ore su 24. La carenza di medici e infermieri qualificati non è un problema solo italiano.

Durante questa settimana Israele ha lanciato un piano straordinario per potenziare l'assistenza ospedaliera dei malati Covid più gravi. Attualmente Israele (circa 9 milioni di abitanti) ha circa 400 pazienti Covid classificati come "gravi", di cui 60 assistiti con il ventilatore polmonare. Per confronto, la Gran Bretagna (circa 66 milioni di abitanti) ha nei suoi ospedali circa 800  pazienti assistiti con il ventilatore polmonare. Il dato attuale di Israele (normalizzato rispetto al numero di abitanti) corrisponde a poco più del 50% di quello britannico, ma le Autorità sanitarie israeliane sono preoccupate per il peggioramento che potrebbe accadere nel corso delle prossime settimane. 

Per questo motivo il Governo israeliano ha deciso di potenziare le strutture ospedaliere dedicate alla cura dei malati Covid più gravi, prevedendo anche l'assunzione di 2.000 nuovi addetti tra medici, infermieri ed altro personale ausiliario. Purtroppo, anche in Israele, i nuovi posti letto rischiano di rimanere a lungo solo "attivabili" perché - come è stato fatto notare da molti - non ci sono molti candidati con adeguata qualificazione pronti per essere reclutati.

Moderna è il migliore vaccino per contrastare la variante Delta?

Uno studio (ancora sotto forma di preprint e non sottoposto a revisione) fatto presso la Mayo Clinic (Minnesota, USA) ha estratto da un campione di oltre 600 mila pazienti positivi al test RT-PCR un sottoinsieme di quasi 80 mila pazienti suddivisi in tre gruppi con caratteristiche omogenee per età, razza, storia clinica precedente al test di positività e data del primo test positivo. I tre gruppi comprendevano, rispettivamente, persone non vaccinate, vaccinate con Pfizer-BioNtech e vaccinate con Moderna.

Partendo da questi dati, è stato stimato il grado di protezione offerto dai due diversi vaccini rispetto al contagio sintomatico e all'eventuale ricovero ospedaliero. I risultati sono mostrati qui di seguito:

Andamento temporale della protezione offerta dai due vaccini ad mRNA rispetto al contagio sintomatico (Figura A) ed al ricovero ospedaliero (Figura B). Tratto dal lavoro svolto presso la Mayo Clinic (Minnesota, USA)

Durante il mese di giugno anche in Minnesota c'è stata l'improvvisa sostituzione della variante Alpha (fino a quel momento dominante) con il nuovo ceppo virale Delta. 

I dati mostrano una forte riduzione del livello di protezione dal contagio offerto dal vaccino Pfizer-BioNTech durante il mese di luglio, in concomitanza con l'arrivo della variante Delta. Viceversa, il vaccino Moderna sembra conservare un livello di protezione dal contagio abbastanza elevato (addirittura superiore rispetto a quello stimato a giugno, fatto apparentemente inspiegabile a meno che non si tratti di una grossolana fluttuazione statistica). 

Per quanto riguarda la protezione contro i ricoveri, ambedue i vaccini a luglio hanno registrato un certo calo, ma si è trattato di un calo piuttosto contenuto perché la protezione contro il ricovero rimane sopra al 75%.

Prima di trarre conclusioni affrettate, è bene osservare la notevole ampiezza dell'intervallo di confidenza dei dati (mostrato nei grafici con le bande colorate). Si tratta di un limite ben noto degli studi osservazionali. Se si utilizzano tutti i dati disponibili  si ottengono informazioni grossolanamente mediate e poco significative. Se - come è stato fatto in questo studio - si estraggono dai dati complessivi solo i casi con caratteristiche omogenee (in questo lavoro circa 1/8 dei dati disponibili) si riduce la dimensione del campione statistico e fatalmente si allarga l'intervallo di confidenza che caratterizza i risultati dell'analisi.

Ciò premesso, direi che partendo da questi dati è molto difficile concludere - come fanno molti mezzi di informazione - che il vaccino Moderna funzioni decisamente meglio rispetto al vaccino Pfizer - BioNTech rispetto alla variante Delta. Ci potrebbe essere una differenza, facilmente spiegabile ricordando che i due vaccini utilizzano la stessa tecnologia, ma che il vaccino Moderna contiene una dose più elevata del principio attivo. Tuttavia, prima di trarre conclusioni definitive bisognerebbe disporre di dati più completi.