La Corte dei Conti ha bloccato un finanziamento di 50 milioni di Euro che avrebbe dovuto coprire i costi della sperimentazione di Fase 3 del vaccino a vettore virale prodotto dalla società italo-svizzera Reithera. Più noto come il vaccino "made in Italy" questo prodotto ha - almeno sulla carta - caratteristiche molto simili a quelle del vaccino AstraZeneca. Anche per Reithera il virus vettore è costruito modificando un adenovirus dello scimpanzé.
Difficile dire se valga la pena di investire su questo tipo di vaccino o se non sarebbe stato più utile avviare, come hanno fatto Francia e Svizzera, la produzione nazionale di un vaccino ad mRNA. Anche perché - se e quando arriverà - il vaccino Reithera non servirà più per completare la campagna vaccinale attualmente in corso, ma potrà eventualmente essere utilizzato per i successivi richiami periodici. Come per tutti gli altri vaccini a vettore virale, l'utilizzo ripetuto del vaccino Reithera richiederebbe profondi cambiamenti ed, in particolare, la modifica del virus vettore.
Ma aldilà dei problemi burocratico-finanziari e delle difficoltà di utilizzo di lungo periodo, lo sviluppo del vaccino "made in Italy" dovrà fare i conti con un altro ostacolo. Mi riferisco - in particolare - alla notevole riduzione della circolazione virale a cui (per fortuna!) stiamo assistendo in questo momento in Italia. Se - come tutti ci auguriamo - il numero dei nuovi contagi dovesse continuare a calare, sarebbe molto difficile condurre la sperimentazione di Fase 3 in Italia. Infatti per poter verificare il livello di protezione del vaccino è necessario che i volontari che partecipano alla sperimentazione siano effettivamente esposti al virus. Solo dopo che si sarà verificato un numero abbastanza alto di contagi, sarà possibile stimare l'efficacia del vaccino confrontando il numero di contagi avvenuti tra chi ha ricevuto il placebo ed i vaccinati. Ma se si infettano in pochi, la sperimentazione di Fase 3 non fornirà dati statisticamente affidabili.
A questo problema se ne aggiunge un altro di natura etica. La sperimentazione di Fase 3 deve comprendere tra i volontari anche una adeguata presenza di persone di età superiore ai 65 anni. I possibili volontari non devono aver già ricevuto altri vaccini e non devono neppure avere già contratto la Covid-19. A una parte di questi volontari over-65 dovrà essere somministrato il placebo. Dal punto di vista etico si tratta di esporre queste persone a seri rischi per la loro salute in caso di contagio. Non è una questione banale.
La soluzione a tutti questi problemi sarebbe quella di spostare la sperimentazione di Fase 3 in un Paese dove la circolazione virale sia molto più alta rispetto a quella italiana e dove ci sia scarsità di vaccini. Possibile, ma con un sostanziale aumento dei costi. Insomma, la strada del vaccino "made in Italy" è decisamente in salita.
Difficile dire se valga la pena di investire su questo tipo di vaccino o se non sarebbe stato più utile avviare, come hanno fatto Francia e Svizzera, la produzione nazionale di un vaccino ad mRNA. Anche perché - se e quando arriverà - il vaccino Reithera non servirà più per completare la campagna vaccinale attualmente in corso, ma potrà eventualmente essere utilizzato per i successivi richiami periodici. Come per tutti gli altri vaccini a vettore virale, l'utilizzo ripetuto del vaccino Reithera richiederebbe profondi cambiamenti ed, in particolare, la modifica del virus vettore.
Ma aldilà dei problemi burocratico-finanziari e delle difficoltà di utilizzo di lungo periodo, lo sviluppo del vaccino "made in Italy" dovrà fare i conti con un altro ostacolo. Mi riferisco - in particolare - alla notevole riduzione della circolazione virale a cui (per fortuna!) stiamo assistendo in questo momento in Italia. Se - come tutti ci auguriamo - il numero dei nuovi contagi dovesse continuare a calare, sarebbe molto difficile condurre la sperimentazione di Fase 3 in Italia. Infatti per poter verificare il livello di protezione del vaccino è necessario che i volontari che partecipano alla sperimentazione siano effettivamente esposti al virus. Solo dopo che si sarà verificato un numero abbastanza alto di contagi, sarà possibile stimare l'efficacia del vaccino confrontando il numero di contagi avvenuti tra chi ha ricevuto il placebo ed i vaccinati. Ma se si infettano in pochi, la sperimentazione di Fase 3 non fornirà dati statisticamente affidabili.
A questo problema se ne aggiunge un altro di natura etica. La sperimentazione di Fase 3 deve comprendere tra i volontari anche una adeguata presenza di persone di età superiore ai 65 anni. I possibili volontari non devono aver già ricevuto altri vaccini e non devono neppure avere già contratto la Covid-19. A una parte di questi volontari over-65 dovrà essere somministrato il placebo. Dal punto di vista etico si tratta di esporre queste persone a seri rischi per la loro salute in caso di contagio. Non è una questione banale.
La soluzione a tutti questi problemi sarebbe quella di spostare la sperimentazione di Fase 3 in un Paese dove la circolazione virale sia molto più alta rispetto a quella italiana e dove ci sia scarsità di vaccini. Possibile, ma con un sostanziale aumento dei costi. Insomma, la strada del vaccino "made in Italy" è decisamente in salita.
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