martedì 7 settembre 2021

Dopo un anno e mezzo di Università chiuse, qualcuno ha obiezioni sul green-pass?

L'opinione pubblica ha dedicato molta attenzione ai problemi della Scuola e della cosiddetta didattica a distanza, mentre non si è quasi mai interessata dell'impatto che la pandemia ha prodotto sulle Università. Certamente per gli studenti universitari non si pongono gli stessi problemi che riguardano i giovani alunni delle Scuole primarie, ma il fatto che le Università siano state sostanzialmente chiuse per circa un anno e mezzo non è un problema da poco

Gli studenti universitari non hanno - a parte casi particolari - obblighi di frequenza e sono certamente abituati ad affrontare gli studi gestendo un largo margine di autonomia. Tuttavia la chiusura degli Atenei italiani ha prodotto il sostanziale azzeramento di quella comunità di studenti e docenti che - ben aldilà del momento formale delle lezioni - costituisce la vera essenza della vita universitaria. I social network e le interazioni a distanza sono serviti per dare una risposta all'emergenza sanitaria, ma non hanno potuto certamente ristabilire quel tessuto connettivo che è fondamentale per la formazione dei futuri laureati e che, durante questo anno e mezzo, si è praticamente dissolto.

Tenuto conto delle oggettive difficoltà e con una pandemia ben lungi dall'essere completamente risolta, quest'anno si è deciso di riaprire le Università  e di utilizzare lo strumento del green-pass per riattivare una modalità accademica che sia il più possibile vicina al "normale". Di fronte a questa scelta, alcuni colleghi hanno deciso di firmare un manifesto in cui si schierano contro lo strumento del green-pass, accusandolo - tra l'altro - di essere "discriminatorio".

Non entro nel dettaglio delle argomentazioni portate avanti dai protestatari che mescolano punti diversi, con il rischio sempre presente di combinare i massimi principi con una scarsa consapevolezza dei problemi del mondo reale. 

Ma l'accademia - purtroppo - spesso tende a descrivere un mondo che non c'è. Alcuni accademici si illudono di comprimere la realtà entro i loro schemi logici che - per quanto possano essere brillanti e argutamente presentati - non sono sempre adeguati per affrontare i temi della complessità.

Il green-pass è lo strumento pratico di cui disponiamo per poter riprendere i nostri consueti stili di vita. Non è uno strumento perfetto, ma serve senz'altro per ridurre i livelli di rischio. Si è parlato tanto di "convivere con il virus", ma pensare di farlo senza il green-pass (in stile Bolsonaro, per intenderci) non mi sembra una soluzione ottimale. 

Possiamo discutere a lungo se sia preferibile il green-pass o l'introduzione formale dell'obbligo vaccinale, ma se si decidesse oggi di attivare formalmente l'obbligo vaccinale per tutti coloro (studenti, docenti e personale tecnico amministrativo) che frequentano a vario titolo le Università italiane non riusciremmo a rendere il provvedimento operativo prima di 6 mesi (basta vedere cosa sta succedendo per l'obbligo vaccinale del personale sanitario).

Quindi, realisticamente, ben venga il green-pass anche se viene mal visto dai neofascisti e da qualche accademico sempre pronto a ricercare ovunque "il pelo nell'uovo". 

L'importante è che l'Università riparta, perché i danni a lungo termine prodotti dalle chiusure sono già stati significativi, con un grave impatto sia per questa generazione di studenti universitari che per l'intera nostra società.

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