sabato 13 giugno 2020

Etica ed esperimenti sull'epidemia

Un lettore mi scrive a proposito dei problemi sollevati dalla recente presa di posizione (subito ritrattata) dell’OMS a proposito della contagiosità dei cosiddetti asintomatici. “Come è possibile” – si (mi) domanda – “che su temi così rilevanti nessuno pensi di fare esperimenti sul campo verificando l’effettiva contagiosità in condizioni controllate?”. Domanda lecita, ma la risposta è che si tratterebbe di un esperimento che coinvolge esseri umani e che, prima di procedere, bisognerebbe dare risposta a precise questioni etiche. Infatti, esponendo persone sensibili (mai esposte al virus prima di allora) ad un contagio sia pure “controllato” si verificherebbe un danno certo (contagio con conseguenze più o meno gravi per la salute delle cavie) a fronte di un beneficio incerto (non è detto che l’esperimento possa essere risolutivo e dare risposte generalizzabili per altre persone). Proprio la estrema variabilità e la complessità dei fenomeni fisico-chimico-biologici che sono alla base del trasferimento del contagio aumenta i rischi senza dare ragionevoli certezze di successo.

I lettori più assidui di questo blog forse ricorderanno uno dei primi post scritto circa tre mesi fa in cui discutevo la questione della distanza di sicurezza da mantenere tra le persone per ridurre al minimo la probabilità di contagio. Mentre in Italia le Autorità nazionali e regionali discutevano fino allo sfinimento se la distanza minima dovesse essere di un metro o un metro e mezzo, era apparso su una rivista scientifica cinese (Practical Preventive Medicine) un lavoro in cui si raccomandava di mantenere una distanza minima pari a ben quattro metri e mezzo. Sul metodo con cui è stato eseguito l'esperimento esistono diverse fonti tutte indirette. L'articolo originale era scritto in cinese e solo pochi hanno avuto modo di leggerlo. La descrizione che riporto qui di seguito è solo una di quelle disponibili e non ne posso garantire l'autenticità. La riporto solo come un possibile esempio di esperimento che ci aiuta a capire la complessità del problema. Nel fondo di un autobus fu fatta sedere una persona malata di Covid-19 con grande carica virale. L’autobus fu riempito di passeggeri  e le porte dell’autobus furono tenute chiuse per circa quattro ore. Al termine del viaggio tutti furono fatti scendere, prendendo nota dei posti occupati da ciascun passeggero. L’autobus fu nuovamente riempito, questa volta solo con persone sensibili. Ovviamente, né il contagiato, nè le cavie indossavano mascherine. Le cavie furono successivamente poste in isolamento e nell’arco delle due settimane successive fu preso nota dei contagiati a seconda del posto occupato in autobus. I quattro metri e mezzo corrispondono alla distanza massima rispetto al passeggero contagioso occupata dai contagiati che facevano parte della prima carica. Anche un passeggero della seconda carica risultò contagiato, ma non è chiaro se occupasse il  posto del passeggero contagioso durante la prima carica o fosse seduto nelle immediate vicinanze. Sappiamo che la Cina non è esattamente un paradiso per quanto riguarda il rispetto dei diritti civili e non sappiamo se coloro che hanno partecipato all'esperimento fossero cavie inconsapevoli, oppure volontari o persone costrette a “fare i volontari”. Non sappiamo nulla rispetto al decorso della malattia delle persone contagiate durante l’esperimento, ma sappiamo che l’informazione sui quattro metri e mezzo si è rivelata manifestamente infondata. Ricordo infine che l’articolo è stato ritirato pochi giorni dopo la sua pubblicazione. Forse, anche in Cina, c’è qualcuno che qualche problemino etico se lo pone.

A differenza dei fisici che possono ripetere nei loro laboratori gli esperimenti fino a che hanno trovato risposta alle loro domande, gli epidemiologi possono lavorare esclusivamente con le informazioni che derivano dall'osservazione di Madre Natura. Non è possibile riprodurre in laboratorio o comunque “in condizioni controllate” epidemie che coinvolgano esseri umani. L’unica cosa che è possibile fare è cercare di acquisire al meglio tutte le informazioni disponibili ed analizzarle con modelli più o meno affidabili. Quello degli epidemiologi è un duro lavoro. E tra un po’, passata la grande paura per la pandemia, nessuno li vorrà più ascoltare.

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