Ieri è uscita la seconda versione del rapporto elaborato dall'Istituto Superiore di Sanità nel quale si analizza l'effetto prodotto dalle vaccinazioni anti-Covid fatte in Italia. Il rapporto analizza complessivamente quasi 14 milioni di persone che hanno ricevuto almeno una dose vaccinale entro lo scorso 2 maggio. I dati relativi a contagi, ospedalizzazioni e decessi (causa Covid-19) arrivano fino allo scorso 30 maggio.
L'impostazione di questo secondo rapporto è molto simile a quello della prima versione. A suo tempo avevo criticato il documento ISS evidenziandone numerosi punti di debolezza. Purtroppo non mi pare che ci sia stato un qualche miglioramento.
I dati sono riferiti a tutti i vaccini, mettendo assieme chi ha ricevuto solo la prima dose con chi ha completato il ciclo vaccinale. Insomma un vero e proprio pasticcio statistico, reso ancora più grave dal fatto che nella discussione si assume come coordinata temporale la distanza in giorni rispetto alla somministrazione della prima dose vaccinale. Letto così, si capisce che gli effetti siano quelli prodotti da una sola dose. In realtà, la maggior parte delle persone considerate in questa analisi ha ricevuto ambedue le dosi di un vaccino ad mRNA (principalmente Pfizer-BioNTech). Solo il 30% circa del campione ha ricevuto il vaccino AstraZeneca ed - in questo caso - l'80% di loro ha ricevuto una sola dose. La percentuale dei soggetti vaccinati con il vaccino monodose Johnson&Johnson è stata trascurabile.
Non si capisce perché ISS non abbia disaggregato i dati a seconda del tipo di vaccino somministrato. Parliamo complessivamente di circa 14 milioni di persone e quindi ci sono numeri abbastanza grandi per poter ottenere dati statisticamente affidabili almeno per i vaccini più somministrati. A pensar male, uno potrebbe credere che ISS preferisca non dare risalto alle possibili differenze di efficacia esistenti tra i diversi vaccini. Sappiamo che alcuni vaccini non godono di buona stampa, ma i frigoriferi sono pieni e a qualcuno bisogna pur farli (ricordando che un vaccino meno efficace è comunque meglio di una mancata vaccinazione).
Questo miscuglio di vaccini diversi e di prime e seconde dosi toglie credibilità a tutta l'analisi fatta dall'ISS. A parte questo enorme problema iniziale, si potrebbe discutere a lungo sulla metodologia utilizzata per il trattamento dei dati. In pratica si osserva il calo registrato nei contagi, nei ricoveri e nei decessi riscontrato nelle persone vaccinate in funzione del tempo passato dal momento in cui è stata somministrata la prima dose vaccinale. Il dato deve essere corretto per tenere conto delle differenze di genere, età, regione di diagnosi e categoria di vaccinazione. Naturalmente bisogna tener conto anche del diverso andamento temporale della circolazione virale con conseguente variazione della probabilità di contagio. Osservando i dati grezzi (ad esempio, figura 8 del rapporto) si vede che per i vaccinati di gennaio (ospiti RSA, sanitari in prima linea dei reparti Covid e raccomandati) c'è stato comunque un picco secondario di contagi chiaramente associato all'arrivo della variante inglese, circa tre mesi dopo aver fatto la prima vaccinazione. Senza contare che il calo di contagi, ospedalizzazioni e decessi registrato nel mese di maggio 2021 è stato del tutto simile a quello registrato durante il mese di maggio 2020 quando i vaccini ancora non c'erano.
Personalmente ho seri dubbi sulla robustezza dell'analisi statistica svolta dall'ISS per tenere conto di questi effetti. L'ISS non illustra i dettagli delle sue procedure e non posso essere più preciso nelle mie critiche, ma non sono pienamente convinto dell'approccio seguito. Idealmente, questo tipo di analisi dovrebbe essere condotto confrontando i casi avvenuti tra le persone vaccinate ed un campione significativo di persone - con simili caratteristiche - non vaccinate. Forse l'ISS non ha i dati (o le competenze tecniche) per svolgere analisi di questo tipo e si deve accontentare di sistemi di analisi dei dati più grossolani. Ma se anche la mia ipotesi fosse vera, potrebbe almeno seguire l'esempio delle Autorità sanitarie inglesi e disaggregare i risultati in base al tipo di vaccino.
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