lunedì 9 marzo 2020

Quanto sono affidabili i numeri del Coronavirus?



Ultimo aggiornamento 08/03/2020

Ogni giorno siamo bombardati dai numeri dell’epidemia. Purtroppo questi numeri non sono sempre omogenei tra loro e talvolta viene fatta confusione tra valutazioni supportate da robuste analisi statistiche e semplici ipotesi tutte da dimostrare. Ciò contribuisce a creare ansia e genera nell’opinione pubblica incertezza e sfiducia. 
 
Tutti noi siamo, contemporaneamente, spettatori e cavie in una sorta di esperimento vivente, ma non tutti possiedono gli strumenti per analizzare in modo dettagliato i numeri che ci vengono forniti quotidianamente. Cerchiamo allora di fare il punto della situazione, senza far uso di troppi tecnicismi statistico-matematici, cercando piuttosto di capire quali siano i criteri più adatti per comprendere l’evoluzione dell’epidemia in corso.

Quanti sono davvero i contagiati dal Coronavirus in Italia?

Ufficialmente (dati dell’otto marzo) le persone che, complessivamente, hanno contratto il virus in Italia sono 7345. Forse avrete notato che a partire dalla seconda settimana di epidemia la Protezione Civile Nazionale ha cambiato il criterio con cui presenta questo dato. All’inizio dell’epidemia si parlava del numero complessivo di persone contagiate, mentre ora si preferisce evidenziare il numero delle persone attualmente infette (6357 all’otto marzo), ovvero il numero complessivo dei contagiati a cui va sottratto il numero di coloro che sono guariti o deceduti. Notiamo che all’inizio dell’epidemia i due numeri erano praticamente coincidenti, ma oggi la differenza è già piuttosto significativa ed è destinata a crescere nel tempo. Il cambio di criterio adottato dalla Protezione Civile Nazionale potrebbe essere interpretato maliziosamente come un tentativo di rendere i numeri meno “impressionanti”, ma ha comunque senso perché il numero delle persone attualmente infette ci fa capire quale sia l’effettivo carico di lavoro che grava sul sistema sanitario nazionale. 
 
Aldilà del modo di presentare i dati, sappiamo però che molte persone contagiate potrebbero non essere state individuate perché asintomatiche o con sintomi molto lievi. Per effettuare i test servono tre elementi che, ahimè, in questo momento scarseggiano: strumentazioni adeguate, personale specializzato e tanto tempo. Soprattutto nelle zone dove la diffusione del virus è più massiccia è impossibile estendere i test oltre un certo limite e questo ha costretto le autorità sanitarie a definire dei criteri di priorità. Scelta necessaria, anche se può comportare una sostanziale sottostima dei casi di contagio. Per tornare alla nostra domanda iniziale: quanto sottostimata? Difficile dirlo. Certamente ci aspettiamo che la stima sia più accurata nelle zone in cui, a parità di contagiati, sono stati fatti più test. Per fornire una risposta attendibile, bisognerebbe fare una indagine su ampi campioni della popolazione individuando non solo i soggetti inconsapevolmente portatori del virus, ma anche quelli che sono stati contagiati in passato e sono guariti. Oggi però ci sono altre priorità e ci sarà tempo in futuro per fare studi più accurati. In questo contesto i numeri che leggiamo sul numero “reale” di contagiati sono solo il frutto di stime fatte per analogia rispetto ad altre epidemie del passato. In questi giorni si è letto di un numero di contagiati effettivi che potrebbero variare da due volte fino a cento volte il numero dei contagiati misurati. Stime che, per il momento, sono prive di una solida base statistica e quindi non sono affidabili.

La buona notizia comunque è che, anche se sottostimati, i numeri ufficiali sono comunque una buona base per valutare l’andamento temporale dell’epidemia, purché nel corso del tempo si utilizzino sempre gli stessi criteri per la somministrazione dei test. Se i casi raddoppiano, ci aspettiamo di avere più o meno lo stesso raddoppio sia per i sintomatici che per gli asintomatici. Quindi l’importante è vedere non solo il valore assoluto, ma soprattutto come evolve il numero dei casi accertati in funzione del tempo.


Quanti sono davvero i morti per Coronavirus?

Non c’è dubbio che la grande maggioranza delle persone decedute fosse in età avanzata e affetta da una o più patologie gravi. In altre parole, il Coronavirus potrebbe aver solo accelerato processi che erano già in atto. Tuttavia non dobbiamo dimenticare che i dati epidemiologici cinesi ci mostrano una letalità relativamente alta anche tra persone giovani e in buona salute, specialmente tra quella parte di popolazioni più pesantemente esposta al virus come il personale sanitario. 
 
Taluni distinguono il caso di morte “per” Coronavirus rispetto alla morte “con” Coronavirus. L’argomento è complesso perché si rischia di mescolare tecnicismi dell’epidemiologia con temi etici. Se, a causa del Coronavirus, muore una persona che, a causa di altre patologie, aveva una speranza di vita di tre mesi possiamo liquidare la questione dicendo che “tanto sarebbe morta lo stesso”? Lascio volentieri agli esperti del settore la discussione di un tema così delicato, ma è comunque importante ricordare che l’utilizzo di criteri diversi per la classificazione delle cause di morte porta a significative variazioni dei numeri rilevati.

Qui ci limitiamo a mettere in evidenza che i dati di letalità che vengono comunicati alla pubblica opinione hanno un notevole margine di incertezza. La letalità altro non è che il rapporto tra deceduti e contagiati. Abbiamo visto che ambedue questi numeri possono variare notevolmente a seconda dei criteri adottati per la loro misura. Se dividendo e divisore sono incerti, come possiamo credere che il loro rapporto sia accurato? Inoltre bisogna ricordare che il calcolo della letalità si può fare solo quando sono noti i dati complessivi dell’epidemia. I contagi ed i decessi seguono un andamento temporale diversificato e bisogna attendere che il sistema si stabilizzi prima di trarre conclusioni.
 
Altrimenti si rischia di prendere cantonate colossali come è accaduto qualche giorno fa in USA, nell’area intorno a Seattle: erano stati individuati 9 morti su un totale di 27 casi positivi al Coronavirus. Si trattava naturalmente solo della punta di un iceberg, così come si è capito già nei giorni successivi. Questo non ha impedito a qualche sprovveduto di seminare il panico sostenendo che la letalità del Coronavirus fosse arrivata al 33%, dato ovviamente privo di ogni significato. 
 
Anche in Italia, è troppo presto per trarre conclusioni sulla letalità del virus. Le Autorità sanitarie stanno monitorando la situazione con grande attenzione e quando ci saranno dati affidabili potremo discuterli.

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