I recenti dati resi noti dal Ministero della Salute israeliano sull'efficacia del vaccino Pfizer-BioNTech rispetto ai contagi provocati dal ceppo virale Delta (indiano) hanno sollevato molti dubbi e discussioni, soprattutto a causa delle forti differenze rilevate rispetto ad una precedente valutazione fatta dal Sistema sanitario inglese.
In un precedente post avevo messo in evidenza le difficoltà intrinseche associate alla valutazione dell'efficacia dei vaccini nel cosiddetto "mondo reale". Come è stato evidenziato da un gruppo di scienziati israeliani, i dati elaborati a Tel Aviv presentano seri limiti di consistenza, soprattutto per quanto riguarda la scelta del gruppo di persone non vaccinate che sono state osservate per fare il confronto tra vaccinati e non vaccinati. In un Paese come Israele, che è quello con il livello di vaccinazione più avanzato al mondo, è difficile trovare abbastanza persone non-vaccinate che abbiano caratteristiche simili (dal punto di vista statistico) rispetto alle persone vaccinate. Parliamo in particolare di distribuzione d'età, eventuale presenza di altre patologie, relazioni sociali e precedente esposizione al virus. In particolare, per alcune classi d'età, i non vaccinati sono troppo pochi per poter ricavare numeri statisticamente significativi.
Il dato inglese non è molto più affidabile rispetto a quello israeliano perché si riferisce ad una campione certamente più ampio, ma molto più disomogeneo perché fa riferimento a diversi vaccini (AstraZeneca e Pfizer-BioNTech principalmente), con una larga fetta della popolazione che ha ricevuto una sola dose vaccinale.
Insomma invece di chiederci quale sia la stima più corretta, sarebbe forse il caso di domandarci quale sia quella meno affetta da errori sistematici.
Dobbiamo concludere che le stime siano inaffidibili e quindi di scarsa utilità? In realtà, non è così. Semplicemente dobbiamo renderci conto che, con l'evoluzione della pandemia, devono evolvere anche i metodi utilizzati per analizzare i dati.
Il livello di protezione offerto dai vaccini può essere analizzato considerando due diversi punti di vista:
- La protezione che il vaccino offre rispetto alla possibilità di essere contagiati in caso di esposizione al virus;
- La gravità della malattia che i vaccinati contaggono in caso di un eventuale contagio.
Tuttavia, se vogliamo analizzare la protezione rispetto alle forme più gravi di contagio, il parametro chiave da osservare è - a mio avviso - quello della letalità, ovvero del rapporto tra decessi e contagi. Non dimentichiamo che questa pandemia è particolarmente grave proprio a causa dell'elevata letalità, in assenza della quale potrebbe essere davvero considerata alla stregua di una "normale influenza". La domanda chiave è quindi: "in caso di contagio, quale è il rischio di decesso per le persone vaccinate?".
Sappiamo che, in generale, passa un certo tempo tra la data del contagio e quella dell'eventuale decesso. Prima dell'arrivo della variante Delta tale ritardo aveva un valore mediano (dato italiano) pari a circa 2 settimane. Probabilmente, poiché la variante Delta colpisce mediamente persone più giovani, questo tempo è destinato ad aumentare, ma è comunque un parametro facilmente misurabile.
Almeno in prima approssimazione, possiamo stimare il valore della letalità calcolando il rapporto tra il numero dei decessi avvenuto nel corso di una certa settimana con il numero di contagi riscontrati due (o forse più) settimane prima. In un momento di rapida crescita dei contagi come quello che stiamo registrando in Inghilterra, tale ritardo è cruciale perché se lo trascurassimo otterremo una significativa sottostima della letalità. A questo punto dovremmo disaggregare i dati per età e per stato di vaccinazione e valutare la letalità per le diverse categorie di contagiati.
Andamento dei contagi, dei ricoveri e dei decessi in Gran Bretagna. Il grafico è elaborato su dati del Governo britannico che comprendono tutti i casi, indipendentemente dall'età e dallo stato vaccinale delle persone considerate. Le linee tratteggiate sono un fit basato su un semplice modello esponenziale. Pur in presenza di una forte risalita dei contagi e dei ricoveri iniziata intorno alla metà di maggio, il dato dei decessi (punti neri), pur avendo smesso di scendere seguendo la linea tratteggiata nera, mostra una risalita ancora molto debole. A fine giugno, si registravano circa 0,2 decessi settimanali per ogni 100 mila abitanti (livello inferiore rispetto ai decessi Covid riscontrati in Italia che, alla stessa data, erano circa 0,35 alla settimana, per ogni 100 mila abitanti) |
Una analoga valutazione si potrà fare per coloro che sono finiti in ospedale e per il sotto-insieme dei ricoverati che hanno avuto bisogno del trattamento di terapia intensiva.
Basterà confrontare i risultati ottenuti per le persone vaccinate con quelli analoghi misurati alla fine del 2020 quando i vaccini non erano ancora stati distribuiti per avere un'idea abbastanza accurata sull'utilità dei vaccini nella prevenzione delle forme più gravi di contagio, anche in presenza della variante Delta.
Non ho accesso ai dati inglesi disaggregati e quindi non posso fare il calcolo dettagliato, ma visti i dati complessivi credo di poter affermare che - almeno da questo punto di vista - la vaccinazione funzioni egregiamente.
Ma perche` i nostri giornalisti non copiano queste cose ...
RispondiEliminaE` scritto molto bene e chiaro.
Grazie Davide