In un articolo pubblicato recentemente su Eurosurveillance, la rivista open-access dedicata all'epidemiologia, gestita dall'European Centre for Diseases Prevention and Control (ECDC), un gruppo di ricercatori europei presenta una analisi dedicata all'impatto delle nuove varianti virali che sono apparse in Europa alla fine del 2020 (variante inglese, sud-africana e brasiliana) sul livello di ospedalizzazione dei malati di Covid-19. Naturalmente, considerati i tempi di realizzazione, questo studio non ha considerato il possibile impatto della nuova variante indiana.
Per tutte le varianti inserite in questo studio c'è l'evidenza ormai consolidata di una maggiore contagiosità rispetto al ceppo virale che circolava in Europa fino all'autunno 2020. Si è molto discusso sul fatto che, oltre ad essere più contagiose, le nuove varianti possano provocare forme mediamente più gravi di Covid-19.
L'articolo che vi segnalo oggi analizza i dati raccolti in 7 Paesi europei (tra cui l'Italia) nel periodo che va da fine 2020 (settimana numero 38) fino alla metà di marzo 2021 (settimana 10). Il principale limite di questo studio dipende dal numero relativamente basso di sequenziamenti genetici che sono stati fatti in Europa. Il numero di casi incluso nello studio, pur superando complessivamente quota 20.000, non è sufficiente per svolgere un'analisi statisticamente accurata che tenga conto di tutti i parametri che possono condizionare l'esito della malattia (età, genere, presenza di co-morbilità, ecc.).
Pur con un certo margine di incertezza, i risultati dello studio pubblicato da Eurosurveillance sono abbastanza eloquenti: le 3 nuove varianti virali producono un aumento sensibile della probabilità di ricovero (anche in terapia intensiva) per tutti i contagiati, anche quelli della cosiddetta "mezza-età". In pratica, lo studio conferma quello che conoscevamo dalle cronache dei giornali, ovvero un progressivo abbassamento dell'età media delle persone ricoverate nei reparti Covid. Ricordiamo che questo effetto non dipende dalla maggiore contagiosità perché la probabilità di ricovero si misura osservando quante delle persone che hanno contratto un certo ceppo virale vengono ricoverate in ospedale.
Lo studio non mette in evidenza un aumento particolare della letalità rispetto al ceppo virale "tradizionale", ma questo potrebbe essere solo un effetto legato alla dimensione troppo piccola del campione analizzato (complessivamente lo studio ha evidenziato circa 250 decessi, poco più dell'1% dei pazienti considerati).
Per tutte le varianti inserite in questo studio c'è l'evidenza ormai consolidata di una maggiore contagiosità rispetto al ceppo virale che circolava in Europa fino all'autunno 2020. Si è molto discusso sul fatto che, oltre ad essere più contagiose, le nuove varianti possano provocare forme mediamente più gravi di Covid-19.
L'articolo che vi segnalo oggi analizza i dati raccolti in 7 Paesi europei (tra cui l'Italia) nel periodo che va da fine 2020 (settimana numero 38) fino alla metà di marzo 2021 (settimana 10). Il principale limite di questo studio dipende dal numero relativamente basso di sequenziamenti genetici che sono stati fatti in Europa. Il numero di casi incluso nello studio, pur superando complessivamente quota 20.000, non è sufficiente per svolgere un'analisi statisticamente accurata che tenga conto di tutti i parametri che possono condizionare l'esito della malattia (età, genere, presenza di co-morbilità, ecc.).
Pur con un certo margine di incertezza, i risultati dello studio pubblicato da Eurosurveillance sono abbastanza eloquenti: le 3 nuove varianti virali producono un aumento sensibile della probabilità di ricovero (anche in terapia intensiva) per tutti i contagiati, anche quelli della cosiddetta "mezza-età". In pratica, lo studio conferma quello che conoscevamo dalle cronache dei giornali, ovvero un progressivo abbassamento dell'età media delle persone ricoverate nei reparti Covid. Ricordiamo che questo effetto non dipende dalla maggiore contagiosità perché la probabilità di ricovero si misura osservando quante delle persone che hanno contratto un certo ceppo virale vengono ricoverate in ospedale.
Lo studio non mette in evidenza un aumento particolare della letalità rispetto al ceppo virale "tradizionale", ma questo potrebbe essere solo un effetto legato alla dimensione troppo piccola del campione analizzato (complessivamente lo studio ha evidenziato circa 250 decessi, poco più dell'1% dei pazienti considerati).
Le conclusioni dell'articolo confermano la necessità di estendere, al più presto possibile, la copertura vaccinale a tutte le classi di età. Chi si illudeva che bastasse vaccinare gli ultra-settantenni per svuotare completamente i reparti Covid degli ospedali, forse ha sottovalutato l'impatto dei nuovi ceppi virali.
Il caso della "quarantena immotivata" in una scuola di Roma
RispondiEliminaA Roma, una lettrice di Today segnala "una situazione intollerabile" nella scuola primaria Chiodi nel quartiere Balduina. "Una classe quinta viene messa in isolamento precauzionale lunedì 26 aprile a metà giornata perché un membro della classe il sabato precedente aveva avuto febbre - denuncia la nostra lettrice - .
Il giorno stesso, lunedì, si sottopone a tampone rapido, negativo, e nel pomeriggio la quarantena viene revocata.
Due giorni dopo effettua un nuovo tampone rapido, positivo, all'esito del quale arriva il provvedimento di quarantena.
Lo stesso giorno, mercoledì 28 aprile, effettua anche un molecolare che risulta - in data giovedì 29 aprile - negativo.
A seguito del molecolare (l'unico molecolare su tre tamponi) negativo, tutti ci aspettiamo la revoca della quarantena. Revoca che non arriva ancora. Non soltanto, non ci arrivano nemmeno informazioni sul perché o su come intenda procedere la Asl. Ergo non sappiamo se dovremo comunque osservare una quarantena fino al 7 maggio, come da provvedimento di quarantena di mercoledì 28 aprile, oppure no".
La donna denuncia: "Non sappiamo se dovremo sottoporre i ragazzi a tampone molecolare e quando, oppure no. Nessuno ci dice nulla. Ma questa è detenzione ingiustificata poiché nessuno in classe ha la Covid. Sembrerebbe semplicemente che nessuno voglia sbrogliare la matassa: né la scuola, né la Asl. L'unica nostra speranza è che coinvolgendo la stampa la scuola si smuova e ci faccia sapere qualcosa", conclude la lettrice.