In queste giornate estive, caratterizzate da una rapida crescita dei contagi, Regioni/PPAA e Governo nazionale sono all'affannosa ricerca di nuove regole per cercare di mantenere il Paese in regime di zona bianca, almeno fino al prossimo Ferragosto.
La vecchia soglia di 50 contagi settimanali per ogni 100 mila abitanti sarà presto superata da molte Regioni/PPAA, anche da quelle che preferiscono continuare a fare principalmente tamponi rapidi in modo da far uscire dal conteggio un bel po' di casi asintomatici. La vecchia soglia sui contagi non ha più molto senso anche perché era stata fissata quando il livello delle vaccinazioni era molto più basso rispetto a quello attuale. Sappiamo che, per i vaccinati, la probabilità di contrarre forme gravi di Covid-19 (che comportino il ricovero in ospedale) si riduce di almeno un ordine di grandezza rispetto ai non vaccinati e questo dovrebbe ridurre fortemente l'impatto dei contagi sul sistema sanitario.
Si è allora pensato di non contare più i contagi, ma di guardare piuttosto ai ricoveri, sia nei reparti ordinari che in quelli di terapia intensiva. Parametri di questo tipo erano già stati adottati in passato (sia pure senza dare loro un rilievo adeguato). Basta ricordare il caso del Trentino che, durante lo scorso novembre, è rimasto in zona gialla grazie ad un escamotage nella identificazione dei contagi (spariti per circa 2/3 dalle statistiche ufficiali), pur avendo i reparti Covid strapieni.
Oggi si pensa di dare finalmente il giusto peso ai parametri legati alla situazione ospedaliera. L'idea mi sembra condivisibile anche se i burocrati regionali sono già all'opera per trovare il modo di aggirare i nuovi criteri.
C'è un possibile problema legato all'innalzamento dei criteri di gravità utilizzati per ricoverare i pazienti. Molti pazienti, dopo una rapida visita al pronto soccorso, potrebbero essere rimandati a casa. La cosa potrebbe anche funzionare se questi pazienti fossero seguiti da una adeguata struttura di assistenza domiciliare, ma dubito che ciò sia possibile. Quanto ai reparti di terapia intensiva, ci sarà la corsa a classificare i pazienti come ricoverati in sub-intensiva che, ai fini del computo dei parametri, viene considerata alla stregua di un reparto ordinario.
L'altro grosso problema è che non verranno considerati i ricoveri normalizzati rispetto al numero di abitanti (indice vero della circolazione virale e del grado di vaccinazione dei cittadini in una determinata Regione/PPAA), ma si terrà conto del livello di occupazione rispetto ai cosiddetti "posti disponibili". Sappiamo che negli scorsi mesi i burocrati regionali si sono inventati posti "disponibili" secondo criteri molto fantasiosi. Purtroppo non basta acquistare un ventilatore polmonare per creare un posto di terapia intensiva. Il grosso limite è quello del personale, medico ed infermieristico, che deve avere una particolare preparazione e non può essere trovato semplicemente bloccando le altre attività sanitarie.
Su questo punto oggi l'Associazione di categoria dei medici anestesisti ha lanciato un "grido di dolore", facendo presente l'illogicità di alcune proposte relative alla soglia di ricoveri che stanno circolando durante gli ultimi giorni.
Insomma, anche se l'idea di tenere sotto controllo i ricoveri piuttosto che i contagi potrebbe avere molto senso, il vero problema - come al solito - è quello di vedere quale sarà la sua applicazione pratica. Il rischio di lasciare ancora una volta spazio ai furbetti è certamente alto.
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