giovedì 2 luglio 2020

Ma quanto muta questo SARS-CoV-2?

SARS-CoV-2. come tutti i virus, è soggetto a mutazioni genetiche casuali che ne cambiano le caratteristiche. La ricostruzione dei vari passaggi che avvengono durante i processi di mutazione (filogenesi) è uno strumento fondamentale che virologi ed epidemiologi utilizzano per comprendere i meccanismi di diffusione del virus nel corso della pandemia. Ogni giorno, la comunità scientifica internazionale pubblica i dati relativi a centinaia di nuovi genomi del virus. Si tratta di una massa di dati impressionanete che può essere studiata solo ricorrendo a specifici strumenti bio-informatici. Chi fosse interessato a saperne di più può consultare il sito https://nextstrain.org/ dove sono riportati in forma sintetica sia i dati globali che quelli per ogni singolo continente. Nello stesso sito potete trovare una descrizione divulgativa (in italiano) dove vengono illustrate le metodologie utilizzate per questo tipo di studi ed i principali  risultati che gli scienziati hanno fin qui ottenuto.

Come ben spiegato nel documento appena citato, le mutazioni dei virus avvengono durante il processo di riproduzione all'interno delle cellule infettate. Le mutazioni sono abbastanza frequenti per i virus a RNA come appunto il SARS-CoV-2. La maggior parte di queste mutazioni non produce variazioni sostanziali del comportamento del virus oppure produce forme virali che, a loro volta, non sono in grado di replicarsi. Quindi, ai fini della pandemia, la maggior parte delle mutazioni sono ininfluenti. Ce ne possono essere alcune molto improbabili, ma comunque possibili che vanno ad alterare parti critiche del virus e che potrebbero avere conseguenze importantissime sulla sua trasmissibilità e/o sulla patologicità. In particolare, recentemente è stata oggetto di intensi studi la cosiddetta mutazione D614G, particolarmente rilevante perché va a modificare la proteina "spike" quella che il virus utilizza per attaccare la cellula umana. In un primo momento si temeva che questa mutazione potesse generare una variante più aggressiva del virus, ma dopo ampie discussioni sembra che l'allarme sia rientrato. 

Comunque col passare dei mesi le nuove mutazioni si accumulano e, prima o poi. ci aspettiamo che qualcuna di esse possa avere un qualche effetto significativo sulla evoluzione della pandemia. Da un punto di vista puramente evoluzionistico ci aspettiamo che alla fine (ma non sappiamo esattamente quando!) abbia il sopravvento una qualche evoluzione "buona" del virus che lo adatti rispetto agli esseri umani rendendolo in grado di convivere con il portatore senza fare troppi danni. Attenzione però: fin dall'inizio della pandemia abbiamo assistito alla coesistenza di contagiati asintomatici o pauci-sintomatici assieme con malati con sintomi gravi o addirittura letali. Questo fatto non è dovuto alla circolazione di forme virali diverse. Il virus che ha girato fino ad oggi è sempre più o meno lo stesso. Quella che cambia è solo la risposta del sistema immunitario dei diversi pazienti. Al momento. malgrado gli studi portati avanti in tutto il mondo, non c'è alcuna evidenza della diffusione di varianti meno aggressive del SARS-CoV-2. Le differenze che vediamo a livello clinico possono essere spiegate con una serie di motivazioni diverse e fino a che non ci saranno studi genetici che lo proveranno, le affermazioni secondo cui il virus sarebbe cambiato sono solo pure congetture.

Aldilà delle discussioni un po' campate per aria che talvolta sentiamo nei salotti televisivi, il fatto che il virus evolva può avere anche altre conseguenze. In particolare, poichè le analisi basate su tamponi caratterizzano la presenza del virus rilevando specifiche parti del suo RNA, eventuali evoluzioni potrebbero rendere le analisi meno affidabili. Analogo discorso si può fare su un eventuale vaccino, anche se, per il momento, i vaccini sono ancora in fase del tutto sperimentale. In conclusione, il problema è molto più complesso di come taluni vorrebbero raccontarci, ma gli studi scientifici procedono e questo ci deve rendere ottimisti circa la nostra capacità di affrontare il rischio SARS-CoV-2 nei prossimi mesi.

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