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aggiornamento 08/03/2020
Ogni giorno siamo bombardati dai
numeri dell’epidemia. Purtroppo questi numeri non sono sempre
omogenei tra loro e talvolta viene fatta confusione tra valutazioni
supportate da robuste analisi statistiche e semplici ipotesi tutte da
dimostrare. Ciò contribuisce a creare ansia e genera nell’opinione
pubblica incertezza e sfiducia.
Tutti noi siamo, contemporaneamente,
spettatori e cavie in una sorta di esperimento vivente, ma non tutti
possiedono gli strumenti per analizzare in modo dettagliato i numeri
che ci vengono forniti quotidianamente. Cerchiamo allora di fare il
punto della situazione, senza far uso di troppi tecnicismi
statistico-matematici, cercando piuttosto di capire quali siano i
criteri più adatti per comprendere l’evoluzione dell’epidemia in
corso.
Quanti sono davvero i contagiati
dal Coronavirus in Italia?
Ufficialmente
(dati dell’otto
marzo) le persone che, complessivamente, hanno contratto il virus in
Italia sono 7345.
Forse avrete notato che a partire dalla seconda settimana di epidemia
la Protezione Civile Nazionale ha cambiato il criterio con cui presenta questo
dato. All’inizio dell’epidemia si parlava del numero complessivo
di persone contagiate, mentre ora si preferisce evidenziare il numero
delle persone attualmente infette (6357
all’otto
marzo), ovvero il numero complessivo dei contagiati a cui va
sottratto il numero di coloro che sono guariti o deceduti. Notiamo
che all’inizio dell’epidemia i due numeri erano praticamente
coincidenti, ma oggi la differenza è già piuttosto significativa ed
è destinata a crescere nel tempo. Il cambio di criterio adottato
dalla Protezione Civile Nazionale potrebbe essere interpretato maliziosamente
come
un tentativo di rendere i numeri meno “impressionanti”,
ma ha comunque senso perché il numero delle persone attualmente
infette ci fa capire quale sia l’effettivo carico di lavoro che
grava sul sistema sanitario nazionale.
Aldilà del modo di presentare i
dati, sappiamo però che molte persone contagiate potrebbero non
essere state individuate perché asintomatiche o con sintomi molto
lievi. Per effettuare i test servono tre elementi che, ahimè, in
questo momento scarseggiano: strumentazioni adeguate, personale
specializzato e tanto tempo. Soprattutto nelle zone dove la
diffusione del virus è più massiccia è impossibile estendere i
test oltre un certo limite e questo ha costretto le autorità
sanitarie a definire dei criteri di priorità. Scelta necessaria,
anche se può comportare una sostanziale sottostima dei casi di
contagio. Per tornare alla nostra domanda iniziale: quanto
sottostimata? Difficile dirlo. Certamente ci aspettiamo che la stima
sia più accurata nelle zone in cui, a parità di contagiati, sono
stati fatti più test. Per fornire una risposta attendibile,
bisognerebbe fare una indagine su ampi campioni della popolazione
individuando non solo i soggetti inconsapevolmente portatori del
virus, ma anche quelli che sono stati contagiati in passato e sono
guariti. Oggi però ci sono altre priorità e ci sarà tempo in
futuro per fare studi più accurati. In questo contesto i numeri che
leggiamo sul numero “reale” di contagiati sono solo il frutto di
stime fatte per analogia rispetto ad altre epidemie del passato. In
questi giorni si è letto di un numero di contagiati effettivi che
potrebbero variare da due volte fino a cento volte il numero dei
contagiati misurati. Stime che, per il momento, sono prive di una
solida base statistica e quindi non sono affidabili.
La buona notizia comunque è che,
anche se sottostimati, i numeri ufficiali sono comunque una buona
base per valutare l’andamento temporale dell’epidemia, purché
nel corso del tempo si utilizzino sempre gli stessi criteri per la somministrazione dei test. Se
i casi raddoppiano, ci aspettiamo di avere più o meno lo stesso
raddoppio sia per i sintomatici che per gli asintomatici. Quindi
l’importante è vedere non solo il valore assoluto, ma soprattutto
come evolve il numero dei casi accertati in funzione del tempo.
Quanti sono davvero i morti per
Coronavirus?
Non c’è
dubbio che la grande maggioranza delle persone decedute fosse in età
avanzata e affetta da una o più patologie gravi. In altre parole, il
Coronavirus potrebbe aver solo accelerato processi che erano già in
atto. Tuttavia non dobbiamo dimenticare che i dati epidemiologici
cinesi ci mostrano una letalità relativamente alta anche tra
persone giovani e in buona salute, specialmente tra quella parte di
popolazioni più pesantemente esposta al virus come il personale
sanitario.
Taluni distinguono il caso di morte
“per” Coronavirus rispetto alla morte
“con” Coronavirus. L’argomento è
complesso perché si rischia di mescolare tecnicismi
dell’epidemiologia con temi etici. Se, a causa del Coronavirus,
muore una persona che, a causa di altre patologie, aveva una speranza
di vita di tre mesi possiamo liquidare la questione dicendo che
“tanto sarebbe morta lo stesso”? Lascio volentieri agli
esperti del settore la
discussione di un tema così delicato,
ma è comunque importante ricordare che l’utilizzo di criteri
diversi per la classificazione delle cause di morte porta a significative
variazioni dei numeri rilevati.
Qui
ci limitiamo a mettere in evidenza che i dati di letalità che
vengono comunicati alla pubblica opinione hanno un notevole margine
di incertezza. La letalità altro non è che il rapporto tra
deceduti e contagiati. Abbiamo visto che ambedue questi numeri
possono variare notevolmente a seconda dei criteri adottati per la
loro misura. Se dividendo e divisore sono incerti, come possiamo
credere che il loro rapporto sia accurato? Inoltre bisogna ricordare
che il calcolo della letalità si può fare solo quando sono noti i
dati complessivi dell’epidemia. I contagi ed i decessi seguono un
andamento temporale diversificato e bisogna attendere che il sistema
si stabilizzi prima di trarre conclusioni.
Altrimenti si rischia di
prendere cantonate colossali come è accaduto qualche giorno fa in
USA, nell’area intorno
a
Seattle:
erano stati individuati 9 morti su un totale di 27 casi positivi al
Coronavirus. Si trattava naturalmente solo della punta di un iceberg,
così come si è capito già nei giorni successivi. Questo non ha
impedito a qualche sprovveduto di seminare il panico sostenendo che
la letalità del Coronavirus fosse arrivata
al
33%, dato ovviamente privo di ogni significato.
Anche in Italia, è
troppo presto per trarre conclusioni sulla letalità del virus. Le
Autorità sanitarie stanno monitorando la situazione con grande
attenzione e quando ci saranno dati affidabili potremo discuterli.
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