mercoledì 8 settembre 2021

Parliamo ancora di green-pass

Le cronache parlamentari riferiscono di un dibattito - a mio avviso lunare - avvenuto ieri a Montecitorio nell'ambito della conversione in legge del decreto che istituisce il green-pass. Non possiamo pretendere che i nostri rappresentanti eletti in Parlamento siano esperti di tutte le questioni di cui devono discutere. Tuttavia il comune buon senso richiederebbe che - prima di esprimersi - si documentino sul tema su cui sono chiamati a decidere, invece di seguire ciecamente le indicazioni del loro "caro leader".

Credo fermamente nella libertà di espressione dei nostri Onorevoli Deputati, ma questa non può diventare una scusa per sostenere ipotesi assurde che, tra l'altro, potrebbero indurre i cittadini a comportamenti sbagliati con gravi danni alla Salute dei singoli cittadini e dell'intera comunità (tutelata dalla nostra Costituzione così come il diritto di libera espressione dei parlamentari).

Tra la lunga serie di assurdità che sono state enunciate durante il dibattito parlamentare ce n'è una che, a mio avviso, può essere particolarmente pericolosa. Mi riferisco, in particolare, all'affermazione secondo cui "solo il green-pass ottenuto con il tampone negativo garantirebbe contro il possibile contagio, mentre quello rilasciato a coloro che sono stati vaccinati o hanno contratto recentemente la Covid-19 non servirebbe a nulla". Qualcuno è arrivato addirittura a chiedere di non rilasciare più il green-pass ai vaccinati.

In altre parole: "i vaccini non servono, mentre i tamponi sarebbero la risposta risolutiva". Una combinazione di falsità che sottendono un chiaro invito a non vaccinarsi, specialmente se accompagnato dalla promessa di far pagare alla collettività il costo dei tamponi.

Il green-pass - l'ho scritto varie volte in questo blog - è uno strumento imperfetto, ma è lo strumento migliore di cui disponiamo per "convivere con il virus". Questo concetto di "convivenza" si applica garantendo che nei luoghi a maggiore rischio di contagio (ambienti chiusi dove più persone si trattengono a lungo) si riduca al minimo la possibilità di entrata per le persone contagiose. Purtroppo sappiamo che la Covid-19 può essere trasmessa non solo dalle persone con sintomi conclamati (facilmente individuabili, ma che - di solito - se ne stanno a casa o sono ricoverate in ospedale), ma soprattutto da coloro che sono asintomatici o pre-sintomatici (tipicamente la contagiosità è molto elevata nei 2 giorni che precedono la comparsa dei sintomi). 

L'idea del green-pass è quella di consentire l'accesso utilizzando una serie di criteri diversi. Nel caso delle persone vaccinate (o che sono guarite recentemente dalla Covid-19) si tiene conto della protezione da nuovi contagi garantita dalle difese elaborate dal loro sistema immunitario. Sappiamo che - soprattutto con la nuova variante Delta - tale protezione non è assoluta, ma è comunque elevata. Anche in caso di contagio, la carica virale dei contagiati è mediamente più bassa rispetto a quella delle persone non vaccinate e quindi è decisamente minore anche la loro contagiosità.

Un discorso a parte andrebbe fatto rispetto alla durata di validità del green-pass che in Italia è stata portata ad 1 anno, proprio quando Israele la riduceva a 6 mesi dopo la vaccinazione. Secondo me, 1 anno è un periodo troppo lungo perché alla fine di tale periodo la copertura vaccinale potrebbe scendere a livelli troppo bassi.

Il discorso del green-pass ottenuto tramite tampone è completamente diverso. La norma prevede che venga rilasciato un green-pass della durata di 2 giorni a partire dal momento del prelievo per l'esecuzione del tampone (antigenico o molecolare). Sappiamo che i tempi per ottenere la risposta di un tampone molecolare sono lunghi (tipicamente 1 giorno)  ed è quindi presumibile che la stragrande maggioranza dei green-pass siano rilasciati dopo un veloce e più economico esame antigenico. 

Illudersi che questo esame fornisca l'assoluta certezza che la persona non possa diventare contagiosa nell'arco delle successive 48 ore è una pia illusione. Sappiamo infatti che i tamponi antigenici hanno una sensibilità ridotta rispetto ai tamponi molecolari e quindi non vedono la gran parte dei positivi a bassa carica virale. Poco male se si tratta di persone che hanno contratto la Covid-19 qualche giorno prima e sono in via di guarigione. La probabilità che queste persone siano ancora contagiose è estremamente bassa.  

Le cose cambiano completamente quando abbiamo a che fare con persone esposte da poco tempo al contagio, destinate a manifestare i sintomi della malattia da lì a pochi giorni. Per costoro, il tampone antigenico può risultare ancora negativo mentre, nell'arco delle successive 48 ore, la progressiva crescita della carica virale può renderli fortemente contagiosi.

"Convivere con il virus" non significa ridurre i contagi alla zero assoluto, ma contenere i contagi entro livelli tali da non intasare i reparti Covid degli ospedali o da non bloccare le attività socio-economiche a causa delle quarantene dei contagiati e di coloro che sono venuti a contatto con il virus. 

Come si vede, non esiste una "patente di non contagiosità" che possa essere considerata come assolutamente certa, ma si lavora sulla riduzione della probabilità che una persona contagiosa possa diffondere il virus. Le alternative al green-pass sono la chiusura di locali pubblici, scuole, uffici e tribunali, il coprifuoco e - in casi estremi - il lockdown.

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