sabato 4 aprile 2020

Il tempo NON è una variabile indipendente

L’ho già scritto varie volte in precedenti interventi, ma oggi vorrei dedicare a questo argomento una breve riflessione. “Il tempo non è una variabile indipendente” è una espressione tipica della fisica che esprimere un concetto molto semplice “il risultato delle nostre azioni non dipende solo da cosa facciamo, ma anche da quando lo facciamo”.

Nel caso di un’epidemia la situazione è resa ancora più complicata dal problema del grande ritardo temporale che esiste tra le azioni ed il loro effetto. È un tema che i miei colleghi che si occupano di scienze cognitive saprebbero spiegarvi molto meglio di me. Ci provo comunque, scusandomi se non sarò abbastanza accurato.

Sovente, quando prendiamo una decisione abbiamo a disposizione le informazioni che ci servono per valutare l’opportunità della nostra azione e non dobbiamo attendere troppo tempo per vederne gli effetti. In molti casi, è anche possibile correggere le nostre azioni fino a che non si ottiene il risultato sperato. È quello che fa abitualmente chi si esercita in un poligono di tiro ed è un modo di operare che più o meno inconsapevolmente tutti noi utilizziamo nella vita quotidiana. Questo stesso modo di operare lo utilizziamo anche nelle tecnologie euristiche di tipo “trial & error”. In pratica, faccio qualcosa senza preoccuparmi troppo di sapere se l’azione intrapresa sia esattamente la migliore possibile, misuro quanto distanti siano i risultati ottenuti rispetto a quelli attesi e correggo la mia azione nel più breve possibile fino a che non raggiungo l’esito sperato. Un esempio eclatante è quello relativo ai metodi classicamente utilizzati per lo sviluppo di nuovi medicinali: si provano tante sostanze chimiche fino a trovare quella che funziona al nostro scopo.

Purtroppo quando abbiamo a che fare con una epidemia le tecniche euristiche possono produrre grandi disastri. Se sbaglio nella scelta e nella tempistica delle azioni rischio di produrre danni irreversibili che non potranno più essere corretti. Se un’epidemia sfugge di mano, dopo posso solo contare i morti. Il problema da un punto di vista cognitivo è legato al lungo tempo che deve passare tra il momento in cui faccio (o ometto di fare) qualcosa ed il momento in cui vedo gli effetti delle mie scelte. In questi giorni assistiamo ad caso da manuale. Ad inizio aprile abbiamo iniziato a vedere concretamente il risultato della azioni di confinamento sociale attivate intorno al 10 marzo. La curva dei nuovi contagi quotidiani scende, al netto dei casi in più legati all’estensione del numero di test. Soprattutto vediamo che l’assalto alle strutture ospedaliere mostra segni di tregua. Sia chiaro gli ospedali sono sempre pieni a tappo, il personale sanitario è allo stremo ed il conteggio dei decessi continua implacabile a salire. Ma almeno c’è la sensazione della svolta e tutti noi ci auguriamo di aver lasciato il peggio alle nostre spalle. D’altra parte, dopo circa un mese d’isolamento sono sempre più visibili i danni indotti sul fronte socio-economico che all’inizio non erano tanto chiari e cresce la voglia di uscire riprendendo una vita pressoché normale. Se lo facessimo troppo presto e in modo disordinato, bisognerebbe aspettare almeno due o tre settimane prima di vedere i danni prodotti delle nostre decisioni affrettate. L’epidemia riprenderebbe vigore e la seconda ondata di contagi potrebbe essere anche più grave della prima. Purtroppo, al momento di decidere, non possiamo fare altro che ragionare sulla base di fatti condizionati da scelte fatte tre settimane fa e le conseguenze delle nostre azioni ci apparirebbero sfumate e tutto sommato lontane nel tempo. Si ripeterebbe – in forma forse più grave – quello che è successo a fine febbraio in Lombardia quando politici di ogni colore si affannavano a raccomandare di non far soffrire troppo l’Economia. Come sia finita l’abbiamo visto tutti: migliaia di morti e “anche l’Economia non si sente tanto bene”.

Che fare allora? Fermarsi e non fare nulla per paura di sbagliare?. Certamente no, ma tanto per cominciare bisognerebbe che chi ha responsabilità politico-amministrative evitasse di dare numeri a vanvera a proposito del giorno della nuova liberazione. Bisogna fare una attenta valutazione dei pro e dei contro, le diverse azioni devono essere attentamente pianificate e coordinate ed i cittadini-elettori dovrebbero essere informati con grande trasparenza dei criteri usati per prendere le decisioni. Dovremo essere tutti consapevoli che non sarà affatto facile trovare il giusto punto di equilibrio tra salute pubblica e tenuta socio-economica della nostra società. Mi auguro che, a tutti i livelli, i decisori politici la smettano di piantare le loro bandierine per cercare di arraffare una manciata di voti e si dimostrino all’altezza del loro compito. All’inizio dell’epidemia tutti hanno dato la colpa alla (supposta) imprevidibilità degli eventi. Ora non più. La strada che abbiamo davanti è già tracciata. Sta a tutti noi percorrerla evitando ulteriori danni.

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