martedì 5 maggio 2020

Il potere taumaturgico delle “task force”

Una volta, in Italia quando non si riusciva (o non si voleva)
 prendere una decisione si nominava una commissione.
Oggi siamo tutti un po’ americani e nominiamo
 una “task force”


Tra le molte conseguenze della pandemia, tutti noi abbiamo assistito con un misto di stupore e di (mal riposta) speranza al proliferare delle cosiddette “task force”. Il termine è inglese e già questo ci conforta. In più il suono è quasi onomatopeico, ci trasmette subito un’idea di robustezza. Se la chiamassimo commissione di esperti sarebbe tutta un’altra cosa. Rimanendo nel campo dei termini d’importazione la task force ormai è diventata uno status symbol: se non ne puoi nominarne almeno una vuol dire che non sei proprio nessuno. Infatti c’è chi eccede e ne ha nominate talmente tante, da aver ormai perso il conto. Magari dimenticando completamente una qualsiasi forma di bilanciamento di genere come è stato giustamente notato. Anche la Provincia autonoma di Trento ha nominato la sua task force. Peccato che visti i risultati in molti abbiamo commentato “tutto qui?” e la task force targata PAT sia  stata pesantemente criticata.

Qui non vorrei fare una difesa d’ufficio dei malcapitati che si sono trovati coinvolti in queste iniziative. Vorrei limitarmi a spiegarvi perché non dobbiamo sperare nel potere taumaturgico delle commissioni di esperti, ma dobbiamo piuttosto essere coscienti dei limiti del loro lavoro. Ho usato non a caso il termine “esperti” perché da qui parte il mio ragionamento. Esperto secondo la mitica Treccani significa “Che ha esperienza, che conosce bene” e purtroppo di veri esperti sulla gestione di una pandemia in giro non se ne vedono molti. Si tratta di una esperienza unica, almeno in Europa, nell’arco dell’ultimo secolo. Per vedere qualcosa di simile dovremmo tornare esattamente ad un secolo fa ai tempi della terribile epidemia di Spagnola, ma era un mondo completamente diverso dal nostro, meno interconnesso, pre-tecnologico e stremato da una Guerra Mondiale che era appena terminata. Solo quando usciremo da questa brutta esperienza avremo prodotto esperti, nel senso stretto del termine. Quindi, tanto per cominciare, proporrei di chiamarli commissione di saggi, anche perché in mancanza di una esperienza pregressa comunque un po’ di saggezza male non fa.

Anche usando tutta la saggezza possibile, le diverse commissioni si sono trovate davanti un problema che presenta due insidiosissime caratteristiche: l’incertezza e la complessità. Potrei annoiarvi con formalismi matematici piuttosto pesanti per cercare di spiegare questi concetti, ma preferisco usare un taglio discorsivo, anche assumendo il rischio di rendere il ragionamento meno rigoroso. Il tema dell’incertezza ci ha accompagnato fin dall'insorgenza dell’epidemia. Due mesi fa, chiedevamo ai virologi quando avremmo avuto il picco dei contagi, adesso chiediamo quando i nuovi contagi andranno a zero oppure se cresceranno di nuovo in autunno. Coloro che sono già stati contagiati chiedono per quanto tempo potrà durare l’immunità acquisita e tutti noi chiediamo quando sarà effettivamente disponibile un vaccino che ci tiri fuori definitivamente da questo incubo. Sono tutte domande a cui gli scienziati (almeno quelli intellettualmente onesti) riescono a dare risposte solo ex-post ovvero riescono a spiegarci cosa sia successo, ma non sono in grado di fare previsioni affidabili per il futuro, almeno fino a quando il livello di conoscenza del virus non avrà raggiunto un livello adeguato. Al momento, possono solo fornirci delle indicazioni, ricavate per analogia con  epidemie simili a quella del Covid-19, ma nessuno ha ancora acquisito l’esperienza necessaria per elaborare modelli affidabili.

Sul tema della complessità vorrei riprendere una frase della prof.ssa Ilaria Capua, eminente scienziata e persona dotata di grande sensibilità. In un sistema complesso possono coesistere due o più “verità” diverse tra loro, nessuna delle quali può essere confutata. La contrapposizione vero/falso a cui siamo abituati diventa più sfumata e distinguere tra diverse ipotesi diventa più difficile. Faccio un esempio banale per farmi capire: una delle discussioni centrali della cosiddetta Fase 2 è incentrata tra la posizione degli scienziati che dicono “se i contatti tra persone salgono oltre un certo livello l’epidemia riprenderà vigore” ed i titolari dei ristoranti ed altre attività commerciali che sostengono “se non lasciate che le persone tornino (ad accalcarsi) all’interno dei nostri esercizi commerciali le nostre attività falliranno e ci sarà una tremenda crisi economica”. In mezzo ci sono i decisori politici che cercano di barcamenarsi tra le due verità e navigano più o meno a vista.

In questo contesto, mi sembra alquanto improbabile che una task force possa toglierci d’impaccio. Se le persone che la compongono sono abbastanza sagge potranno almeno cercare di mettere in ordine le diverse ipotesi, disegnando un quadro di interventi non generico, ma abbastanza flessibile per essere rapidamente adattato alla futura evoluzione dell’epidemia. Sarebbe già un buon contributo, utile soprattutto a fare chiarezza nella babele di idee che stanno circolando in questo momento. Ma non aspettiamoci nulla di più.

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