venerdì 10 luglio 2020

Esistono davvero i “super spreader” della Covid-19?

In inglese hanno inventato il termine "super spreader" (superdiffusore), ma nella vulgata giornalistica spesso si parla di “super-untore”. Fin dall’inizio della pandemia di Covid-19 si è ipotizzato che esistano persone virologicamente positive che siano in grado di produrre un numero di contagi secondari particolarmente elevato. Parliamo ovviamente di contagi in condizioni per così dire “normali” ovvero in assenza di qualsiasi misura di contenimento della circolazione virale e nell'ambito di una popolazione costituita per la grande maggioranza da persone contagiabili (sensibili al virus). 
 
In tali condizioni sappiamo che l’indice di trasmissione del contagio, il famoso R0, è pari a circa 2-3. Si tratta ovviamente del “pollo a testa” di Trilussa: mediamente ogni contagiato trasferisce il contagio ad altre 2-3 persone sensibili, ma si tratta appunto di una media e se consideriamo i singoli individui il numero dei nuovi contagi può variare notevolmente.

Le cronache di questi mesi sono piene di notizie relative a casi di contagio particolarmente eclatanti dove un solo malato sarebbe stato in grado di contagiare molte decine di persone sensibili. Si tratta comunque di aneddotica, ovvero di episodi singoli in cui fra l’altro è quasi impossibile verificare se i numeri che circolano siano veramente reali oppure siano il frutto di un fraintendimento. Secondo alcuni scienziati l’idea che possano esistere questi super spreader è fuorviante. Non si tratterebbe quindi di persone particolarmente contagiose, ma piuttosto di particolari circostanze (ad esempio, una persona virologicamente positiva che canta in un coro) che possono portare ad un significativo incremento dei contagi. Come dice il prof. Jaren Baeten "It may be that a so-called super spreader is the right person in the wrong place at the wrong time".

Recentemente un gruppo di ricerca dell’Università di Tel Aviv ha cercato di capire meglio la questione facendo una mappatura genetica dei contagi. Il lavoro non è ancora stato accettato per la pubblicazione e quindi ne parlo “con beneficio d’inventario”. I casi considerati nello studio israeliano non sono moltissimi. Parliamo di circa 200 casi, che sono tanti considerato il lavoro di mappatura genetica che è stato fatto, ma non bastano per fornire un quadro statisticamente robusto. Il risultato dello studio è comunque piuttosto interessante perché sembra confermare i risultati di un lavoro precedente che era basato esclusivamente su un modello matematico della diffusione dei contagi al di fuori della Cina: non più del 10% delle persone virologicamente positive sarebbe responsabile dell’80% dei contagi secondari. Il che non esclude che il rimanente 90% dei positivi non possa trasmettere il virus, ma riduce fortemente la probabilità di tale evento.

Sembrerebbe quasi che SARS-CoV-2 si comporti seguendo il Principio di Pareto tanto caro ai cultori della produttività (una minoranza dei malati produce la gran parte dei contagi secondari: i super spreader sarebbero le èlite dei diffusori del contagio).

Forse non è il caso di chiamarli super speader, ma certamente questa forte difformità nella probabilità di produrre contagi secondari ci fa capire quanto sia complicato attuare efficaci misure di confinamento del virus.

Nessun commento:

Posta un commento