Scusate
il romanesco, ma questa è la risposta che mi viene spontanea quando
assisto alla stucchevole querelle
sulla
possibile estensione del cosiddetto Modello Lodi a tutto il Paese.
Il
temine “Modello Lodi” ha in sé un significato
intrinsecamente
positivo.
Un modello rappresenta una eccellenza, qualcosa che tutti dovremmo
imitare. Tuttavia,
prima
di parlare di modello
dovremmo analizzare
due cose: a) i risultati ottenuti e b)
la
cosiddetta “scalabilità” del
modello.
Con il termine
scalabilità intendiamo la possibilità di applicare una certa
metodologia quando cambia in modo sostanziale
la platea delle
persone coinvolte.
Siamo tutti d'accordo sul fatto che il
blocco delle
attività nel focolaio lodigiano abbia
prodotto - a livello locale - un rallentamento significativo dell'epidemia. Chi ha rispettato scrupolosamente le norme ha fatto enormi sacrifici, ma dopo tre
settimane si vedono i
risultati
positivi. Il numero dei nuovi contagi diminuisce significativamente,
in controtendenza rispetto
a
quanto avviene a livello nazionale. Non dobbiamo però dimenticare
che il blocco del focolaio lodigiano ha palesemente fallito rispetto ad un altro obiettivo non meno importante ovvero il blocco della diffusione del virus verso le località limitrofe. Ad esempio, sappiamo che molti cittadini lombardi hanno approfittato della chiusura forzata
delle scuole e delle attività lavorative per concedersi un periodo
di vacanza sulla neve. Trascorse le fatidiche due settimane, si
vedono chiaramente le ricadute sul Trentino. Sia chiaro, l’epidemia
sarebbe arrivata in Trentino comunque, ma non con la velocità di
diffusione a cui stiamo assistendo.
Giustamente
è stato stigmatizzato il comportamento dei milanesi di origine
meridionale che domenica scorsa sono fuggiti in massa da Milano. Il
comportamento dei turisti lombardi che due settimane prima hanno
lasciato, più
a meno alla chetichella,
le zone dell’epidemia per andare a sciare non è molto diverso,
anche se ha dato meno nell’occhio.
Direte voi: ”noi italiani siamo allergici alle regole e non si può fare come in Cina dove sono state usate maniere forti incompatibili con la democrazia”. Vero, ma se ci fosse stato più rigore nella delimitazione iniziale delle zone rosse ed una maggiore attenzione all’effettivo confinamento dei loro abitanti forse le cose sarebbe andate un po’ meglio. Sappiamo che non è facile prendere decisioni di fronte ad una emergenza. In quei giorni i decisori politici non avevano ancora chiari i rischi dell'epidemia e sembravano essere prioritariamente preoccupati delle conseguenze economiche dei loro provvedimenti. Criticare chi è più esposto sul fronte dell’epidemia può essere ingeneroso, ma spacciare anche i risultati negativi come un modello da imitare non serve a nessuno.
Direte voi: ”noi italiani siamo allergici alle regole e non si può fare come in Cina dove sono state usate maniere forti incompatibili con la democrazia”. Vero, ma se ci fosse stato più rigore nella delimitazione iniziale delle zone rosse ed una maggiore attenzione all’effettivo confinamento dei loro abitanti forse le cose sarebbe andate un po’ meglio. Sappiamo che non è facile prendere decisioni di fronte ad una emergenza. In quei giorni i decisori politici non avevano ancora chiari i rischi dell'epidemia e sembravano essere prioritariamente preoccupati delle conseguenze economiche dei loro provvedimenti. Criticare chi è più esposto sul fronte dell’epidemia può essere ingeneroso, ma spacciare anche i risultati negativi come un modello da imitare non serve a nessuno.
Come
già detto, almeno a livello locale, il blocco totale delle attività
imposto nel lodigiano ha consentito di contenere efficacemente lo sviluppo
dell’epidemia. Perché non farlo in
tutta Italia? La risposta è molto semplice: non è tecnicamente
possibile! Infatti, mentre a Lodi si chiudeva tutto, il resto del
Paese ha continuato a funzionare a ritmo pressoché costante
assicurando alle persone rinchiuse nella zona rossa la necessaria fornitura di medicinali, cibo, energia
ed altri generi di prima necessità. Anche in Cina, è stato imposto
un blocco pressoché totale alla regione intorno a Wuhan che conta 60
milioni di abitanti, più o meno quanto l’Italia. Ma non dobbiamo
dimenticare che intorno alla regione di Wuhan c’era un altro
miliardo di cinesi che, pur adottando severe precauzioni, hanno
continuato a produrre garantendo – pur tra le comprensibili
limitazioni – quanto serviva a Wuhan. Senza
contare l’afflusso in massa di personale medico e infermieristico
che da tutta la Cina è stato mandato a Wuhan per assistere i malati.
Se
chiudessimo tutta l’Italia in stile Lodi o – se preferite –
Wuhan su chi potremmo contare per essere assistiti e riforniti dei
beni essenziali? Pensate che Francia, Germania ed Austria siano
pronte a fare per l’Italia quello che il resto della Cina ha fatto
per Wuhan? Lascio al lettore la risposta.
In
conclusione, è facile fare proclami e chiedere un blocco totale, ma
– realisticamente – se vogliamo che il blocco non porti più
danni che benefici sarebbe più opportuno adottare la politica del
“blocco più ampio possibile”, ovvero il blocco di tutte le attività che non siano strettamente indispensabili. Difficile
definire queste attività per decreto. Chi ha provato a farlo ha steso
elenchi più o meno dettagliati, tutti criticabili. Faccio un esempio per
farmi capire. Secondo voi durante il blocco dovremmo continuare a
produrre cartone?
A prima vista del cartone potremmo farne a meno, ma provate a pensare
cosa succederebbe nella catena di distribuzione del cibo e dei
medicinali se mancassero gli imballaggi. Più che un decreto,
servirebbe una assunzione di responsabilità da parte di tutte le categorie a
partire da imprenditori e sindacati. In particolare, andrebbe fatta
una analisi dettagliata di tutte le filiere produttive essenziali
adattando il sistema produttivo alle effettive necessità, anche
mettendo in conto la flessibilità necessaria per
rispondere alle esigenze che potrebbero palesarsi nel prossimo
futuro. Ed è parimenti essenziale che chi lavora nelle attività
produttive e nei servizi essenziali sia dotato delle protezioni
adeguate. Non è solo una questione etica, ma è un interesse di
tutti. Quando le filiere produttive marciano al minimo, se si ammalano i lavoratori si blocca tutto.
E
tutti gli altri cosa dovrebbero fare? Stare a casa, evitando di fare
i propagatori inconsapevoli del virus. Grati a coloro che negli
ospedali, nella fabbriche e nei servizi combattono l’epidemia ogni
giorno.
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