I media nazionali riportano numerosi interventi sul tema del tempo di somministrazione della seconda dose dei vaccini ad mRNA (Moderna e Pfizer-BioNTech). La decisione riguarda solo questi due vaccini perché per AstraZeneca i tempi standard di
somministrazione della seconda dose sono già abbondantemente oltre i 42
giorni.
Ci sono state diverse prese di posizione. Tra le tante, cito l’intervento del prof. Sergio Abrignani, immunologo e componente del CTS, che durante un intervento televisivo fatto ieri sera su La7, ha presentato la misura come un elemento determinante per estendere la protezione da gravi forme di contagio al maggior numero possibile di cittadini, sostenendo che grazie al ritardo si potranno ottenere sostanziali benefici in termini di riduzione dei ricoveri e dei decessi. La stima fatta dal prof. Abrignani era apparentemente molto convincente:
Il ragionamento fila solo apparentemente perché – così come è stato presentato – presuppone che a) le persone di cui parliamo abbiano tutte le stesse caratteristiche di rischio intrinseco rispetto alle complicanze più gravi della Covid-19 e b) che le dosi siano somministrate tutte in un solo giorno o che, nel caso della seconda dose, un milione di dosi sia lasciato nei frigoriferi per 21 giorni. In realtà le cose non stanno così perché la campagna vaccinale è un processo dinamico, con continui flussi in entrata (forniture) e in uscita (vaccinazioni). Inoltre, con il passare del tempo, cambia l’età media ed il livello di fragilità delle persone vaccinate. Quando calcoliamo il rischio di gravi complicanze della Covid-19, non dobbiamo considerare solo la protezione offerta dal vaccino, ma anche il livello di rischio intrinseco di ciascuna persona, legato a fattori come l’età o la presenza di altre patologie.
“Supponiamo di disporre di 2 milioni di dosi. Se le uso per somministrare due dosi ad un milione di cittadini garantirò a queste persone una protezione pressoché totale rispetto alle forme più gravi di contagio. Se le utilizzo per fare una sola dose a due milioni di persone, supponendo che il grado di copertura dalle forme gravi offerto da una singola dose sia dell’ordine dell’80%, garantirò – statisticamente parlando - la copertura dai contagi gravi ad una platea dell’ordine di 1 milione e 600 mila persone, molte di più rispetto al numero che avremmo protetto somministrando la doppia dose ad un milione di fortunati”.
Il ragionamento fila solo apparentemente perché – così come è stato presentato – presuppone che a) le persone di cui parliamo abbiano tutte le stesse caratteristiche di rischio intrinseco rispetto alle complicanze più gravi della Covid-19 e b) che le dosi siano somministrate tutte in un solo giorno o che, nel caso della seconda dose, un milione di dosi sia lasciato nei frigoriferi per 21 giorni. In realtà le cose non stanno così perché la campagna vaccinale è un processo dinamico, con continui flussi in entrata (forniture) e in uscita (vaccinazioni). Inoltre, con il passare del tempo, cambia l’età media ed il livello di fragilità delle persone vaccinate. Quando calcoliamo il rischio di gravi complicanze della Covid-19, non dobbiamo considerare solo la protezione offerta dal vaccino, ma anche il livello di rischio intrinseco di ciascuna persona, legato a fattori come l’età o la presenza di altre patologie.
Se parliamo della popolazione generale, ci sono studi osservazionali condotti in Scozia [1], Israele [2] e Qatar [3]
che forniscono dati abbastanza convincenti secondo cui il livello di
protezione offerto da una singola dose del vaccino Pfizer-BioNTech si colloca nell'intervallo 70-80% per le forme più gravi di Covid-19 (solo per la cosiddetta variante inglese). Ma, come discusso precedentemente, tale riduzione si applica al livello di rischio intrinseco che cambia con le condizioni del paziente.
Faccio un esempio numerico per spiegarmi meglio: Supponiamo - per semplicità - di avere solo due tipi di persone:
- persone giovani e sane che, in caso di contagio abbiano una probabilità di finire in ospedale pari allo 0,1%;
- persone anziane o comunque fragili che in caso di contagio abbiano una probabilità pari al 10% di finire in ospedale.
Supponiamo di esporre al virus 10.000 persone giovani e 10.000 persone anziane. Tra i giovani, 2 finiranno in ospedale (sarebbero stati 10 se non avessero ricevuto la prima dose). Tra gli anziani, 200 finiranno in ospedale (sarebbero stati 50 se avessero completato il ciclo vaccinale). In pratica, per risparmiare 8 ricoveri tra i giovani, ne provoco 150 in più tra gli anziani.
La questione può diventare drammatica quando si ha a che fare con determinate categorie di pazienti particolarmente fragili. Ad esempio, se dilato i tempi di somministrazione della seconda dose per un paziente oncologico e anticipo di tre settimane la vaccinazione di una persona giovane e sana, espongo il paziente oncologico a 3 settimane di rischio alto (a causa del livello di protezione ridotto che una sola dose induce in molti di questi pazienti [5]) per coprire un giovane che ha comunque un rischio di contrarre gravi complicanze intrinsecamente molto basso. Il bilancio complessivo in termini di salute pubblica sarebbe senz’altro negativo.
Quello che ho esposto è un caso limite, ma se volessimo fare una stima dell’impatto reale della misura non dovremmo dimenticare che in questo momento stiamo rimandando la seconda dose ai settantenni, per anticipare la prima dose a 40-enni in buone condizioni di salute. È facile fare i conti e vedere che di benefici se ne produrranno ben pochi.
Non a caso in un recente studio [6] teso a valutare l'efficacia del ritardo nella somministrazione della seconda dose è stato esplicitamente previsto che il ritardo si applichi esclusivamente alle persone di età inferiore a 65 anni. Quindi un doppio regime: doppia dose nei tempi canonici per i cittadini di età uguale o superiore a 65 anni, e ritardata per i più giovani. Lo stesso studio dimostra che l'effetto dipende molto dal tasso di somministrazione dei vaccini. I maggiori vantaggi si ottengono quando si somministrano pochi vaccini (0,1% delle persone complessive da vaccinare, per l'Italia sarebbero circa 50.000 dosi al giorno, più o meno quello che si faceva all'inizio della campagna vaccinale). La situazione si ribalta quando il tasso di somministrazione arriva all'1% (per l'Italia circa 500.000 dosi al giorno, più o meno i livelli attuali) e la strategia migliore di somministrazione diventa quella canonica. Anche alla luce di questo studio, ritardare la somministrazione del vaccino alle persone con oltre 65 anni, considerato il livello di somministrazioni raggiunto in questa fase della campagna vaccinale, non sembra avere alcuna giustificazione e potrebbe produrre effetti negativi.
Forse avrebbe avuto senso applicare questa norma all’inizio della vaccinazione per aumentare la somministrazione della prima dose all'interno della popolazione più anziana, suddividendo le poche dosi disponibili tra più persone con lo stesso livello di rischio. Introdurla oggi serve soltanto a produrre un balzo, solo temporaneo, al numero delle persone che hanno ricevuto la prima dose, senza reali benefici per la salute pubblica. Insomma si tratta di un provvedimento che potremmo definire come una forma di “cosmesi statistica” utile soltanto per fornire all'opinione pubblica una visione più rosea sullo stato di avanzamento della campagna vaccinale.
Può essere interessante calcolare quale è lo “scatto” in termini di persone che riceveranno almeno una dose vaccinale passando ai famosi 42 giorni. Attualmente si somministrano circa mezzo milione di dosi vaccinali al giorno, di cui circa 400.000 sono vaccini ad mRNA, più o meno suddivise in parti uguali come prime e seconde dosi.
Supponiamo che allungando di 21 giorni l’intervallo per la somministrazione della seconda dose si possano recuperare 4 milioni di dosi vaccinali (le seconde dosi che si smettono di fare durante le tre settimane). Si tratta ovviamente di un transitorio, perché dopo tre settimane dovremo comunque riprendere a somministrare le seconde dosi e – a meno che non ci sia stato un raddoppio delle forniture – potremmo essere costretti a rallentare drasticamente le nuove prime dosi per fare le seconde dosi a tutti coloro che, nel frattempo, sono finiti in lista d'attesa.
Le prime dosi somministrate in Italia fino ad oggi sono circa 17,5 milioni pari a circa il 30% della popolazione. Procedendo con il ritmo attuale (circa 2 milioni di prime dosi settimanali), tra tre settimane arriveremmo a circa 24 milioni di prime dosi. Spostando a 42 giorni l’intervallo di somministrazione, tra 3 settimane avremmo 28 milioni di prime dosi. Si tratterebbe, in gran parte di 4 milioni di giovani che hanno ricevuto la prima dose lasciando in lista d'attesa 4 milioni di ultra-sessantenni. Il conto è molto grossolano, ma francamente non mi pare che un tale cambiamento ci possa far gridare al miracolo.
Senza contare che tutte le valutazioni sono state fatte senza tener conto della possibile circolazione di varianti più resistenti ai vaccini. Ad esempio, dove circola la variante sudafricana la copertura della prima dose vaccinale è comunque molto limitata, così come hanno dimostrato studi fatti in Qatar [3] e in Israele e quindi è necessario somministrare la seconda dose nei 21 giorni canonici, così come raccomandato dal produttore.
Riassumendo, la decisione di estendere a 42 giorni l'intervallo tra le due dosi dei vaccini ad mRNA, imita, con ritardo, la scelta inglese e forse avrebbe avuto senso se fosse stata fatta all’inizio della campagna vaccinale. Oggi gli effetti reali potrebbero essere addirittura controproducenti specialmente per quella parte di anziani e persone fragili che non ha ancora completato la vaccinazione e nel caso in cui circolino varianti parzialmente resistenti ai vaccini. L’unico effetto – che potrebbe essere comunque effimero – sarà quello di produrre un piccolo salto nella curva di somministrazione della prima dose vaccinale.
Le prime dosi somministrate in Italia fino ad oggi sono circa 17,5 milioni pari a circa il 30% della popolazione. Procedendo con il ritmo attuale (circa 2 milioni di prime dosi settimanali), tra tre settimane arriveremmo a circa 24 milioni di prime dosi. Spostando a 42 giorni l’intervallo di somministrazione, tra 3 settimane avremmo 28 milioni di prime dosi. Si tratterebbe, in gran parte di 4 milioni di giovani che hanno ricevuto la prima dose lasciando in lista d'attesa 4 milioni di ultra-sessantenni. Il conto è molto grossolano, ma francamente non mi pare che un tale cambiamento ci possa far gridare al miracolo.
Senza contare che tutte le valutazioni sono state fatte senza tener conto della possibile circolazione di varianti più resistenti ai vaccini. Ad esempio, dove circola la variante sudafricana la copertura della prima dose vaccinale è comunque molto limitata, così come hanno dimostrato studi fatti in Qatar [3] e in Israele e quindi è necessario somministrare la seconda dose nei 21 giorni canonici, così come raccomandato dal produttore.
Riassumendo, la decisione di estendere a 42 giorni l'intervallo tra le due dosi dei vaccini ad mRNA, imita, con ritardo, la scelta inglese e forse avrebbe avuto senso se fosse stata fatta all’inizio della campagna vaccinale. Oggi gli effetti reali potrebbero essere addirittura controproducenti specialmente per quella parte di anziani e persone fragili che non ha ancora completato la vaccinazione e nel caso in cui circolino varianti parzialmente resistenti ai vaccini. L’unico effetto – che potrebbe essere comunque effimero – sarà quello di produrre un piccolo salto nella curva di somministrazione della prima dose vaccinale.
L’ho definito un effetto “cosmetico” con effetti non
necessariamente positivi sulla salute pubblica. Pronto naturalmente a
ricredermi se qualcuno più esperto di me riuscirà a dimostrare il
contrario.
Referenze:
- Eleftheria Vasileiou, et
al."Interim findings from first-dose mass COVID-19 vaccination roll-out
and COVID-19 hospital admissions in Scotland: a national prospective
cohort study", Lancet, 397 (10285) 1646-1657, https://doi.org/10.1016/S0140-6736(21)00677-2
- Eric J. Haas, et al. "Impact and effectiveness of mRNA BNT162b2 vaccine against SARS-CoV-2 infections and COVID-19 cases, hospitalisations, and deaths following a nationwide vaccination campaign in Israel: an observational study using national surveillance data", The Lancet, published online May 05, 2021, https://doi.org/10.1016/S0140-6736(21)00947-8
- Laith J. Abu-Raddad, et al. "Effectiveness of the BNT162b2 Covid-19 Vaccine against the B.1.1.7 and B.1.351 Variants", N Engl J Med, May 05, 2021, https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMc2104974
- Talia Kustin, et al. "Evidence for increased breakthrough rates of SARS-CoV-2 variants of concern in BNT162b2 mRNA vaccinated individuals", preprint available at
- Leticia Monin, et al. "Safety and immunogenicity of one versus two doses of the COVID-19 vaccine BNT162b2 for patients with cancer: interim analysis of a prospective observational study", The Lancet Oncology, April 27, 2021, https://doi.org/10.1016/S1470-2045(21)00213-8
- Santiago Romero-Brufau, et al.,"Public health impact of delaying second dose of BNT162b2 or mRNA-1273 covid-19 vaccine: simulation agent based modeling study", BMJ (2021); 373:n1087 https://doi.org/10.1136/bmj.n1087
I conti potrebbero forse quadrare un po’ di più se diciamo che per la società il valore di una persona giovane che viene a mancare causa COVID-19 è molto superiore al valore che si perde con una persona anziana che muore per la stessa causa. Cosa ne pensa? È un ragionamento che infrange la Costituzione? Preciso che purtroppo faccio parte della seconda tipologia di soggetti.
RispondiEliminaIn realtà la probabilità di decesso per un ricoverato giovane è praticamente trascurabile, a meno che non si tratti di una persona che aveva gravi patologie pregresse. L'opposto vale per i pazienti anziani.
EliminaI calcoli e il relativo ragionamento sono certamente convincenti ma dubito che possano ormai modificare le scelte effettuate
EliminaDalla lettura di queste interessanti considerazioni si evince che tale decisione ha senso soltanto se il ritardo di somministrazione della seconda dose consente di allargare la platea dei vaccinati over 60, qualora ce ne sia ancora necessità. Altrimenti il provvedimento ha un carattere più politico/propagandistico che sanitario.
RispondiEliminaIl generale e commissario all'emergenza, Francesco Paolo Figliuolo, stamane in visita all'hub vaccinale di Trento Fiere:
RispondiElimina«Bene anche l'allungamento di 42 giorni tra prima e seconda dose, così si dilaziona il tempo ma si rimane nella curva di garanzia dell'efficacia del vaccino. Il Trentino con questa procedura è riuscito a fare 33.000 prime dosi in più nella stessa unità di tempo;
a livello nazionale - ha aggiunto Figliuolo - potremmo fare 2 o 3 milioni di inoculazioni in più seguendo la stessa logica. I dati della Gran Bretagna confermano che una strategia del genere vale di più».
A partire dalla prossima settimana il Trentino dovrà smettere di fare gran parte delle prime dosi perché dovrà fare la seconda dose alla miriade di personne che ormai sono al limite del 42-esimo giorno.
EliminaUn effetto effimero e potenzialmente dannoso, almeno per le persone più fragili che sono rimaste per tre settimane in più in una zona ad alto rischio. I miei conti (e la letteratura che ho citato) dimostrano ampiamente l'inutilità della misura in questa fase della campagna vaccinale.
Ovviamente, se vogliamo buttare un po' di fumo negli occhi dei cittadini, tutto può essere utile.