giovedì 25 giugno 2020

La sanità-azienda ed i buro-manager

L’arcivescovo Lauro Tisi nella sua lettera alla comunità in occasione della festa patronali di San Vigilio ha richiamato alla nostra attenzione il valore non negoziabile della vita, per tutti anche per i più fragili. Tra i tanti spunti di riflessione, la lettera di Mons. Tisi mette bene in evidenza (pag. 8) come il modello della Sanità pubblica uniformato a certi stereotipi aziendalistici rischi di soffocare i fondamenti stessi del vivere umano nella vana ricerca di obiettivi di falsa efficienza.
 
La direttiva con cui APSS Trento chiedeva ai medici di non ricoverare negli ospedali i malati di Covid-19 provenienti dalle RSA è solo un esempio. Di fronte all’emergenza, si proclamava ad alta voce che tutti avrebbero avuto accesso alle cure, ma di fatto si stabiliva una priorità, mettendo in seconda fila coloro che “tanto sarebbero morti comunque entro poche settimane" (mesi o anni, aggiungo io).

L’epidemia di Covid-19 da cui stiamo faticosamente uscendo ha messo brutalmente in evidenza la vacuità dei modelli a cui si è ispirata la Sanità pubblica italiana nel corso degli ultimi 10-20 anni. L’idea di un servizio sanitario universalistico che curi tutti indipendentemente dalle loro condizioni economiche e sociali è stata progressivamente abbandonata per abbracciare modelli sempre più aziendalistici. 
 
Il Servizio è stato trasformato, anche dal punto di vista nominale, in Azienda. È stato tolto potere decisionale a coloro che hanno competenza e vocazione (medici) per trasferirlo a manager di varia estrazione che spesso dimostrano di avere  una visione della Sanità considerata come un servizio alla stregua di tanti altri. Questi manager della Sanità pubblica talvolta si presentano convocando lunghe riunioni in cui fanno “operazione ascolto”. Subito dopo, piazzano all’interno delle strutture un manipolo di loro fedelissimi il cui unico scopo è quello di assumere il controllo della macchina amministrativa. La fase successiva è quella della “riorganizzazione” in cui si cerca di comprimere i costi talvolta oltre ogni ragionevole limite, salvo poi spendere cifre folli per investimenti di scarsa utilità che soddisfino le esigenze elettorali dei loro referenti politici. Spesso il tutto è accompagnato da operazioni di facciata volte ad esaltare virtù inesistenti come talvolta accade – purtroppo aggiungo io – con superficiali operazioni di certificazione (che sarebbero molto utili se andassero oltre il puro maquillage)

Quando poi la situazione si fa dura – vedi Covid-19 – dietro a taluni manager della Sanità pubblica rispunta la vera natura del burocrate, il buro-manager appunto. Come certi pessimi burocrati, i buro-manager sono sempre pronti a scaricare su altri le loro colpe e prontissimi all’auto-assoluzione. Insomma dei veri manager hanno certamente gli stipendi, ma quanto a capacità di assumersi responsabilità e di riconoscere i loro errori spesso latitano.

Siccome, come dicevano i nostri nonni “il pesce incomincia a puzzare dalla testa” credo che una seria riflessione sul futuro della Sanità pubblica non potrà che partire dalle figure di vertice. Ovviamente qui non si tratta solo di licenziare qualche buro-manager particolarmente inconsistente, ma di ripensare al modello organizzativo nel suo complesso. Abbiamo di fronte sfide impegnative con una società che invecchia progressivamente (Covid-19 permettendo!) ed una Medicina che apre scenari di cura fino a poco tempo fa insperati, ma con costi talvolta proibitivi. Dare tutto a tutti sarà sempre più difficile, bisognerà trovare dei compromessi che tengano conto delle diverse esigenze e questo discorso dovrà essere affrontato con chiarezza, competenza e trasparenza. Chi gestirà la Sanità pubblica dovrà far argine alle richieste insensate che dovessero arrivare dalla politica e rendere conto puntualmente a tutta la comunità delle scelte fatte.  
 
Da questo punto di vista il trauma causato dall'epidemia di Covid-19 può rappresentare una occasione irripetibile per rimettere la Sanità pubblica al centro dell’attenzione e per trovare modelli organizzativi che partano dalla vera competenza e permettano di recuperare quel senso del bene comune che, al momento, sembra latitare.

2 commenti:

  1. se poi i dati sono ''ballerini''...

    24 giugno 2020. Coronavirus, i dati: Trento sbaglia i calcoli: ha 61 morti in meno.

    La Provincia di Trento comunica anche un ricalcolo dei dati: rivela di avere 61 morti in meno rispetto a quanto aveva precedentemente calcolato e di avere invece 447 guariti in più.

    Il ricalcolo porta il Trentino ad avere quindi 387 casi in più.

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  2. In realtà quest'ultimo conguaglio è il frutto di diversi errori di interpretazione delle norme nazionali fatti dalle Autorità trentine nel conteggio dei casi di Covid-19. In numerosi post precedenti ho spiegato in dettaglio l'origine di questi errori, dando anche conto di una lettera del Ministero della Salute in cui si spiegava chiaramente che a Trento c'era stato un "fraintendimento" delle regole. In una situazione complessa come quella epidemica può succedere di fare errori. Ciò che mi colpisce negativamente è l'assoluta incapacità di autocritica. Poi quando i dati divergevano, il Trentino è stato costretto a fare ammenda dei suoi errori. Purtroppo è andata così e nessuno sembra essere responsabile di ciò che è accaduto.

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