sabato 21 marzo 2020

C'è un collegamento tra l'inquinamento atmosferico e l'epidemia di Coronavirus?

 perdiamo la salute per fare i soldi,
ma poi perdiamo i soldi per cercare di recuperare la salute
(Dalai Lama)

In questi giorni difficili molti si domandano se lo sviluppo dell'epidemia sia stato causato dall'inquinamento ambientale. Abbiamo tutti sotto gli occhi le immagini satellitari della regione intorno a Wuhan e della Padania che ci mostrano come i due territori abbiano in comune un preoccupante livello di inquinamento atmosferico. Considerato lo stato di pandemia conclamata, è difficile pensare che l'inquinamento atmosferico possa essere stato l'unico elemento scatenante, ma il dubbio che abbia contribuito almeno come concausa è molto ragionevole.

Come ripetuto più volte, è troppo presto per trarre conclusioni che abbiano un accettabile livello di confidenza. Qui ci limiteremo ad analizzare quale era la situazione pre-Coronavirus e a discutere i possibili meccanismi chimico-fisici che potrebbero essere alla base del collegamento tra inquinamento atmosferico e sviluppo del contagio.

Dimentichiamo per il momento il Coronavirus e vediamo quale era la condizione della qualità dell'aria prima dell'inizio dell'epidemia. Forse lo ricordate, ma negli ultimi anni sono apparsi molti studi che documentavano come l'inquinamento atmosferico fosse responsabile di un numero crescente di morti premature. Lo studio più aggiornato sviluppato dall'EEA (European Environment Agency) lo potete trovare qui:


I numeri del rapporto sono impressionanti anche se sono stati accolti dall'opinione pubblica con una sostanziale indifferenza. Anzi chi li citava invitando le Autorità a prendere provvedimenti veniva talvolta liquidato come  un "gretino". Eppure parliamo solo per l'Italia (dati relativi all'anno 2016, pag. 69 del rapporto citato sopra) di circa 60.000 morti premature all'anno (una ogni circa 1000 abitanti) dovute alle cosiddette "polveri sottili" a cui si aggiungono poco meno di 20.000 morti premature legate alle componenti gassose dell'inquinamento. Il rapporto ci dice anche quanto "prematuri" siano stati questi decessi, stimando una perdita di circa mezzo milione di anni, in pratica circa sei anni a defunto. Si tratta di stime che possono cambiare a seconda dei criteri adottati per calcolarle, ma l'ordine di grandezza è questo. Non sappiamo ancora quanti saranno i decessi prematuri che l'epidemia di Coronavirus provocherà prima di essere debellata, ma i numeri del rapporto EEA ci fanno capire quanto compromessa fosse la situazione ben prima dell'arrivo dell'epidemia.

Vi domanderete "Perché l'opinione pubblica ha accolto i dati EEA con indifferenza?". Ci vorrebe un collega sociologo per dare una risposta convincente. Io mi limito a mettere in evidenza un aspetto. A differenza di quello che succede con il Coronavirus, le morti premature dovute all'inquinamento atmosferico non sono caratterizzate da una evidente relazione causa-effetto. In altre parole, non è che una persona esce, respira l'aria inquinata e dopo pochi giorni muore. La cosa è molto più subdola perché il danno si accumula nel tempo. La situazione mi fa ricordare quando oltre mezzo secolo fa, giovane perito chimico, ebbi modo di visitare alcune industrie localizzate al confine tra Liguria e Piemonte. Queste fabbriche sono state classificate nei decenni successivi come vere e proprie fabbriche della morte perché hanno gravemente inquinato aria ed acqua provocando un numero incredibile di tumori. Eppure allora nessuno capiva esattamente quello che stava accadeno. Ricordo che in alcuni laboratori chimici c'erano ancora le gabbiette con i canarini. Se morivano i canarini scattava l'allarme ed il personale veniva evacuato. C'era percezione solo per il pericolo immediato, mentre non erano chiari gli effetti di accumulo che nel medio-lungo periodo avrebbero prodotto ingenti danni alla salute. Per l'inquinamento atmosferico siamo più o meno ancora alle gabbiette dei canarini. Quando il livello di inquinamento supera un certo limite si blocca il traffico per qualche giorno e poi riprende tutto come prima. 

Tornando alla domanda iniziale, "Come potrebbe entrarci l'inquinamento con l'epidemia di Coronavirus?". Ci sono varie ipotesi. La prima è di tipo medico e non ho le competenze per discuterla. Mi limito a ricordare che molti ipotizzano che la costante esposizione ad un forte inquinamento atmosferico provochi danni permanenti al sistema immunitario e all'apparto respiratorio, facilitando l'aggressione del virus. Non è il mio campo e, come detto sopra, lascio ai medici le valutazioni di merito.

Qui vorrei soffermarmi su come l'inquinamento atmosferico potrebbe favorire il trasferimento del virus tra le persone. Escluderei che l'inquinamento possa avere un qualche effetto sui contagi che avvengono per contatto diretto o tramite colpi di tosse e starnuti (almeno per le goccioline di maggiori dimensioni). Un effetto ci potrebbe essere per quelle goccioline che vengono emesse con la normale respirazione o per le frazioni più leggere associate a colpi di tosse e starnuti. In un post precedente abbiamo visto che le goccioline di dimensioni più piccole possono rimanere sospese nell'aria anche per molto tempo, così come le famose PM10 che tutti abbiamo imparato a conoscere attraverso i bollettini sulla qualità dell'aria. Sappiamo che le goccioline di dimensioni inferiori a circa 100 micron tendono a ridursi velocemente a causa dell'evaporazione dell'acqua che avviene a livello superficiale. Questo produce un duplice effetto: man mano che l'acqua evapora la massa si riduce e la gocciolina riesce a rimanere in sospensione nell'aria più a lungo. Tuttavia, l'evaporazione dell'acqua porta anche alla progressiva disattivazione del virus. Se, durante il suo tragitto, la gocciolina  incontra una particella di polvere sottile può accadere un processo di "fusione" con conseguente formazione di una sorta di "supergocciolina". L'interazione - a livello molecolare - tra la gocciolina originale e la particella di polvere può rallentare l'ulteriore evaporazione dell'acqua, stabilizzando la carica virale. Lo ripeto è solo una ipotesi già discussa nella letteratura scientifica, ma nel caso del Coronavirus è ancora tutta da verificare. Tra l'altro ci aspettiamo che il proceso dipenda in modo critico dalla composizione chimica, dalla massa e soprattutto dalla morfologia della particella di polvere sottile. Ipotizziamo che questo meccanismo potrebbe essere particolarmente importante per le particelle molto porose che potrebbero funzionare come una sorta di "spugna" che agisce a livello molecolare.

Chiudo qui perché per proseguire dovrei entrare in dettagli della chimica-fisica delle superfici che interessano solo agli specialisti del settore.

Riassumendo. Non abbiamo prove certe, ma è probabile che l'inquinamento atmosferico possa essere una concausa della diffusione del virus. Sono ipotizzabili specifici meccanismi chimico-fisici che potrebbero spiegare come le particelle di polvere sottile possano favorire il trasporto del virus per via aerea. L'attuale riduzione del traffico e delle attività industriali porterà senz'altro alla riduzione di polveri sottili nell'aria, con un possibile beneficio anche ai fini del contenimento dell'epidemia. Ma se, pur stando chiusi in casa, vi scaldate con la vostra stufa a legna, probabilmente non state facendo la cosa giusta

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