Dato come acquisito il superamento del picco di nuovi contagi quotidiani e in attesa di capire come passare alla cosiddetta Fase 2 nella gestione dell’epidemia, l’attenzione dell’opinione pubblica si sta focalizzando sulla terribile perdita di vite umane registrata, in tutta Italia, in molte residenze per anziani. L’argomento è politicamente sensibile e non deve essere oggetto di strumentalizzazioni. Inoltre non dobbiamo mai dimenticare il rispetto dovuto alle persone che hanno perso la vita ed ai loro familiari.
Sarebbe ingiusto, oltre che controproducente, cercare capri espiatori ed avviare processi sommari tramite i mezzi di comunicazione. Se ci sono state delle responsabilità sarà la Magistratura ad accertarle nei modi e nei tempi previsti dalla Legge. Secondo notizie di stampa, in molte città italiane le Procure starebbero già considerando l’utilizzo del ben noto “Modello 44”. A questo proposito, come cittadino, io non posso fare altro che attendere che la Magistratura faccia serenamente il suo lavoro, augurandomi che nel frattempo non abbiano successo talune manovre parlamentari volte ad estendere urbi et orbi lo scudo penale doverosamente previsto nel cosiddetto decreto “Cura Italia” per i medici impegnati in prima linea nella cura dei malati di Covid-19.
Dopo questa doverosa premessa vorrei discutere dell’argomento seguendo la logica a cui è ispirato questo blog. Il formato di questo intervento sarà del tipo domanda/risposta. Mi rendo conto che si tratta di un formato un po’ troppo schematico, ma sono costretto a sacrificare alcuni dettagli per cercare di migliorare la chiarezza espositiva. Partiremo come al solito dall’analisi dei numeri, cercando di capire cosa i numeri ci possono dire e quali sono i limiti delle nostre deduzioni. Poi, come al solito, il lettore trarrà le conclusioni che riterrà più opportune.
Quanto hanno inciso i decessi avvenuti nelle RSA rispetto al totale dei casi imputati a Covid-19? Per farmi capire uso i numeri trentini, anche se è troppo presto per poter fare un confronto rispetto ad altre realtà italiane. Secondo i numeri ufficiali rilasciati dalle APSS, i decessi per Covid-19 avvenuti nelle RSA corrispondono a circa 1/3 del totale, mentre il numero di ospiti delle RSA corrisponde a circa l’un per cento della popolazione trentina. Numeri simili sono stati resi noti dalle Autorità altoatesine.
Perché questi numeri sono così alti? Il dato non ci sorprende per due motivi specifici. Prima di tutto, sappiamo che la letalità da Covid-19 cresce fortemente all’aumentare dell’età del paziente e gli ospiti delle RSA sono per la maggior parte grandi anziani spesso afflitti da severe patologie. Inoltre, per loro stessa natura, le RSA sono strutture dove, una volta entrata, è estremamente difficile fermare la diffusione dell'epidemia. Un significativa frazione degli ospiti delle RSA è costituita da persone non autosufficienti ed è impensabile prendersi cura di loro mantenendo le cosiddette distanze di sicurezza. Inoltre gli ospiti vivono a stretto contatto tra di loro. È lo stesso problema che si è registrato nelle abitazioni private in cui era presente un contagiato oppure nei luoghi affollati come alberghi o nelle cabine degli impianti di risalita. Bastano pochi minuti di contatto ravvicinato per contagiare una persona ed i contagi più difficili da evitare sono quelli dovuti ai portatori asintomatici. Oggi se uno starnutisce o fa un colpo di tosse viene subito individuato dalle persone vicine come un potenziale “untore” e scattano le barriere di protezione, mentre i portatori asintomatici diffondono il contagio in modo silenzioso, diventando inconsapevoli alleati del virus.
I numeri sui decessi nelle RSA sono veritieri? Domanda importante a cui ho già cercato di rispondere. Riprendo alcune delle argomentazioni già illustrate nei post precedenti. Ci sono criteri diversi che possono essere adottati nel calcolo dei decessi causati dall’epidemia in atto e talvolta si tratta di criteri ambigui che lasciano – a mio avviso – troppo spazio alla discrezionalità. All’inizio dell’epidemia c’è stata una lunga discussione per distinguere i decessi “con” Covid-19 rispetto ai decessi “per” Covid-19. Col senno di poi possiamo dire che si trattava di una discussione inutile. In questo momento, l’unico criterio “robusto” sarebbe quello di contare tutti i casi in cui il paziente risulti positivo al test. In taluni casi il test è stato fatto post-mortem. In moltissimi casi il test non è stato fatto né ai vivi, né tanto meno ai defunti. Non voglio ritornare alla polemica sulla necessità di fare più test, a cominciare dal personale delle RSA. Oggi sembra che l’abbiano capito tutti: meglio tardi che mai! Comunque un’analisi statistica dei decessi avvenuti nelle RSA, indipendentemente dall’attribuzione ufficiale delle cause di morte, ci può dare informazioni più precise. In un post di ieri ho fornito il link ad un interessante documento in cui sono riportati alcuni risultati relativi ai decessi registrati nelle anagrafi di alcune città italiane medio-grandi da inizio febbraio a quasi fine marzo. Osservando i grafici riportati nel documento, anche un occhio non esperto si rende conto della gravità della situazione complessiva, almeno per il Nord Italia. Il dato macroscopico è evidente. Quando poi si cerca di estrarre dai grafici numeri statisticamente affidabili, la questione diventa tecnicamente piuttosto complessa e va affidata a mani esperte. Nessuna conclusione statistica è – per sua intrinseca natura – sicura al 100%. Dobbiamo sempre accettare una residua probabilità di errore e validare un risultato solo se la probabilità di errore scende sotto una certa soglia. Scegliere il livello di questa soglia è una scelta politica. Generalmente si utilizza come livello il 5%, ma quando si tratta di argomenti così delicati come quello di cui stiamo discutendo la soglia potrebbe essere ridotta all’1% o addirittura allo 0.1%. Scelta politica dicevo che deve tener conto anche delle dimensione della base dati su cui si lavora. Se la dimensione è troppo piccola cresce il livello di incertezza delle nostre analisi statistiche. Pur con la consapevolezza dei limiti statistici, è auspicabile che questo tipo di analisi sia fatto per le RSA di tutte le Regioni italiane. In particolare, sarà importante vedere se ci sono differenze significative rispetto ai numeri comunicati ufficialmente e si potrà capire qualcosa di più sui meccanismi che hanno inciso su questa tragica storia. Per fare questo tipo di analisi non c’è bisogno di aspettare che l’epidemia diventi solo un ricordo. I tristi numeri del mese di marzo 2020 ci sono già tutti e si può incominciare fin da subito ad analizzarli.
Il numero dei decessi ci dice tutto? La mia risposta e senz’altro no! Purtroppo nelle RSA la morte non è un evento infrequente. I dati statistici ci dicono che ogni mese una certa percentuale degli ospiti delle RSA ci lascia. Paradossalmente vorrei dire che non è tanto importante sapere quante persone in più sono morte nel mese di marzo in coincidenza con l’epidemia di Covid-19. Perché è completamente diversa la situazione se, a causa dell’epidemia, abbiamo in qualche modo anticipato di qualche settimana decessi che sarebbero comunque avvenuti poco dopo, oppure se le persone che sono mancate hanno perso sei mesi, un anno o più di vita. Come possiamo capire cosa sia successo? Certamente non dall’analisi delle cartelle cliniche. L’analisi statistica può, anche in questo caso, aiutarci a capire. Il discorso è un po’ troppo tecnico e ve lo risparmio. Conoscendo il tempo di permanenza medio nelle RSA prima dell’epidemia e confrontandolo con i dati più recenti si possono ottenere delle stime di un certo interesse. Si tratta, lo ripeto, di stime statistiche e come tali legate ad un certo margine di incertezza. Senza conoscere i dati non posso garantirvi che il lavoro sia statisticamente significtivo, ma certamente andrà fatto e reso pubblico.
Gli ospiti delle RSA hanno ricevuto tutte le cure mediche necessarie? Domanda difficilissima che pure qualcuno mi ha posto. Ovviamente non posso darvi una risposta che abbia un qualche senso dal punto di vista medico. Possiamo tentare di fare una prima grossolana valutazione confrontando il numero dei ricoveri ospedalieri che avvenivano mediamente prima dello scoppio dell’epidemia rispetto a quelli avvenuti nel mese di marzo 2020. Secondo i dati altoatesini (gli unici che io conosca) solo il 10% degli ospiti di RSA deceduti sono morti in ospedale. Difficile capire se i ricoveri ospedalieri di ospiti di RSA che avvenivano prima dello scoppio dell’epidemia fossero tutti effettivamente utili o rientrassero nella categoria del cosiddetto “accanimento terapeutico”. C’è inoltre da considerare che anche per tutto il resto della popolazione c’è stato un sensibile calo di ricoveri ospedalieri per patologie non Covid-19, anche molto gravi. Personalmente credo che sia difficilissimo trovare una risposta convincente a questa domanda. In un mondo ideale, con risorse sanitarie illimitate, forse qualche vita umana si sarebbe potuta salvare, ma purtroppo nessuno vive in un mondo ideale.
Cosa abbiamo sbagliato a livello di prevenzione? Ripeto, qui non stiamo facendo il processo a nessuno. Non dobbiamo però fare gli struzzi e nascondere la testa sotto la sabbia. Anche perché l’epidemia di Covid-19 continuerà ad essere una grave minaccia per tutti noi ed, in particolare per gli ospiti delle RSA, almeno finché non sarà reso disponibile un vaccino efficace. Certamente ci sono state carenze nel controllo dello stato di salute del personale delle RSA, con particolare riferimento all’individuazione dei portatori asintomatici o debolmente sintomatici. Illuderci di bloccare l’avanzata dell’epidemia misurando la temperatura delle persone è stato un tragico errore. Compatibilmente con le esigenze delle RSA che sono molto diverse rispetto a quelle della vita “normale” bisognerà pensare a modelli organizzativi che consentano di gestire episodi come questo con meno improvvisazione. Vi risparmio ogni commento sulla penosa polemica scatenata a suo tempo contro le limitazioni all’acceso dei parenti degli ospiti. Ma si sarebbe potuto fare anche peggio. Se volete farvi un’idea di quello che è successo vicino a noi andate a leggervi la delibera XI/2906 (Allegato 2) dell’8 marzo 2020 della regione Lombardia in cui si chiedeva alle RSA di trovare posto per accogliere pazienti Covid-19 “a bassa intensità”. Neanche Pietro Micca avrebbe saputo fare di meglio!
Cosa dovremmo fare per il futuro? Certamente non abbassare la guardia, perché – lo ripeto – le RSA sono per oggettivi motivi il punto più debole nella nostra battaglia contro l’epidemia. La maggiore disponibilità di test e la diffusione delle analisi sierologiche ci permetterà a breve di avere un quadro molto più dettagliato della situazione. Queste informazioni saranno essenziali per programmare il lavoro dei prossimi mesi. Anche la ben nota penuria dei cosiddetti dispositivi di protezione individuale dovrebbe – speriamo – diventare solo un ricordo. Contiamo, come sempre, sulla dedizione e sullo spirito di sacrifico delle persone che operano all’interno delle RSA. Aiutiamole non solo a parole, ma garantiamo loro di operare nelle migliori condizioni possibili.
Sarebbe ingiusto, oltre che controproducente, cercare capri espiatori ed avviare processi sommari tramite i mezzi di comunicazione. Se ci sono state delle responsabilità sarà la Magistratura ad accertarle nei modi e nei tempi previsti dalla Legge. Secondo notizie di stampa, in molte città italiane le Procure starebbero già considerando l’utilizzo del ben noto “Modello 44”. A questo proposito, come cittadino, io non posso fare altro che attendere che la Magistratura faccia serenamente il suo lavoro, augurandomi che nel frattempo non abbiano successo talune manovre parlamentari volte ad estendere urbi et orbi lo scudo penale doverosamente previsto nel cosiddetto decreto “Cura Italia” per i medici impegnati in prima linea nella cura dei malati di Covid-19.
Dopo questa doverosa premessa vorrei discutere dell’argomento seguendo la logica a cui è ispirato questo blog. Il formato di questo intervento sarà del tipo domanda/risposta. Mi rendo conto che si tratta di un formato un po’ troppo schematico, ma sono costretto a sacrificare alcuni dettagli per cercare di migliorare la chiarezza espositiva. Partiremo come al solito dall’analisi dei numeri, cercando di capire cosa i numeri ci possono dire e quali sono i limiti delle nostre deduzioni. Poi, come al solito, il lettore trarrà le conclusioni che riterrà più opportune.
Quanto hanno inciso i decessi avvenuti nelle RSA rispetto al totale dei casi imputati a Covid-19? Per farmi capire uso i numeri trentini, anche se è troppo presto per poter fare un confronto rispetto ad altre realtà italiane. Secondo i numeri ufficiali rilasciati dalle APSS, i decessi per Covid-19 avvenuti nelle RSA corrispondono a circa 1/3 del totale, mentre il numero di ospiti delle RSA corrisponde a circa l’un per cento della popolazione trentina. Numeri simili sono stati resi noti dalle Autorità altoatesine.
Perché questi numeri sono così alti? Il dato non ci sorprende per due motivi specifici. Prima di tutto, sappiamo che la letalità da Covid-19 cresce fortemente all’aumentare dell’età del paziente e gli ospiti delle RSA sono per la maggior parte grandi anziani spesso afflitti da severe patologie. Inoltre, per loro stessa natura, le RSA sono strutture dove, una volta entrata, è estremamente difficile fermare la diffusione dell'epidemia. Un significativa frazione degli ospiti delle RSA è costituita da persone non autosufficienti ed è impensabile prendersi cura di loro mantenendo le cosiddette distanze di sicurezza. Inoltre gli ospiti vivono a stretto contatto tra di loro. È lo stesso problema che si è registrato nelle abitazioni private in cui era presente un contagiato oppure nei luoghi affollati come alberghi o nelle cabine degli impianti di risalita. Bastano pochi minuti di contatto ravvicinato per contagiare una persona ed i contagi più difficili da evitare sono quelli dovuti ai portatori asintomatici. Oggi se uno starnutisce o fa un colpo di tosse viene subito individuato dalle persone vicine come un potenziale “untore” e scattano le barriere di protezione, mentre i portatori asintomatici diffondono il contagio in modo silenzioso, diventando inconsapevoli alleati del virus.
I numeri sui decessi nelle RSA sono veritieri? Domanda importante a cui ho già cercato di rispondere. Riprendo alcune delle argomentazioni già illustrate nei post precedenti. Ci sono criteri diversi che possono essere adottati nel calcolo dei decessi causati dall’epidemia in atto e talvolta si tratta di criteri ambigui che lasciano – a mio avviso – troppo spazio alla discrezionalità. All’inizio dell’epidemia c’è stata una lunga discussione per distinguere i decessi “con” Covid-19 rispetto ai decessi “per” Covid-19. Col senno di poi possiamo dire che si trattava di una discussione inutile. In questo momento, l’unico criterio “robusto” sarebbe quello di contare tutti i casi in cui il paziente risulti positivo al test. In taluni casi il test è stato fatto post-mortem. In moltissimi casi il test non è stato fatto né ai vivi, né tanto meno ai defunti. Non voglio ritornare alla polemica sulla necessità di fare più test, a cominciare dal personale delle RSA. Oggi sembra che l’abbiano capito tutti: meglio tardi che mai! Comunque un’analisi statistica dei decessi avvenuti nelle RSA, indipendentemente dall’attribuzione ufficiale delle cause di morte, ci può dare informazioni più precise. In un post di ieri ho fornito il link ad un interessante documento in cui sono riportati alcuni risultati relativi ai decessi registrati nelle anagrafi di alcune città italiane medio-grandi da inizio febbraio a quasi fine marzo. Osservando i grafici riportati nel documento, anche un occhio non esperto si rende conto della gravità della situazione complessiva, almeno per il Nord Italia. Il dato macroscopico è evidente. Quando poi si cerca di estrarre dai grafici numeri statisticamente affidabili, la questione diventa tecnicamente piuttosto complessa e va affidata a mani esperte. Nessuna conclusione statistica è – per sua intrinseca natura – sicura al 100%. Dobbiamo sempre accettare una residua probabilità di errore e validare un risultato solo se la probabilità di errore scende sotto una certa soglia. Scegliere il livello di questa soglia è una scelta politica. Generalmente si utilizza come livello il 5%, ma quando si tratta di argomenti così delicati come quello di cui stiamo discutendo la soglia potrebbe essere ridotta all’1% o addirittura allo 0.1%. Scelta politica dicevo che deve tener conto anche delle dimensione della base dati su cui si lavora. Se la dimensione è troppo piccola cresce il livello di incertezza delle nostre analisi statistiche. Pur con la consapevolezza dei limiti statistici, è auspicabile che questo tipo di analisi sia fatto per le RSA di tutte le Regioni italiane. In particolare, sarà importante vedere se ci sono differenze significative rispetto ai numeri comunicati ufficialmente e si potrà capire qualcosa di più sui meccanismi che hanno inciso su questa tragica storia. Per fare questo tipo di analisi non c’è bisogno di aspettare che l’epidemia diventi solo un ricordo. I tristi numeri del mese di marzo 2020 ci sono già tutti e si può incominciare fin da subito ad analizzarli.
Il numero dei decessi ci dice tutto? La mia risposta e senz’altro no! Purtroppo nelle RSA la morte non è un evento infrequente. I dati statistici ci dicono che ogni mese una certa percentuale degli ospiti delle RSA ci lascia. Paradossalmente vorrei dire che non è tanto importante sapere quante persone in più sono morte nel mese di marzo in coincidenza con l’epidemia di Covid-19. Perché è completamente diversa la situazione se, a causa dell’epidemia, abbiamo in qualche modo anticipato di qualche settimana decessi che sarebbero comunque avvenuti poco dopo, oppure se le persone che sono mancate hanno perso sei mesi, un anno o più di vita. Come possiamo capire cosa sia successo? Certamente non dall’analisi delle cartelle cliniche. L’analisi statistica può, anche in questo caso, aiutarci a capire. Il discorso è un po’ troppo tecnico e ve lo risparmio. Conoscendo il tempo di permanenza medio nelle RSA prima dell’epidemia e confrontandolo con i dati più recenti si possono ottenere delle stime di un certo interesse. Si tratta, lo ripeto, di stime statistiche e come tali legate ad un certo margine di incertezza. Senza conoscere i dati non posso garantirvi che il lavoro sia statisticamente significtivo, ma certamente andrà fatto e reso pubblico.
Gli ospiti delle RSA hanno ricevuto tutte le cure mediche necessarie? Domanda difficilissima che pure qualcuno mi ha posto. Ovviamente non posso darvi una risposta che abbia un qualche senso dal punto di vista medico. Possiamo tentare di fare una prima grossolana valutazione confrontando il numero dei ricoveri ospedalieri che avvenivano mediamente prima dello scoppio dell’epidemia rispetto a quelli avvenuti nel mese di marzo 2020. Secondo i dati altoatesini (gli unici che io conosca) solo il 10% degli ospiti di RSA deceduti sono morti in ospedale. Difficile capire se i ricoveri ospedalieri di ospiti di RSA che avvenivano prima dello scoppio dell’epidemia fossero tutti effettivamente utili o rientrassero nella categoria del cosiddetto “accanimento terapeutico”. C’è inoltre da considerare che anche per tutto il resto della popolazione c’è stato un sensibile calo di ricoveri ospedalieri per patologie non Covid-19, anche molto gravi. Personalmente credo che sia difficilissimo trovare una risposta convincente a questa domanda. In un mondo ideale, con risorse sanitarie illimitate, forse qualche vita umana si sarebbe potuta salvare, ma purtroppo nessuno vive in un mondo ideale.
Cosa abbiamo sbagliato a livello di prevenzione? Ripeto, qui non stiamo facendo il processo a nessuno. Non dobbiamo però fare gli struzzi e nascondere la testa sotto la sabbia. Anche perché l’epidemia di Covid-19 continuerà ad essere una grave minaccia per tutti noi ed, in particolare per gli ospiti delle RSA, almeno finché non sarà reso disponibile un vaccino efficace. Certamente ci sono state carenze nel controllo dello stato di salute del personale delle RSA, con particolare riferimento all’individuazione dei portatori asintomatici o debolmente sintomatici. Illuderci di bloccare l’avanzata dell’epidemia misurando la temperatura delle persone è stato un tragico errore. Compatibilmente con le esigenze delle RSA che sono molto diverse rispetto a quelle della vita “normale” bisognerà pensare a modelli organizzativi che consentano di gestire episodi come questo con meno improvvisazione. Vi risparmio ogni commento sulla penosa polemica scatenata a suo tempo contro le limitazioni all’acceso dei parenti degli ospiti. Ma si sarebbe potuto fare anche peggio. Se volete farvi un’idea di quello che è successo vicino a noi andate a leggervi la delibera XI/2906 (Allegato 2) dell’8 marzo 2020 della regione Lombardia in cui si chiedeva alle RSA di trovare posto per accogliere pazienti Covid-19 “a bassa intensità”. Neanche Pietro Micca avrebbe saputo fare di meglio!
Cosa dovremmo fare per il futuro? Certamente non abbassare la guardia, perché – lo ripeto – le RSA sono per oggettivi motivi il punto più debole nella nostra battaglia contro l’epidemia. La maggiore disponibilità di test e la diffusione delle analisi sierologiche ci permetterà a breve di avere un quadro molto più dettagliato della situazione. Queste informazioni saranno essenziali per programmare il lavoro dei prossimi mesi. Anche la ben nota penuria dei cosiddetti dispositivi di protezione individuale dovrebbe – speriamo – diventare solo un ricordo. Contiamo, come sempre, sulla dedizione e sullo spirito di sacrifico delle persone che operano all’interno delle RSA. Aiutiamole non solo a parole, ma garantiamo loro di operare nelle migliori condizioni possibili.
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