martedì 17 marzo 2020

Positivi asintomatici: Vò Euganeo vs Diamond Princess

Torniamo sull’argomento dei positivi asintomatici e sull’opportunità di fare tutti gli sforzi per aumentare la somministrazione dei test alle persone asintomatiche, ma potenzialmente positive, specialmente quando si tratta di persone che siano impegnate nelle attività sanitarie e nelle altre attività essenziali.

I casi di Vò Euganeo e della nave da crociera Diamond Princess rappresentano due esempi di comunità isolate in cui si è tentato di bloccare lo sviluppo dell’epidemia. Dimensionalmente i due casi sono simili, anche se ci sono forti differenze rispetto alla distribuzione spaziale delle persone.

Nel caso della Diamond Princess si è applicato un modello di quarantena che potremmo definire classico. Le persone sono state segregate nella nave, limitando il più possibile la loro mobilità personale. Le autorità sanitarie giapponesi hanno posto l’enfasi maggiore sul fatto che l’epidemia non scendesse a terra piuttosto che sul controllo dell’epidemia all’interno della nave. I test di positività al virus sono stati fatti solo alle persone sintomatiche e solo a queste persone è stato consentito di lasciare la nave per essere curate. Gli asintomatici positivi non sono stati identificati, lasciandoli liberi di contagiare gli altri.

L’approccio seguito a Vò Euganeo è completamente diverso ed è stato impostato tenendo conto di quanto è successo recentemente in Corea del Sud. Tutti gli abitanti sono stati sottoposti al test, almeno due volte nell’arco di circa tre settimane. I positivi asintomatici sono stati identificati e messi in condizione di non nuocere agli altri.

I risultati dei due approcci sono stati molto diversi e sono attualmente oggetto di approfonditi studi scientifici. In estrema sintesi, si può comunque affermare che la progressione dell’epidemia è stata bloccata a Vò Euganeo in maniera molto più efficace rispetto a quanto sia accaduto nella nave. Difficile attribuire questa grande differenza solo alle già citate differenze di distribuzione spaziale delle persone.

Molti scienziati hanno sottolineato l’importanza di identificare i positivi asintomatici, non solo quando - come nei casi discussi precedentemente - si tratta di risanare focolai isolati, ma anche quando si stanno attuando su vasta scala politiche di restrizione della mobilità personale. In questo momento non sappiamo esattamente quanti possano essere i positivi asintomatici rispetto ai positivi identificati. Uno, cinque, dieci? Non è così importante saperlo esattamente. Non c’è bisogno di essere esperti analisti di dati per comprendere che anche applicando i più rigidi sistemi di confinamento delle persone dovremo comunque consentire la mobilità di quella parte della popolazione che serve per le attività essenziali. Se tra queste persone ci sono molti positivi asintomatici (e ce ne saranno certamente se non li cerchiamo!) il virus circolerà più a lungo. E quando finalmente le misure di restrizione della mobilità personale saranno allentate i positivi asintomatici potrebbero contribuire ad innescare nuovi focolai epidemici.

A fronte della domanda “Perché non facciamo di più per cercare i positivi asintomatici?” ho sentito varie risposte, tutte secondo me non convincenti. Qui di seguito cercherò di spiegarvi perché:

Non è una scelta nostra: noi ci atteniamo scrupolosamente alle indicazioni dell’OMS”. Trovo la risposta burocratica, tipicamente italica. A parte che l’OMS dice un altra cosa ovvero che i test devono prioritariamente individuare le persone che richiedono un trattamento ospedaliero specifico. Su questo punto siamo tutti d'accordo, ma la scusa OMS non regge. Cari burocrati cercatene una migliore!

Oggi ci sono altre priorità, dobbiamo curare i malati gravi”. Vero. La priorità è aumentare i posti di rianimazione per salvare il maggior numero possibile di vite umane, ma questo non è in contraddizione con ciò che si può fare fin da subito per ridurre al minimo possibile la durata dell’epidemia. Più tempo dura l’epidemia, maggiore sarà il numero dei decessi.

"Fare un test una tantum serve a poco" Vero, perché nella prima fase di incubazione c'è la possibilità di risultati falsi negativi che potrebbero indurre le persone ad atteggiamenti potenzialmente pericolosi. Bisogna ripetere i test con la maggiore frequenza possibile. Proprio per questo bisogna attrezzarsi.

"Si doveva fare all'inizio dell'epidemia, ormai non servono più". Falso. Sappiamo che grazie alle misure di restrizione della mobilità personale l'epidemia sarà riportata, prima o poi, sotto controllo. Togliere dalla circolazione i positivi asintomatici che non sono per legge costretti a stare a casa significa ottenere i risultati attesi "prima". In termini di decessi e di danni economici, c'è una bella differenza tra "prima" e "poi". Senza contare che se allentassimo le restrizioni alla mobilità avendo in circolazione ancora numerosi positivi asintomatici, rischieremmo di veder ripartire l'epidemia.

Non abbiamo gli strumenti e le persone per fare tutti i test”. Può essere che oggi sia così, ma attenzione a credere che i test servano solo oggi. Potrebbero servire ancora per molti mesi. Le attrezzature si possono comprare (prima si ordinano e prima arrivano, non ripetiamo gli errori fatti con le mascherine!). Quanto al personale basterebbe assoldare una parte del personale tecnico e degli studenti di dottorato che già operano presso alcuni laboratori di ricerca universitari. Senza contare che anche le strutture private potrebbe essere chiamate a fare la loro parte.

Per approfondimenti:

R. Li et al. "Substantial undocumented infection facilitates the rapid dissemination of novel coronavirus" 


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