Dall'Inghilterra continuano ad arrivare notizie relative alla variante indiana (B.1.617.2) che circola in modo significativo soprattutto in alcune zone del Paese. Una riunione del New and Emerging Respiratory Virus Threats Advisory Group (NERTVAG) tenutasi ieri 21 maggio è stata dedicata agli effetti legati alla diffusione del ceppo virale indiano.
In particolare, è stato comunicato che una singola dose vaccinale induce una protezione pari soltanto al 33% rispetto ai contagi sintomatici provocati dalla variante indiana. Il dato è una media dei risultati ottenuti con i 2 vaccini attualmente in uso in Inghilterra (AstraZeneca e Pfizer-BioNTech). Per confronto, ricordo che il livello di protezione indotto da una sola dose vaccinale nel caso della variante inglese (B.1.1.7, detta anche variante del Kent, come amano definirla gli inglesi) è mediamente pari al 51%.
Il livello di protezione per la variante indiana sale all'81% dopo la somministrazione della seconda dose vaccinale. Un dato abbastanza in linea con quanto trovato per la variante sudafricana. Anche in questo caso il dato comunicato dalle Autorità sanitarie inglesi rappresenta una media dei due vaccini e non sono stati forniti dati disaggregati.
Il basso livello di protezione nei confronti della variante indiana mette in crisi il modello organizzativo basato sull'estensione del tempo intercorso tra la somministrazione della prima e della seconda dose. Non a caso le Autorità sanitarie inglesi hanno deciso di contrarre i tempi di somministrazione della seconda dose dei vaccini ad mRNA per le persone di età superiore ai 50 anni.
La strategia di rimandare la seconda dose vaccinale per i vaccini ad mRNA ha senso solo se le poche dosi disponibili vengono suddivise tra persone che corrono analoghi livelli di rischio. Quando l'efficacia di una singola dose è inferiore rispetto alla metà dell'efficacia della vaccinazione completa, vengono a mancare i presupposti stessi dell'operazione. In tal caso, il ritardo produce solo una sorta di "illusione vaccinale", ma è dannoso ai fini della salute pubblica complessiva.
Nel frattempo le cronache italiane indicano un aumento delle persone ricoverate negli ospedali romani nelle quali è stata verificata la presenza della variante indiana. E intanto l'Italia continua - purtroppo in maniera incauta - a fare sempre troppo poco per monitorare la presenza delle nuove varianti virali.
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